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Ilaria Agostini
Alienazioni a Firenze...
23 Febbraio 2017
Firenze
«... la metamorfosi dell’urbanistica in ragioneria» Accurata analisi della svendita dl patrimonio pubblico a Firenze, e del quadro nazionale.

«... la metamorfosi dell’urbanistica in ragioneria» Accurata analisi della svendita dl patrimonio pubblico a Firenze, e del quadro nazionale. ReTe territorialmente online, 22 febbraio 2017 (c.m.c.)



«Il testo è la trascrizione dell’intervento al convegno promosso dall’Assemblea dei Comitati Fiorentini e dalla ReTe dei Comitati per la Difesa del Territorio, "Città pubblica vs città oligarchica. Vita immaginata e desiderata, politica subìta", Firenze, 11 febbraio 2017, Teatro dell’Affratellamento».

A Firenze, l’alienazione degli edifici monumentali pubblici e di appartamenti destinati a residenze sociali sottrae alla cittadinanza le migliori occasioni per la riqualificazione dell’habitat urbano. E l’urbanistica si riduce a esercizio da contabili.

Un po’ di storia

Da decenni, i programmi politici evitano l’elaborazione di un’idea di città alternativa al modello economicista, che vuole la città smart, creative, ridotta a brand da impiegare nell’agone della competizione globale. L’aspetto sociale non fa cassa e perciò è stato obliterato. A questo svuotamento di senso delle politiche urbane hanno contribuito, nell’Italia neoliberista, alcuni provvedimenti legislativi – giunti da destra e da sinistra – di matrice squisitamente economica, attinenti cioè a mere questioni di bilancio degli enti locali o dello Stato. E che hanno relegato la gestione della città e del territorio a pratiche di ragioneria.

Sia chiaro, ciò non discolpa l’urbanistica. Nell’abbandono delle finalità sociali e nell’impoverimento della città pubblica, l’urbanistica ha avuto infatti il suo ruolo in commedia, rispondendo senza pudore ai richiami della sirena del libero Mercato. Se non altro con i suoi silenzi e le sue elusioni. Anche a Firenze.

Ripercorriamo alcune tappe della metamorfosi.

Un importante impulso iniziale proviene dal varo della L 386/1991 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica) che rende possibile la conversione degli enti pubblici in Società per Azioni. Con la privatizzazione e finanziarizzazione degli enti, servizio pubblico e beni urbani e territoriali fanno ufficialmente il loro ingresso in Borsa.

Nel frattempo, la L 537/1993 – legge finanziaria del governo Ciampi – predisponeva il campo, prevedendo l’emanazione di norme dirette ad alienare intere classi di beni pubblici (art. 9).

Dopo sei anni – siamo nel gorgo della (sinistra) ristrutturazione dell’ordinamento amministrativo a firma Bassanini – è varata l’Agenzia del Demanio (DL 300/1999) avente ad oggetto l’amministrazione dei beni demaniali (pubblici), con «modalità organizzative e strumenti operativi di tipo privatistico».

Il successivo passaggio è compiuto sotto la guida di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia nel Berlusconi bis: la L 410/2001 istituisce la “Società per la Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici”: SCIP Srl, nomen omen. L’impiego del lessico finanziario – cartolarizzazione, ossia trasformazione dei crediti in titoli negoziabili sul mercato – è parte atttiva nella “transustaziazione” del bene pubblico in rendita privata.

Un anno dopo, un Tremonti non sazio affianca allo SCIP la “Patrimonio dello Stato SpA” con finalità di «valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato». Si noti che la L 112/2002 mette la Patrimonio SpA (art. 7) in stretta relazione con la istituenda “Infrastrutture SpA” (art. 8): un meccanismo che travasa i proventi della vendita del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato – ivi compresi i beni culturali – nel finanziamento delle infrastrutture.

Bisogna attendere il 2008 per registrare, con i Piani di Alienazione, la deflagrante incursione della ragioneria nell’urbanistica comunale. La L 112/2008 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica) dà infatti facoltà agli Enti locali di redigere un elenco degli immobili pubblici posti in vendita – il Piano delle Alienazioni –, da allegare al bilancio di previsione dell’ente stesso.

