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Giuseppe D?Avanzo
Il bambino prepotente
21 Maggio 2004
Articoli del 2003
Il ritratto di un uomo di punta del regime Berlusconi, tracciato da Giuseppe D’Avanzo su Repubblica del 27 aprile 2003. Riso e pianto sono sempre mescolati in questi anni italiani, sebbene prevalga il secondo.

CHIUNQUE ha conosciuto un bambino prepotente. Penso a quel tipo di bambino che arriva al campetto di calcio con il suo bel pallone di cuoio grasso e propone di mettere insieme due squadre e una partita. Sapete, uno di quei bambini che non sopporta che non gli si passi la palla spesso, molto spesso, quasi sempre.

O, peggio, non tollera che finisca sotto di un paio di gol perché, a quel punto, si sa come finisce il pomeriggio: il bambino prepotente, rosso di rabbia, raccoglie il «suo» pallone e dichiara chiusa la partita nel deluso silenzio di tutti gli altri.

Nelle quinte del processo di Milano, Cesare Previti appare sempre più quell´arrogante bambino "proprietario" del pallone. Vuole decidere lui quando si gioca, come si gioca, chi gioca. Che sia una partita di calcetto o un processo o un confronto parlamentare o una legge dello Stato, non importa.

Decide lui chi vince e chi perde, e indovinate chi vince sempre? D´altronde, raccontano che quando, «ai bei tempi», il Nostro organizzava al Circolo Canottieri in riva al Tevere «memorabili» partite a calcetto, i giocatori sapevano che bisognava dargli la palla a ogni azione, e magari gridargli «Forza, Cesare!», «Bravo, Cesare!». Soprattutto era necessario non mandarlo mai sotto nel punteggio, mai. I malaccorti che hanno dimenticato i due essenziali precetti, dicono, non sono stati più invitati.

Come il bambino arrogante con il "suo" pallone, Cesare Previti è dannatamente sincero. Non sa rinunciare alla sua micidiale sincerità, all´energica autenticità della sua visione del mondo. Non gliene fotte nulla del gioco, dei giocatori, delle regole del gioco. Gli importa soltanto vincere, vincere, vincere, e peggio per chi non lo capisce... Il Nostro ha già dato un pubblico saggio di questa sua trasparente qualità di uomo, cittadino, professionista, eletto del popolo quando, dopo 27 mesi di dibattimento, si presentò in aula a Milano per essere finalmente interrogato.

Previti non fece nulla per nascondere se stesso, per celare a chi lo ascoltava la sua familiarità con l´illegalismo e l´opacità dei comportamenti: una familiarità così radicata, identitaria (si può dire) da non fargli più avvertire né l´illegalismo né l´opacità. In quell´occasione, Previti fu prepotentemente sincero nel non riconoscere a nessuno in quell´aula - dove capeggia il monito «La legge è uguale per tutti» - il diritto di fargli domande, di imporgli una risposta. Disse spesso, guardando con occhi di sfida verso il banco dei giudici: «A questo non voglio rispondere... Questo non glielo dico, sono affari miei...». Fu sincero quando raccontò degli arnesi illegali utilizzati in tutta una vita professionale per proteggere le sue ricchezze dal fisco. Fu sincero nel suo disprezzo per la legge o la regola.

Sembrava non sentire nemmeno in quell´occasione il peso della frode. Né finse mai di avvertirlo, in verità. Per dire, raccontò di come, per far rientrare un po´ di miliardi (3,5) di vecchie lire in Italia, manipolò una vendita fittizia di una sua villa ad Ansedonia. Senza che nessuno glielo chiedesse, informò che il maneggio (Previti lo definì «esterovestizione» ) fu opera del figlio Stefano. Non si curò di rovinare così la reputazione dell´erede perché - «sinceramente» , aggiunse - non avvertiva il dolo in quella manovra. Era roba sua, quel denaro, e ne faceva quel che voleva, quando voleva, come voleva: e al diavolo il fisco. Il «pallone» era suo, o no? E allora? Ieri Previti ci è ricascato. Per tre udienze i giudici del Tribunale hanno atteso che il Nostro, come aveva annunciato, facesse le sue «dichiarazioni spontanee». All´ennesima assenza e impedimento, hanno chiuso finalmente il dibattimento e ora resta loro soltanto di raccogliersi in camera di consiglio, valutare gli argomenti dell´accusa e le ragioni della difesa, decidere se gli imputati hanno o meno corrotto i giudici, se ci sono giudici che si sono lasciati corrompere.

