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Eddytoriale 11 (15 aprile 2003)
11 Gennaio 2005
Eddytoriali 2003
15 aprile 2003 – Due minacce su Venezia. Una dall’interno: la strisciante trasformazione in Disneyland, mirabilmente descritta da Francesco Erbani su Repubblica del 13 aprile. Una dall’esterno: il MoSE, di cui fra poche settimane il signor B (e chi altri, se no?) inaugurerà la posa della prima pietra. Sulla prima minaccia poco ci sarebbe da aggiungere all’accurata indagine di Erbani (una domanda: quando raccoglierà in un volume le sue analisi sulla situazione delle città e del territorio?). Alle trasformazioni nel settore del patrimonio abitativo e nelle strutture edilizie veneziane ci sarebbe magari da aggiungere analoghe denunce per quanto da tempo avviene nel settore del commercio al dettaglio e dei pubblici esercizi.

Anche lì, la rottura con una tradizionale politica di contenimento delle trasformazioni degli usi dei locali al piano terreno, che aveva visto le precedenti giunte resistere per anni all’apertura del primo fastfood a Campo San Luca, è avvenuta con la liberalizzazione promossa dalla prima giunta Cacciari. Precisamente, con la revoca della delibera comunale che, applicando una legge nazionale (15/1987), consentiva al Comune di evitare l'invasione dei fast food e dei negozi di junk in modo ancora più efficace del PRG.

Il MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) è un gigantesco sistema, molto hard, di sbarramento mobile (ma con consistenti opere fisse) delle acque ai tre varchi (le Bocche di porto) che regolano lo scambio tra acque marine e acque salmastre da cui dipende l’equilibrio delle acque, della vegetazione, della fauna (in una parola,l’equilibrio ecologico) di quel preziosissimo bene che è la Laguna di Venezia. La sua funzione dovrebbe essere quella di chiudere automaticamente l’accesso alle acque del mare quando queste minaccino di superare un certo livello e di provocare l’allagamento dei pavimenti delle zone abitate della laguna.

Non è facile comprendere perché il sistema di sbarramenti progettato da un consorzio di imprese concessionarie dello Stato è giudicato da moltissimi un’opera di incerta utilità ai fini del suo obiettivo, penalizzante per l’attività del porto (una delle maggiori risorse della vita economica della città), devastante per l’equilibrio ecologico della laguna.

Per comprenderlo, occorre ricordare che la laguna basa, da secoli, il suo equilibrio su un lavoro quotidiano e minuto di manutenzione volto al governo dei numerosissimi elementi naturali (lunghezza e profondità dei mille canali che la percorrono, caratteristiche della vegetazione, difese dei litorali, estensione del bacino salmastro, caratteristiche degli apporti solidi e liquidi dei corsi d’acqua) cui è affidata la possibilità di mantenere la laguna in quanto tale. È solo grazie a tale azione di governo della laguna che è stato possibile scongiurare i due destini cui l’evoluzione naturale la condurrebbe in alternativa: diventare una palude, e poi una terra ferma, ove prevalgano gli apporti solidi dei fiumi; diventare una baia aperta, ove prevalga la forza delle onde marine.

Solo una moderna visione sistemica può consentire oggi di assicurare ancora quell’equilibrio, al cui ripristino è affidabile anche la massima parte dell’obiettivo della riduzione delle acque alte a livelli ragionevoli. Acque alte divenute progressivamente più minacciose per effetto del prelevamento delle acque dal sottosuolo per alimentare le industrie di Porto Marghera (ora cessato), del restringimento dell’area su cui può espandersi il flusso di marea (dovuto ai progressivi interrimenti e alla formazione di bacini chiusi per l’itticultura), del poderoso aumento della sezione dei canali che immettono l’acqua marina (allargati e approfonditi per consentire l’ingresso delle petroliere), dell’aumento dei livelli degli oceani (dovuto agli eventi meteorici planetari).

La querelle tra le forze locali più sensibili all’ambiente e a uno sviluppo duraturo, e quelle volte a cogliere le occasioni immediate di espansione economica connesse alle “grandi opere” sta tutta nella contrapposizione di due progetti. Schematizzando molto (ma tornerò presto sull’argomento, con commenti e documenti), il primo assume come obiettivo prioritario il riequilibrio del complesso sistema lagunare, agendo sull’insieme degli elementi che lo costituiscono; il secondo propone un sistema, di matrice ingegneristica, faraonico per l’impegno di spesa richiesto, incerto nella possibilità effettiva di raggiungere gli obiettivi proposti, sicuramente dannoso nei confronti di elementi rilevanti dell’ecosistema lagunare (e del suo equilibrio complessivo), irreversibile nelle trasformazioni dell’ambiente fisico che determina.

In questi giorni, è la seconda prospettiva quella che ha prevalso, grazie anche a una sapiente trappola nella quale (come documentano le cronache cittadine) sono caduti gli oppositori comunali al progetto MoSE, e alle forzature operate dai potenti sostenitori di quest’ultimo.

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