Sono passati dieci anni da quando Antonio Cederna ha lasciato per l’ultima volta Roma per la Valtellina, nell’estate del 1996.
In questo decennio a Roma, per iniziativa del sindaco Francesco Rutelli, è stata intitolata a Cederna una terrazza di fronte alla basilica di Massenzio e al Colosseo, là dove esisteva la collina della Velia, distrutta all’inizio degli anni trenta del XX secolo per aprire via dell’Impero, da piazza Venezia al Colosseo. Così aveva descritto quel luogo in “Mussolini Urbanista” (Laterza, 1979 pag 189): “Bisogna adesso in qualche modo provvedere a rabberciare la parete risultante dal taglio della collina. Uno degli archeologi più intronati propone che “a decorazione dei moderni sostegni” della Villa Rivaldi sia posta “una colossale protome di elefante primigenio, scolpita nel marmo o fusa nel bronzo” a ricordo dei fossili scoperti: una specie di trofeo nel salotto di un cacciatore. Avrà invece la meglio il Muñoz che provvede da par suo alla sistemazione che ancora oggi si può ammirare: un muraglione in mattoni con nicchie, con doppia scala cieca, decorata da dodici grosse palle di pietra. Una foglia di fico al posto di quello che era stato uno dei giardini rinascimentali più belli di Roma”. (L’archeologo citato era G. Marchetti Longhi).
Non sappiamo se Muñoz si sia rivoltato nella tomba quando è stato posto il nome di Cederna su quella terrazza; certo quella decisione è stata variamente commentata. Da una parte si poteva considerare come uno sbaglio di cattivo gusto: quasi si fosse posta una lapide con il trionfale proclama vittorioso di Diaz non a Vittorio Veneto, ma a Caporetto. Da un’altra parte si poteva invece pensare non tanto a un cippo funerario, quanto a una sfida: proprio là dove era stato compiuto uno dei peggiori misfatti denunciati da Cederna (assieme a Borgo, all’Augusteo-Ara Pacis, al Campidoglio), adesso campeggiava il suo nome ad indicare un futuro diverso ed opposto.
E la scelta di quel luogo da parte dell’allora Sindaco poteva confermare la svolta indicata qualche tempo prima dal sindaco Luigi Petroselli, di cui Cederna citava spesso una frase: “Oggi si dice ancora: dato che abbiamo tante macchine, dato che abbiamo queste strutture viarie, vediamo un po’ che cosa si può fare per campare. E invece va detto: dato che non si campa più, veda un po’ la tecnologia, veda la tecnica del trasporto che cosa si può fare, studi, si adatti, si subordini” (“L’Unità” 05/04/1981).
Dato che la Terrazza Cederna è lì, vediamo cosa è stato fatto (e cosa non è stato fatto).
Guardando a destra si vede che sono stati scavati i fori di Nerva, di Augusto, di Traiano, di Cesare, tra via Alessandrina e i Ss. Luca e Martina. Sono venute fuori le cantine del quartiere costruito nel primo ventennio della Controriforma, riempite con i materiali di demolizione dei piani superiori (per risparmiare negli anni trenta il trasporto alle discariche); poi è venuto fuori qualche insospettato edificio dell’Alto Medioevo; poi sono venute alla luce le tante parti dei fori imperiali rimaste sotto l’asfalto e le aiole (e si è visto che non pochi complessi erano diversi da come gli archeologi e gli storici avevano faticosamente ipotizzato); infine si è visto anche qualcosa anteriore alle opere imperiali, repubblicano o magari risalente alle opere idrauliche etrusche.
Dunque aveva ragione Cederna (e Petroselli): valeva la pena.
Guardando davanti alla terrazza Cederna, si vedono gli scavi in corso del foro di Vespasiano - completamente ignorato - che rivela non solo pezzi di gigantesche colonne, ma interessantissimi pavimenti a mosaico e tarsie. Ci si accorge però che altre cose non sono state fatte. Il grande rettifilo piazza Venezia-Colosseo è ancora lì con il suo traffico e spacca ancora in due la grande zona archeologica centrale, impedendo la vera nascita del grande parco Archeologico dal centro all’Appia antica. E si vede che si è dovuta puntellare con giganteschi tiranti d’acciaio addirittura la basilica di Massenzio, messa in crisi dal traffico pesante: la corsia riservata agli autobus è proprio adiacente alla basilica, su un tratto d pavimentazione tra i più disastrati di Roma. Quanto bene facciano le continue vibrazioni ai resti millenari, non è difficile immaginarlo.
Se dalla terrazza si gira lo sguardo di fianco si vede Palazzo Rivaldi (il “Convento occupato” del ’68): sempre più abbandonato e rovinato, con l’acqua che scende dalle grondaie sfasciate e le finestre chiuse con mattoni per sostituire gli infissi scomparsi.
Da trent’anni, ogni tanto i giornali annunciano trionfalmente (come sempre quando una notizia è campata in aria) che il palazzo finalmente è stato venduto, acquistato, che cominciano i restauri, che sarà un museo... (che sarà inaugurato il 21 aprile).
Quando ciò avverrà chi calcolerà i soldi spesi in più dal Comune o dallo Stato per questi decenni di degrado crescente ed esponenziale?
Immaginiamo che Cederna guardi per finire dalla sua terrazza verso il Colosseo: vedrebbe innanzitutto tanti gladiatori e scriverebbe uno dei suoi pezzi furiosi, ma ironici: era un giornalista che sapeva come l’ironia può essere terribile. Dietro ai gladiatori c’è il Colosseo e qui forse Cederna si sarebbe rallegrato perché una parte è stata dedicata a mostre, ma forse avrebbe protestato per il contenuto (o per la FORMA) di qualcuna un po’ troppo vanesia e dedicata solo alla propaganda di un progetto di mantenimento del rettifilo sopra e contro la zona archeologica.
