George W. Bush ha cambiato più volte, in questi mesi, le ragioni che, a suo dire, rendono necessaria e improcrastinabile una guerra all'Iraq. All'inizio era che Saddam Hussein non accettava le ispezioni dell'Onu. Ma il rais le ha accettate. Poi che non avrebbe comunque mai permesso agli ispettori di entrare nei palazzi imperiali e quello si è lasciato frugare perfino nel frigorifero. Allora si è detto che non collaborava con la dovuta solerzia. Ma, a quanto pare, Saddam è disposto anche a distruggere i missili Al Samed su richiesta dell'Onu, perché superano di una trentina di chilometri la gittata consentita, richiesta che appare davvero jugulatoria perché priva l'Iraq di una delle sue poche armi di difesa
Poiché sul terreno delle "armi di distruzione di massa" gli ispettori non sono riusciti a trovare nulla, e il famoso rapporto di Colin Powel non ha convinto nessuno e si è risolto in un autogol clamoroso, Bush ha allora dichiarato che la guerra era comunque legittima perché l'Iraq ha legami con Al Qaeda. Ma anche questa tesi è difficilmente sostenibile perché non c'era un solo iracheno nei commandos che hanno colpito le torri gemelle e il Pentagono, né se n'è trovato uno nelle cellule di Al Qaeda, più o meno autentiche, che sono state via via scoperte, e perché il regime di Saddam, certamente pessimo per altre ragioni, è molto lontano dal fondamentalismo islamico alla Bin Laden tant'è che la religione cristiana vi è liberamente praticata e il numero due del governo, Tarek Aziz, è, appunto, cristiano.
A corto di argomenti George W. Bush ci viene oggi a dire che Saddam Hussein va comunque spazzato via perché è un dittatore e che gli americani faranno dell'Iraq "un esempio di democrazia", in ciò seguito dal nostro Berlusconi che vuole portare in quel Paese "elezioni libere entro un anno", indicando magari fra i futuri governanti, come propone e dispone Pannella, Emma Bonino, che raccogliendo in Italia un consenso con percentuali da albumina ne raccoglierebbe invece uno plebiscitario nella Baghdad liberata. Bush aggiunge che Saddam Hussein è solo il primo, "poi toccherà agli altri dittatori".
Non vogliamo nemmeno obbiettare che se così dovesse essere gli Stati Uniti dovranno allora occuparsi di Musharaf, il dittatore pakistano che ha preso il potere con un colpo di Stato, che nel suo Paese è autore di una repressione feroce e sanguinaria contro gli oppositori, che possiede non bombette chimiche, ma l'atomica è che pure è stato alleato determinante degli americani nella guerra all'Afghanistan, e lo è tuttora, e di tutti quei regimi monocratici, in Giordania, in Egitto, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Oman, che sono pure loro alleati e, in qualche caso, dei loro protettorati. Non vogliamo muovere questa obiezione perché la questione non è questa. Voler portare la democrazia in Paesi che hanno storie e culture diverse dalle nostre con la forza e la violenza delle armi ci sembra una contraddizione in termini, significa avere una concezione totalitaria e assolutistica della democrazia. Ci sembra che proprio qui stia quello che abbiamo chiamato "il vizio oscuro dell'Occidente": la convinzione fideistica, quasi religiosa, di possedere "il migliore modello possibile" e la pretesa di esportarlo ovunque, con le buone e, sempre più spesso, con le cattive. Poiché turbavano il nostro senso estetico democratico abbiamo già spazzato via con la violenza delle armi Slobodan Milosevic (che peraltro era solo un autocrate, che aveva vinto due successive tornate elettorali in un Paese dove esisteva un'opposizione, una stampa di opposizione, una feroce satira di opposizione) e il mullah Omar che governava l'Afghanistan in ragione di un carisma che si era conquistato sul campo, ma non, cosa imperdonabile, con un voto come, poniamo, il senatore Renato Schifani. Negli anni Trenta erano le dittature che volevano spazzare dalla faccia della terra le democrazie con la guerra. Oggi sono le democrazie che vogliono spazzare dalla faccia della terra le dittature con la guerra. Cos'è cambiato?