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globalproject, 10 giugno 2018. Un primo resoconto della marcia per la Dignità di Venezia, tantissime persone, comitati, associazioni hanno partecipato esprimendo la volontà di volere una città diversa. Qui potete leggere/ascoltare alcuni contributi. (i.b.)

Oltre 4000 persone hanno preso parte alla marcia per la dignità di Venezia. Un appuntamento promosso dal Comitato No Grandi Navi che ha visto immediatamente l'adesione di oltre 70 realtà cittadine, tra comitati, associazioni, municipalità, sindacati e partiti. Cittadine e cittadini si sono riprese/i calli e campi e hanno costruito una Venezia accogliente, solidale, viva e vitale che non ha intenzione di arrendersi.
Il lungo corteo è partito intorno alle 14:30 da Piazzale Roma in direzione Campo Manin, dove era stato allestito il palco per gli interventi finali, a pochi passi da Ca' Farsetti - sede del Comune di Venezia - per mettere in scena una sorta di assedio simbolico.

Appena prima della partenza uno striscione di oltre 10 metri è stato calato dal Garage comunale, a salutare i tanti presenti al concentramento.

La marcia ha proseguito colorata e rumorosa verso Strada Nuova dove, in prossimità di uno dei tanti edifici lasciati all'abbandono e al degrado - pronto per l'ennesima speculazione, o l'ennesimo albergo (sic) - è stata attacchinata una gigantografia donata dal collettivo Awakening a testimoniare il loro supporto all'iniziativa.

Migliaia di cittadine e cittadini hanno marciato sotto il sole cocente, portando con loro striscioni e cartelli che riportavano i dati di una trasformazione quotidiana di Venezia: oltre 30 milioni i turisti annui; meno di 54mila i residenti nella città storica; oltre 3000 le case pubbliche vuote; una media di 74 turisti per residente nell'anno 2017; oltre 200 i cambi d'uso annui da residenziale a turistico; oltre 10mila i posti letto in costruzione a Mestre.

Trasformazione che segue logiche di svendita e sfruttamento di una città intera, promossa a piene mani da un'amministrazione che non ha attuato alcuna politica per favorire la residenzialità e contrastare l'esodo e la turistificazione.

All'arrivo a Campo Manin si sono susseguiti gli interventi di alcune delle realtà promotrici.

Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ha aperto gli interventi «Sono passati sei anni dal decreto Clini-Passera che vietava l'accesso nel Canale della Giudecca alle grandi navi e cos'è cambiato? Niente! Ieri in laguna c'erano 7 grandi navi e 14.000 crocieristi. Ci hanno presi in giro con discutibili soluzioni alternative, ma il gigantismo navale sembra inarrestabile. Il problema non sono solo eventuali incidenti, ma l'inquinamento dell'aria ed elettromagnetico, e l'erosione dei fondali. Anche noi vogliamo posti di lavoro, come la presenza dei compagni operai della Fiom qui in piazza dimostra. Ma vogliamo posti di lavoro non precari, non sfruttati, lavori in grado di garantire diritti veri!»

Tommaso Cacciari, Laboratorio Occupato Morion: «Nonostante il caldo torrido siamo migliaia, ed è la miglior risposta che la Venezia degna poteva dare a Brugnaro. Mai come in questi anni assistiamo a un progetto di distruzione della città e di allontanamento di chi la abita. Brugnaro ha un progetto preciso che è trasformare la città in un parco a tema galleggiante: è per questo che fa accordi con Airbnb, è per questo che mette i tornelli, vorrebbe mettere anche i biglietti per accedervi.
In questo progetto i veneziani sono solo gente che deve andarsene per lasciare posto libero ai turisti. Ringraziamo tutti quelli che hanno reso possibile quesa Marcia, con un auspicio: se ci mettiamo insieme per costruire un’altra idea di città, più degna e vivibile, allora per Brugnaro non c’è più speranza».

Chiara Buratti dell'Assemblea Sociale per la Casa: «La lotta per la casa va di pari passo con la lotta contro le grandi navi, contro le grandi opere inutili e dannose come il Mose, contro la turistificazione di massa. In questi anni abbiamo recuperato e restituito più di 70 alloggi a cittadine, cittadini, famiglie con bambini. Finalmente possono rimanere a Venezia, per lavorare e studiare come hanno scelto di fare. Questo significa che il futuro ce lo stiamo immaginando insieme».

Giovanni Andrea Martini, Municipalità di Venezia Murano Burano prende la parola anche a nome degli altri esponenti delle municipalità presenti e firmatari: «Il fatto che siamo qui tutto assieme per salvaguardare la nostra città è il dato più importante di oggi. Porto il saluto di tutte le municipalità che assieme alle associazioni possono riuscire a dare una svolta a questa città. Siamo vicini al palazzo del padrone e un giorno potremmo anche pretendere di entrare e assistere ai consigli comunali e prendere parte alle decisioni. La città è stata privata degli spazi pubblici che i cittadini vivono per dialogare. Noi assieme abbiamo tante proposte e dobbiamo e possiamo portarle avanti. Le municipalità hanno un ordine del giorno preciso sul tema del turismo di massa e delle grandi navi: non si deve scavare in laguna, non bisogna manomettere l’ecosistema. Ci sono tremila case vuote che devono essere date ai cittadini, a chi vuole rendere la città viva».

Marco Baravalle, S.a.L.E. Docks: «Io ho 39 anni, non sono veneziano ma ho scelto di vivere qui. Mi sono innamorato non solo della bellezza di Venezia ma anche della sua vivacità, della vivacità dei movimenti e delle realtà associative di questa città. Per questo mi incazzo quando vedo che i giovani sono costretti sempre più a lasciare Venezia. Questo avviene per colpa di un progetto di gestione urbana neoliberale, di un'amministrazione che sacrifica tutto in nome del profitto. Venezia è unica ma dobbiamo guadagnarcela, lotta per lotta, casa per casa, istanza per istanza. Con il S.a.L.E., per esempio, abbiamo restituito alla città uno spazio libero per la sperimentazione artistica, evitando che diventasse l'ennesima proprietà in affitto all'industria culturale che mira solo a speculare e a sfruttare i lavoratori con contratti senza diritti e stipendi da fame».

Vittoria Scarpa, Venezia Accoglie: «Oggi anche chi vive in terraferma deve affrontare il fatto di essere amministrati da un sindaco che toglie spazi ai cittadini per darli ai turisti. In terraferma questo lo tocchiamo con mano negli ostelli, nell’aumento degli affitti. Tutto viene messo a profitto, le nostre case, i nostri spazi e le nostre attività. Il futuro delle due parti della nostra città è da costruire assieme: non siamo comparse, questa è casa nostra, ed è una città che è sempre stata accogliente. Quello a cui assistiamo non è solo un tentativo di espellere i cittadini ma anche di rendere la vita impossibile ai più deboli. Oggi più che mai è importante diventare una città-rifugio perché il nuovo governo di Salvini e i 5stelle ha dichiarato guerra ai più deboli. Noi crediamo che il diritto di vivere in pace sia un diritto di tutti. Mai come oggi la nostra lotta sarà forte».

Niccolò Onesto, L.O.Co.: «Il nostro è uno spazio occupato 4 anni fa in via Piave, nota alle cronache come zona di guerra in cui sembra impossibile per i cittadini vivere e attraversarla: è la zona che ha pagato di più il taglio dei servizi sociali e non è un caso che ora Mestre e Venezia siano diventate la capitale nazionale dei morti per eroina. È la stessa giunta che sceglie di chiudere i servizi di prossimità e svuotare le municipalità, e allo stesso tempo militarizza la città e costruisce centinaia di nuovi posti letto a Mestre. Per loro i cittadini sono un peso, l’unica cosa che conta è far guadagnare le multinazionali estere che sulla nostra città speculano e si arricchiscono. Crediamo sia invece fondamentale ripartire dai giovani e dai cittadini per ricominciare a vivere la città».

Numerosi altri interventi si sono susseguiti dal palco.

Roberta Costa, USB Musei Civici di Venezia: «Noi lavoratori dei Musei Civici siamo un esempio di quello che succede nella nostra città: l'amministrazione si arricchisce con il turismo di massa mentre noi lavoratori esternalizzati dei Musei pubblici siamo sottopagati e ora rischiamo di restare a casa. Vogliamo dire che assieme agli abitanti ci sono anche i lavoratori, noi da un anno siamo allo sbando, probabilmente verremo sostituiti con lavoratori ancora meno pagati e meno tutelati. Noi non scappiamo, siamo qua e non ci arrendiamo».

Ilaria Boniburini, Eddyburg: «La gestione odierna di Venezia è emblematica di un modello di sviluppo molto diffuso oggi: grandi opere e infrastrutture inutili, che aumentano il debito pubblico e minacciano l'ambiente; privatizzazione dei diritti e dei servizi; privatizzazione della rendita, intascata solo da pochi e mai reinvestita per il bene di tutti; svendita del patrimonio pubblico. Essere qui a questa marcia significa difendere il diritto alla città che è diritto alla vita».

Sergio Zulian, ADL-Cobas: Quando qualcuno, per difendere schifezze come le grandi opere inutili, si fa scudo con la retorica della difesa dei posti di lavoro, spesso è in malafede. Questi stessi personaggi se ne sbattono ampiamente delle condizioni di lavoro di chi è occupato in questa città: non vanno a vedere il livello di lavoro nero, di precariato, di sfruttamento. Negli alberghi le cameriere ai piani sono esternalizzate a cooperative che ogni anno cambiano e introducono nuovi contratti, sono pagate a cottimo in base alle stanze che fanno e non alle ore di lavoro. Lì dovrebbero mettere i tornelli: per contare le ore di lavoro e garantire una giusta retribuzione. Venezia non è un luna park e questo significa lottare per i diritti e anche difendere il proprio posto di lavoro».

Alla conclusione della Marcia della dignità di Venezia, il commento finale di Tommaso Cacciari: «Oggi si manifesta in piazza una nuova opposizione sociale al governo di questa città».

Tratto dal sito qui raggiungibile

17 maggio 2018. Lanciato dal Comitato No Grandi Navi-Laguna Bene Comune, il manifesto è un appello alla cittadinanza e a tutti coloro che vogliono che Venezia torni ad essere una città e non un luna park dal quale estrarre profitto e rendita (i.b.)



MARCIA PER LA DIGNITÁ DI VENEZIA
10 giugno 2018
h 14 concentramento a Piazzale Roma

II Comitato No Grandi Navi invita le abitanti e gli abitanti della città storica e della Terraferma, chi ci vive o vi lavora da pendolare, ii mondo associativo e le organizzazioni a mobilitarsi per restituire dignità alla città di Venezia, mai come oggi minacciata dall'operato di chi la governa.

Partiamo come sempre da noi, dalla richiesta di estromettere le grandi navi dalla laguna, ma oggi non basta piu, sentiamo la necessita di andare oltre.

La recente vicenda dei tornelli, al di la della ridicolaggine, é grave non tanto perché rappresenti l'inerzia dell'amministrazione di fronte all'invasione da parte di un turismo insostenibile e al relativo spopolamento, quanto piuttosto perché essa esemplifica ii vero programma di Brugnaro e della sua giunta: trasformare, in nome del profitto, la città storica in un grande parco a tema che abbia nella Terraferma una nuova succursale low cost. A cosa possono servire i tornelli se si sta pianificando la costruzione di 20.000 posti letto in ostelli ed hotel a Mestre nei prossimi anni?

Il 10 giugno saranno in piazza tutti coloro che vogliono, costruiscono e mettono in pratica un altro programma per Venezia, tutti coloro che, con il conflitto sociale, alludono ad un'altra idea di città.

E' necessario ripopolare la citta storica con politiche a misura di residente, riaprire le centinaia di case pubbliche chiuse, offrire vere opportunita di social housing, fermare la costruzione di nuovi hotel, frenare i cambi d'uso, l'utilizzo di AirBnB e simili, favorire l'affitto ai residenti e le operazioni di autorecupero.
Sono questi problemi che non riguardano più solo la città insulare, ma che preoccupano anche gli abitanti di Mestre e Marghera, dove i prezzi degli affitti sono già aumentati esponenzialmente rispetto a pochi mesi fa.

Bisogna invertire la ricetta di questa giunta che taglia i servizi di welfare, licenzia il personale precario e svende ii patrimonio pubblico.
Questo é il vero degrado.
II Comune deve invece tarsi carico di quei servizi che consentano a tutte e tutti di vivere degnamente. Servono servizi moderni, efficienti e all'avanguardia.
Oggi accade tutto il contrario. Si deve dunque investire in welfare e contemporaneamente si deve favorire quel tessuto sociale ed associativo che (a costo quasi zero) recupera spazi, Ii autogestisce, Ii strappa all'abbandono, alla privatizzazione o alla semplice messa a rendita.

Venezia deve tornare ad essere città viva, con un tessuto produttivo diversificato, non può essere spianata dalle rendite di posizione speculative che troppo velocemente distruggono la sua biodiversità urbana. La monocoltura turistica sta distruggendo la città portando ricchezza solo a pochi, con attività tra l'altro basate spesso su lavoro precario e sfruttamento.
lnvece Venezia può essere sede di attività legate anche alla cultura e alla ricerca, agli studi e all'innovazione produttiva eco-compatibile, garantendo reddito e distribuendo ricchezza a tutti.

Il 10 giugno invitiamo a scendere in piazza tutti coloro che vedono nell'ambiente una parte imprescindibile della città e non qualcosa di estraneo, magari sacrificabile sull'altare di un modello di sviluppo suicida.

La nostra piazza dirà che quando si distrugge l'ambiente, si distrugge la città. Per questo le navi devono stare fuori dalla laguna, per questo non vogliamo nuovi scavi, per questo dobbiamo prendere misure che diminuiscano l'inquinamento dell'aria da traffico urbano, ma anche marittimo, e limitare ii consumo di suolo (che spesso porta con se speculazioni e conflitti di interesse a cui il sindaco non è estraneo).

A vedere l'operato di questa giunta, pare che le tradizioni di questa città richiamino ad un'identità escludente, chiusa e definitivamente provinciale.
Mai operazione fu più revisionista.
Venezia é stata nei secoli città del mondo, e nel mondo ha fatto la sua fortuna, commerciale e culturale.
E' stata, all'apice della sua traiettoria storica, un'interfaccia tra civilta diverse, uno snodo internazionale di genti, affari, culture e arti.
Non dimentichiamoci di questa eredità.
Non lasciamo che chi ci governa riduca tutto ad un'attrazione con i suoi orari di apertura e chiusura.

Contro le dichiarazioni e le prese di posizione maschiliste e razziste di chi ci governa, vogliamo invece riaffermare Venezia come aperta e multiculturale, luogo di cultura antirazzista e antisessista.

Per tutte queste ragioni saremo in piazza Domenica 10 Giugno.
Per una città diversa, per restituire dignità a Venezia

Per le adesioni scrivere alla mail: nobigship@gmail.com

Qui l'elenco dell'adesioni già pervenute


la Nuova Venezia e facebook di Paolo Lanapoppi, 3 giugno 2018. Il ri-posizionamento dei tornelli, che avrebbero la pretesa di contrastare l'assalto dei turisti, riaccende giustamente le proteste (m.p.r.)

la Nuova Venezia
FLASH MOB DEI CENTRI SOCIALI

«BENVENUTI A VENICELAND»
di Roberta De Rossi e Vera Mantengoli

«Non tirate le noccioline ai residenti. Munitevi di biglietto, questo è un Luna Park serio. Se non siete ricchi, andatevene, siamo la nuova polizia di Brugnaro. Benvenuti a Veniceland». Ieri mattina una quarantina di attivisti dei centri sociali, vestiti con gilet catarifrangenti, ha improvvisato un siparietto davanti ai varchi di Lista di Spagna, presidiati dalla polizia municipale. L'obiettivo: contestare gli ingressi «da parco giochi» voluti dall'amministrazione per deviare i flussi turistici in caso di sovraffollamento e ribadire l'urgenza di affrontare la questione della residenzialità. Il flash mob - iniziato sulle 10.30 e durato un'oretta - non ha impedito la circolazione, ma ha creato molto stupore tra chi era diretto verso Strada Nuova.