Ma Cederna sapeva guardare lontano e (lasciando perdere l’Ara Pacis e il continuo sproloquiare su parcheggi sotto ai lungotevere) si compiacerebbe per l’avvio (anche se lentissimo, ma ormai si spera senza rischi) del Parco dell’Appia Antica e soprattutto perché c’è e funziona un’opera che fu lui a “lanciare” quando era consigliere comunale; l’Auditorium al Flaminio (a proposito perché non intitolare anche lì qualcosa a Cederna? Magari proprio l’area archeologica scoperta lì dentro).
Un passo avanti e due indietro, questo l’andamento della politica italiana, già tanto precaria, in materia di tutela paesistica e territoriale. Non avevamo fatto in tempo a rallegrarci per la legge urbanistica approvata ai primi d’aprile dal consiglio regionale sardo, ed ecco che sabato scorso il Consiglio dei ministri la boccia con motivazioni inconsistenti e la restituisce al mittente: a una regione che finalmente e dopo gravi ritardi predispone efficaci misure contro il dilagare del cemento, lo Stato risponde con cavilli cedendo, è ovvio supporre, alle pressioni delle forze che traggono le loro fortune dal saccheggio di quella risorsa scarsa e irriproducibile che è il territorio. La legge sarda bloccava infatti l’assalto edilizio alle coste: in sostanza, e per semplificare, prescriveva la loro inedificabilità temporanea (per due anni), in attesa della predisposizione dei piani paesistici. Una prescrizione del tutto ragionevole e da gran tempo auspicata, se appena consideriamo lo stato di fatto e di progetto. Pensiamo che 20 milioni di metri cubi sono già stati costruiti, e altri 50 circa sono previsti dagli sgangherati strumenti urbanistici dei sessantotto comuni costieri: se questa folle previsione venisse realizzata, i 1.569 chilometri delle coste sarde verrebbero sommersi, devastati, privatizzati, sconciati, distrutti sotto un ininterrotto tavoliere di cemento e asfalto, per ospitare oltre un milione e mezzo di turisti, (in pratica raddoppiando in un sol colpo la popolazione dell’isola). Con la legge che blocca l’edificabilità per due anni la Regione Sardegna ha voluto sventare questa autentica soluzione finale delle più belle coste del Mediterraneo, prendere il tempo necessario a riesaminare piani, lottizzazioni e convenzioni per sottoporli a elementari principi di pianificazione: insomma, opporsi al dilagare dell’urbanizzazione selvaggia dettata solo dal capriccio della speculazione e disastrosa, oltre che per territorio ambiente paesaggio, anche per l’economia in generale, perché fatta per tre quarti di seconde case, perché crea pochissimi posti di lavoro (un addetto ogni quaranta posti letto) e perché scarica sulla collettività i costi di servizi e infrastrutture. Bocciando la legge, il governo torna a rendere possibile quella sinistra prospettiva. E lo fa con proterva insipienza, come ha osservato il presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Edoardo Salzano: infatti, quello che più colpisce è l’improprietà delle motivazioni addotte. Dice il governo che la legge sarda è in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato, in particolare con gli articoli 41 e 42 della Costituzione. Sono gli articoli che regolano i modi di acquisto e di godimento e i limiti eccetera della proprietà privata: e quindi non hanno nulla a che fare con la legge in questione, la quale, anziché in contrasto con l'ordinamento giuridico dello Stato, non fa che attuare una legge dello Stato, in vigore da quattro anni, la legge Galasso. Una legge che ha vincolato intere categorie di beni territoriali (parchi, foreste, montagne, coste di mare fiumi laghi) in quanto irrinunciabile patrimonio di bellezze naturali; e ha sottoposto vasti territori a inedificabilità temporanea, in attesa dei piani paesistici regionali (che poi ben poche regioni, in testa l’Emilia-Romagna, abbiano provveduto, è un altro discorso). Non solo: la legge regionale sarda è perfettamente conforme a una famosa sentenza della Corte Costituzionale, la n. 56 del 1968, che ha sancito la piena validità dei vincoli ambientali in quanto tutelano territori che sono di per sé, originariamente, di interesse pubblico; e ha affermato a tutte lettere che la pubblica amministrazione può anche proibire in modo assoluto di edificare, e in tal caso non comprime alcun diritto sull’area, perché quel diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive. Un principio che è stato ribadito in un’altra sentenza di tre anni fa, quando la Corte ha affermato che l’attività urbanistica deve essere piegata a realizzare il valore estetico-culturale del paesaggio, la cui tutela è uno dei principi fondamentali della Costituzione (articolo 9): perché il paesaggio costituisce un interesse primario e prioritario al quale vanno subordinati tutti gli altri interessi, compresi quelli economici. Tutto ciò viene negato dal governo, che dopo essere stato per anni incapace di esercitare le sue funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di assetto del territorio, mette ora i bastoni tra le ruote di una regione che ha fatto una buona legge. E la Sardegna resta senza legge urbanistica, il tempo dei piani paesistici si allontana (intanto sarebbe bene che la regione rinunciasse a iniziative deleterie, come il porto turistico a San Teodoro e ai campi da golf che spianano la macchia mediterranea). Si vede che a Roma si sono rifatte vive le forze economiche che in consiglio regionale erano state battute (contro la legge avevano votato democristiani, missini e qualche cane sciolto franco tiratore): adesso torneranno alla carica le immobiliari, il Consorzio Costa Smeralda tornerà a pretendere qualche milione di metri cubi in più in comune di Arzachena, e così pure farà la Fininvest per il villaggio Costa Turchese a Olbia (un investimento di mille miliardi) con tanto di premi di cubatura. E di com'erano le coste sarde ci resteranno solo le vecchie cartoline.