Corre l’obbligo di richiamare l’attenzione sul fatto che il Piano delle Alienazioni «costituisce variante allo strumento urbanistico generale» (art. 58): consente cioè automaticamente il cambio della destinazione d’uso di un immobile (o di un fondo) presente nell’elenco. Proprio sul cambio di destinazione urbanistica, come tutti sanno, si incardina la rendita fondiaria e immobiliare; non solo nel caso classicamente inteso – quello da Mani sulla città – che vede l’agricolo tramutarsi in “murativo”, ma anche nel passaggio, ad esempio, da “attrezzatura militare” a “turistico-ricettivo”: una caserma venduta come potenziale albergo diventa ben più appetibile per il mercato. Non c’è bisogno di spiegare perché.

Una sentenza della Corte costituzionale, la n. 340/2009, ha riportato nell’alveo democratico tale automatismo, imponendo il passaggio della variante in Consiglio comunale. L’art. 58 della L 112/2008 toglie comunque di mano agli urbanisti un importante strumento regolativo e progettuale.

Per concludere la descrizione di questo quadro desolante (dopo aver ricordato il DL 85/2010 detto del “federalismo demaniale” che dà l’avvio al trasferimento a titolo gratuito di beni demaniali agli enti territoriali al fine di «ampliare il proprio portafoglio immobiliare»), occorre soffermarsi sul funesto DL 173/2014. Meglio noto come “Sblocca Italia”, all’art. 26 il decreto renziano prevede che quota parte dei proventi delle vendite degli immobili pubblici del demanio militare sia destinata proprio a quegli enti territoriali che hanno contribuito alla conclusione del procedimento di vendita, ossia a quegli enti che hanno vestito i panni di agenti immobiliari.

Firenze. Le occasioni perdute

I Piani delle Alienazioni rappresentano l’elenco delle occasioni mancate nella “rigenerazione” urbana che gli amministratori professano di perseguire. A dispetto di pratiche urbanistiche consolidate ed esemplari, infatti, le politiche urbane neoliberiste (anche fiorentine) rifiutano il progetto di città imperniato sulle potenzialità offerte dagli immobili pubblici. E proprio attraverso le alienazioni esse sottraggono alla città il fondamento materiale del progetto collettivo.

Un solo illustre esempio. Bologna, anni ’70: il piano per il centro storico, tutt’oggi indicato a livello internazionale come ricetta valida per contrastare i fenomeni di gentrificazione, era fondato sulla restituzione all’uso collettivo degli edifici di valore monumentale che, oltre a comporre la scena urbana, furono il luogo del potere e dei soprusi. Palazzi, carceri e caserme – liberàti – vengono riconsegnati alla cittadinanza, sia come centri di quartiere sia come contenitori di funzioni rare, ma comunque ad alta socialità.

In tema di trasmutazione dell’ente locale in piazzista, a Firenze si assiste forse al caso più luminoso. Sul sito del Comune è ancora disponibile (e quindi, immaginiamo, ancora attuale) il catalogo Florence city of the Opportunities (sic, 2014) che illustra, a mo’ di catalogo commerciale, una serie di 59 edifici in vendita, dei quali ben 42 sono privati o di enti pubblici diversi dal Comune (Ferrovie, CNR, Poste etc.).

Del catalogo, presentato nel 2014 dal sindaco in persona alle fiere della speculazione immobiliare, sono stati venduti alcuni bocconi pregiati: via Bufalini (già proprietà Cassa di Risparmio, 18.800 mq di SUL, superficie utile lorda) alla Colony Capital di Tom Barrack, «close friend of President Donald Trump»; alla stessa compagnia statunitense vanno gli 89.000 mq della Manifattura Tabacchi. L’ex collegio della Querce (13.400 mq), a un magnate indiano «che ne farà un “sette stelle” extralusso», parola di Nardella. Lo Student Hotel nel Palazzo del Sonno aprirà a settembre.

La vendita di tre importanti edifici di proprietà comunale, presenti in catalogo, è avvenuta secondo un medesimo copione (che evidenzia la forza del legame Firenze-Roma). Il Teatro Comunale viene comprato dalla Cassa Depositi e Prestiti SpA (CDP), pochi giorni prima della chiusura del bilancio comunale: siamo nel dicembre 2013, Renzi è in ascesa verso palazzo Chigi. (Per inciso, CDP diventa società per azioni nel 2003, tradendo il suo mandato di Banca di Stato nata per elargire prestiti alle amministrazioni locali, finalizzati ad opere di pubblica utilità). Lo stesso salvataggio del bilancio avviene l’anno successivo con l’acquisto di palazzo Vivarelli Colonna, ancora da parte della CDP. E nel 2015 con palazzo Gerini.