Nel giro di un battibaleno i manifestanti, confusi nella folla, arrivano ai varchi, costruiscono un gazebo biglietteria e iniziano a distribuire ai passanti una cartolina-biglietto con la scritta «Veniceland. City Day Ticket. Big Discount», raffigurante una Venezia in versione Disneyland: al di là del varco, altri manifestanti pronti a strapparla, proprio come si fa all'ingresso di un museo. Nel frattempo, in pochi minuti, le indicazioni stampate sui cartelloni gialli dei varchi per l'ingresso di residenti e titolari di tessera Imob, vengono coperte da manifesti con le scritte: «LunaPark» e «Veniceland. Ticket Here». In tutto questo, Tommaso Cacciari - a mo' di Mangiafuoco del Paese dei Balocchi - urla da un megafono, in italiano e inglese: «Stiamo preparando gli ultimi sfratti, entrate solo pagando. Ogni casa sarà a disposizione dei turisti mordi e fuggi, noi siamo i nuovi steward dell'amministrazione».
La gente guarda sbigottita quanto accade. Qualcuno pensa che si tratti di una protesta contro un circo, altri chiedono se si debba pagare il biglietto. Davanti a tanto frastuono, una cinquantina di turisti giapponesi decidono di restare "asserragliati" all'interno dell'hotel Bellini, per uscirne solo a fine flash-mob. Passa la consigliera fucsia Francesca Rogliani - con borsa fucsia sottobraccio - e scatta un botta-e-risposta con i manifestanti, con lei che si allontana urlando: «Siete la rovina di Venezia, vergognatevi». La polizia locale decide di presidiare, arrivano polizia e carabinieri, cercando di deviare le persone verso il Ponte degli Scalzi. Parafrasando il sindaco Luigi Brugnaro - che, durante il Carnevale, aveva detto a chi si lamentava del caos di andare in campagna - Cacciari grida a gran voce: «Se vi danno fastidio i turisti andatevene in campagna».
Gli attivisti - a suon di inviti a comprare i biglietti e ad affrettarsi a entrare nel Luna Park - contestano una certa filosofia mercantile che secondo loro guida la città. Così, dietro al biglietto, c'è il programma della manifestazione del 10 giugno, organizzata contro il passaggio delle grandi navi, ma anche per «la casa e la residenzialità, per ripopolare la città e per farla finita con la svendita». Per un'ora, facendo finta di essere veri operatori, gli attivisti distribuiscono cartoline, alternandole all'esposizione di uno striscione fucsia (il colore della Lista Brugnaro) dove si vede lo skyline di una Venezia piena di ruote panoramiche e case: «Svendiamo tutto». E 5 parole a spiegare il cuore della performance: «74 turisti a ogni residente». «Stiamo completando la funzione dei tornelli, quella di rendere la città un parco turistico», spiega Cacciari, quando tutto finisce e torna tranquillo. Per poco.
Il gruppo, cantando «Venezia libera», prosegue con lo striscione fucsia verso i varchi del Ponte della Costituzione, dove ci sono alcuni momenti di tensione: gli attivisti "escono" dai passaggi destinati a chi entra, i vigili cercano inizialmente di fermarli, per poi lasciarli andare.«È stata una manifestazione pittoresca, colorata, senza alcun impatto sull'ordine pubblico», ha detto il vicario della Questura Eugenio Vomiero, «non era stata avvertita la questura, come previsto, tre giorni prima: lo segnaleremo all'autorità giudiziaria che valuterà se incorrono in sanzioni penali».
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BRUGNARO DISTRUGGE MA I MEDIA NON CAPISCONO

di Paolo Lanapoppi

«Ecco il testo di una lettera che ho inviato questa mattina al giornale La Stampa. Vi terrò informati sull'esito, anche se dubito molto che si troverà lo spazio per la pubblicazione».
Gentile direttore,
nella mia città di Venezia acquisto ogni giorno e apprezzo moltissimo il Suo giornale. Purtroppo però ho dovuto notare che per quanto riguarda le notizie veneziane esso sembra seguire una tendenza (comune a molta stampa nazionale e internazionale) ad accettare e divulgare una versione dei fatti semplicistica ed errata. Pochi giorni or sono La Stampa ha pubblicato in una sezione "Speciale viaggi" un articolo del direttore di Risposte Turismo (definito "analista indipendente" nel corsivo) che esprimeva come obiettive le opinioni delle compagnie di crociera, molto interessate a mimimizzare l'impatto negativo della loro presenza.
L'articolo dava per buono il numero di 20 milioni di turisti l'anno nella città, mentre il numero generalmente accettato anche dai media è di 30 milioni; dichiarava che solo il 3 o 4 per cento dei passeggeri mette piede in città, cosa del tutto inesatta e dimostrata tale da numerose pubblicazioni (per esempio quelle dell'editore locale "Corte del fontego", lavori di esperti docenti universitari); non faceva cenno dell'impatto d'inquinamento atmosferico e lagunare e di mille altri problemi generati dalle crociere.
Oggi 3 giugno il giornale pubblica con molto rilievo (richiamo in prima pagina) la notizia dell'istituzione di "bollini rossi e neri per fermare i turisti", accettando e divulgando il malinteso per cui la politica del sindaco Brugnaro sarebbe tesa a ridurre l'impatto negativo del turismo eccessivo, mentre essa mira soltanto ad aumentare il numero dei turisti, diffondendoli, o "spalmandoli" nelle poche zone della città che sono rimaste parzialmente tranquille. Oggi i turisti sono una media di 84.000 al giorno e si mira a raddoppiarne il numero chiudendo alcune strade nei giorni di super-accesso e deviando le folle in arrivo su stradine (callette e ponti) un po' fuori mano.
L'articolo non dice che nessuna misura per ridurre i numeri è stata presa né è stata mai considerata. Le pressioni dell'Unesco sono state aggirate con altre misure dall'apparenza ragionevole ma in realtà catastrofiche, come l'Unesco ha forse capito concedendo alla città ancora due anni di tempo per proporre una seria politica di salvaguardia. Venezia sta morendo come città, cosa forse inevitabile, ma che i media dovrebbero raccontare nella sua verità e non accettando per buone le dichiarazioni di una giunta comunale interessata solo a far aumentare per i propri elettori gli introiti derivati dal turismo di massa.
Grazie se potrete pubblicare questa lettera, che solo molto parzialmente può menzionare alcuni dei disastri in corso in uno dei principali patrimoni dell'intera umanità.
Aleramo Paolo Lanapoppi Docente universitario in pensione. Autore di "Lorenzo Da Ponte" (Marsilio, 1992), "The Penguin Guide to Northern Italy" (Penguin Books, 1990 e seguenti), "Caro turista" (Corte del fontego, Venezia 2013).

la Nuova Venezia. Prosegue infaticabile la campagna di conquista del consenso della banda CVN. Per un'opera criminale per la distruzione della Laguna, continuano a spendere i nostri soldi per tentar di coprire il delitto. (e.s.) Con riferimenti
Un nuovo faro. Passeggiate e aree verdi, ormeggi. Un muro «paraonde» costruito con i massi della diga demolita. Alcuni degli interventi di compensazione paesaggistica previsti per il progetto Mose nell'area della bocca di porto di Chioggia. Un lavoro affidato a Iuav nel lontano 2004 - ma limitato agli aspetti architettonici - adesso ripreso. E per la prima volta presentato ieri nella sala convegni di Thetis nell'ambito del «confronto pubblico» previsto dalla nuova legge sugli appalti. Un confronto che prima non c'era mai stato. E che adesso comincia un nuovo percorso, almeno sulle opere di compensazione.

Seduti intorno allo stesso tavolo il commissario straordinario del Consorzio Giuseppe Fiengo, il provveditore Roberto Linetti e i suoi funzionari, la rappresentante della Soprintendenza Chiara Ferro. E il rettore dell'Iuav Alberto Ferlenga, all'epoca progettista degli interventi «compensativi». Per la spalla Nord della bocca di Chioggia viene illustrata la proposta dell'architetto Aldo Aymonino. I blocchi in cemento sono in qualche modo ricoperti da verde e pietrame, con varchi di ingresso per i pedoni e le bici. Il nuovo faro e la piattaforma che va «sistemata» dal punto di vista paesaggistico, gli ormeggi. Inizi di dialogo, apprezzati da una parte consistente del mondo ambientalista, a cominciare da Venezia Cambia e Stefano Boato. Resta sullo sfondo il grande «Convitato di pietra».
Il Mose, contestato da anni, adesso giunto a buon punto nella sua realizzazione ma con l'emergere di sempre più gravi criticità e problemi tecnici. «Chiediamo un confronto con esperti indipendenti su tutte le cose che non funzionano», dicono i comitati. Fiengo e Linetti, insieme dopo una stagione di polemiche a distanza, aprono al confronto. «Intanto parliamo di questi interventi», dicono. In prima fila c'è anche il sindaco di Chioggia, il Cinquestelle Alessandro Ferro. Da sempre critico sul Mose, unico ad aver votato contro in Comitatone alla proposta di spostare le grandi navi a Marghera. Ferro espone le richieste della sua amministrazione e conclude: «A questo punto speriamo che il Mose funzioni. Allora diventerà il nostro orgoglio».
Si parla anche degli interventi in corso per l'inserimento architettonico e le compensazioni della grande opera, imposte dall'Unione Europea. Nella bocca di Chioggia il recupero del Forte San Felice, e il trapianto di fanerogame per «mitigare» gli effetti degli scavi e dell'asporto di milioni di metri cubi di fanghi, sostituiti dal cemento. Ultimato l'ampliamento delle aree Sic sulla spiaggia di Ca' Roman e la riqualificazione del bacino del fiume Lusenzo. Restano gli interventi critici per la «riqualificazione dei cantieri» nell'area di Ca' Roman. Opere che dovrebbero in qualche modo «compensare» l'ambiente degli sfregi già fatti con i cantieri e i lavori della grande opera.
Un cammino partito tardi, perché negli anni del monopolio del Consorzio i dibattiti non erano molto aperti su questi temi. La novità di ieri è dunque l'avvio del confronto, avviato per la prima volta tra i vertici del Mose, i progettisti e i cittadini. «Una serie di incontri che andranno avanti», assicura il commissario Fiengo. Intanto i lavori del Mose battono il passo. Per completarli sono necessari non soltanto soldi. Ma anche certezze politiche che per il momento non arrivano. Prossimo step, la conclusione della posa delle paratoie a Chioggia e San Nicolò. Quest'ultima prevista per la fine
dell'anno

Riferimenti

Si vedano in proposito i numerosi articoli su eddyburg digitando sul "cerca" la parola Mose, e soprattutto si leggano gli articoli La mostra della vergogna e l'Eddytoriale n. 174, interamente dedicati alla denuncia del patto criminale di cui il Mose è uno dei prodotti (e.s.)

la Nuova Venezia, 26 maggio 2018. La città devastata dal turismo sregolato di massa, legittimo erede della peste del 1630, con ampio commento (e.s.)

Chi riuscisse a vedere Venezia dall'alto e da lontano vedrebbe i governanti, e gli stessi cittadini che li eleggono, affetti da una straordinaria forma di schizofrenia. Da una parte, i sacrosanti lamenti perché i prezzi della vita quotidiana sono più alti che altrove, non si trova un alloggio in affitto a un prezzo decente, nelle botteghe e nei negozi la chincaglieria "made in Cina" caccia i prodotti dell'artigianato e dell'agricoltura locali, gli ingombranti mezzi di trasporto carichi di turisti che scorrazzano nella Laguna e nei canali interni, provocando la lebbra del "moto ondoso" che, dopo aver esiliato agli estremi margini della Laguna la ricca vegetazione autoctona, erodono oggi le fondamenta e i muri minacciandone, e a volte provocandone, il crollo.
Ma dall'altra parte si adoperano attivamente (gli uomini del governo e quelli della governance) , oppure supinamente sopportano, che la città e la sua Laguna vengono distrutti dalla nuova peste: Quello che,
d'après Luigi Scano, definiamo "turismo sregolato di massa" (si veda in proposito di Luigi Scano Turismo insostenibile)
L'icona che accompagna il titolo rappresenta la maschera a becco che rinvia alla tenuta dei medici che curavano la peste nera del 1630: il becco, da cio si prendeva l'aria per respirare, era imbottito di garze imbevute di disinfettanti. Diventarono una maschera carnevalesca. Molto a Venezia si risolve ancora così, in una carnevalata: c'è chi muore, chi fugge, chi rimane e rischia, e chi - come i medici di allora -si arricchisce. A questo proposito, informiamo il lettore non veneziano che l'area dei Pili, sulla quale si vorrebbe realizzare uno stadio con annessi servizi per la ricettività, è proprietà dell'attuale sindaco.

Seguono due notizie di Mitia Chiarin, riprese da la Nuova Venezia del 26 maggio 2018 sugli ulteriori progetti per l'incremento della peste (e.s.)

«MARCO POLO

IN 12 ANNI DIVENTERÀ UN COLOSSO»
di Mitia Chiarin

«Prima pietra dell'ampliamento del terminal passeggeri extra Schengen
Marchi: «Entro il 2030 ci allargheremo fino a 180 mila metri quadri»

Mestre. Dagli attuali 8 mila metri quadri, frutto dei lavori di ampliamento dello scorso anno, l'aerostazione del Marco Polo avrà entro il 2020 altri 3.500 metri quadri in più ma gli ambiziosi investimenti di Enrico Marchi e della Save non si fermano qui: entro il 2030 la aerostazione dell'aeroporto di Venezia arriverà, con la seconda fase del business plan in discussione con Enac, «a 180 mila metri quadri», dice Save. Un colosso aeroportuale in espansione. E la terza pista resta un possibile obiettivo.

Prima pietra. Prima pietra ieri per il cantiere da 28 milioni di euro dell'ampliamento del terminal passeggeri, dedicato ai voli area extra Schengen. Opere che rientrano nel Masterplan dell'aeroporto 2012-2021. Alla cerimonia hanno presenziato la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati; il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro; l'assessore ai Lavori pubblici del Veneto, Elisa De Berti; il presidente di Enac, Vito Riggio.
Pronta nel 2020. La nuova struttura, che sarà ultimata entro il 2020, costituisce la prima fase dell'ampliamento che per step diversi arriverà fino al 2030. Il prossimo passo è il lotto 2B destinato al traffico extra Schengen, i cui lavori termineranno nel 2027. Un progetto motivato dalla forte crescita di passeggeri extra Schengen, oggi il 32% del totale.
Sessant'anni. Il Marco Polo, spiega Marchi, presidente del gruppo Save, prosegue la sua milionaria campagna di espansione: il 2018 il Marco Polo festeggia 60 anni di vita e dai 6 milioni e 800 mila passeggeri del 2008 si è arrivati a 11 milioni con un incremento del 7% nei primi quattro mesi di quest'anno. «Il nuovo ampliamento del terminal passeggeri», ha detto Marchi, «avviene in assoluta continuità con la fase conclusasi lo scorso giugno con l'inaugurazione della nuova infrastruttura landside». Il 2016 era stato l'anno della grande darsena e del moving walkway; il 2017 l'anno del primo ampliamento.
850 milioni. Il Masterplan, frutto del contratto con Enac, la cui validità è fortemente rivendicata con forza da Riggio, vale 850 milioni, 400 milioni di opere già costruite e quasi 14 milioni di opere di mitigazione concordate con il territorio. 150 i progetti in lavorazione. «Due nuovi voli intercontinentali (Chicago e Seul), nuove rotte europee, l'incremento delle frequenze», continua a spiegare ai giornalisti Marchi, «sono parte della strategia di crescita del Marco Polo». Si punta sui transiti. «Puntiamo anche ad avviare un nuovo programma, il Venice connect, per fare in modo che i passeggeri possano partire da altri aeroporti, come quelli del Sud Italia, e utilizzare il nostro aeroporto come transito, per poi prendere i nostri voli intercontinentali in partenza da Venezia. Oltre al point to point, aumentiamo i transiti», spiega il presidente di Save.
Terza pista. Ed è tutt'altro che archiviata l'ipotesi di terza pista (la seconda utilizzabile per partenze e atterraggi). Il prossimo anno inizieranno, spiega Marchi, i lavori di adeguamento dell'attuale pista dell'aeropoprto. Ma la terza pista resta una previsione, dice. «La nostra concessione scade nel 2041, e nell'attuale business plan non è prevista la terza pista ma è uno dei temi in discussione con il nuovo business plan 2022-2031. Stiamo ragionando con Enac sul fatto che sia o meno necessaria. L'importante è non castrare lo sviluppo e che ci siano le condizioni per farla se sarà necessario realizzarla: se servirà, quindi, la faremo. Se non sarà necessaria avremo preservato un pezzo di territorio. Ma per ora mi concentro sui cento milioni all'anno di investimenti da fare entro il 2030»


«NELLA BRETELLA PER LO SCALO PREVISTA LA FERMATA STADIO»

«La conferma del sindaco Brugnaro. «Stiamo lavorando anche per il Baracca e il tennis. I Pili? Non sono aggiornato»

Mestre. «Queste opere camminano sulle gambe delle persone che lavorano. Questi risultati sono la dimostrazione che con il coraggio, la tecnica, l'ingegno, l'impegno e l'umiltà si possono ottenere grandi traguardi. Sul tema dell'infrastruttura ferroviaria, insieme alla Regione, stiamo facendo un lavoro ottimo. Nella bretella che arriverà all'aeroporto è prevista una fermata dell'Sfmr, la fermata "stadio"». Lo ha ribadito ieri alla cerimonia al Marco Polo il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Che per natura di imprenditore, oggi sindaco, è particolarmente attento alla voce investimenti privati. Come quelli della Save dell'amico Marchi.Fermata "stadio", per la nuova bretella ferroviaria che si staccherà dalla linea Venezia-Trieste per portare, si spera dal 2025, i viaggiatori al Marco Polo, significa portare avanti il progetto del Quadrante di Tessera con la realizzazione, nei terreni d'oro, tra tangenziale e aeroporto, dello stadio tanto agognato dai tifosi del Venezia di Inzaghi e Tacopina.