Caro Eddyburg, Soru ha fatto fare una brutta figura a Briatore che ha comprato pagine di giornali per contestare la tassa “sul lusso” (che in realtà è sull’uso del paesaggio). E chissà quanto gli è costato scendere a quel livello, ma forse era necessario perché la replica dura ha funzionato e il modello sardo è oggi addirittura esportabile. Pensa che alcuni anni fa in Costa Smeralda – a Ferragosto – si organizzavano le cene per Lula, un paese poverissimo dell’interno. Una delle icone del malessere della Sardegna lontana dal mare, che accettava (sob!) l’elemosina dei ricchi vacanzieri in costa. Sindaco berlusconiano compiaciuto (grazie! con gli avanzi delle vostre feste billionaire faremo quel che si può, meglio del parco del Gennargentu). Poche reazioni tranne le solite, e comunque non proprio in linea con la leggendaria fierezza del popolo sardo.
In Sardegna, è bene non illudersi, non si è spento del tutto il tifo per i villaggivacanze sulla spiaggia. Ma molte comunità locali hanno cambiato idea. L’ inganno è durato, ma si sa che a volte la politica alimenta illusioni che durano, se non sarebbe troppo facile. Si è capito tardi che non serve a nulla fare case sulla battigia: per l’economia del luogo cioè per i tanti disoccupati tutto più o meno come prima; il danno ambientale è irrimediabile, ma c’è chi ha tratto vantaggi enormi. Spiccioli per la Sardegna nonostante il vorticoso giro di denaro.
Il piano paesaggistico sardo – evviva – dice stop al modello consumista delle case da vendere. Fino a qualche anno fa progetti da quattro-cinque milioni di metri cubi erano continuamente avanzati, sindaci di tutti i colori consenzienti (benvenuti imprenditori-benefattori, prego scegliete le viste migliori!).Oggi, gli stessi imprenditori che li presentavano, li considerano inammissibili. Progetti come quello per Crotone – ne ha scritto di recente la Repubblica – una nuova città sul mare che la Calabria povera immagina come panacea dei suoi mali, in Sardegna non sono più possibili e neppure proponibili. Neppure torri firmate o cose simili.
Un’ occhiata alle trasformazioni suggerisce di fare pagare qualcosa a chi ha tratto, trae utili dalla splendida location per case tutto sommato normali (alcune decine di milioni di euro il prezzo di un immobile che il costo di costruzione non spiega e il cui valore dipende appunto dalla bellezza impareggiabile del luogo).
Il richiamo alla centralità del paesaggio assume nella tassa “sul lusso” (su case, barche sopra i 14 metri, aerei dei non residenti) un significato al di là del ritorno economico che dovrebbe produrre (il 75% dell’introito è destinato per le zone interne, più dignitoso delle questue estive, direi).
Le barche come le case godono di paesaggi unici al mondo. Alcuni sindaci strepitano per questo provvedimento che terrebbe lontani i diportisti in transito, arrabbiati per la tassa: un migliaio di euro annue, più o meno il costo per tenerla in acqua un giorno una barchetta da 15 metri o per una festa tra amici senza aragosta.
C’è qualcosa che non torna in questa reclamizzata rinuncia a usare gli approdi sardi che qualcuno dovrebbe spiegare. I dati sembrano incongrui e ci piacerebbe vederle le liste ufficiali dei movimenti nelle banchine sarde che dovrebbero essere pubbliche visto che i porti sono stati realizzati con risorse pubbliche, con concessioni demaniali ecc. Perché alcune notizie sembrano smentire e di molto questa presunta tendenza al ribasso. Più 30% di presenze negli alberghi sfarzosi di Gallura che più alzano i prezzi più fanno il pieno. Più 10% di barche a Porto Cervo dove non c’è un posto libero fino a settembre. Record di arrivi a Teulada. Più presenze dappertutto. Allora: una ripicca contro Soru localizzata in alcuni porti dell’isola? O goffa, molto goffa propaganda che ha come vero obiettivo la norma sul paesaggio che impedisce le speculazioni edilizie nelle coste? Non so se la tassa abbia gravi difetti costituzionali, non so neppure dire se sia una cosa di sinistra. Ma è certo che appartiene a quella civile tradizione di fare pagare le tasse a chi trae vantaggi e benessere dall’uso di beni comuni. (A questo proposito: scopro che già alla fine del ‘500 si imponevano speciali gabelle ai forestieri altolocati che frequentavano le terme della Val d’Orcia per ripagare i lavori di manutenzione). Stasera, 14 agosto 2006, al Billionaire si parla d’altro, una bottiglia di champagne servita con fuochi d’artificio (così lo vedono tutti) circa mille euro al pezzo. Stasera a Lula se qualcuno fa festa nessuno se ne accorge.
Quello che piace della politica di Soru e della sua giunta è che c'è coerenza tra i diversi provvedimenti: tutelare la costa con un piano del paesaggio, far pagare a chi la usa e pagare può, liberarla dalle servitù militari, utilizzare al meglio le costruzioni esistenti invece che farne di nuovo, sono tessere d'un mosaico di cui conta la bellezza d'insieme. Poi magari c'è qualche ombra, ma si può correggere.