L’ultimo piano comunale delle alienazioni, approvato nei giorni scorsi con il bilancio preventivo 2017, offre in pasto al libero mercato:

– la rinascimentale Villa di Rusciano, posta in vendita malgrado la clausola testamentaria che ne vincolerebbe l’uso. Si noti che per trasferire la Direzione Ambiente (che ora ne occupa i locali) ed altri uffici comunali, è stato autorizzato l’acquisto dalla “FS Sistemi Urbani-Società a responsabilità limitata”, di due immobili in viale Fratelli Rosselli per 9.828.520 euro. Tale acquisizione viene giustificata con l’argomento dei «fitti passivi». Ma perché investire 10 milioni di euro con tanti immobili vuoti di proprietà comunale? I 6-7 milioni stimati come base d’asta per la vendita della villa di Rusciano non porterebbero l’operazione in pareggio. Forse non è solo una scelta di bilancio;

– il palazzo Vegni, che ospita una delle sedi della facoltà di Architettura;

– la palazzina Grilli (Scuola di Polizia) nel Parco delle Cascine;

– il deposito del tram a Varlungo;

– il Nuovo conventino, per cui si prevede la demolizione con ricostruzione;

– il Padiglione 37 a San Salvi;

– le Gualchiere di Remole, documento di archeologia industriale medievale;

– la scuola di via di Villamagna. Un inciso: a questo edificio, sede storica del CPA (Centro Popolare Autogestito Fi-Sud), potrebbe essere applicato qualcosa di simile alla famosa delibera “per l’ex Filangieri” di Napoli (n. 400/2012, cfr. anche la recente 446/2016). Come è noto, la delibera napoletana fa leva sulla categoria giuridica di «bene comune» e riconosce ad alcune esperienze di riappropriazione in autogestione di edifici dismessi il «valore sociale di ambienti di sviluppo civico», e come tali le ritiene strategiche. Quando con alcuni comitati proponemmo qualcosa di analogo nelle osservazioni al RU 2014, per l’area del CSA-Next Emerson di via di Bellagio, assessore e ufficio tecnico rigettarono la proposta come «non pertinente». Un caso di lungimiranza urbanistica.

Nel piano delle alienazioni comunale, infine, è messa in vendita una sessantina di appartamenti. Tra di essi, l’immobile di via del Leone in cui da anni è portata avanti una sperimentazione sociale che ravviva il quartiere di piazza Tasso (anche per questo edificio varrebbe l’argomento dello «sviluppo civico» contenuto nella delibera napoletana).

Nella lista troviamo inoltre, non senza disapputo, gli appartamenti di via dei Pepi: si tratta di case «storicamente» utilizzate con «finalità sociali proprie dell’edilizia residenziale pubblica» (LRT 96/1996, art. 2) e gestite da Casa SpA, cioè dal Comune. Esse, quindi, come tali – scrive il Movimento di Lotta per la Casa – sarebbero «alienabili solo con i piani di vendita dell’edilizia residenziale pubblica che ne vincola i proventi a reinvestimenti per le stesse finalità». Questo provvedimento di alienazione va ad inserirsi in un quadro di disagio abitativo assai esteso e, purtroppo, in progressiva espansione, che vede a Firenze oltre 12.000 famiglie organizzate in 160 comitati di autogestione, vessate dai regolamenti sempre più restrittivi per l’assegnazione degli alloggi. Famiglie che lottano contro l’impoverimento e il furto operato in città dalla privatizzazione di beni e servizi.

Per favorire il ripopolamento dei quartieri storici, per contrastare la sostituzione degli abitanti, e per calmierare la rendita posizionale, sarebbe opportuno invece un rilancio dell’edilizia residenziale pubblica che potrebbe far perno sugli appartamenti pubblici in area centrale (come lo fu nel citato piano bolognese). Ma niente da fare. Il Comune prosegue in una strategia di fallimentare gestione urbana: allentare le maglie dei regolamenti urbanistici, ammutolire il progetto sociale, dismettere l’idea di uguaglianza urbana, e quindi favorire l’acquisizione di interi pezzi di città da parte del mercato di lusso e del turismo globale.