Anche l'assessore regionale Elisa De Berti conferma l'importanza della realizzazione della bretella ferroviaria per l'aeroporto che è in via di progettazione da parte di Rete Ferroviaria Italiana. E Vito Riggio, numero uno dell'Enac, l'ente di aviazione civile conferma la bontà del contratto di servizio con Save che con gli investimenti sull'aeroporto di Tessera sta davvero facendo competizione a Fiumicino che ha però dato via al progetto della "business city", valore un miliardo e 300 milioni con un altro miliardo. «Venezia», dice Riggio, «si conferma come l'aeroporto più bello, anche se ora deve vedersela con Fiumicino. Ma in fatto di bellezza, Venezia resta il migliore».
E Riggio rivendica l'importanza degli investimenti privati in Italia nel settore aeroportuale. Due miliardi di investimenti a cui se ne aggiungeranno altri 4 di miliardi, spiega il numero uno di Enac, con una finanza interamente privata che si realizza con l'autofinanziamento», dice Riggio invitando la presidente Casellati a «spingere per una vera riforma che sburocratizzi e tolga le lentezze elefantiache alla pubblica amministrazione nel nostro paese».
Vedremo prima il palazzetto ai Pili o lo stadio nel Quadrante di Tessera, chiediamo al primo cittadino, alla fine della cerimonia per l'ampliamento ulteriore del Marco Polo.La risposta di Brugnaro non si fa attendere. «È una bella gara, non lo so. Sui Pili non sono aggiornato ma speriamo che portino davvero a realizzare qualcosa, presto. Sullo stadio stiamo lavorando con tutti. Così come ci siamo messi in moto per il Mestre che ha fatto un campionato straordinario. Secondo me se vanno in B dovrebbero giocare in alternanza al Penzo, con il Venezia. Il Baracca, invece, speriamo di sistemarlo per far giocare al Mestre la C1 qui, invece di dover andare a Portogruaro. Il Baracca, ovviamente, è nel nostro cuore. Così come avrebbe bisogno di sostegno il progetto della sistemazione del Tennis Club di Mestre. Sportivamente parlando possiamo davvero dirci contenti»

la Nuova Venezia, 16 maggio 2018. Venezia è una città abituata ai carnevali e alle maschere. Il Mose è carnevale per i molti che ci mangiano e quaresima per i contribuenti che pagano; all'Arsenale, sono in mostra le maschere

Venezia. Il Mose c'è, adesso bisogna farlo funzionare. E «mitigare» il suo impatto sull'ambiente alle bocche di porto. Opere di compensazione paesaggistica volute dalla legge e dalle norme europee. Mai realizzate o realizzate soltanto in parte, con i progetti per l'inserimento architettonico affidati all'Iuav a partire dal 2005, per un costo di un milione di euro. Da allora è passata un'era geologica. Il Consorzio Venezia Nuova di Mazzacurati non esiste più. È arrivato lo scandalo Mose con gli arresti e la scoperta delle tangenti e degli sprechi. Sono arrivati commissari straordinari nominati dal presidente dell'Anticorruzione Raffaele Cantone. Che provano a cambiare rotta.

Per oggi hanno convocato all'Arsenale insieme al Provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto (ex Magistrato alle Acque) Roberto Linetti una iniziativa pubblica per discutere delle «proposte di inserimento paesaggistico e ambientale delle opere alle bocche di porto». L'hashtag dell'iniziativa si chiama «Megliotardichemai», a significare il grave ritardo con cui la grande opera arriva alla procedura del «Dibattito pubblico» da decenni utilizzata negli altri Paesi europei come la Francia. All'Arsenale saranno presentati i progetti dell' Iuav. «Seguiranno incontri tematici aperti a tutti per ricevere proposte, consigli, commenti», dice il commissario del Consorzio Giuseppe Fiengo.
Il fine è sicuramente nobile, ma la polemica è già scoppiata. «I signori del sistema Mose continuano a prenderci in giro», scrive l'associazione Ambiente Venezia, «va in scena un surreale confronto pubblico sui progetti di mascheramento delle opere. Un progetto che forse non sarà mai terminato e non funzionerà mai. Noi chiediamo da tempo inascoltati un confronto pubblico sul funzionamento del Mose e sulle sue anomalìe. Sui difetti del Mose denunciati dalla Valutazione di Impatto ambientale del 1998, sulle criticità denunciate dalla società Principia, chiamata dal Comune nel 2009, che non hanno mai avuto risposta».«Invece di mascherare l'opera inutile e dannosa», continuano, «si potrebbe erigere nelle tre bocche di porto una lapide con i nomi di tutti politici, tecnici e imprenditori che hanno approvato il massimo esempio di malaffare e corruzione, che ha sperperato o fondi della Legge Speciale».
In base a una convenzione firmata fra Iuav e il Consorzio di Mazzacurati, nel 2004, erano stati approvati e finanziati con i soldi dello Stato progetti e incarichi per gli architetti Carlo Magnani - ex rettore - Alberto Ferlenga, attuale rettore, Aldo Aymonino e Alberto Cecchetto. Nulla è stato fino a oggi realizzato, ma le parcelle sono state pagate. La più consistente, quella del giugno del 2012 per la progettazione definitiva dell'inserimento architettonico delle strutture del Mose. 610 mila euro. Il primo progetto per «l'inserimento architettonico delle opere mobili» porta la data del settembre 2004. La cifra pagata è di 350 mila euro più Iva. Pochi mesi dopo il progetto per «l'inserimento nel territorio del litorale dei cantieri». I colossi in calcestruzzo sulla spiaggia contestati dagli ambientalisti. 300 mila euro più Iva. Nel marzo 2006, 30 mila euro per la «direzione artistica» dei cantieri di Treporti-San Nicolò e Chioggia. Nel novembre del 2007, nuova convenzione Consorzio-Iuav per l'inserimento paesaggistico della spalla Sud di Chioggia, l'esame di inserimento del Lido, la «rielaborazione» di Malamocco. 240 mila euro più Iva. Nel 2012 i 510 mila euro per la progettazione definitiva, infine nel marzo 2014, a soli tre mesi dagli arresti per lo scandalo Mose, altro 313 mila per i progetti esecutivi, redatti insieme alla società Thetis.

Vedi su Eddyburg MOSE in maschera

la Nuova Venezia. Sull'azione mediatica dei "tornelli" a Venezia le opinioni di Philippe Daverio e Jan Van Der Borg, e l'intervista di Enrico Tantucci a Luigi Brugnaro, attuale sindaco della disgraziata città. (m.p.r.)

LA CITTA' UN TURISTODROMO
di Philippe Daverio

Il sindaco ha deciso definitivamente di assassinare la Serenissima Repubblica. Brugnaro inventi non un tornello per entrare, ma un progetto per il futuro della città. La domanda è etica: Lo stato provvede alla cultura della propria società o no? Non provvede ai maccheroni o alle feste. La cultura fa parte dell'istruzione o dei maccheroni? Per il sindaco di Venezia la cultura fa parte dei maccheroni. Ha deciso che la città non avrà più un'importanza politica, Venezia è un turistodromo, un luna park per cretini, è una scelta fatta dal sindaco».

È il durissimo attacco mosso al primo cittadino di Venezia per la decisione di istituire i varchi di ingresso - che qualcuno chiama tornelli - alla città, in occasione del Ponte del Primo Maggio, dal critico d'arte Philippe Daverio. Un attacco arrivato in diretta Rai, nel corso del programma "Unomattina" del primo maggio, che ha trattato anche la questione del controllo degli ingressi a Venezia.

«Hai mai provato a comprare un caffè in piazza San Marco?» il critico d'arte incalza il conduttore del programma Franco Di Mare, che gli chiedeva i motivi della sua ostilità all'iniziativa del sindaco «è già così alto che il biglietto d'ingresso alla città è già compreso. Venezia è ormai una trappola per turisti. Il sindaco cosa deve fare? Esagerare la trappola per turisti o trasformare di nuovo Venezia in una città?

Forse è più importante che Venezia torni a essere di nuovo una città».E a criticare l'iniziativa del sindaco sono ora anche Bruno Pigozzo e Francesca Zottis, consiglieri regionali del Pd, in dissonanza con la loro capogruppo a Palazzo Ferro Fini Alessandra Moretti, che si è detta invece favorevole al provvedimento. «I tornelli sono una soluzione "pittoresca", una trovata - commentano in una nota - che crea molto clamore senza però incidere nella sostanza.

Crediamo invece che sia arrivato il momento di utilizzare il monitoraggio dei flussi turistici con puntualità, lavorando insieme alle strutture ricettive della città, agli operatori del settore, agli amministratori e alle 'rappresentanze dei cittadini' per creare un regolamento che vada nella direzione di una gestione dei flussi. Governare i flussi vuol dire gestirli a monte attraverso una piattaforma informatica che colleghi sistema ricettivo, servizi e accessi alla città. O pensiamo davvero che una comitiva proveniente da una parte del mondo possa arrivare a piazzale Roma trovare i tornelli chiusi e tornare indietro? I flussi vanno governati prima che le persone arrivino a Venezia».

«RISPOSTA SBAGLIATA A UN PROBLEMA VERO»
di Van Der Borg

A circa tre anni dall'arrivo del sindaco Luigi Brugnaro e a circa due anni dalla firma del patto per Venezia, che stanziava per la gestione dei flussi di visitatori svariati milioni di euro, gli alibi per non aver ancora affrontato la questione del turismo veneziano insostenibile stavano svanendo uno ad uno. A Brugnaro serviva oggettivamente un intervento molto forte per cercare di zittire sia gli scettici perenni che i suoi elettori stanchi delle sue infinite promesse non mantenute. Sono arrivati puntualmente i contestatissimi varchi in alcuni punti nevralgici della città.

Personalmente, sono il primo a sostenere che siano necessari interventi forti per salvare la città lagunare dalla monocultura turistica. Infatti, serve urgentemente una politica turistica dirompente che ridimensioni drasticamente le rendite di posizione dell'industria turistica allargata e che dia dignità alla venezianità. I varchi che sono stati installati questo weekend, tuttavia, sono la risposta più demenziale che si potesse trovare per ridare fiato alla residenzialità e alle attività economiche non turistiche. Innanzi tutto, il presupposto dei varchi è sbagliato. Il problema turistico di Venezia non è affatto un problema di sicurezza, come vuole farci credere il capetto dei vigili, ma un problema socio-economico.
Insomma, interventi che mirano a risolvere un inesistente problema di sicurezza non risolveranno mai i problemi socio-economici che affliggono Venezia e quindi non riporteranno mai il turismo alla sostenibilità, ma rischiano solo di infastidire tutti gli utenti del centro storico, pendolari e abitanti in primis.In secondo luogo, e questo si sta dicendo ormai da decenni, qualunque intervento che abbia come punto di partenza i punti d'ingresso, in particolare Piazzale Roma e la Stazione, o peggio ancora Piazza San Marco, è destinato a fallire miseramente. I turisti e ancora di più i visitatori "mordi e fuggi" vanno fermati molto prima con l'aiuto di un sistema di terminal in terraferma che intercetti tutti i flussi di visitatori, inclusi i turisti che arrivano in treno. In questi terminal verrebbero informati e smistati, evitando così un accumularsi di abitanti, pendolari e visitatori in alcuni luoghi e momenti precisi, con tutto ciò che ne consegue. Inoltre, va finalmente messo a punto quel famoso sistema di prenotazione della visita a Venezia, che, abbinato ad una city card, renderà una visita a Venezia per chi prenota economica e facile, e cara e difficile per chi continuerà ad improvvisare.
Gestire i flussi evidentemente non basta. Bisogna anche aiutare Venezia a ripopolarsi e a tornare un'importante localizzazione di attività economiche competitive e produttive, contrastando naturalmente l'esodo di residenti e di imprese che non riescono più a resistere alla pressione turistica sullo spazio pubblico. E siccome siamo ormai arrivati ai tempi supplementari, vanno evitate azioni simboliche e ridicole come l'accensione di qualche altro faro, ma occorre dare una serie di incentivi concreti a persone e imprenditori che credono ancora che Venezia abbia un futuro anche al di fuori del turismo. Credo fermamente che questo sia anche nell'interesse della parte più "nobile" dell'industria turistica stessa. In un disegno come questo non c'è spazio per i controproducenti varchi di Brugnaro.

L'ASSALTO DEL TURSIMO » IL BILANCIO DEL SINDACO
intervista di Enrico Tantucci a Luigi Brugnaro

«Siamo soddisfatti, e andremo avanti. Stileremo un calendario di giornate da bollino nero per i flussi turistici - che non saranno comunque molte - e in cui ripristineremo i varchi. Bisognava pur cominciare a fare qualcosa per affrontare il problema e le critiche da parte di qualcuno erano messe nel conto. Ma Venezia è e resterà comunque una città aperta a tutti, quello che vogliamo è solo "spalmare" diversamente i flussi per evitare gli intasamenti e allargarli all'intera area della città metropolitana».
Se l'introduzione per la prima volta dei varchi all'ingresso della città - ai piedi del ponte di Calatrava per chi arriva da Piazzale Roma e all'imbocco di Lista di Spagna per chi sbarca alla Stazione ferroviaria di Santa Lucia - ha «spaccato» l'opinione pubblica in favorevoli e contrari, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro - che ha tracciato ieri un primo bilancio della sperimentazione - ha sicuramente ottenuto un primo risultato. Del problema dell'accesso a Venezia, delle possibili difficoltà per chi arrivi nei giorni più "caldi" si è cominciato a parlare anche sui giornali stranieri - con l'introduzione dei varchi: un modo «plastico» per diffondere comunque l'idea di fragilità e di possibile collasso della città.
Sindaco, come pensa di andare avanti?
«Ricollocheremo i varchi, che non è stato tra l'altro neppure necessario chiudere, solo quando riterremo ci siano le condizioni per il sovraffollamento della città: anche perché li affittiamo di volta in volta. Studieremo anche come renderli meno impattanti dal punto di vista visivo, ma li manterremo».
Pensate di estenderli anche a Piazza San Marco, in caso di necessità?
«No, per Piazza San Marco stiamo piuttosto pensando ad altre misure, ad esempio per le lunghe e disordinate code di turisti che si formano per l'ingresso in Basilica, che pensiamo di delimitare e intercludere, anche qui smistando se possibile i vari flussi di entrata».
Dell'introduzione dei varchi a Venezia stanno parlando tutti. Giornali stranieri, come il Financial Time, hanno addirittura invitati i lettori ad andare a Treviso, anziché a Venezia, viste le difficoltà.
«Tutto sommato, la cosa non mi dispiace, visto che l'idea è esattamente questa. Vogliamo cercare di distribuire i flussi turistici su tutta la città metropolitana e oltre, senza concentrarli solo su Venezia».
Cosa risponde a chi la accusa poi di muoversi in direzione opposta con le nuove aperture alberghiere previste a Mestre che "scaricheranno" altri turisti giornalieri su Venezia?
«Che invece per me non è così. Vogliamo aiutare l'economia di Mestre e di Marghera in aree che erano desolate e dismesse e che diventeranno sedi di alberghi ma anche di ostelli per i giovani, considerando il potenziamento delle università veneziane in corso in terraferma. Ma se i turisti pernotteranno a Mestre, sarà per loro più facile anche spostarsi verso l'entroterra e le spiagge di Jesolo, senza venire necessariamente tutti e sempre a Venezia».
Si aspettava questa «copertura» mediatica dell'iniziativa?
«In parte, e questo è un aspetto fondamentale, perché dobbiamo raggiungere e informare i turisti prima che arrivino a Venezia e del fatto che dell'introduzione dei varchi si discuta sui giornali di tutto il mondo è un modo per favorire la conoscenza del problema dell'affollamento della città. Che comunque, ripeto, vogliamo mantenere aperta per tutti. Abbiamo studiato questa iniziativa tenendo ben presenti le leggi vigenti».
L'ha stupita che anche il sottosegretario ai Beni Culturali Ilaria Borletti Buitoni, spesso critica sul modo con cui il Comune affronta il problema turismo, stavolta sia stata d'accordo?
«No, perché stiamo cercando di adottare misure di buon sensi che vanno anche in direzione di quanto ci ha già chiesto l'Unesco. Confrontiamoci sui problemi, non sugli schieramenti ideologici».
Il Pd però ha giudicato negativamente l'adozione dei varchi d'ingresso.
«Io non voglio polemizzare sulla situazione precedente e su ciò che è stato o non è stato fatto sul turismo da chi mi ha preceduto, ma solo alcuni esponenti del Pd sono contrari. So che il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini è d'accordo e anche il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Alessandra Moretti si è detta favorevole. Stiamo cercando di agire per affrontare i problemi, anche se non tutti possono essere d'accordo».
Non lo è, ad esempio, il critico d'arte Philippe Daverio, che ha detto che lei vuole trasformare Venezia in un turistodromo» e in un «luna park per cretini».
«Ho visto che se la prendeva con i consulenti del Comune per i varchi. Chissà, forse il consulente del Comune voleva farlo lui».

FB Poveglia per tutti, FB Antico Teatro di Anatomia, 4 maggio 2018. Di conflitti i nostri territori sono pieni. Odiosi quelli che hanno come controparte la pubblica amministrazione, che dovrebbe amministrare i beni comuni nell'interesse di tutti. 2 casi a Venezia (m.p.r.)