Western Australia Planning Commission, Network City: community planning strategy for Perth and Peel (2004-2005); Capitolo 3: Verso una città più vivibile [Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini: si propongono qui la parte generale del Capitolo, e la Strategia sulla riorganizzazione dei nuclei centrali; il documento integrale originale, PDF 5Mb, è scaricabile dalla versione inglese degli estratti]
Questo capitolo prende in considerazione quello che è necessario per fare di Perth la città più vivibile del mondo entro il 2030. Si inizia tratteggiando alcuni aspetti importanti della vivibilità, poi si fissano alcuni principi generali a guidare le decisioni. In seguito si propone una serie di strategie ad ognuna delle quali (se necessario) corrisponde un testo esplicativo, e un certo numero di azioni chiave per attuarle.
Cosa vogliamo
Una città vivibile è fatta di caratteristiche tali da creare e alimentare spazi e insediamenti vivibili, che offrano un’alta qualità di vita, con la capacità di rimanere efficienti sul lungo termine, in quanto strutture adatte all’interazione sociale, alla comunicazione e allo sviluppo culturale. Gli abitanti di Perth conferiscono un alto valore a queste caratteristiche. Spesso chiamato semplicemente “vivibilità”, questo concetto può variare in modo significativo coi punti di vista e i contesti. Anche se è difficile tentare di fissarne una definizione univoca, questo programma Network city assume che la città vivibile debba avere le seguenti caratteristiche:
● pulita, verde, attraente e particolare;
● buoni trasporti pubblici e reti di mobilità pedonale;
● eguaglianza, accoglienza, sicurezza e prosperità;
● offre alti livelli nelle abitazioni, nell’istruzione e nella sanità;
● mantiene alti livelli occupazionali;
● è tollerante e accoglie la diversità;
● è culturalmente e intellettualmente stimolante; infine
● dà alle persone identità, orgoglio e appartenenza.
In pratica, questi sono tutti aspetti del modo in cui le città sono progettate, e vivono, con qualche tipo di impatto sui modi di vita delle persone. Esistono una serie di fattori, con la capacità di influenzare la vivibilità, che in questo capitolo vengono utilizzati per strutturare alcune strategie. Non possono comunque restituire pienamente la complessa rete di fattori che determinano la vivibilità in una moderna città in crescita.
Il processo di Dialogo partecipativo [ utilizzato per la costruzione del piano n.d.T.] ha individuato una serie di fattori chiave della vivibilità a cui gli abitanti di Perth attribuiscono valore, fra cui:
● livello di vita (valori del mercato immobiliare ecc.);
● stile di vita (informale, amichevole, all’aperto ecc.);
● spazi (molto verde, la spiaggia, luoghi non affollati ecc.);
● ambiente naturale (fiume, oceano, colline ecc.);
● “salute” ambientale (un relativamente basso livello di inquinamento atmosferico, congestione, ecc.); infine
● accessibilità all’abitazione, ai servizi e ai posti di lavoro (case a buon mercato, diversificazione, possibilità di scelta ecc.).
Anche se uno degli obiettivi centrali del piano Network City è la tutela e miglioramento delle qualità urbane, sviluppare azioni di sostegno alla vivibilità richiede la comprensione di quali aspetti della vita in città possano trarre beneficio da un intervento. È possibile sostenere che a Perth:
● Animazione, ricchezza culturale, accoglienza e spiritualità sono limitate.
● Non tutti hanno la possibilità, o la capacità, di godere pienamente dei benefici dello stile di vita cittadino: le restrizioni fisiche o di accessibilità economica di alcune occasioni e servizi significano per alcuni soggetti e luoghi un relativo svantaggio, e declino.
● Esistono già alcuni segni di stress urbano a Perth: crescente inquinamento atmosferico e congestione da traffico, un fiume in pericolo, problemi nell’approvvigionamento idrico, carichi su infrastrutture e servizi e problemi sociali.
Vista la crescita di popolazione prevista per Perth da qui al 2030, esiste il rischio che questi problemi avranno impatti crescenti sulla vivibilità, e che ne possano emergere altri. Network city propone un contesto spaziale e decisionale al mutamento, realizzato attraverso azioni che consentano alla crescita prevista di trovare adeguata sistemazione, mentre gli elementi di vivibilità attuali e altamente valutati non ne vengono compromessi.
Principi di piano
I principi ed elementi chiave per progettare una città vivibile sono:
Organizzare la crescita urbana secondo lo schema Network city, e riorganizzare i nuclei urbani:
• creando centri di attività a densità alta e media (villaggi urbani) a sostenere corridoi di vitale trasporto pubblico; e
• offrire una vasta gamma di scelte residenziali ad alta qualità.
Proteggere e incrementare ambienti naturali, spazi aperti e beni cuturali:
• tutelando bellezza e accessibilità delle spiagge, parchi e fiumi;
• proteggendo e migliorando la qualità dell’aria e dei corsi d’acqua;
• proteggendo le risorse idriche, sia di superficie che di falda; e
• proteggendo e valorizzando i beni ambientali, culturali e paesistici, inclusi quelli Indigeni.
Offrire a tutti una migliore qualità di vita, sostenuta con le nostre forze:
• offrendo un’adeguata e distribuita risposta a particolari bisogni e per quanto riguarda la casa popolare;
• offrire a tutti (tutte le età e i livelli di bisogno) accessibilità a una vasta gamma di strutture locali, preferibilmente in centri di quartiere;
• offrire uno stile di vita sano dentro a città sicure;
• collaborare con le amministrazioni locali a progetti dimostrativi che siano esempi di una diversa qualità della vita urbana;
• verificare che i posti di lavoro vengano creati nei centri sostenendo città economicamente sane, che offrano occupazione localmente e a tutti i gruppi sociali.