La settima ricusazione del Tribunale proposta dall´eccellente imputato li ha di nuovo fermati sulla soglia della camera di consiglio mentre Cesare Previti, lontano, a Roma, all´ombra di quel Palazzo governato dai suoi amici, si è abbandonato al solito flusso verbale. Ha salmodiato la consueta litania nella convinzione che semplicemente ripetendo ossessivamente una cosa, quella cosa senza fondamento diventi vera come veri sono il giorno e la notte, vera più dei fatti che la contraddicono.

Non sono stato in grado di difendermi, si è lagnato. Hanno rifiutato di acquisire le prove che mi scagionano, ha ripetuto. Come se questo processo non durasse da tre anni (a voler dimenticare gli anni dell´udienza preliminare).

Come se, dell´affare, non si fossero occupati non solo quel giudice di Milano «totalmente privo di requisiti di imparzialità e terzietà» , ma in ogni piega altre procure (Perugia, Brescia) e Corti d´Appello e Corti di Cassazione e Corte suprema a Sezioni unite e Corte costituzionale e ispettori del Ministero della Giustizia e Consiglio superiore della Magistratura. Ma, lo si diceva, Previti è un uomo sincero e, anche ieri, l´ha detta tutta come quel bambino con il pallone.

«Io voglio che questo collegio del tribunale di Milano sia sostituito», dice Previti. Quei giudici possono dargli torto e condannarlo e il Nostro non li vuole, non vuole essere giudicato da quelli lì, ce ne vogliono altri e «sarebbe paradossale se il sistema non intervenisse» , conclude Previti. Può perdere la partita e chiede, grida che la partita sia sospesa e subito. Che cominci da qualche altra parte e che magari gli sia concesso qualche punto di vantaggio così che possa finalmente farcela. Se si giocasse al Circolo Canottieri in riva al Tevere saprebbe come rimettere a posto le cose, ma gioca fuori casa, a Milano, in un´aula di giustizia e dunque intervenga il Parlamento. Cambi le leggi, modifichi l´ordinamento giudiziario, intimidisca quei giudici se non vogliono levarsi di torno, ma faccia qualcosa il Potere perché «fatti di questo genere non devono accadere e chi li commette deve pagarne le conseguenze» .

Difficilmente Cesare Previti rinuncerà all´arrogante convinzione di essere giudicato da un giudice che non si è scelto da solo. Martedì, alla nuova udienza, invocherà allora l´impedimento parlamentare e non si presenterà.

Chiederà un rinvio. Nuova udienza, sabato 3 maggio. In quell´occasione proporrà un altro fermo in attesa dell´appello in Cassazione dell´ultima ricusazione (già valutata inammissibile dalla Procura Generale). Nuova udienza martedì 6 maggio, ma quel giorno farà in modo di essere da qualche parte a Montecitorio. Nuovo rinvio... E così di strappo in strappo, di abnormità processuale in deformità procedurale in attesa che accada qualcosa che possa interrompere il gioco che sente minaccioso nell´esito. Magari il «patteggiamento allargato» in discussione alla Camera può dare un po´ di respiro e chi sa che, con un colpo di mano, non si faccia in tempo a ripristinare l´immunità anche per i parlamentari e non soltanto per il presidente del Consiglio...

È quel che accadrà? Ora è chiaro che, mentre questo benedetto processo deve avere una giusta sentenza (quale che sia), tocca alla maggioranza politica che sostiene Previti dirgli un «basta» di dignità e decenza. Per liberare il Nostro e il capo del governo dai grattacapi giudiziari, il centro-destra ha già manomesso il codice penale, la sua procedura e minaccia ora l´equilibrio dell´amministrazione della giustizia, l´ordinamento giudiziario e, quel che più conta, il diritto fondamentale che, in tutti i tribunali, campeggia a grandi lettere nella formula: «La legge è uguale per tutti». La maggioranza ha approvato leggi (falso in bilancio, rogatorie, rientro dei capitali dall´estero), non previste dal programma di governo, che possono trasformare l´Italia in un "paradiso penale". Sono state mosse ad alto costo per l´equilibrio dei poteri dello Stato, ad altissimo costo per la credibilità internazionale del Paese. Ora può bastare. Qualcuno spieghi a Previti che deve tornarsene casa con il "suo" pallone perché la partita continua. Secondo le regole del gioco.

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