Poveglia per tutti

«Da domani anche San Secondo, grazie al ruolo nefasto del Bando Fari dell'agenzia del Demanio, diventerà parte del turistificio lagunare. Invitiamo tutti a condividere la loro indignazione in questa pagina, nelle pagine associative, nei siti del Demanio e nei social network con hashtag #demanio, oppure presso l'indirizzo mail del demanio - dre.Veneto@agenziademanio.it. Vi aspettiamo in associazione per evitare questo destino non solo a Poveglia e alle altre isole della laguna, ma a tutto il territorio».

Come nei peggiori incubi d'ogni thriller che si rispetti, i segnali anticipatori che vengono dallo Stato liquidatore si confermano immancabilmente nello svolgersi della trama di questa sceneggiatura, e in ogni azione di chi mette meccanicamente all'asta pezzi sempre più vasti delle nostre città. Il Demanio dello Stato, rinunciando ad ogni ruolo di direzione dello sviluppo economico, rinunciando a farsi calmiere delle bolle speculative del mercato, si mette ancora una volta completamente al servizio dell'unica economia che rovinosamente trionfa, l'economia della monocultura turistica, ovvero quella che sta trasformando la nostra città nel "turistodromo" o "luna-park per cretini" come l'ha impietosamente chiamato Philippe Daverio.

Oggi ci viene riconfermato che, come da due anni denuncia l'associazione, il Bando Fari del Demanio dello Stato è uno strumento, o meglio una cortina fumogena, per trasformare in albergo ogni luogo scientemente trascurato dall'amministrazione. Lo stesso Demanio che ignora le sentenze dei tribunali (il Tar nel nostro caso), che trascura progetti virtuosi o meno impattanti, oggi preferisce chiudere un occhio su canoni che verranno pagati a regime solo tra trent'anni da questi novelli albergatori, ignora cioè ogni ragionevolezza amministrativa che risponda ai bisogni reali di questa città in disgregazione, al solo fine di ossequiare l'ideologia totalizzante della turistificazione, della mercificazione totale del nostro suolo.

Ignorando ogni ragionevole alternativa, il Demanio favorisce nei fatti, ovunque, una subdola privatizzazione. Chi si ricorderà tra cinquant’anni che quegli edifici, terre e luoghi sono state opportunità sottratte a ben due generazioni, che appartenevano alla collettività?

Ebbene si, lo ricordiamo ancora, anche in questa occasione: dedicare l'intero paese ad un'unica attività economica, oltre ad essere palesemente miope e fragilizzante, deperirà le ricchezze plurime delle nostre città, impoverirà il tessuto culturale e relazionale, inaridirà le conoscenze ritenute non funzionali, e alla fine collasserà economicamente. Ogni monocultura erode infatti come un tarlo il terreno sul quale gravita deperendolo nella sua biodiversità, e a fronte di una apparente agiatezza superficiale, di breve periodo, questo tipo di processi produce immancabilmente -e presto- un conto da saldare. Lo strumento del Bando Fari, in 22 casi su 24, e da oggi con San Secondo, tristemente, in 23 casi su 25, si è rivelato solo un rullo compressore sulle economie non turistico-ricettive. Dobbiamo organizzarci ed agire insieme per impedire che sia ancora così.

La Vida

A due mesi dalla chiusura dell'Antico Teatro Anatomico, le attività, gli incontri e le relazioni sono rifiorite in campo, in quella che chiamiamo la Vida [Accanto]. Un gazebo che raccoglie i materiali un tempo all'interno dello spazio e che rappresenta una forma di presidio per ribadire che l'immobile non può diventare un ristorante. Non solo perchè non è necessaria l'ennesima attività commerciale in campo, ma perchè il Piano Regolatore parla chiaro: l'immobile é classificato di tipologia SU (Unità edilizia speciale preottocentesca a struttura unitaria).

A Venezia solo pochi edifici sono classificati SU: le chiese, le scuole grandi e piccole, come ad esempio la Scuola di San Rocco o quella dei Calegheri, la “casa del boia” di Santa Margherita: insomma, edifici con caratteristiche specifiche e funzioni pubbliche. Per questa tipologia, gli usi compatibili sono: Musei; sedi espositive; biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose. Proprio l'uso che ne era stato fatto nel periodo di riapertura..
Una classificazione di questo tipo non prevede che l’edificio venga utilizzato né come ristorante, né con altra destinazione commerciale.
Se, per trasformare il Teatro Anatomico in un ristorante, si volesse al limite procedere ad una variante al Piano Regolatore, con tutto l’iter che questo implica e comporta, questa dovrebbe riguardare l’intera tipologia di tipo SU. La classificazione catastale (di tipo commerciale) che spesso viene evocata non ha alcun valore legittimante, nel caso, rappresenta una irregolarità rispetto alla destinazione d’uso riconosciuta dal Piano Regolatore e che semmai la Regione avrebbe dovuto allineare. Non viceversa. A tal proposito è stata inviata in data 4-04-18 un istanza che sottolinea questo aspetto e che invita gli uffici comunali competenti a considerare la comunità parte attiva del procedimento.
Se la fase di riapertura dello spazio è finita, si apre ora una fase di lavoro sul piano giuridico e urbanistico, parallelamente continua quella iniziata con il Convegno del 14 e 15 aprile 2018 sull'uso civico dei beni promosso assieme all'associazione Poveglia. Una tappa importante per un confronto nazionale sui beni comuni.
Continuiamo quindi a ribadire che la Vida deve restare pubblica e che dove essere affidata ad una gestione collettiva. Assieme e uniti siamo una forza, una comunità che rivendica il diritto a vivere in città non da ospiti indesiderati ma da abitanti attenti e attivi per il bene collettivo e delle generazioni future. Per sostenere, supportare questo percorso...è possibile prendere parte ai lavori dei tavoli tematici (urbanistica, arte&cultura, usi civici, comunicazione), proporre e organizzare attivitá tenere aperto il presidio, promuovere le iniziative della Vida, partecipare!
L'articolo su La Vida è tratto dalla pagina qui raggiungibile
L'articolo originale de La Vida è qui raggiungibile

Riferimenti
Le due vicende sono state ampiamente documentate su eddyburg. Gli articoli sono facilmente raggiungibili utilizzando il "cerca"

la Repubblica, 30 aprile 2018. La decisione preliminare è se Venezia debba soccombere alla peste della turistificazione, e quindi diventare compiutamente un "parco a tema", oppure essere un modello del rapporto tra società e ambiente

Sui tornelli di Venezia hanno ragione i no-global del centro sociale Morion. Hanno ragione quando dicono che non c’è bisogno di cancelli, ma di case. La morte della città, infatti, non si ferma con misure estemporanee dal sapore poliziesco e propagandistico, ma solo tornando a governarla, tornando a dire e a pensare la cosa più ovvia, e insieme più negata e più rivoluzionaria: Venezia è una città. Non una location, non un grande resort o una colossale seconda casa per ricchi, non lo sfondo per le micidiali Grandi Navi. Non tutto questo, ma una città.

Il problema di Venezia non si risolve se si parte dai numeri in entrata (i turisti): bisogna cambiare quelli in uscita ( i residenti). Al tempo di Tiziano la città, delle stesse dimensioni di quella di oggi, aveva quasi 170.000 abitanti: oggi non si arriva a 50.000. Questo è il problema. E la soluzione è invertire la rotta delle politiche che hanno causato questo esodo di massa. Tornare a governare i prezzi del mercato immobiliare, il proliferare di strutture ricettive, reimpiantare i servizi necessari a chi ci vive ogni giorno, fare manutenzione della città. Bisogna far «convivere insieme il monumento artistico e la bottega artigiana, il palazzo del ricco e le case di chi in quei quartieri è nato e vive, la festa popolare e la festa d’arte con i suoi ospiti e i turisti che le fanno corona. Si tratta d’una politica attenta, dimensionata sui contesti specifici, differenziata luogo per luogo, quartiere per quartiere; accettabile e comprensibile in primo luogo dalle singole comunità, da coloro infine che sono i soli depositari dell’identità storica e umana dei luoghi». Sono parole di Eugenio Scalfari, scritte su questo giornale in un illuminato articolo del 1989 che denunciava, all’indomani del distruttivo concerto dei Pink Floyd, «l’uso scellerato che una classe politica inetta e incolta fa di Venezia in particolare e delle città d’arte italiane in generale». Parole tutte vere ancora oggi: anzi, oggi rese più gravi e urgenti da altri trent’anni di errori gravi. L’articolo si intitolava “I vandali in Comune”: e bisogna riconoscere che la distruzione di Venezia come città è una grave responsabilità delle amministrazioni degli ultimi decenni.
Oggi siamo arrivati al bivio finale: o si lasciano perdere gli imbarazzanti diversivi dei tornelli e dei numeri chiusi, e si ricomincia a governare Venezia con in mente un progetto di città, o non ci sarà nulla da fare.
In St. Mark’s Rest, l’ultimo suo grande tributo a Venezia (1877-84), John Ruskin si lascia andare a un fulminante gioco di parole: la decadenza della città era iniziata quando le autorità veneziane avevano iniziato a credere al «regno di San Petrolio invece che a quello di San Pietro » . Ruskin vedeva che la religione del mercato soppiantava la religione civile del bene comune. E non poteva scegliere parola più profetica: il petrolio. Quello delle Grandi Navi, ma soprattutto quello metaforico della rendita del patrimonio culturale, che distrugge anche Firenze e tante altre “città d’arte” che non sono più governate, e vivono alla giornata dei frutti di un turismo che le svuota e le consuma. Città ridotte a una somma di interessi privati il cui risultato è lontanissimo dal bene pubblico.
Piero Bevilacqua ha scritto che «la storia di Venezia è la storia di un successo nel governo dell’ambiente che ha le sue fondamenta in un agire statale severo e lungimirante, nello sforzo severo e secolare di assoggettamento degli interessi privati e individuali al bene pubblico delle acque e della città». La lezione è chiara: non serve la polizia all’ingresso del luna park, bisogna ritrasformare quel luna park in una città.

Tratto dalla pagina qui raggiungibile.

la Stampa, 30 aprile 2018. Ragazzi veneziani contro lo sfruttamento turistico del territorio. Sradicano il recinto nel quali gli sfruttatori vogliono rinchiudere la città ex Serenissima, e trasformarla in un "parco a tema". Chissà se domani, 1° maggio, i sindacati scenderanno in campo al loro fianco.

«Il blitz di una trentina di giovani ai piedi del Ponte di Calatrava, a Piazzale Roma: "La città non è un parco giochi"»

Al grido di «Venezia libera» hanno messo le mani sui tornelli, sradicandoli dai masegni su cui venerdì pomeriggio sono stati piazzati, in uno dei principali ponti d’accesso alla città: il controverso ponte della Costituzione disegnato da Santiago Calatrava. A difendere le barriere mobili provando a trattenerle al loro posto, con un vero e proprio scontro sul piano fisico, sono stati gli agenti della polizia municipale. Sul posto era presente anche il comandante Marco Agostini che ha garantito che la struttura sarà ripristinata quanto prima. Cento cinquanta gli agenti schierati nel fine settimana a presidio dei varchi. Una trentina invece gli attivisti, aderenti al Laboratorio occupato Morion, al Centro Sociale Rivolta, al Sale Docks e al Collettivo Lisc, che hanno messo in atto la manifestazione.

«Questi check point sono la dimostrazione della volontà di questa amministrazione di trasformare definitivamente Venezia in un parco a tema. Sono il simbolo della decisione di pensare alla nostra città come a uno spazio inabitato, solamente a uso turistico, da sfruttare e mettere a valore» è il messaggio scandito dal megafono e rilanciato in rete gli attivisti.

Ieri, sabato 28 aprile, il primo giorno in cui l’ordinanza avrebbe permesso alla polizia locale di far scattare la chiusura e le conseguenti deviazioni su percorsi alternativi la temuta serrata non c’è stata. Il dispositivo rimane però in vigore fino al prossimo martedì, insomma, per l’intero lungo ponte in cui a Venezia è previsto il tutto esaurito non è escluso che scattino le deviazioni. Per scongiurare il pericolo ressa e «tutelare l’incolumità pubblica» il sindaco Luigi Brugnaro ha firmato il 24 aprile l’ordinanza che per la prima volta mira a contenere la calca e indirizzare i turisti su percorsi alternativi con sistemi meccanici. Come previsto questa mattina c’è stato l’assalto dei turisti. Già dalle prime ore è scattato il “tutto esaurito” nei parcheggi privati di Piazzale Roma imponendo la deviazione obbligatoria verso il Tronchetto delle auto provenienti da Mestre.

Due i varchi presidiati dai tornelli: il ponte di Calatrava a Piazzale Roma e quello degli Scalzi ai piedi della Ferrovia. Nel caso di chiusura costringerebbero i turisti ad effettuare un giro più ampio per raggiungere il cuore della città. Via libera invece per i residenti a cui l’accesso è sempre consentito. «Questi tornelli non c’entrano nulla con il controllo dei flussi - hanno ribadito i manifestanti - se questa giunta volesse contenere il turismo di massa avrebbe dovuto iniziare una vera politica per la città e per la residenza».

che Fare, 12 aprile 2018. «Una partita che si muove su più campi: quello degli spazi cittadini, della turistificazione, della vendita del patrimonio pubblico, degli standard urbanistici». (m.p.r.) con riferimenti

Venezia, campo San Giacomo da l’Orio. Dove, a detta di molti, ci giocano ancora i bambini. A garanzia di qualità della vita, di insediamento abitato, di quartiere (inteso come porzione del più ampio sestiere di Santa Croce) autentico. Lo sottolinea anche il noto portale Airbnb che definisce campo San Giacomo, “sicuramente una delle piazze più vive e vere della città”. I bambini qui ci giocano davvero perché escono da alcune delle numerose sedi delle scuole (primarie o di primo grado) che insistono nelle calle (vie) adiacenti. E per le sue dimensioni e la sua forma: una sorta di U allargata che abbraccia il perimetro dell’omonima chiesa. Così i più grandi giocano verso il lato sud e i più piccoli giocano verso il lat nord dove è meno rischioso che il pallone finisca in acqua o sui balconi delle case.

In una città iper turistificata il “campo dove giocano i bambini” diventa metafora di molte cose: di luogo di resistenza, di controtendenza, quasi di unicità. Un pezzo della città in cui gli abitanti sembrano semplicemente esserci: a fronte di una Venezia schiacciata dal peso delle migliaia di visitatori che ogni giorno si riversano al suo interno (per aria, per terra e per mare), che ne influenzano inevitabilmente l’aspetto e l’economia, trasformandola in un enorme museo a cielo aperto corredata di bar e ristoranti, terrazze nei campi e nelle fondamenta, alberghi nei palazzi storici o nelle stesse abitazioni.

Un destino che accomuna i centri storici di molte città e che qui si amplifica perché siamo in un’isola. In alcuni fine settimana l’accesso per via terra alla città lagunare risulta impossibile a causa dell’eccessivo numero di persone che via automobile o mezzi pubblici tentano di raggiungere questo luogo “unico al mondo” restando bloccati sul Ponte della Libertà.

Attorno a Campo San Giacomo insistono, oltre alle scuole, una sede universitaria, un ferramenta, una cartoleria, alcuni laboratori di giovani artigiani e ancora dei piccoli alimentari e alcuni bar di quartiere. Non è un caso che proprio qui si stia giocando la partita de La Vida.

L’immobile che si affaccia sulla parte orientale del campo ospita al pianterreno l’edificio che in città è conosciuto come La Vida. Il nome lo deve al pergolato di viti che ombreggiava i tavolini di una rinomata trattoria che ha accompagnato pasti e aperitivi fino a circa la metà degli anni ’70. Fino ad allora in campo c’era solo un altro ristorante, ancora oggi aperto, dalla parte opposta, anzi un po’ più in là ancora, dopo Palazzo Pemma, una volta sede dell’Università, oggi albergo, accanto alla abitazione del poeta Mario Stefani, che ha accompagnato con i suoi versi il grido di dolore di questa città.

Sulla targa in pietra sopra alla porta d’entrata dell’edificio - oggi chiusa - si legge chiaramente la sua antica origine: si tratta di un Teatro Stabile per la sezione anatomica, voluto e costruito a metà del Seicento dal Senato della Repubblica, anche grazie a una donazione privata. L’edificio, che si estendeva dal piano terra ai piani superiori (oggi appartamenti), e del tutto simile al più noto Teatro Anatomico di Padova, per oltre un secolo e mezzo ha quindi ospitato il luogo in cui si sezionavano cadaveri a fini di studio. Ma anche: il Collegio dei Medici Fisici e dei Chirurghi, la Scuola per i dottorati in medicina e chirurgia con relativi archivi e biblioteche e per qualche decennio la prima scuola di Ostetricia. Inserito nel contesto urbano, visibile, quindi e riconoscibile a testimoniare il progresso scientifico e la lungimiranza delle istituzioni veneziane.

Ma torniamo alla partita che oggi si sta giocando qui. Una partita che si muove su più campi: quello degli spazi cittadini, della turistificazione, della vendita del patrimonio pubblico, degli standard urbanistici. Da una parte un ente pubblico e un piano di dismissione (in questo caso la Regione Veneto, proprietaria di tutti i locali al pianterreno dagli anni ’80), un imprenditore privato, che quei locali acquista (siamo nel 2017) e che vorrebbe trasformare in un ristorante (l’ennesimo sul campo che dalla metà degli anni ’70 ad oggi qualche trasformazione ha vissuto), dall’altra un gruppo di abitanti che ne contesta vendita e cambio di destinazione d’uso.