Altri fattori di vivibilità che vanno oltre quelli di base, e che dovremmo tendere a realizzare o migliorare in ogni zona di Perth, comprendono:
• Una maggiore scelta per la casa, il lavoro, il tempo libero e le opzioni di stile di vita e occasioni.
• Più diversità e ricchezza culturale: arte, divertimenti, vita sociale in rapporto alla storia locale, legami coi luoghi, eventi locali e culturali che amplino le possibilità di esperienza e riflettano i vari interessi e tradizioni della comunità.
• Più identità locale: differenziazione dei luoghi, spazi con un determinato scopo che abbiano caratteri distintivi derivanti da valori comunitari, dalla storia, dall’eredità culturale, dalla localizzazione e ruolo rispetto alla città.
• Una migliorata inclusione ed equità sociale: eliminare le distanze, ridurre la vulnerabilità socioeconomica, fermare il declino.
• Vivibilità per tutto il corso della vita: andare incontro ai vari bisogni connessi alla vivibilità e alle aspettative delle persone in tutti gli stadi della vita.
• Vivibilità trasversale fra i vari gruppi di popolazione: andare incontro ai bisogni connessi alla vivibilità e alle aspettative di tutti i gruppi demografici.
• Infine, forse più importante nel contesto di Network city, saper governare gli impatti della trasformazione, ovvero trovar posto alla crescita gestendo al tempo stesso i potenziali conflitti fra i vari obiettivi, e conservando e valorizzando gli elementi di vivibilità a cui normalmente attribuiamo valore.
[...]
Strategia 3-10: Rivitalizzare i centri esistenti e sobborghi migliorandone qualità e attrattività, vitalità economica, sociale e culturale, identità e sicurezza.
Se il governo della crescita nelle fasce esterne rappresenta un elemento fondamentale nel progetto di una città vivibile e sostenibile, esiste anche una pressante necessità di prendere in considerazione il futuro delle zone consolidate, che in alcuni casi presentano un insieme di infrastrutture obsolete o inadeguate, il che diminuisce l’accessibilità ai servizi e alle occasioni sociali ed economiche.
L’edificazione e riedificazione nelle aree urbane esistenti, rendendo più efficiente l’uso delle strutture esistenti, è di aiuto nel governo della crescita urbana, ma deve essere sviluppata in modi che riconoscano e rispettino le qualità delle varie aree, e valori e aspettative delle comunità locali.
Azioni chiave per attuare la Strategia
● Usare gli interventi in zone sottoutilizzate o disponibili per dimostrare il potenziale dell’edificazione nelle aree già urbanizzate, con l’applicazione dei migliori principi di valutazione e pratiche di approvazione dei progetti.
● Lanciare e attuare un programma di insediamenti orientati al trasporto pubblico, collegato ovunque possibile con la realizzazione o ampliamento di centri di attività e corridoi così come individuati nella strategia spaziale [ vedi documento integrale n.d.T.].
● Sviluppare il “programma delle comunità” per offrire assistenza alle amministrazioni locali nell’intraprendere progetti di partecipazione, urbanistici e di intervento tesi a rivitalizzare zone di Perth.
● Istituire un registro dei progetti legati alla rivitalizzazione di Perth, che funga da base per costruire un tipo di approcci più efficaci, la condivisione di informazioni, la pubblicità delle varie iniziative, l’identificazione di problemi da risolvere per promuovere e facilitare programmi di rivitalizzazione più efficaci.
● Utilizzare il tipo di collaborazione istituzionale descritto nella Strategia n. 5 del Cap. 2, e intraprendere progetti e programmi di rivitalizzazione nel quadro di obiettivi concordati di vivibilità, che individuino e mettano al primo posto spazi con particolare necessità di intervento.
● Continuare a sostenere e promuovere modelli come quello della collaborazione per la città sostenibile realizzato a Maddington-Kenwick per evidenziare le possibilità di convergenze finalizzate alla rivitalizzazione suburbana.
● Nell’ambito della predisposizione del programma attuativo, individuare luoghi adeguati per progetti di rivitalizzazione che sostengano l’idea di Network city. Per esempio, alcuni quartieri e piccoli nuclei da considerare parte di iniziative di rivitalizzazione urbana. [...]
Titolo originale: Uniting for Solutions Beyond Shelter. Action Plan – Traduzione e estratti a cura di Fabrizio Bottini
[...] INTRODUZIONE
La Città di New York ha creato il sistema di servizi ricovero più integrato e vasto del mondo. Nell’ultimo decennio, sono stati spesi circa 4,6 miliardi di dollari nella costruzione e gestione di una rete di rifugi di emergenza, l’incredibile numero di 416.720 persone, tra cui 163.438 bambini, ha ricevuto un servizio di alloggio in questo arco di tempo. Gli abitanti di New York possono andare fieri di questa solidarietà e generosità, che caratterizzano la risposta della città a chi ha bisogno.
Ma per quanto ampie le risorse ed energie concentrate sulla creazione e mantenimento di questa ampia rete di ricoveri, la discussione su come affrontare meglio il tema degli homeless si è trasformata in un solo dibattito sulla messa a disposizione di un rifugio, anziché sulle soluzioni di lungo termine.
Come risultato di ciò, e a causa della persistente e significativa crisi degli alloggi economici, il numero delle persone ospitate rimane a livelli estremamente elevati. Le statistiche quotidiane del sistema di ricoveri per i primi 9 mesi dell’anno fiscale 2004 calcolano circa 38.200 persone, tra cui 16.100 bambini. Parecchie altre migliaia di donne e uomini rimangono per le strade cittadine. Ad enfatizzare la necessità di una risposta diversa agli homeless da parte delle strutture pubbliche, degli altri erogatori di servizi, privati e associazioni non-profit, il fatto che:
• la vita da homeless sulla strada non dovrebbe essere accettata come fatto normale nella vita della città. Oggi è così.
