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Eddytoriale 03 (15 febbraio 2003)
11 Gennaio 2005
Eddytoriali 2003
15 febbraio – L’editoriale del mio amico americano Joel H. Crawford testimonia che l’opposizione a Bush e alla sua insensata politica di dominio non è prerogativa dell’Europa. Sottolineo questo elemento perché vedo serpeggiare, al di là e al di qua dell’Atlantico, germi di intolleranza che mi spaventano.

Mi spaventano quando arrivano dai mass media e dalla e-mail a raffica che scaturiscono dal Paese devastato nella sua sicurezza dai terroristi suicidi dell’11 settembre, quando assumono la forma del dileggio agli europei imbelli e cialtroni che vogliono la pace ad ogni costo. E mi spaventano quando li sento serpeggiare nei nostri discorsi e nelle nostre piazze.

L’editoriale del mio amico americano ricorda quanto siamo vicini, sulle due sponde dell’Atlantico, nel male e nel bene: europei e americani, e soprattutto italiani e americani.

Come loro, anche noi abbiamo oggi un governo democraticamente eletto (con le regole di questa limitata democrazia che siamo riusciti a costruire), ma devastante negli obiettivi che si pone e nei modi in cui li persegue. E non so, francamente, se sia più mortificante per noi l’essere rappresentati dal servilismo strisciante e guitto del tycoon che la maggioranza (risicata) dei nostri concittadini ha scelto per governarci, o per loro il dover essere identificati con l’arroganza trogloditica dell’uomo di affari che una maggioranza (discussa) degli elettori ha sollevato ai fastigi della Casa Bianca.

Come loro, anche noi oggi, 15 febbraio, riempiamo le piazze per protestare per la politica, suicida per la civiltà occidentale, che il padrone e il servo si propongono di scatenare. Come loro, anche noi detestiamo la risposta perdente e omicida del terrorismo, ma vogliamo sconfiggerla con armi diverse da quelle del terrore di massa, e senza negare neppure ai presunti assassini le garanzie che la nostra civiltà ha conquistato al mondo. Come loro, anche noi torniamo ai valori e agli episodi del passato comune per rafforzare la nostra volontà di oggi, per trovare gli antidoti al male che ci circonda.

I valori e gli episodi del passato comune: a questi dovremmo riflettere più tenacemente per combattere i germi dell’intolleranza che serpeggiano al di qua e al di là dell’Atlantico. I valori e gli episodi della lenta e faticosa conquista della democrazia, che per la nostra civiltà ha richiesto secoli di lotte e di maturazioni (e che alle altre civiltà si vorrebbero imporre – come si diceva una volta – con le baionette). Quelli della faticosa conquista dei diritti del lavoro, strappati al capitalismo con quel travagliato e sanguinoso percorso di emancipazione del lavoro che ha il suo simbolo nella festa del 1° maggio (una festa che, non dimentichiamolo, è nata, nel 1886, nelle piazze di Chicago dal sacrificio dei lavoratori americani). Quelli, infine, della resistenza al nazifascismo, che ebbe nell’America di Roosvelt (come nella Gran Bretagna di Churchill e nell’Unione sovietica di Stalin) i protagonisti della sua vittoria.

Ho scelto, come icone di questi giorni, le due immagini affiancate della bandiera della pace e della Guernica di Picasso. Quest’ultima immagine ricorda il primo episodio della resistenza all’intolleranza sanguinaria del nazifascismo. Mi richiama alla memoria un libro che - in questi giorni in cui la bandiera a stelle e strisce rischia di diventare simbolo di ciò che non vogliamo - invito a leggere e a rileggere: Hemingway, Per chi suona la campana: un libro dedicato alla medesima guerra di cui Guernica testimonia gli orrori, e al contributo che dall’altra parte dell’Atlantico venne allora alla salvezza dell’Europa.

Qual è la storia del Primo Maggio?

Che cos’è Guernica?

Che cos’è quel libro di Hemingway?

Perché si chiama “Per chi suona la campana

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