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Eddytoriale 07 (16 marzo 2003)
11 Gennaio 2005
Eddytoriali 2003
16 marzo 2004 - Quand’ero piccolo ero monarchico. Chi leggerà i miei ricordi comprenderà perché. È perciò con un sentimento abbastanza particolare che ho seguito le vicende (la cronaca) di questa povera discendenza di Carlo Alberto, sbarcata a Napoli ed accolta dalla rissa tra borboni, savoiardi e fascisti. Napoli, la città dove siamo nati sia io sia Vittorio Emanuele (ricordo i 101 colpi di cannone, omaggio al neonato Principe ereditario, mentre bambino mi affacciavo alla finestra della casa a Corso Vittorio Emanuele).

Ne è passato del tempo da allora: un abisso, se lo misuriamo non in anni ma in eventi: tragedie e glorie, miserie e ricchezze, fatiche, piaceri, speranze, delusioni, mondi nuovi e macerie di universi. Epoche, separate da abissi. Uno snocciolarsi di eventi che ha cambiato il panorama di ciascuno di noi, e quello di noi tutti.

La guerra dei nazisti e dei suoi alleati in orbace e in grigioverde, accorsi per partecipare alla divisione delle spoglie. I bombardamenti delle città, la povertà e la condivisione solidale delle scarse risorse. I bollettini di guerra, e le trapelanti notizie degli uomini massacrati nel gelo e nel deserto dei fronti lontani. La scoperta dell’antifascismo e gli eventi di una Resistenza che si svolgeva accanto a noi. Lo svelamento degli orrori che, nel silenzio miope o complice dei nostri padri, era stato lucidamente perpetrato dal razzismo, non solo altrui.

E poi, la riscoperta della politica, della democrazia, della competizione civile tra idee differenti. La fatica della ricostruzione e l’asprezza dei conflitti. La rottura dell’unità antifascista nel mondo e le nuove barriere al bolscevismo. Le piazze colorate divise dalla bandiere contrapposte ma unite dalla ricerca di valori e interessi comuni. L’austera severità e la minacciosa fermezza delle tute blu in corteo tra i palazzi signorili. Il manifestarsi dei frutti della ricostruzione: benessere, modernità, abbondanza dei consumi, nuovi orizzonti nei commerci e nei costumi. L’ingresso prepotente delle donne nel lavoro e dei valori urbani nella vita di tutti. E la scoperta dei prezzi inconsapevolmente pagati: le città a sacco, le coste devastate, le campagne abbandonate, i boschi distrutti – e insieme, l’affievolirsi dei sentimenti di solidarietà.

E ancora: i tentativi di cambiamento, tra velleità e delusioni e grandi speranze e fragili conquiste. Le molte facce della reazione, fino a quelle devastanti del terrorismo bombarolo di destra (e poi di quello di sinistra). Il crollo di una speranza e l’apertura di nuove complicate relazioni tra il mondo vincente del capitalismo di mercato e quello sconfitto della pianificazione socialista. La nuova frontiera dell’Europa, e la scoperta dei limiti: da quelli del pianeta e delle sue risorse, a quelli della democrazia e delle sue regole.

Fino a questi giorni, alle soglie della guerra dell’”Impero del bene” contro il resto del mondo: Un mondo che si era svelato molto più ricco di civiltà, fedi, religioni, costumi, ancora irriducibili a valori comuni, di quanto avessimo potuto immaginare. Il sorgere, accanto e in contrasto al nuovo imperialismo, di nuove estese solidarietà, gettate su territori tra popoli lontani (quanto memori di quelle solidarietà che avevano sconfitto l’orrore nazifascista?).

Leggere le cronache dell’arrivo dei reduci Savoia a Napoli fa comprendere che è passato ben più di qualche decennio. E scorrere le cronache di oggi è come guardare in un cannocchiale rovesciato.

Vedi, a proposito, i miei ricordi

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