Nel 1996 infatti l’amministrazione comunale vincola l’immobile a tipo SU: “Unità edilizia speciale preottocentesca a struttura unitaria, compatibile con attività museali, sedi espositive, biblioteche, archivi, attrezzature associative, teatri, sale di ritrovo e attrezzature religiose”.

La Regione in questi decenni lo sotto-utilizza in questo senso: ne fa un archivio, la sede dell’Organismo Culturale Ricreativo Assistenza Dipendenti regionali e poi lo chiude.

Affacciato com’è sul campo, sono in molti a chiederne l’utilizzo: per farne sede per le associazioni, realizzare una ludoteca per bambini, un museo etnografico. Negli anni ’90 nel mezzo di una manifestazione promossa dall’arcigay viene occupato e ne diventa per qualche anno la sede. Nuovamente chiuso. Ospita per qualche anno le sporadiche iniziative ricreative dell’OCRAD del Veneto e infine viene messo all’asta e venduto.

È il settembre 2017. Il progetto presentato alla Regione da alcune associazioni e le firme dei cittadini raccolte contro la vendita si rivelano inutili. Il giorno della notizia dell’acquisto, gli abitanti entrano nell’immobile e lo riaprono: La Vida diventa per oltre cinque mesi un luogo in cui succedono molte cose. Attività ricreative e momenti di confronto sulle funzioni e il destino dello spazio pubblico, il suo utilizzo le regole e la sostenibilità di quell’utilizzo.

Attorno alla Vida nasce, cresce e si forma una comunità che è fatta di uomini e donne di ogni età, di diversa estrazione sociale e con esperienze e appartenenze politiche e sociali molto diversificate, accomunati, tutti, da obiettivi chiari: lo spazio, amministrato per conto dei cittadini, dalla Regione deve restare pubblico e utilizzato in modo collettivo. In questi mesi si affaccia all’interno delle assemblee l’esigenza di un linguaggio condiviso che definisca chi sono i cittadini, cosa vuole dire “collettivo”, quali sono le regole della partecipazione e della condivisione.

Una riflessione che mette al centro di tutto, il tempo. In una città unica come Venezia, che favorisce le relazioni umane, in cui il tempo è ancora un tempo lento e umanizzato, in cui le distanze sono percorribili e i percorsi a piedi invitano all’incontro, in una città così fortunata si avverte comunque la perdita dello spazio pubblico come spazio collettivo. Il recupero dei laboratori in campo, dei pranzi domenicali in tavolate conviviali in cui “ognuno porta quello che vorrebbe trovare”, la proposta di letture per bambini, del cinema per ragazzi domenicale, delle presentazioni… rappresentano una forma di riappropriazione non solo dello spazio ma anche del tempo collettivo. Il tempo dei cittadini di prendersi cura di un pezzo della loro città: che è fatto di pareti, di proposte e di persone.

Al momento dello sgombero (6 marzo 2018) con un ingente e inspiegabile dispiegamento di forze dell’ordine, la comunità si raccoglie sotto un tendone in campo per riprendersi lo spazio e soprattutto non perdere quanto conquistato e costruito.

La vendita del patrimonio pubblico accomuna tutto il territorio nazionale, diversi soggetti (Demanio, Regioni, Comuni), alcuni provvedimenti legislativi e la medesima ragione: i conti del bilancio. La gestione della città diventa pratica di ragioneria ed esercizio contabile.

L’operazione inizia più di qualche anno fa (già nel 1991 con la privatizzazione degli Enti Pubblici) e subisce una serie di accelerazioni: la più forte, forse, nel 2008 con le “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica” che permettono agli Enti Locali di programmare “piani di alienazione” in cui inserire la lista degli immobili pubblici in vendita e poi allegarli al bilancio.

In questa ottica palazzi, scuole, caserme, terreni, isole vengono alienate (privatizzate) e monetizzate. Se guardiamo la cosa dall’altra parte vediamo che interi pezzi di città e di territorio vengono privati e preclusi ai cittadini. Bilancio ed erosione del patrimonio. Profitto immediato e definitiva perdita dei beni pubblici. Quadratura dei conti e mancata progettualità. In mezzo la città o quel che ne rimane: un’isola trasformata in albergo di lusso ne preclude l’accesso ai cittadini, cambia funzione, impedisce ogni progettualità futura. Un edificio “a caratteristiche ricreative e associative” che diventa ristorante toglie agli abitanti 200 metri quadri di spazio di aggregazione, di condivisione e di “vissuto”. Il futuro plateatico di quel ristorante, divorerà un altro pezzo di suolo.

L’alienazione del patrimonio pubblico di fatto depaupera la città dei suoi spazi e spossessa i suoi abitanti dei luoghi del ambiente di vita e quindi delle prospettive a questo legate.

La riappropriazione di uno spazio cittadino (sia esso un’isola, un terreno agricolo, una caserma, una scuola, un palazzo) assume un’importanza strategica in termini di presa di coscienza collettiva delle esigenze della vita civica per chi quelle città vive e abita. Ma anche in termini di governance: di ruolo attivo dei cittadini nel tessere relazioni, nel prendersi cura degli spazi del vivere comune e su queste operare delle scelte condivise. Ha, cioè a che fare con il concetto stesso di comunità.

A Venezia in questa straordinaria e quasi futuristica dimensione urbana che nel suo policentrismo vede nel “campo”, nella piazza che si moltiplica in ogni quartiere, il cuore pulsante della vita sociale e relazionale cittadina (qui si affacciavano le case, i canali, la chiesa, il cimitero, il mercato, il pozzo per l’acqua), si riparte dallo spazio collettivo, dalla piazza appunto e dai beni pubblici che in quel campo si affacciano.

La riappropriazione del campo dopo lo sgombero è al tempo stesso necessaria e simbolica, materiale e metaforica: se da una parte guarda all’edificio pubblico che non si vuole e non si deve lasciare priv[atizz]are, dall’altra guarda proprio alla dimensione dello spazio urbano e della sua riconquista da parte di chi, nuovi e vecchi abitanti, non accetta di vivere in una città condannata alla monocultura turistica e, per questo, quello spazio pubblico, intende riprendersi e vivere.

Al centro della battaglia per la Vida, che sta assumendo i caratteri di una rivendicazione e dibattito anche emblematici, ci stanno non solo l’idea di stare insieme e di fare delle cose insieme ma anche una lettura attenta delle trasformazioni della città, della pericolosità della sottrazione dello spazio pubblico, della necessità di poter usufruire e saper governare quegli spazi. Di rimettere al centro gli abitanti e recuperare le funzioni che la città ha in quanto tale. Di prendersi cura della città che deve essere il luogo in cui se i bambini ci giocano non è una cosa straordinaria.

riferimenti
Su eddyburg i provvedimenti legislativi che hanno accompagnato lo svuotamento di senso delle politiche urbane nell'articolo di Ilaria Agostini Alienazioni a Firenze. Sulla vicenda della Vida altri articoli sono raggiungibili su eddyburg utilizzando il "cerca"

Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile
la Nuova Venezia, 25 marzo 2018. Dagli atti sembra che non ci sia altro destino. La giustizia formale rende possibile una trasformazione non voluta dalla comunità attuale né dallo strumento urbanistico del 1999. (m.p.r.) con riferimenti

La Vida di campo San Giacomo da l'Orio potrà diventare un ristorante, senza dover passare dal voto (incerto) del Consiglio comunale per il cambio di destinazione d'uso dell'immobile. Lo rivela l'accesso agli atti richiesto dai consiglieri comunali Maurizio Crovato (Lista Brugnaro) e Rocco Fiano (Lista Casson): «La dirigente del Commercio Stefania Battaggia e l'architetto Emanuele Ferronato, responsabile della pratica, ci hanno confermato che la Vida può aprire come ristorante, senza bisogno del nullaosta del Consiglio», commenta Crovato.

L'esperienza spontanea, stimolante e vivacissima che l'ex Vida è stata per cinque mesi - "liberata" da comitati e associazioni di cittadini, che ne hanno fatto un animato centro civico - pare così segnata, anche se dopo lo sgombero dei locali è ancora attivo un presidio, sventola lo striscione «No ste cavarne ea Vida», ci si ritrova per le "colazioni condivise in campo" si annuncia un nuovo calendario di appuntamenti cultural-ricreativi. Non tutto è ancora autorizzato, ma la porta al nuovo ristorante è spalancata. Il 6 marzo l'avvocato Bartolomeo Suppiej, per conto dell'imprenditore Alberto Bastianello - che ha comprato l'immobile dalla Regione per 911 mila euro - ha protocollato allo Sportello unico per l'edilizia l'atto con il quale «ritiene che possano essere autorizzate opere di manutenzione straordinaria volte alla riapertura della storica trattoria alla Vida, compatibilmente con la destinazione d'uso C1 commerciale risultante dall'atto di acquisto».
Ma come è possibile, stante il vincolo contenuto nella scheda 20 della variante urbanistica al piano regolatore per la città antica - che per la Vida prevede come «destinazione d'uso compatibili: musei, sedi espositive, biblioteche, archivi, attrezzature associative, teatri, attrezzature religiose»? La risposta ufficiale è che in un secolo l'ex trattoria non ha mai perso i requisiti igienico-sanitari concessi dal Comune sin dal 1914 per farne un locale pubblico, tanto che quando la Regione Veneto l'acquistò ottenne l'autorizzazione sanitaria a farne sede della mensa aziendale. L'asso giocato dalla nuova proprietà sta nella missiva del gennaio 2005, con la quale il Comune - rispondendo a una richiesta di chiarimenti avanzata dalla Regione, per sapere quali fossero le destinazioni d'uso compatibili per la Vida - citava l'art. 21.2 della norma per la città storica, che per gli immobili preottocenteschi di tipo "Su" prevede sì le destinazioni cultural-artistico-religiose delle quali si sa, specificando (però) che «ove la destinazione d'uso in atto (prima del 31 maggio 1996, ndr) non sia tra quelle consentite o prescritte, nessun intervento, eccedente la manutenzione ordinaria e straordinaria, può essere realizzato se non volto ad attivare una destinazione d'uso consentita».
Proprio quella manutenzione straordinaria che chiede ora la proprietà. E qui sta il punto, perché se è vero che la trattoria a la Vida aveva aperto i battenti nel 1914 - sostiene la nuova proprietà, atti alla mano - una volta passata in mano pubblica, la Regione ha ottenuto nel 1978 e nel 1980 l'autorizzazione sanitaria a "esercizio di tipo A (mensa aziendale) per i soli dipendenti regionali. Sono passati 37 anni, la Vida è stata più volte occupata, poi è diventata un archivio, ma tanto basta all'attuale proprietà per rivendicare come tuttora vigente la secolare destinazione commerciale scritta nell'atto notarile di compravendita dei 200 metri quadrati con affaccio su campo San Giacomo da l'Orio, chiedendone, perciò, la semplice manutenzione per riaprire l'antica trattoria. «La dirigente Battaggia mi ha confermato che le cose stanno così», chiosa Crovato. Intanto, pende ancora il sequestro preventivo deciso dal giudice di pace, per far sgomberare l'immobile dopo l'occupazione. Nuovo ristorante, ma senza pergola. Nel "pianino" del campo non sono previsti tavoli, né sedie, né vigne davanti alla Vida. Se ne riparlerà tra 5 anni: un atto al voto del Consiglio comunale.

L'articolo originale lo trovate qui.

riferimenti
Sulla vicenda del bene pubblico ex Teatro dell'anatomia chiamato Vida si vedano su eddybur Giù le mani dai luoghi pubblici di Vera Mantegoli, A Venezia la Vida torna in strada di Giacomo Maria Salerno.

la Nuova Venezia, 11 marzo 2018. Intervista di Vera Mantengoli a Ugo Mattei. La sentenza del Tar su Poveglia spiana la strada per la riforma dei beni comuni. E sullo sgombero della Vida, la distinzione tra legale e legittimo. (m.p.r.) con riferimenti

La sentenza del Tar su Poveglia farà scuola nell'ambito giuridico e spianerà la strada alla riforma legislativa che la Commissione Rodotà sui beni pubblici auspica da anni. Lo conferma il docente Ugo Mattei, giurista torinese, autore di Beni comuni. Un manifesto, professore di Diritto internazionale a San Francisco e di Diritto civile a Torino. Mattei segue dall'inizio la storia dell'isola e ha letto con soddisfazione le parole del Tar.

Professore, cosa pensa della sentenza?
«È molto positiva. È un segno che il Tar si è messo in sintonia con un'evoluzione culturale molto avanzata che noi giuristi dei beni comuni e della Commissione Rodotà, nominata nel 2007, portiamo avanti da anni. Non c'è stata ancora una riforma, ma in tutta Italia qua e là si stanno facendo piccoli passi che dimostrano che, quando la cittadinanza è attiva e si rivela capace di prendersi cura di un bene, lo può gestire».
Conosceva il caso Poveglia?
«Certo, la laguna nella storia dei beni comuni inizia a essere un luogo molto interessante, a partire dalla sentenza nel 2011 sulle valli da pesca che ha proprio introdotto il concetto di bene comune, parlando di interesse della collettività. A maggior ragione adesso con Poveglia parliamo di un bene prezioso che è all'interno di un altro bene prezioso come la laguna. L'interesse collettivo mi sembra evidente».
Il Demanio dice che la parte edificata crolla e c'è bisogno di un intervento.
«La mancanza dei soldi che spesso viene tirata in ballo dalle istituzioni non può diventare una scusa per arrendersi a politiche di estrazione di valore dei beni comuni».
Che differenza c'è tra bene demaniale e bene comune?
«Il bene demaniale è quando il proprietario è l'apparato dello Stato che lo gestisce in totale libertà, magari vendendolo per usare i soldi a fini pubblici, ma quel bene è come se fosse suo. Si dice invece bene comune quando il bene è assegnato alla cittadinanza e lo Stato apparato, in nome dell'interesse delle generazioni future, non persegue l'interesse proprio. In questo caso lo Stato è servitore del popolo, in particolare quando viene dimostrato l'interesse pubblico e l'impatto sociale. Ecco, la sentenza del Tar su Poveglia pone le basi per questo ragionamento ed è per questo che il Demanio dovrebbe ritirare subito il bando e lasciarlo ai cittadini».
Ci sono altri casi simili in Italia?
«Certo, la battaglia dei cittadini per Poveglia non è solo veneziana, ma è nazionale e per questo è importante. Potrebbe creare un precedente o rafforzare delle situazioni analoghe dove i cittadini si sono dimostrati capaci di gestire e rendere fruibile un bene. Poveglia è in linea con quello che avviene in tanti altri posti in Italia, come la "Fattoria senza padroni" di Mondeggi a Firenze, la "Cavallerizza Irreale" di Torino o l'"Asilo Filangeri" di Napoli».
Quando si parla di bene comune?
«Un bene comune lo diventa una qualsiasi proprietà nel momento in cui si costituisce una comunità attorno che dimostra di essere attiva e si obbliga a renderlo aperto a tutti, senza l'esclusione di nessuno, rendendo quindi difficile qualsiasi alienazione. Mi viene in mente il Teatro Valle, un'occupazione che ha messo in luce una cittadinanza molto attiva. Ed è proprio su quell'onda che al Lido venne occupato il Teatro Marinoni che, con le numerose attività, contribuì a mantenere pubblico il teatro del vecchio Ospedale al Mare, dimostrandone l'interesse collettivo».
A proposito, in questi giorni a Venezia si parla anche del caso La Vida. Lei era intervenuto su Radio Tre, qual è il suo punto di vista?
«Ero intervenuto per spiegare la differenza tra legale e legittimo. Viviamo nel culto del principio di legalità, in particolare le amministrazioni si trincerano dietro a ciò, ma quando si porta avanti un interesse più alto, l'atto di resistenza è legittimo e il diritto piano piano si adatta. Pensiamo a Rosa Parks. Lei, non cedendo il posto in autobus a un bianco, ha compiuto un atto illegale, ma lo ha fatto in nome di un principio superiore, quello dell'uguaglianza, quindi è stata un'azione legittima. Il diritto non è rigido e la sentenza lo dimostra. Dal 15 al 18 marzo a Torino parleremo di beni comuni a "Legacy", in memoria di Rodotà che conosceva il caso Poveglia. Ora i cittadini non devono abbassare la guardia e, a mio parere, l'isola non dovrà mai diventare un albergo».

Riferimenti


In eddyburg abbiamo raccolto una serie di articoli su Poveglia. Qui vi segnaliamo i più rilevanti: l'articolo di Vera Mantengoli sulla sentenza del TAR, che da ragione all'associazione riconoscendo immotivato il diniego del Demanio e l'utilità sociale della proposta dell'associazione; la nota Poveglia per tutti: una ricchezza da non perdere e il dossier realizzato dall'associazione "Poveglia per tutti" sulle vicende dell'isola.

In concomitanza con la Biennale d'architettura, verranno esposti all'Arsenale i progetti commissionati all'IUAV per camuffare il MoSE, per tentare di convincere almeno gli stranieri che il mostro s'ha da fare. Con riferimenti

In occasione della nuova Biennale di Architettura, che sarà inaugurata il prossimo maggio, riemergono i progetti per abbellire il MoSE, e rendere esteticamente più accettabile l’insieme delle pesantissime infrastrutture di cemento, ferro e acciaio che comporranno il Mose, volute, progettate e in costruzione da parte del gruppo di imprese Consorzio Venezia Nuova (CVN).