• i bambini non dovrebbero crescere nei rifugi per i senzatetto. Oggi lo fanno.
• gli incentivi non dovrebbero incoraggiare o allungare senza motivo la dipendenza dai ricoveri. Oggi fanno esattamente questo.
• il passaggio diretto da altri servizi verso i ricoveri rappresenta un fallimento del sistema pubblico. Oggi questi passaggi avvengono con frequenza.
• la presenza prolungata rappresenta un fallimento del sistema e un risultato negativo per chi ne fruisce. Oggi si tratta di una situazione comune.
• i proventi fiscali destinati al tema homeless dovrebbero servire a sostenere soluzioni di prevenzione, contributo all’affitto, abitazioni pubbliche. Oggi principalmente sostengono i rifugi.
• nessuna responsabilità pubblica – a ben vedere nessuna singola competenza – può da sola risolvere il complesso problema homeless nella sua cronicità.
Oggi, la risposta di prima istanza della città a qualunque tipo di instabilità di alloggio – ad esempio sfratti potenziali, tensione abitativa, emergenza sanitaria, morosità – è un ricovero. Nonostante il fatto che il sistema dei rifugi è stato pensato espressamente per proteggere le persone dalla vita di strada, esso è diventato in realtà la risposta istituzionale a un ampio raggio di bisogni: a molti dei quali ci si sarebbe potuti rivolgere meglio con interventi più sfumati e flessibili che aiutino le persone verso un alloggio stabile, a mantenere i legami con la comunità, o in un passaggio dalla collocazione in istituti o centri di custodia ad abitazioni pubbliche.
Assicurare un accesso ai rifugi da parte di chi ne ha bisogno resta un valore centrale. Ma una risposta “i rifugi innanzitutto” a qualsiasi bisogno o crisi degli alloggi, continuerà ad aumentare costi e uso delle strutture, spostando l’attenzione lontano da prevenzione, abitazioni di sostegno e altri interventi urbani volti a risolvere il problema homeless.
L’AZIONE
Nel novembre 2003 il sindaco Bloomberg convocò un gruppo inedito di funzionari pubblici e rappresentanti del settore privato e delle associazioni non-profit per sviluppare una strategia decennale multisettore che si rivolgesse a questi temi, a rafforzare la risposta della città. Un comitato di coordinamento composto da 41 membri, oltre a centinaia di partecipanti con competenze specifiche ed esperti si riunì dal novembre 2003 all’aprile 2004, a comporre una strategia su nove punti. Essa mira a:
1. Superare la situazione degli homeless di strada
2. Prevenire la condizione di senzatetto
3. Coordinare il sistema di uscita da altri istituti
4. Coordinare i servizi e sostegni economici cittadini
5. Ridurre al minimo la divisione delle famiglie di cui non si riesce a prevenire la condizione di senzatetto
6. Ridurre al minimo la durata della condizione di senzatetto
7. Spostare risorse vero altre, preferibili soluzioni
8. Mettere a disposizione risorse per i gruppi più vulnerabili, per l’accesso e conservazione di un alloggio
9. Commisurare i risultati, valutare gli aspetti positivi, investire per un continuativo miglioramento
In modi piccoli e grandi, queste strategie ridefiniranno l’approccio cittadino all’assistenza agli homeless di New York e a chi è a rischio di diventarlo. Collettivamente si dovrà:
• Definire un percorso per investire nuove risorse e riorientarne altre dai ricoveri a un sistema diffuso in tutta la città di prevenzione e altre soluzioni di alloggio.
• Aumentare il livello di consapevolezza pubblica e coinvolgimento nella sfida ad andare oltre una semplice accettazione collettiva degli homeless, sia nelle strade che nei ricoveri.
• Mettere insieme gli uffici pubblici in una campagna coordinata per massimizzare l’assistenza governativa disponibile a chi ne ha bisogno, e ridurre il passaggio da un’istituzione all’altra che produce la condizione di homeless.
• Invertire la tendenza secondo cui famiglie e individui che diventano homeless rimangono tali per periodi di tempo eccessivi, con particolare attenzione a prevenire le situazioni croniche nei ricoveri e sulle strade.
• Assicurare accesso ai rifugi a chi ne ha bisogno, ribadendo la responsabilità di chi utilizza il servizio di muoversi verso l’autosufficienza.
Arrivare a riforme di queste dimensioni richiederà una diversa priorità nelle spese, politiche e programmi. Questo documento comprende principi, concetti e indicazioni di politiche tali da guidare la città nel prossimo decennio.
PROSSIME AZIONI
Dopo la pubblicazione di questo piano, entro 60 giorni verrà sviluppata una completa strategia di attuazione. Verranno individuate le autorità responsabili per ciascun obiettivo, e un piano operativo con scadenze temporali. La strategia comprenderà punti di arrivo intermedi e momenti di verifica, in cui si valuteranno i progressi secondo i seguenti indicatori chiave:
• Diminuire il numero delle persone che vivono sulle strade e in altri spazi pubblici
• Aumentare il numero delle persone che escono dai ricoveri verso forme di abitazione permanente
• Aumentare l’offerta di abitazioni minime economiche e dotate di servizi
• Diminuire la quantità di richieste per i ricoveri
• Diminuire la durata della permanenza in ricovero
• Diminuire il numero totale delle persone nei ricoveri
Il presente documento Uniting for Solutions Beyond Shelter presenta il potenziale degli sbocchi per le persone a rischio di situazione homeless, e per chi già lo è a New York City. Adottando il meglio della riflessione e dei contributi dal settore privato, dagli uffici pubblici e dalle associazioni non-profit, questo potenziale per una reale campagna a dimensione urbana a ridurre efficacemente il problema homeless e affrontare quello delle categorie a rischio, può tradursi in realtà.