Il piano delle alienazioni fiorentine comprende anche la concessione pluridecennale a privati: i 10.800 mq dell’ex Tribunale di San Firenze (il contratto è stato sottoscritto a fine 2016 con Zeffirelli per un «Palazzo delle Arti e dello Spettacolo»); l’ippodromo delle Mulina, al centro di un’indagine della Magistratura, che vede coinvolti esponenti del giglio magico (“il Fatto quotidiano”, 20 dicembre 2016); l’ex ristorante Le Rampe; porzioni di villa Favard; e l’«ex» Mercato ortofrutticolo di Novoli: la concessione è legata al project financing per la realizzazione del nuovo stadio e strutture annesse che troveranno sede proprio sull’area Mercafir; ma di questo abbiamo già scritto.

Neanche la Città metropolitana mette in pratica politiche più illuminate. Nel suo piano delle alienazioni sono presenti:

– il complesso di Sant’Orsola, 17.500 mq centralissimi da attribuire con concessione a lungo termine: si ventila l’ipotesi della Bocelli Academy, esclusiva scuola di arti liriche di cui proprio il quartiere non riusciva a fare a meno;

– la fattoria di Mondeggi: sede di un’esperienza rilevante di neoagricoltura e autogestione di terreni demaniali; villa e poderi sono ora in vendita in unico lotto;

– ex ospedale di Bonifacio sede della Questura di Firenze;

– la caserma dei pompieri, in via La Farina.

Passiamo alla Regione. In questo caso il lusso – luxury – è pervasivo, sia nel messaggio che nel vettore comunicativo. Il sito Invest in Tuscany si propone ai mercati stranieri con un’aura da real estate magazine d’alto bordo. Tra gli edifici pubblici immolati al mercato: villa Basilewsky (900 mq e 3.000 di giardino, alla Fortezza); villa Fabbricotti (1.800 mq, in quasi 4 ettari di parco pubblico in piena città); ex Meyer (2.500 mq); ex sede regionale di via Pietrapiana, 1600 mq «di straordinaria qualità» e 650 mq di giardino, a cinque minuti dal Duomo; villa Larderel sulle colline di Pozzolatico (11.800 mq con sette ettari di parco).

Alcuni edifici di competenza regionale, già destinati ad usi sanitari e perciò situati in quota, costituiscono il fronte collinare di aggressione alla città pubblica: il sanatorio Luzzi, 6.800 mq con 29 ettari di terreno; il sanatorio Banti a Pratolino (13.000 mq, 4 ettari e mezzo di terreno); l’ospedale di Fiesole in via Vecchia Fiesolana, 4000 mq ancora in uso.

Su Invest in Italy Real Estate, l’omologo statale del sito toscano, troviamo l’avviso di vendita della vasta area centrale delle Officine Grandi Riparazioni. 54.000 mq di superficie utile lorda, con base d’asta di 16 milioni e mezzo, sono messi in vendita da FS Sistemi Urbani e Società Rete Ferroviaria Italiana. Nell’area sono previsti: «Edifici residenziali (32.400 mq), turistico-ricettivi (8.100 mq), commerciali (4.860 mq), direzionali e servizi per studenti (8.640 mq)» (cfr. RU, scheda ATa 08.10).

Altro, non secondario, capitolo è quello delle ex caserme.

Le caserme, oggi vuote, si presterebbero – per qualità intrinseche – ad un progetto di accoglienza provvisoria di rifugiati, richiedenti asilo, senza tetto e profughi dello sviluppo, resosi urgente dopo l’ultima vittima nell’incendio del capannone Aiazzone. Le caserme sono edifici adatti all’ospitalità del “popolo nuovo”, non solo per la loro conformazione architettonica, ma anche per la loro localizzazione per lo più nella città consolidata, talvolta ubicate proprio in quei settori del centro cittadino nei quali risulta evidente una situazione di disagio sociale e abitativo. Da questa immissione demica i quartieri potrebbero trarre le forze per la loro rinascita.

Un’ottima occasione di riscossa è però andata persa con la vendita della caserma di costa San Giorgio all’argentino Lowenstein (lo stesso che ha acquistato la villa-fattoria medicea di Cafaggiolo). Merita ricordare che per il complesso della ex caserma (15.230 mq), stretto tra i bastioni michelangioleschi di San Miniato e il giardino di Boboli, la proprietaria CDP in vista della vendita presentò osservazioni al RU (2014) che lo faceva ricadere parte in zona G (“Servizi pubblici di quartiere”), parte in zona F (“Attrezzature pubbliche di interesse generale”). Le osservazioni erano «finalizzate ad ottenere che la futura destinazione urbanistica dell’immobile preved[esse] destinazione ricettiva, residenziale e commerciale, secondo un mix funzionale da definire e comunque con destinazione prevalente ricettiva». Non stupisca che la proposta trovò pronta disponibilità presso gli uffici tecnici, e fu accettata (cfr. RU, scheda AT 12.05).