Ai lavori di abbellimento era stato già dato il nome di “mutandoni”, finalizzati come sono a nascondere le più evidenti vergogne del Mose. La loro confezione era stata affidata all’Università Iuav di Venezia, e alla sua società di progettazione di diritto privato, ISP, per un compenso di circa un milione di euro.

La confezione dei "mutandoni" era stata accantonata a causa delle inchieste giudiziarie sul MoSE, dalle quali sono emersi episodi di corruzione, tangenti, intese private tra controllori e controllati, fondi neri destinati a ungere le ruote dei controlli: uno scandalo che ha coinvolto politici, amministratori, imprese, magistrato alle acque, ministeri, guardia di finanza, e corte dei conti. Ora, il commissario all’attuazione del Mose, Giuseppe Fiengo, che ha sostituito il CVN è pronto a riprendere i "mutandoni", a dar loro una ripassata a e coprire di nuovo le vergogne perchè il pubblico della Biennale non le veda.

I progetti di abbellimento, camuffamento e inserimento paesaggistico saranno esposti nei locali della Thetis Spa (una società di ingegneria ambientale, coinvolta nella realizzazione del Mose) all’Arsenale, proprio laddove si tiene anche la Biennale, ma senza per ciò dover passare attraverso il processo di selezione richiesto agli altri soggetti che vogliano partecipare alla Biennale. La posizione della sede della Thetis (e del CVN), adiacente ai locali della Biennale consente di sfruttare la visibilità mediatica e dar rilievo ai progetti dei "mutandoni".

L’insieme dell’operazione, progettata con una sostanziale intesa tra Consorzio Venezia Nuova e Università Iuav, di Venezia ha l’evidente scopo di richiamare l’attenzione sui "mutandoni" per distrarla dallo scandalo del Mose. Fuor di metafora, per allontanare l’attenzione dalla mostruosa creatura, che sta già vistosamente confermando la sua inutilità, rivelando l’impossibilità tecnica di realizzazione, e preoccupando tutti per la gigantesca quantità del finanziamento necessario per la sua realizzazione, gestione e manutenzione.

Non tutti hanno taciuto. Una lettera aperta di protesta è stata inviata al presidente della Biennale Paolo Baratta, al rettore dello Iuav Alberto Ferlenga e alle curatrici della Biennale. È firmata dalle associazioni Ambiente Venezia, Sale Docks, Laboratorio Morion, Comitato No Grandi Navi, che chiedono di “rimediare” a questa decisione, dando la possibilità di esporre «gli innumerevoli studi e progetti alternativi al Mose, le critiche inascoltate alla grande opera, i materiali dell’epoca su mobilitazioni e proteste».

Baratta replica che gli spazi della Thetis non fanno parte della Biennale, e lo IUAV afferma che la mostra, semplicemente in concomitanza con la Biennale, è un contributo che va al di la del giudizio sul Mose, come se il coinvolgimento e l’operato dello Iuav, in quanto università, non possa essere sindacato.

Indipendentemente dalla qualità estetica dei "mutandoni" e dall’accessibilità che le opere di camuffamento apportano, il MoSE rimane un intervento inutile e dannoso. Oggi, più che mai, con tutto quello che è emerso (per una sintesi vedi qui sotto i riferimenti) perpetuare la strada della realizzazione del Mose, con o senza "mutandoni", significa appoggiare il progetto e avallare, seppur indirettamente, l’operato del Consorzio Venezia Nuova.

Riferimenti

Per leggere le ultime notizie dai giornali qui l'articolo sulla mostra e qui l'articolo sulla protesta di comitati e associazioni. Per una sintesi sul MoSE e il Consorzio Venezia Nuova si legga l'eddytoriale 174. Di seguito i link di alcuni articoli di approfondimento: Edoardo Salzano, Il Mose, storia di un conflitto tra interesse privato e natura, ottobre 2005; Eddytoriale 103, aprile 2007; Armando Danella, MoSE: prima che sia troppo tardi, luglio 2010. Vedi inoltre qui, nella cartella del vecchio eddyburg e qui, nella cartella dell'attuale archivio, tutti gli articoli pubblicati da
eddyburg sul MoSE.

la Nuova Venezia, Poveglia per tutti, 9 marzo 2018. La positiva conclusione di una vicenda che ha visto prevalere un gruppo di cittadini, utilizzatori di un bene pubblico che il demanio statale si proponeva di alienare, con postilla


la Nuova Venezia
IL TAR BOCCIA IL DEMANIO

POVEGLIA, NUOVE SPERANZE
di Vera Mantengoli

«Per i giudici amministrativi il diniego dello Stato è stato immotivato alla richiesta dell'associazione di gestire per sei anni parte dell'isola»

Colpo di scena nell'infinita storia di Poveglia che ieri si è improvvisamente riavvicinata ai cittadini, aprendo uno spiraglio sulla futura gestione dell'isola. Il Tar ha infatti considerato immotivato il no che il Demanio diede a «Poveglia per Tutti» nel 2015 quando, dopo l'asta andata a male del 2014, l'associazione chiese una concessione di sei anni per poter investire i soldi raccolti dalla colletta e sistemare l'isola verde. Una sentenza che ha rimesso in moto l'entusiasmo dell'associazione. Lo scenario attuale è infatti quello di una riapertura delle trattative tra «Poveglia per tutti» e il Demanio che dovrà tenere presente le osservazioni del Tar. Grande la gioia dei quasi cinquemila soci che stavano perdendo le speranze dopo l'ennesimo no dello scorso novembre, il provvedimento di non avvicinarsi a Poveglia per presunti problemi di buche ed eventuali crolli e l'avvicinarsi inesorabile della seconda asta, prevista per giugno.

Il Tar, con la sentenza 273/2018, sostiene che il diniego nasconde una presa di tempo non motivata, che davanti a una proposta concreta le motivazioni date all'epoca, secondo cui c'erano possibili altri investitori, non giustificano un no, ma soprattutto il Tar sottolinea l'importante finalità sociale della proposta dei cittadini. «Oggi il Tar dopo tre anni dalla nostra richiesta temporanea di avere l'isola per sei anni, ci ha dato ragione» ha dichiarato Lorenzo Pesola, presidente dell'associazione Poveglia per tutti. «Già all'epoca avevamo fatto un lavoro dettagliato, frutto della collaborazione di centinaia di persone, a cui il Demanio aveva dato una risposta insensata. Questa sentenza ci ridà un po'di fiducia e ci permetterà di tornare a negoziare al tavolo con uno Stato che speriamo che sia più attento alle istanze di sussidiarietà orizzontale di cui questa nostra associazione si fa così chiaramente portavoce».
E ora, un passo indietro. All'asta senza vincitori del maggio 2014 avevano partecipato l'associazione Poveglia per tutti con 160 mila euro raccolti da oltre 3.000 cittadini e Luigi Brugnaro, a quel tempo imprenditore e non sindaco, con 513 mila euro. Il Demanio aveva considerato l'offerta dell'attuale sindaco troppo bassa, mentre quella di Poveglia per tutti non era nemmeno passata perché di molto inferiore. I cittadini non si erano comunque dati per vinti e avevano proposto al Demanio di utilizzare tutti i soldi ricavati dalla colletta che sfioravano i 400 mila euro. A fine 2014 l'associazione aveva quindi chiesto una concessione, presentando un progetto, ma dopo qualche mese si era sentita dire di no. A quel punto i legali Francesco Mason e Raffaele Volante avevano fatto ricorso. Ieri, dopo tre anni, la sentenza. «Siamo molto soddisfatti, soprattutto delle motivazioni» spiegano gli avvocati.
«Il Tar afferma dei principi importanti perché spiega al Demanio non solo come deve amministrare il bene pubblico, ma anche come si deve rapportare con la società civile, ricordandone l'importanza». Andando più nel dettaglio, per prima cosa il Tar dice che l'atto di diniego del demanio nasconde una presa di tempo e un'inerzia da parte del demanio non giustificata: «Il demanio aveva detto che c'erano altre manifestazioni d'interesse e che doveva parlare con l'amministrazione comunale» spiega Mason. «Il Tar dice che non si può dire di no perché potenzialmente ci sono altri investitori. Poi dice che se il demanio avesse voluto rimetterla all'asta, davanti a una proposta concreta, avrebbe potuto concederla con una clausola. In una parola, se c'è una comunità che ci mette i soldi per preservare il proprio bene non puoi dire di no e lasciare un bene allo sfacelo». Adesso il Demanio dovrà anche pagare all'associazione e le spese legali e riaprire il tavolo. L'intenzione infatti è quella di attendere che il demanio convochi Poveglia per tutti per mettere un punto su quanto è passato e ricominciare di nuovo. Questa volta mettendo in primo piano i cittadini.

Poveglia per tutti
TAR E POVEGLIA

UNA IMPORTANTE SENTENZA

Sono passati ben tre anni dalla nostra prima richiesta di concessione dell'isola di Poveglia, isola che giace abbandonata dal 1968. Più che di una “concessione” si trattava di un vero regalo da parte dei 4378 associati alla comunità tutta; una proposta dettagliata, fin nei minimi particolari. La sentenza del TAR del Veneto di ieri ha confermato che quel misero diniego con cui ci rispose l'Agenzia del Demanio, con cui si tentò un vero “seppellimento burocratico” del lavoro volontario di decine di professionisti, rappresentò "un eccesso di potere" immotivato ed arbitrario.

La nostra associazione allora non si arrese, e continuò con pazienza e coraggio a cercare di mantenere aperto un tavolo negoziale, non volevamo certo che questo pezzo di città divenisse un nuovo albergo ma che fosse fruibile agli abitanti. Tre anni. Tre anni che sono stati segnati purtroppo da un aleatorio quanto immotivato dilazionare, in cui il nostro interlocutore cercava, come il TAR oggi denuncia, di “rallentare per non decidere”, disconoscendo quelle che persino il tribunale oggi definisce “finalità di indubbia rilevanza sociale e collettiva”.

Fu una vera odissea di incontri. Ci siamo recati negli uffici veneti e romani per ben 21 volte, offrendo ogni volta proposte e soluzioni per superare ostacoli via via più pretestuosi. Finchè, ultimo in ordine di tempo, quello decisivo, nell’incontro del 16 novembre 2017, quando l'attuale direttore del Veneto Ing. Di Girolamo si e' unilateralmente ritirato dall'accordo il giorno stesso della firma, accordo su cui si era già espressa positivamente l'Avvocatura dello Stato.

Fortunatamente i nostri volontari hanno avuto la tenacia di chi sente con sé la ragione, il principio di sussidiarietà costituzionale, il calore della comunità. Leggere questa sentenza, oggi, ci dona un po' di respiro. Non sarà più possibile dire che 5000 cittadini, un veneziano per famiglia, non abbiano espresso un “sentire diffuso”. Per questo colpevole ritardo del Demanio, per una politica sostanzialmente dilatoria di questa agenzia, abbiamo perso altri anni. Anni segnati da un apparato che si è comportato con l’atteggiamento di un sovrano indispettito e non come amministratore della cosa pubblica. Ora il Tar costringe moralmente (e di fatto) l’agenzia a tornare ad un tavolo negoziale, a dare delle risposte serie alla comunità.

Il Demanio ha compiuto due errori madornali: non ha assegnato l’isola ai cittadini ed ora ha spinto il provveditorato a circondarla con un “filo spinato invisibile”; un’ordinanza suggerita al provveditorato dalla stessa Agenzia infatti, vieta oggi finanche l’accosto all'isola. Non ne commetta un terzo, fatale. Il terzo errore sarebbe utilizzare per Poveglia un bando solitamente utilizzato per i “fari”. Poveglia non è un faro. Questo bando ha assegnato negli ultimi anni 22 strutture su 24 ad un destino ricettivo-turistico, e non è perciò, palesemente, il contenitore giusto per una città così turistificata. Ascolti i cittadini. Un doveroso grazie ai nostri avvocati per questo successo.

Postilla
La vicenda di Poveglia dimostra quanto sia difficile affermare i diritti dei cittadini sui beni comuni. «Il Tar afferma dei principi importanti perché spiega al Demanio non solo come deve amministrare il bene pubblico, ma anche come si deve rapportare con la società civile, ricordandone l'importanza». (m.p.r.)

Qui la sentenza

dinamoPress, 6 marzo 2018. Lo sgombero del bene pubblico occupato per impedirne la svendita avviene a elezioni fatte. Le forze dell'ordine «ammassano per strada i giochi della ludoteca autogestita, i disegni dei bambini, i libri, le installazioni artistiche, le stufe con cui ci si riscaldava da quando erano stati tagliati luce e gas». (m.p.r.)

Sgomberato questa mattina l’Antico Teatro di Anatomia a Venezia, bene pubblico occupato 5 mesi fa per impedirne la svendita. Ora i cittadini sono per strada, ma promettono: “Non diventerà un ristorante”.

A due giorni dalla chiusura delle urne, e mentre ancora si finiscono di ripartire i seggi conteggiando gli ultimi decimali, va in scena a Venezia il primo sgombero post-elettorale. Ora che non c’è più da racimolare qualche consenso, il disprezzo della classe politico-amministrativa nei confronti della cittadinanza si può mostrare in tutta la sua limpidezza, senza preoccuparsi di provare almeno un po’ di vergogna.

È un risveglio brusco quello della città lagunare: l’Antico Teatro di Anatomia, conosciuto da tutti come La Vida, viene circondato da uno schieramento spropositato di forze dell’ordine e i suoi locali sgomberati. Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza occupano militarmente Campo San Giacomo, e ammassano in strada i materiali di cinque mesi di liberazione di uno spazio pubblico svenduto dalla Regione in ossequio agli appetiti della speculazione turistica: sotto una pioggerella fine, vengono portati in campo i giochi della ludoteca autogestita, i disegni dei bambini, i manifesti e gli striscioni, i libri, le installazioni artistiche, le stufe con cui ci si riscaldava da quando erano stati tagliati – in pieno inverno – luce e gas. Una folla sempre più numerosa accorre a montare gazebo e tendoni per salvare i materiali e per presidiare un campo che proprio grazie alla riapertura della Vida era ormai diventato un punto di riferimento per il quartiere e per la città. Spunta anche qualche tenda, e il presidio inizia a dare l’idea di un’acampada improvvisata.

La storia recente dell’Antico Teatro di Anatomia è esemplare di ciò che succede nelle nostre città, strette tra dismissione del patrimonio pubblico, interessi speculativi e tentativi di riappropriazione pubblica e partecipazione cittadina. Si tratta di un edificio di proprietà regionale, sede di alcuni uffici sottoutilizzati e in passato sempre praticamente chiuso. Un comitato locale lo reclama da oltre un anno all’uso pubblico, presentando alle istituzioni un progetto di apertura e gestione elaborato di concerto tra diverse associazioni locali. La risposta della Regione a guida Zaia è quella a cui ci hanno abituato le istituzioni pubbliche di troppe città e regioni: un muro di gomma fatto di silenzio e – quando andava bene – promesse a mezza bocca subito smentite dai fatti. Il 25 settembre infatti l’amministrazione regionale perfezionava la vendita dello stabile all’imprenditore Alberto Bastianello (della famiglia di soci fondatori Pam e Panorama) per 911mila euro, con il progetto di realizzare l’ennesimo ristorante.

Gli abitanti della zona non stanno però a guardare. In una città dove quotidianamente chiudono i negozi destinati ai residenti ed aprono di continuo bar e locali, che occupano lo spazio pubblico con plateatici sempre più invadenti che sottraggono l’uso dello spazio pubblico ad una fruizione libera e non commerciale, in cui gli spazi per l’abitare si restringono sempre più e in cui è ormai un’impresa trovare una casa o una stanza in locazione, tanto è più conveniente l’affitto turistico, un folto gruppo di cittadini riesce ad aprire, due giorni dopo, la porta dell’Antico Teatro e restituirlo alla città. Sei di loro sono tutt’ora sotto processo per occupazione.

Nei cinque mesi che sono seguiti La Vida è diventata un luogo di nuovo vivo. Presidiato giorno e notte da persone di tutte le età, animato quotidianamente da presentazioni di libri, mostre, concerti, discussioni pubbliche, laboratori, ha costituito un prezioso luogo di aggregazione per residenti, studenti, famiglie, tutti determinati a non vedersi sottratto l’ennesimo bene comune cittadino. Entrarci era sempre una festa e una sorpresa: un’occupazione che era a tutti gli effetti una liberazione, un luogo in cui i bambini la facevano da veri padroni, scorrazzando tra la ludoteca e il campo, potendosi sentire a casa loro in una città che sembra ormai non contemplarli più, presa com’è nella morsa della monocoltura turistica che la sta trasformando in un museo a cielo aperto o, peggio, in un parco giochi per visitatori mordi e fuggi.