METTERE FINE AD UNA SITUAZIONE CRONICA
Il dibattito nazionale si sta spostando dalla “gestione” al “porre fine” al problema dei senzatetto, in particolare alle situazioni croniche. New York City adotta l’obiettivo di eliminare la cronicità in 10 anni. Allo stesso tempo, le modalità in cui a New York si manifesta il problema homeless sono diverse da quelle delle altre situazioni. Anche gli obiettivi specifici del presente Uniting for Solutions Beyond Shelter, quindi, devono essere diversi.
Un più ampio impegno a prevenire e riorientare i senzatetto, trovando rapidamente alloggio a coloro che entrano in questa condizione, farò molto per superare la condizione di massa ora presente a New York City. Allo scopo di valutare i progressi verso la fine delle situazioni croniche, verranno utilizzate le definizioni che seguono:
• Un caso di cronicamente senza tetto è chiunque (adulti soli o coppie) sia in questa condizione per almeno 365 giorni negli ultimi due anni, non necessariamente in modo consecutivo; oppure chiunque sia attualmente in questa situazione e lo sia stato per 730 giorni degli ultimi 4 anni, non necessariamente in modo consecutivo.
• Una famiglia cronicamente senzatetto lo è quando è stata in queste condizioni per almeno 365 giorni degli ultimi 2 anni, non necessariamente in modo consecutivo.
[...] PRINCIPI GUIDA
Tutti i singoli e famiglie devono avere un alloggio sicuro e alla loro portata.
• Assicurare a tutti i newyorkesi un alloggio sicuro e accessibile richiede un’efficace collaborazione fra tutti gli interessati.
• Deve essere reso disponibile il necessario sostegno e servizio prevenzione ad assistere le famiglie ed evitare la condizione di homeless.
• Individui o famiglie che possono essere sostenuti all’interno del loro attuale adeguato alloggio non devono entrare nel sistema homeless.
Singoli o famiglie homeless devono poter accedere a ricoveri temporanei sicuri; deve immediatamente cominciare la predisposizione di un alloggio permanente.
• Se gli interventi preventivi non bastano a sostenere un singolo o famiglia a rischio nell’attuale situazione di alloggio, ne deve essere messo a disposizione uno temporaneo.
• L’alloggio temporaneo è un intervento di breve periodo, non un sostituto della soluzione permanente.
• Le persone e famiglie homeless devono essere oggetto di approfondita valutazione per quanto riguarda la collocazione in un ricovero dotato di servizi che rispondano ai loro particolari bisogni e faciliti una rapida collocazione definitiva.
• Singole persone e famiglie hanno la responsabilità di mettere a disposizione informazioni complete e precise sulle proprie condizioni e bisogni.
• I servizi devono essere culturalmente sensibili e disponibili entro il gruppo del cliente allo scopo di mantenere i legami comunitari.
• I bambini nelle famiglie homeless devono aver accesso assicurato a una solida educazione riducendo al minimo le interruzioni scolastiche che possono avvenire a seguito della condizione di homeless.
• i servizi devono essere strutturati in modo tale da assicurare che l’alloggio permanente sia preferibile al ricovero temporaneo, e venga mantenuto una volta ottenuto.
Le persone non devono avere come casa la strada o altri luoghi pubblici; devono essere disponibili alternative sicure e a misura d’uomo.
• I singoli che vivono sulla strada devono essere efficacemente raggiunti e incoraggiati ad accettare servizi e ricoveri.
• Non devono essere sostenute le pratiche che incoraggiano gli individui a vivere per strada, e che sono controproducenti.
• Devono essere offerti ambienti sicuri che sostengano adeguatamente gli individui che temono l’inserimento nei servizi.
Tutti i singoli e famiglie possono e devono partecipare in modo attivo allo sviluppo e messa in pratica di un proprio progetto di vita indipendente.
• Ognuno, singolo o famiglia, merita rispetto.
• Singoli e famiglie devono ricevere informazioni chiare e servizi concreti nel momento in cui attraversano il sistema dei ricoveri.
• Le forze individuali e familiari devono venire integrate attraverso piani di servizi.
• Singoli e famiglie devono essere responsabili per conseguire l’indipendenza, e devono essere informati sul monitoraggio del completamento del proprio piano di servizi, e come queste aspettative si relazionano all’ottenimento di un alloggio permanente.
• Singoli e famiglie devono trattare con rispetto ogni persone impegnata nella loro cura, gli altri abitanti dei ricoveri temporanei, e lo spazio che occupano.
• Singoli e famiglie devono avere un alloggio permanente che corrisponda ai loro verificati bisogni, compresi quando necessario i servizi di sostegno alla permanenza.
Tutte le entità responsabili devono operare in collaborazione per assicurare il successo del risultato per i singoli e famiglie homeless o che possono diventarlo.
• Gli uffici pubblici devono coordinare i servizi per assicurare che le proprie azioni non causino ad alcun individuo o famiglia la condizione di senza tetto.
• Il raggiungimento dell’obiettivo di un alloggio permanente per singoli e famiglie dipende dalla responsabilità, collaborazione e cooperazione inter-agenzia.
• Si devono praticare pianificazione nell’uscita dai servizi e coordinamento delle risorse, per facilitare un sicuro e rapido passaggio di individui e famiglie gestiti da una molteplicità di sistemi amministrativi.