Questo l’elenco delle caserme (proprietà del “Fondo Investimenti per la Valorizzazione” della CDP) in trasformazione o in vendita nel centro cittadino:

– ex ospedale militare San Gallo, oggetto di un concorso bandito dalla stessa CDP «per la definizione della normativa urbanistica» (sic) da «sottoporre all’esame dell’Amministrazione comunale ai fini dell’elaborazione di una variante al Regolamento Urbanistico» (Bando progettosangallo.it, p. 6), Regolamento Urbanistico che, per i 16.200 mq in pieno centro storico, ha elaborato la stringente destinazione a «mix funzionale da definire» (RU, scheda AT 12.43);

– ex Scuola dei Marescialli, di fronte alla Stazione di Santa Maria Novella. 4.400 mq dell’ex convento sono destinati dal Comune a raddoppiare la sede museale. Per i rimanenti 16.000 mq dell’ala ottocentesca, malgrado la carenza di spazi per gli uffici comunali, non esiste ancora un progetto (la consigliera Amato, di Alternativa libera, vi proponeva: «anagrafe, cultura, polizia municipale, altri eventuali servizi sanitari e pubblici, e housing sociale»);

– ex caserma Ferrucci a fianco della chiesa brunelleschiana di Santo Spirito (6.200 mq in Oltrarno, occupati al 25%); il complesso, rassicura Invest in Italy, «non sarà alienato dal Ministero della Difesa ma verrà assegnato, mediante concessione d’uso»;

– ex caserma Redi nel convento del Maglio – 4.560 mq oggi parzialmente occupati dal Dipartimento di Medicina legale Militare – diverrebbe la sede del «politecnico del restauro», ERihs European Research Infrastructure for Heritage, grazie a dieci milioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze (cfr. “Corriere fiorentino”, 17 gennaio 2017);

– nella ex caserma Cavalli, 6.225 mq in «fase di liberazione», la Fondazione CR «farà nascere l’incubatore di imprese», così afferma Nardella; ma nel sito della CDP ancora si legge essere destinata alla «vendita con trattativa privata».

Discorso a parte per la ex caserma dei Lupi di Toscana, 53.000 mq di SUL ai confini comunali. Passata nelle mani del Comune di Firenze grazie al federalismo demaniale, la caserma è attualmente oggetto di concorso internazionale. Il concorso è partito prima della conclusione della consultazione pubblica che, adattando ai tempi il dettato di La Pira, portava il titolo: «Non case, ma città 2.0». Senza il plauso dell’Unione inquilini.

Ulteriori edifici concludono, per ora, il lungo elenco delle occasioni vanificate per ricostituire la città pubblica. A ciascuno di essi, il sito della CDP da cui li ho tratti, attribuisce possibili destinazioni, nel segno del lusso (residenza, turismo, rappresentanz):

– villa Banti (1.335 mq, proprietà del Ministero della Difesa, nei pressi di piazza Donatello);

– villa Sepp, di proprietà CREA-Consiglio per la Ricerca e l’Analisi dell’Economia Agraria: 2.200 mq affacciati su piazza D’Azeglio;

– complesso Bardini (via dei Bardi, 2.141 mq) ed «Eredità» Bardini (via San Niccolò 78, 1.234 mq), entrambi di CDP Investimenti SGR SpA, in vendita con trattativa privata;

– villa Tolomei a Marignolle, in vendita con trattativa privata, 4.303 mq con 18 ettari di terreno, è un caso emblematico: villa privata, poi scuola pubblica poi comando dei Carabinieri, ora – in concessione dallo Stato – resort di super lusso (qualcuno disse che doveva diventare il modello per la gestione di Pompei).

Quanto al palazzo in via de’ Benci prospiciente il Museo Horne (proprietà: CDP Investimenti SGR Spa), l’offerente opera un significativo cortocircuito tra slancio del desiderio e vincolo urbanistico. Nell’edificio, si legge sul catalogo, «secondo lo strumento urbanistico adottato, le funzioni private sono liberamente insediabili, pur con alcune limitazioni». Sembra il minimo.

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