Ora le istituzioni fanno quello che sembrano fare meglio: tentano di sbarazzarsi della città viva per meglio poter sfruttare il suo patrimonio ai fini della speculazione privata. Non hanno però fatto i conti con la tenacia della comunità che attorno alla Vida aveva trovato una nuova casa, aperta e inclusiva. Mentre sotto la pioggia continua ad affluire gente, che porta la sua solidarietà e la sua indignazione, viene lanciata in Campo San Giacomo un’assemblea cittadina per questo pomeriggio alle 5. E dal campo fanno sapere che la storia della Vida non è finita qui: non basta la polizia in assetto antisommossa per mandare a casa chi ancora testardamente si ostina a voler abitare la propria città. L’Antico Teatro non diventerà mai un ristorante. Togliete alla comunità la sua casa e ve la ritroverete per le strade, in questo caso per calli e campielli.

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il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2018. Un'inchesta di Fanpage su Porto Marghera, uno dei pestiferi prodotti dello sviluppismo del XIX secolo), e dell'opaco tessuto di corruzione che ne garantiscono l'inquinante presenza

Più permeabile delle ecoballe. Questa è l’impressione che lascia il sistema dello smaltimento dei rifiuti in Italia alla luce dell’inchiesta di Fanpage, qualunque cosa si pensi dei metodi con cui è stata realizzata.
La quarta puntata ha abbandonato la Campania dei De Luca per dedicarsi al Veneto, regione in cui da molti anni si moltiplicano i capannoni misteriosamente bruciati, le speculazioni sospette, i palesi atti di intimidazione, soprattutto nel settore dei rifiuti ma non solo: nonostante le molte inchieste sulla ’ndrangheta a Nord-est, nonostante i recenti allarmi della Commissione parlamentare antimafia, i veneti, più ancora dei lombardi e degli emiliani, faticano a riconoscere – a fronte della retorica, anche referendaria, del “padroni a casa nostra” – che il famoso “territorio” è sempre più in mano a consorterie armate di altra provenienza.

Nel video di Fanpage rimane sconcertante e controverso il ruolo della principale interlocutrice dell’agente provocatore, ovvero l’architetto
56enne Maria Grazia Canuto, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2002), già componente del Comitato Tecnico-Scientifico dell'Osservatorio Nazionale sull’Amianto, già candidata alle comunali di Treviso con una lista civica di centrodestra (2013), vicepresidente (ora sospesa) dei Centri per l’Ascolto del Disagio, nonché presentata in diversi dibattiti pubblici come docente di Criminologia ambientale dell’Università di Padova (dove non risulta però aver avuto alcun incarico) e come consulente del ministero dell’Ambiente, dove pure smentiscono l’affiliazione. Resta allora da spiegare come mai nell’inchiesta ella venga indicata da più soggetti come il vero legame con la politica nazionale dei rifiuti e come mai tratti con familiarità tanto imprenditori di dubbia onestà quanto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro equanto lo stesso ministro dell'Ambiente Galletti.

Uno dei momenti-clou del filmato
di Fanpage è proprio il breve colloquio con Galletti, propiziato dalla 
Canuto e avvenuto il 26 gennaio
scorso a margine della presentazione del nuovo piano di bonifica del sito di Porto Marghera In quell’incontro contro l’agente provocatore e l’imprenditore coinvolto nell’affare,
proprietario di un’area presso Fusina, limitrofa a quella del Comune,
presentano al ministro – ovviamente inconsapevole – un sistema “tombale” e innovativo per bonificare un milione di metri cubi di terreno, seppellendo tutto entro calcestruzzo munito di apposite guaine: dagli accordi presi in precedenza, si comprende che si tratta in realtà di un sistema per riciclare denaro di provenienza camorristica. La Canuto sostiene ora, sbandierando pregresse battaglie contro le ecomafie nella Terra dei Fuochi, di aver seguito il consiglio dei suoi avvocati e di aver dato corda alla proposta nell'attesa di denunciarla, anche quando ella garantiva apertamente il “lavaggio” dei soldi camorristici senza mostrare disagio verso i metodi spicci della criminalità, e anche quando riceveva una valigetta che pensava piena di contanti per 2,8 milioni di euro (in realtà c’erano dentro paccheri napoletani). Se è davvero così (lo stabilirà la magistratura), si può dire che la sua recita è stata estremamente credibile.

Porto Marghera, ancora oggi

Ma al di là del caso singolo, rimane la realtà di Porto Marghera, un sito tutt’oggi gravemente inquinato, per il quale proprio nell’incontro di gennaio è stata costituita una “cabina di regia” tra il governo (un governo in scadenza, le cui promesse – molti temono – rischiano di essere scritte sull’acqua), la Regione e la Città metropolitana: si sono sbandierate le consuete agevolazioni alle imprese che vengano a investire in questa “area di crisi complessa”. In verità nessuno sa di preciso come verranno usati gli ingenti investimenti pubblici promessi (80 milioni stanziati; nel 2015 la Commissione ecomafie aveva denunciato lo sperpero di ben 785 milioni in bonifiche rivelatesi poi inutili, anzi dannose). Secondo alcuni sindacati (anzitutto Filctem) nella gestione privatistica che viene disegnata si annida il rischio di infiltrazioni criminose e di affari incontrollati mossi da società opache. I comitati civici di Marghera denunciano il rischio che tutta l’area diventi pian piano – tentativi in tal senso sono stati già sventati negli ultimi anni – un territorio di inceneritori e trattamento rifiuti, in mano al business delle ecomafie.

Qualunque sia la retorica governativa di Marghera come “esempio di rigenerazione complessiva del territorio all’insegna della sostenibilità ambientale», a molti resta l’impressione, certificata dagli studiosi, di una notevole permeabilità al crimine organizzato. In questo contesto grida vendetta lo smantellamento, a opera dell’amministrazione Brugnaro, dell’Osservatorio ambiente e legalità creato in collaborazione con Legambiente dall’ex assessore Gianfranco Bettin: sin dal 2013 questo istituto diretto da Gianni Belloni ha redatto preziosi rapporti sulle infiltrazioni nell’edilizia, nella logistica, nelle rinnovabili, e ha mostrato come il Veneto si collochi al primo posto in Italia per il traffico illegale dei rifiuti, con particolare riferimento proprio al caso di Porto Marghera.

Sono i dettagli a essere rivelatori. L’incontro con Galletti e Brugnaro, il 26 gennaio scorso, si è tenuto in fondo al Padiglione Antares del Vega (lo si vede nel filmato di Fanpage). Il Vega è un grande parco scientifico e tecnologico, dalle alterne fortune, costruito 25 anni fa come prima prospettiva di rilancio di Porto Marghera (oggi, analoghe aspettative riguardano la bioraffineria “verde” dell’Eni, che però funziona con olio di palma, e il futuribile terminal delle Grandi navi, che comporterebbe però un’ulteriore devastazione della Laguna). Ebbene, nello stesso Padiglione Antares, in uno spazio adiacente alla sala convegni, è montata fino a maggio una mostra per il centenario di Porto Marghera (1917-2017), dal nome Industriae: non la mostra, magniloquente e un po’ pretenziosa, ospitata per poche settimane al Palazzo Ducale di Venezia, bensì una raccolta potente e curatissima degli strumenti di lavoro, delle tute degli operai, delle produzioni e delle materie prime trattate dalle tante industrie (chimiche, petrolchimiche, meccaniche, cantieristiche, cerealicole...) ospitate in cent’anni su questi terreni ora per lo più abbandonati al loro destino di morte.

I pannelli esplicativi chiariscono la nascita delle singole aziende, i loro momenti di gloria e di declino, le fusioni e i passaggi di proprietà: un pezzo, per lo più sconfortante, di storia industriale del nostro Paese, dal conte Volpi alla Montedison, dalla Vetrocoke all’Eni. In alto, degli schermi obliqui presentano interviste a operai e impiegati che ricordano le loro esperienze di fabbrica: manca la dimensione politica delle lotte operaie, ma quella è in fondo un’altra storia. Frutto di una ricerca che interessa l’appassionato di storia, di chimica e di scienza, questa piccola mostra schiude senza retorica il senso di un impegno umano che credeva nello sviluppo industriale del Paese, e che è stato travolto prima dai terribili veleni del petrolchimico e poi dalla crisi indotta dal mercato globale. C’è da sperare che le conferenze stampa e i più discreti pourparler che avvengono a pochi metri da quelle sacre reliquie, non abbiano a mostrarsi ancora troppo indegni di quel patrimonio di lavoro e di speranza cui sono chiamati a dare un futuro.

il manifesto, 1 marzo 2018. L'inchiesta di Fanpage.it evidenzia come "il sistema Veneto", incapace a contrastare la criminalità organizzata, sia stato accogliente e a porte aperte con le mafie «in alcuni ambiti dell’economia, della politica e delle pubbliche amministrazioni». (m.p.r.)

L’area “ex Abibes” a Fusina: sulla carta, aspetta fin dal 2002 di accogliere rifiuti. Sono 84 ettari giusto accanto agli impianti Vesta, la società dei servizi ambientali del Comune di Venezia. È il business che Maria Grazia Canuto (56 anni, moglie di un colonnello dell’esercito) propone in cambio di 2,8 milioni di euro con cui “ripulire” i profitti della camorra. Tutto documentato nel video della quarta puntata dell’inchiesta di Sacha Biazzo e Francesco Piccinini che Fanpage.it dedica a «Bloody Money».

Anche se alla fine nel trolley ci sono pacchi di paccheri al posto delle mazzette, l’ex boss Nunzio Perrella contribuisce a rivelare l’altra faccia del progetto insieme ai «legami diretti», più o meno millantati, con le istituzioni. In gioco, un mega-investimento nel settore dello smaltimento: si chiama Venice Europe Gate e riguarda il terreno di cui è proprietario Giuseppe Severin di Paese (Treviso), amministratore unico del Consorzio Tecnologico Veneziano. Insomma, criminalità organizzata fra laguna e Marghera.

Scandisce Giulio Marcon, deputato uscente e candidato di LeU: «La magistratura è chiamata a procedere per far piena luce su quanto emerge dalla video-inchiesta. Marghera, e non solo, è già stata al centro delle iniziative parlamentari che abbiamo messo in campo per denunciare il fenomeno delle ecomafie. Ma in questo caso deve dimostrarsi capace di assoluta chiarezza soprattutto il Comune, chiamato in causa dai protagonisti della “trattativa”. Tanto più che nell’intera area di Portomarghera si prevede una rigenerazione e occorre che la trasformazione sia indenne da qualsiasi rischio o pericolo di contaminazione con interessi criminali».

E Gianfranco Bettin, presidente della municipalità di Marghera, evidenzia con forza proprio la preoccupazione: «Sono due gli elementi più significativi e inquietanti. Il primo, è la conferma della sconcertante e allarmante dimestichezza che la presunta procacciatrice di fondi camorristi rivela, e anzi ostenta, con importanti ambienti istituzionali, burocratici e imprenditoriali, sulla quale bisogna sia fatta urgentemente la massima chiarezza, con piena trasparenza. Il secondo è invece forse più nuovo e preoccupante: sembra di essere di fronte all’ingresso di capitali sporchi di origine criminale (e apertamente dichiarata come tale, nel filmato, ai “mediatori” e “utilizzatori finali”) in un progetto di per sé, almeno all’apparenza regolare».

Così Venezia deve fare i conti, fino in fondo, con le mafie. C’è l’inquietante precedente del Tronchetto, il terminal del turismo e delle Grandi Navi, dove proprio grazie al riciclaggio un gruppo criminale si è incistato nell’economia della città da cartolina. Ma il “monitoraggio” - garantito dall’Osservatorio ecomafie, ambiente e legalità, nato dalla collaborazione fra Comune e Legambiente - è saltato, perché il sindaco Luigi Brugnaro appena insediato ha chiuso i rubinetti in modo da provocare la chiusura dell’esperienza.

D’altro canto, nelle 800 pagine dell’ultima relazione prodotta dalla Commissione Antimafia si legge un’implicita critica nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine: «Le organizzazioni criminali in Veneto hanno approfittato di un’insufficiente attività di prevenzione e contrasto per mimetizzarsi nel tessuto economico attraverso un rapporto di convergenza di interessi con il mondo delle professioni e dell’impresa».

Certifica Rocco Sciarrone, professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Torino: «Quando parliamo di mafie, anche a Nord Est, non siamo di fronte al contagio di un organismo sano né all’invasione di un esercito. Conta molto di più l’accoglienza: trovano territori ospitali e porte aperte. Utilizzano varchi in alcuni ambiti dell’economia, della politica e delle pubbliche amministrazioni. Le mafie trovano un tessuto già pronto. Se mai, lo amplificano e lo mettono a sistema».

E soprattutto nel Veneto sembra riprodursi lo stesso “contagio” già registrato in Emilia nell’edilizia, nel commercio e nella sanità. Con le nuove frontiere delle mafie che contano sulla “consulenza” di professionisti e amministratori locali: grande distribuzione, energie rinnovabili, servizi sociali e accoglienza dei migranti.

1 marzo 2018, Mestre via Buccari ore 17.45 Incontro con Flavio Cogo e Armando Danella per parlare non solo dell'assoluta inutilità del Mose e dei danni che l'avvio della sua realizzazione ha già iniziato a provocare, ma anche della vasta e profonda azione di corruzione che il Consorzio esercita sulla società veneziana. Coordina Ilaria Boniburini. Con riferimenti

Sono innumerevoli gli articoli che eddyburg.it ha pubblicato sul MOSE. Tra gli articoli più recenti segnaliamo quelli di Alberto Vitucci di Armando Danella, di Paola Somma, di Paolo Cacciari.

E leggete soprattutto l'Eddytoriale n. 174, per comprendere l'oceano di corruzione che le spese dei contribuenti hanno inconsapevolmente alimentato.

Per il passato rinviamo agli articoli anteriori al 2013, nella cartella MoSE del vecchio eddyburg.

Il manifesto, 25 febbraio2018. Tutto giusto e condivisibile: l’obiettivo è fuori le grandi navi dalla Laguna. Ma questo è solo un aspetto del problema: l’altro è la non sopportabilità, per Venezia, della quantità e la qualità della massa di visitatori. Ne riparleremo


«Venezia. La vicenda delle grandi navi a Venezia sembra una telenovela infinita, una soap opera in cui la fanno da protagonisti e comprimari dilettanti che non sanno di che parlano, “ponzio pilati” che scappano di fronte alle responsabilità e furbetti che vogliono che resti tutto così com'è»
Ormai siamo al ridicolo. La vicenda delle grandi navi a Venezia sembra una telenovela infinita, una soap opera in cui la fanno da protagonisti e comprimari dilettanti che non sanno di che parlano, “ponzio pilati” che scappano di fronte alle responsabilità e furbetti che vogliono che resti tutto così com’è. Ricordiamo ancora una volta come sono andate le cose. Nel marzo del 2012 (dopo la tragedia di gennaio della Concordia all’isola del Giglio), il governo Monti emanava un decreto (il Clini- Passera) in cui si vietava la navigazione delle imbarcazioni di stazza superiore alle 40mila tonnellate per il bacino di San Marco e il canale della Giudecca. Da tempo i “grattacieli del mare” lunghi 300metri e alti come palazzi di 12-13 piani passano o sostano a pochi metri da Piazza San Marco e solcano il canale della Giudecca, sballottando le piccole imbarcazioni e mettendo a dura prova canali e fondamenta. Ma c’è un “ma”. Qualche riga dopo aver posto il divieto, il decreto ne stabiliva… la sospensione fino a quando non sarebbe stata trovata una soluzione alternativa.

Sono trascorsi sei anni (e quattro governi: Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) e la soluzione non è stata trovata. Così i ”grattacieli del mare” hanno continuato a navigare per il canale della Giudecca e davanti San Marco, anche se con delle limitazioni più stringenti introdotte nel frattempo dall’autorità marittima di Venezia. Ma nei mesi scorsi c’è stata una novità: a novembre si è riunito il cosiddetto “comitatone” (che riunisce ministeri, enti locali, ecc) e – a quanto si è appreso dalla stampa- avrebbe trovato la soluzione alternativa: ovvero il transito delle grandi navi per il “canale dei petroli” che dalla bocca di Malamocco, dopo più di 25 chilometri arriva a Marghera. Si tratta di una ipotesi totalmente sbagliata e impraticabile (e a quanto ci ha detto Galletti, nemmeno sottoposta alla Valutazione di Impatto Ambientale), e per un semplice motivo: comporta altri scavi in laguna, per allargare o raddoppiare addirittura il canale. Soluzione dunque inaccettabile, che sconvolgerebbe un ecosistema delicatissimo che non può sopportare più altre devastazioni.

Il condizionale comunque è d’obbligo. Infatti di quella riunione di tre mesi fa non esiste nessun documento: né un “atto di indirizzo” (chi l’ha visto?), né un verbale, che pure dovrebbe pur esserci.

Tutto questo sta rendendo impossibile all’autorità marittima l’emanazione di una nuova ordinanza con l’indicazione del consolidamento delle limitazioni per il 2018 e gli anni a venire. L’omissione del governo sta aggravando la situazione in laguna ancora di più, soprattutto nell’imminenza della nuova stagione crocieristica in cui riprenderà alla grande il flusso delle grandi navi. Basta. Il governo sta facendo “melina”: prima sei anni di latitanza, poi la prospettiva di una soluzione, quella di Marghera (tutta campata in aria, senza progetto e valutazione di impatto ambientale, comunque sbagliata), che sembra fatta apposta per lasciare le cose così come sono e permettere alle grandi navi di continuare a passare indisturbate per il canale della Giudecca e il bacino di San Marco.

Ci sono tre condizioni irrinunciabili per trovare una soluzione “alternativa” alla navigazione delle grandi navi in laguna: a) il coinvolgimento dei cittadini delle comunità locali interessate, attraverso una consultazione vincolante sulle soluzione definitiva, b) un confronto tra le proposte presentate, che ovviamente devono superare pienamente la Valutazione di Impatto Ambientale: nessuna soluzione può essere imposta da Roma, c) il rispetto di un vincolo fondamentale: nessun altro scavo in laguna.

Alla fine si arriverà a questa conclusione: l’unica soluzione possibile per le grandi navi è di portarle fuori, non solo dal canale della Giudecca e da San Marco, ma dalla laguna.

Leggere in proposito l'articolo di Clara Zanardi, Oltre la nave

la Nuova Venezia, 16 febbraio 2018. Articoli di Vera Mantegoli e Carlo Mion. Se il potere pubblico non fa il suo dovere, o lo disattende, i cittadini mugugnano, ma poi cominciano ad organizzarsi. A Venezia le associazioni sottoscrivono un comune documento e i cittadini si organizzano per costituire presidi antifascisti. (m.p.r.)

«GIÙ LE MANI DAI LUOGHI PUBBLICI»
di Vera Mantegoli

La rabbia delle associazioni cittadine contro l'impoverimento del tessuto cittadino.

Sottrarre un luogo pubblico per darlo ai privati è un crimine. È questa una delle tre dichiarazioni sottoscritte dalle prime associazioni cittadine (oltre una quindicina) che ieri pomeriggio si sono riunite nella Sala San Leonardo per condividere i diversi percorsi avviati negli ultimi anni. Le altre sono che «chiunque sterilizzi per mezzo di ruoli amministrativi il ricco tessuto civico della città per ignavia o inerzia, con dolo e colpa, viola il suo mandato e abusa delle sue funzioni» e che «le comunità che riscoprono la loro città e ne ambiscono la gestione partecipata (. . .) hanno più credibilità di chi opera dall'alto» . Rabbia e orgoglio si sono fatti sentire nella voce dei rappresentanti che hanno ribadito che non ci sono giustificazioni per chi sfrutta la laguna (da Italia Nostra al Comitato Altro Lido), per chi vuole sottrarre gli spazi pubblici (dagli studenti del Comitato Gasometri che hanno voluto dire al sindaco che non sono stati strumentalizzati alle famiglie dell'ex Teatro Anatomico), per chi continua a trovare il modo di svendere spazi che in gran parte sono già di tutti. Insomma, percorsi diversi, ma accomunati dallo stesso obiettivo: tutelare gli spazi pubblici, dalle isole ai palazzi, dai privati e da quella politica che stanno togliendo ai residenti il ruolo di protagonisti nella loro città. L'incontro, moderato dagli autori del programma Frullatorio, Davide Angeli e Matteo Tonini, si è svolto dando cinque minuti di intervento a tutti, pena il rimprovero (ironico) di uno dei conduttori che, con una maschera da Batman, sgridava il portavoce. Il filo conduttore è stato la "Carta sul patrimonio pubblico e collettivo" scritta dalle associazioni che hanno partecipato, ma aperta anche a chi vuole unirsi (associazionepoveglia@gmail.com). Nel testo si parla del rischio che sempre di più corre la città, dallo spopolamento all'omologazione del tessuto del tessuto urbano e commerciale, e del ruolo dell'amministrazione che «non ha nessun freno normativo di fronte a questo appiattimento». Davanti a questo pericolo di rottura della comunità di veneziani, le associazioni hanno delle soluzioni che chiedono di essere ascoltate e messe in pratica. (v.m.)

«NO AL COMIZIO DEI FASCISTI A SAN GEREMIA»
di Carlo Mion


Cresce la mobilitazione contro l'iniziativa di Forza Nuova. Raccolta di firme, appelli e lettere al prefetto

Venezia. Mentre polizia e Prefettura cercano una soluzione per evitare che domenica ci siano disordini in occasione del comizio elettorale di Forza Nuova in campo San Geremia, aumentano le adesioni al presidio antifascista organizzato dai Centri sociali e gli appelli al Prefetto Carlo Boffi perché vieti il comizio. Ieri il presidente della Municipalità di Venezia Andrea Martini ha scritto al Prefetto: «Non posso non trasferirle il sentimento diffuso in città di sdegno e incredulità per il fatto che una formazione, nei saluti romani e nei proclami, di fatto neofascista possa trovare spazio per diffondere i propri slogan di violenza e razzismo nei nostri campi» prosegue Martini. «Al sentire diffuso sta crescendo esponenzialmente la convinzione, in città, che, se non viene bloccato il comizio, si debba creare un presidio di cittadini che pacificamente testimoni, con la sua presenza, il no a quello che viene avvertito come un attacco diretto alla città. Il rischio, dunque, che persone, comuni cittadini, possano trovarsi in situazione di pericolo per la propria incolumità è molto alto» conclude il presidente Martini. «Le chiedo, quindi, per tutelare la sicurezza dei cittadini, di non autorizzare il comizio di Forza Nuova».
Ipotesi non praticabile in quanto il Prefetto non può vietare un comizio elettorale. Si cerca quindi una soluzione per impedire che i partecipanti al presidio, previsto per le 14 davanti alla stazione, vengano in contatto con in partecipanti al comizio che inizierò alle 16.Un gruppo di cittadini, nel frattempo, ha organizzato una raccolta di firme in rete per chiedere di impedire il comizio. Raccolta che si prefigge di arrivare a 2500 firme e che in poche ore ha superato quota 1500. Anche questa raccolta di firme è indirizzata al Prefetto. Scrivono i promotori: «Come cittadini veneziani chiediamo al Prefetto di Venezia di vietare il comizio di Forza Nuova. Lo chiediamo perché Forza Nuova è un movimento, sia a parole che nei fatti, apertamente e dichiaratamente neofascista».
Un appello è arrivato anche da parte dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, sezione Sette Martiri di Venezia. «La Sezione Anpi "Sette Martiri" apprezza e condivide ogni iniziativa di militanza antifascista soprattutto se proveniente da giovani cittadini», spiega l'Anpi. «Il richiamo allo spirito di Macerata dell'appello del Centro sociale Morion e quindi a comportamenti ispirati alla legalità, ci è sembrata una garanzia di rispetto dei principi democratici che devono esserci nella fermezza delle rivendicazioni contro le presenze sempre più arroganti delle formazioni fasciste. Chiediamo che Prefetto e sindaco dimostrino che gli atti delle istituzioni sono motivati, più che da contingenze di ordine pubblico, da una salda fedeltà all'antifascismo della Costituzione».

Laboratoriooccupato Morion, 13 febbraio 2018. I motivi e le ragioni della chiamata a raccolta per il presidio cittadino antifascista di oggi. Parole di equilibrio dal centro sociale di Venezia. Solo tutti assieme si sconfigge la violenza. (m.p.r.)

Chiudiamo una volta per tutte le porte della città all'odio.


CI VEDIAMO DOMENICA 18 ALLE 14 DAVANTI ALLA STAZIONE per dar vita a una grande piazza antifascista e antirazzista e allontanare Forza Nuova dalla nostra città.


Sabato scorso a Macerata è andata in scena una grande manifestazione, dove 30.000 persone hanno dato la migliore risposta possibile ad un attentato terroristico di matrice fascista, razzista e sessista. Lo hanno fatto da donne e uomini liberi, non solo contro la destra, ma nonostante tanti partiti, sindacati ed associazioni del centrosinistra abbiano tentato di boicottare quella piazza per mero calcolo elettorale. Sono stati sconfessati dalla loro stessa base che, assieme ai movimenti, ha invaso pacificamente Macerata, regalando gioia, energia ed una boccata d'ossigeno per chi cominciava a sentirsi stretto tra l'odio neofascista e l'indecenza delle istituzioni.

E' necessario che lo spirito di Macerata viva in ogni città, compresa la nostra. Dire no al terrorismo fascista a Venezia significa prima di tutto non accettare che la nostra città venga utilizzata come sfondo dalla propaganda di chi proclama l'odio razziale, la soppressione violenta di ogni diversità etnica, culturale, di genere e auspica il ritorno dei pogrom.

Luca Traini non è, come tutto l'arco istituzionale si è affrettato ad indicare, un folle. Se i partiti balbettano per calcolo elettorale, per timore di perdere consensi nella "pancia del paese", a tutte e tutti noi, tocca invece il compito di dire la verità. Luca Traini è un terrorista fascista. Se, di fronte a questa evidenza, Berlusconi e Salvini soffiano sul fuoco dando la colpa all'immigrazione, c'è addirittura un partito che ha apertamente dichiarato di stare dalla parte dello sparatore, di sposarne le ragioni, di voler sostenere le sue spese legali, di avvallare l'inaccettabile sessismo implicito nel volere presentare quell'azione come reazione al probabile omicidio di Pamela. Pamela che così è offesa due volte, prima da chi l'ha uccisa e martoriata, poi da chi la usa come scusa per un'aggressione razzista nel confronti di persone totalmente innocenti.

Il partito in questione è Forza Nuova che ha così definitivamente gettato la maschera rivelandosi per quello che è, un'organizzazione in nulla differente da quei gruppi di fanatici islamisti che si felicitano quanto un terrorista radicalizzato si lancia con un camion sulla folla del lungomare. Forza Nuova sarebbe felice di una strage in una moschea a firma di un gruppo neofascista, tanto quanto lo Stato Islamico si felicita di un omicidio di massa in una sala da concerto nel cuore dell'Europa.

Purtroppo non stiamo drammatizzando, l'ondata neofascista non è più un fenomeno minoritario, ma avanza in tutta Europa con ambizioni di governo. E' molto probabile che dopo il quattro marzo siederanno al Parlamento, per la prima volta dalla Liberazione, dei deputati apertamente fascisti.

Di fronte a questa follia l'argine istituzionale è saltato, il rifiuto del fascismo non è più una precondizione alla vita democratica, ma una variabile da giocarsi a seconda del calcolo elettorale. Ciò significa che l'antifascismo non è più delegabile alle autorità, non basta richiamarsi alla carta costituzionale, nessun democratico può sentirsi dispensato dalla necessità di ricostruire una cultura di un nuovo antifascismo all'altezza dei tempi.

Un nuovo antifascismo popolare, questo deve nascere, e può nascere a partire dalle città. Può nascere da quei luoghi che più di altri hanno fondato le loro fortune sull'apertura verso il mondo, che hanno creato le proprie ricchezze economiche e culturali sul meticciato, che hanno costruito modelli sociali vincenti a partire dal confronto continuo tra differenze, tramutando la paura dell'altro in forza comune.

Eppure oggi la risposta più semplice alla crisi è il razzismo, è la guerra tra poveri. Nessuna città è più al sicuro e questo vale anche per Venezia. Non basta più la sua storia cosmopolita a tenerla al riparo. Sono anni che le formazioni neofasciste provano a radicarsi qui, già forti di un consenso storico in alcune aree della regione. Da anni i movimenti sono impegnati nella lotta per impedire che questo radicamento avvenga, che la cultura dell'odio trovi uno spazietto, magari piccolo, ma prezioso, per attecchire anche da noi.

Dunque noi proponiamo di aprire una campagna permanente per riaffermare il primato dell'antifascismo. Una campagna aperta ai singoli e alle organizzazioni dove ognuno, secondo la proprie possibilità e sensibilità, si impegni nella promozione di una cultura democratica e nella vigilanza contro le manifestazioni di fascismo nel nostro territorio. C'è bisogno di tutti e a tutti dobbiamo parlare, abbandonando le nostre certezze, ripensando pratiche, linguaggi, immaginari.
C'è bisogno dei giovani che in troppi casi incominciano ad incanalare la rabbia generazionale in pulsioni razziste ed identitarie. C'è bisogno delle donne e dei generi non conformi che oggi devono battersi contro rigurgiti di sessismo e patriarcato. C'è bisogno dei migranti che sono il capro espiatorio di una crisi che ha a che fare non tanto con loro, ma con la mancanza di giustizia sociale e con l'aumento del divario di reddito tra ricchi e poveri.

C'è bisogno degli antirazzisti che fanno un lavoro incredibile su territori (geografici e digitali) spazzati dal vento della xenofobia. C'è bisogno del mondo della cultura e della ricerca, in parte destrutturato dal pensiero unico neoliberale, in parte assopito e autoreferenziale, spesso solerte nel fornire lezioni di politicamente corretto, raramente pronto a mettere in discussione le proprie certezze e dunque a ritrovare un ruolo sociale oltre l'autoconservazione. C'è bisogno persino di quelle organizzazioni e di quei sindacati che non hanno svenduto la propria azione al mero calcolo elettorale, la crisi della rappresentanza dipende anche dal prolungato e sistematico abbandono del terreno dell'antifascismo. C'è bisogno dei ceti popolari, impoveriti e invitati a scagliarsi contro altri poveri piuttosto che contro i responsabili effettivi delle loro condizioni.
C'è bisogno dei ceti medi democratici e dei lavoratori autonomi, impoveriti anch'essi, individualizzati e a volte intrappolati in una sindrome da "anime belle", involontari favoreggiatori dei neofascismi a colpi di citazione di Voltaire. C'è bisogno degli imprenditori, non certo di quelli che sfruttano e dequalificano il lavoro o di quelli che hanno deciso di giocare sui tavoli della finanza globale, ma di quelli intenzionati (come un tempo) a coniugare profitto e giustizia sociale, impresa e cultura democratica, investimento e filantropia. C'è bisogno di quelle organizzazioni religiose che fanno dell'ecumenismo, della pace e dell'accoglienza degna altrettanti pilastri della loro fede.
Crediamo, infine che ci sia anche bisogno di noi, dei centri sociali, dei comitati, dei collettivi, di noi che non abbiamo mai abbandonato l'antifascismo, ma che oggi dobbiamo certamente ripensarlo alla luce di una critica delle nostre convinzioni. Non vogliamo rinunciare alla radicalità, ma questa non vive se non inserita all'interno di un tessuto rinnovato di relazioni, di dialogo e di pratiche con chi è diverso da noi, ma che con noi condivide un'impostazione antifascista.
Cominciamo da Venezia, facciamo circolare questo appello per costruire una campagna permanente che prima di tutto dica no all'accoglienza di manifestazioni favorevoli al terrorismo fascista e che poi sfoci in momenti pubblici, costituenti di un nuovo tessuto di antifascismo culturale e popolare.
Riaffermare la connotazione di Venezia come città democratica dipende da tutte e tutti noi!

Domenica 18 Forza Nuova sarà a Venezia. È compito nostro far sì che ciò non avvenga mettendo in campo tutte le anime antifasciste di questa città.

Qui la versione originale dell'appello con tutte le adesioni alla manifestazione

Venezia, 16 febbraio ore 17.30., Sala S. Leonardo. Assemblea pubblica organizzata da Potere al Popolo per discutere le lotte sui territori e le loro ragioni.

La questione ambientale è al centro di continue vertenze. È amplificata da un modello sviluppista predatorio, che impoverisce le generazioni future mettendo a rischio il pianeta.

L’avidità, la bramosia compulsiva dei più ricchi e dei loro interessi, alimenta la megamacchina produttiva termo-industriale. Per aumentare a dismisura inutili consumi stiamo condannando gli ecosistemi alla morte. Si susseguono decisioni scellerate che impattano con i fragili equilibri dei territori senza produrre occupazione e noi a Venezia rischiamo di essere la cavia da sperimentazione.
Logiche insensate polverizzano la socialità delle città rendendo difficile abitarle e viverle. Vengono private di quelle opere di rinnovamento e manutentorie così necessarie a un buon vivere, per privilegiare le grandi opere che si realizzano senza una verifica collettiva di utilità sociale e compatibilità ambientale. Questa è stata la logica che ha prodotto a Venezia il MoSE e che sostiene le GRANDI NAVI all’interno della laguna.

Nel generale contesto politico, desolante perché simile nei metodi con il quale si autoripropone e spesso anche nei contenuti, Potere al Popolo è la proposta di chi ha deciso che è giunto il momento di sfidare le Istituzioni.
Movimenti, associazioni, comitati sono i veri protagonisti delle lotte per la tutela dell’ambiente e del territorio e a favore delle vite di coloro che vi abitano. In questi anni, hanno accumulato saperi e capacità di progettazione.
Potere al popolo Venezia invita a portare le istanze di comitati, movimenti e associazioni.

Venezia, 15 Febbraio 2018 alle 17,30 in sala San Leonardo, un incontro sul tema della difesa del patrimonio pubblico e dei beni collettivi e la loro massiccia privatizzazione in corso. Organizzata da Poveglia per Tutti, l'Antico Teatro Anatomico di Anatomia-Vida, e il gruppo formatosi a partire dall'istanza dell'area ex-gasometri.

Questa iniziativa pubblica partecipata dalle varie realtà associativa della città segna l'inizio di un percorso di riunificazione del ricchissimo tessuto collettivo e sociale di Venezia intorno a temi di urgente rilevanza per la città tutta. Un primo passo, con l'obiettivo di costruire un sentire comune, sarà perciò una riflessione collettiva sul massiccio processo di privatizzazione del patrimonio pubblico, in ogni sua possibile forma: spazi acquei, isole, suolo pubblico, beni immobili, spazi comuni.

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