I servizi devono essere offerti con l’obiettivo di raggiungere i massimi livelli operativi, attraverso un continuo miglioramento della qualità.
• Ogni operatore ha un ruolo significativo nel raggiungimento di risultati positivi per i clienti, indipendentemente da titolo e posizione.
• Una comunicazione aperta e onesta, in un ambiente privo di timori, è un elemento critico di successo.
• Deve essere compiuto ogni sforzo per coinvolgere i clienti in una partecipazione attiva nell’erogazione e programmazione dei servizi, e per rispondere alle sollecitazioni che arrivano da loro.
• Gli operatori devono ricevere una formazione adeguata, e risorse in grado di raggiungere risultati positivi.
• L’informazione deve essere utilizzata per migliorare risultati e qualità, e deve essere resa pubblica.
• Si devono sviluppare sistemi di valutazione per verificare adeguatamente e individuare i progressi.
• Ogni operatore è responsabile per il raggiungimento di determinati livelli e di risultati positivi per i clienti.
PRINCIPI PER LA PREVENZIONE
Tutti, singoli e famiglie, devono avere alloggi sicuri e a prezzi accessibili.
• Assicurare alloggi sicuri e accessibili per tutti i newyorkesi richiede un’efficace collaborazione fra tutti i soggetti interessati: operatori, uffici pubblici, organizzazioni di cittadini e clienti.
• Servizi e sostegni devono assistere singoli e famiglie per evitare la condizione di homeless mantenendo una attuale sistemazione adeguata.
• Deve essere compiuto ogni sforzo per evitare che singoli e famiglie dotati di alloggi adeguati entrino nel sistema dei ricoveri.
Deve essere compiuto ogni sforzo per assistere singoli e famiglie non appena possibile, ad evitare crisi che possano causare la condizione di homeless.
• Devono essere posti in essere interventi a livello comunitario prima che si raggiunga il punto di crisi, a evitare le rotture e instabilità che si creano con lo stato di homeless, o il rischio di diventarlo.
• Si deve attuare un coordinamento a servire singoli e famiglie in modo olistico, rivolgendosi alle cause e circostanze che precedono la condizione di homeless.
• Agenzie e operatori devono offrire servizi unificati, a singoli e famiglie gestiti da un sistema multiplo.
I servizi per prevenire la condizione di homeless devono offrire un’assistenza flessibile che vada incontro ai bisogni di singoli e famiglie.
• I servizi di prevenzione devono essere culturalmente sensibili e facili da raggiungere a livello di comunità, se necessario.
• I servizi devono essere flessibili e rispondere ai bisogni del cliente, assicurando l’intervento più tempestivo possibile attraverso una serie di azioni articolate.
Le agenzie che erogano servizi ai clienti in spazi istituzionali devono assicurare un’uscita positiva dalle strutture, verso alloggi stabili e duraturi.
• Si devono mettere in pratica una pianificazione dell’uscita e un coordinamento delle risorse per facilitare un sicuro e rapido passaggio che assicuri a singoli e famiglie di non entrare nella condizione di homeless.
• La pianificazione dell’uscita deve comprendere la previsione di adeguati servizi o un riferimento ad essi, quando necessario.
Tutti i singoli e famiglie che ricevono un servizio meritano rispetto e devono rispettare.
• Singoli e famiglie devono essere a conoscenza della disponibilità di servizi preventivi.
• Singoli e famiglie devono essere consapevoli dei propri diritti e responsabilità come inquilini e clienti, così come dei diritti e responsabilità dei padroni di casa.
• Singoli e famiglie che ricevono un’assistenza preventiva devono avere informazioni chiare, servizi reattivi, informazioni sui propri diritti e sulle competenze delle agenzie.
I servizi preventivi devono essere guidati da statistiche e ricerca.
• Prevenzione e interventi sulle cause della condizione di homeless, devono essere informati dalla disponibilità di dati.
• Lo sviluppo delle politiche deve essere aggiornato di norma dalla ricerca.
• L’erogazione dei servizi si deve basare su dati sia quantitativi che qualitativi, ivi comprese le informazioni da clienti e operatori.
• Agenzie e operatori devono essere verificabili nel raggiungimento di determinati livelli e risultati positivi per i clienti. [...]
Nota: per un confronto, su Eddyburg un documento simile descrive un'esperienza australiana nella città di Brisbane (f.b.)
Riverside County, California, General Plan, 2003, Capitolo 3: Uso del Suolo [estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini]
[...] La Riverside County si trova in California meridionale, a est della Orange County, a nord delle contee San Diego e Imperial, a sud della San Bernardino e di quella di Los Angeles. La Riverside County è la quarta contea dello stato per quanto riguarda la superficie, coprendo circa 19.200 kmq, ed estendendosi verso ovest dal corso del fiume Colorado sino a una ventina di chilometri dall’Oceano Pacifico, per un totale di 320 chilometri. Le dimensioni sono più o meno quelle dello stato del New Jersey. La Riverside County ospita una spettacolare serie di elementi geografici quali deserti, cime coperte di neve e frastagliati crinali, profonde valli, foreste, fertili zone agricole. Nel quadro di questo ricco paesaggio vari insediamenti umani, consolidati e in via di sviluppo, di tipo urbano, suburbano e rurale. L’insieme delle caratteristiche fisiche offre un ambiente ad una notevole diversità di habitat naturali e risorse biologiche. In più, la diversificazione della Riverside County provvede uno spazio di vita adatto ad ogni gusto: città dense, énclaves suburbane, luoghi di villeggiatura, comunità rurali e agricole, aree abitate “equestri” e altre zone a popolazione sparsa.
La Riverside County è sommariamente divisibile fra la parte est e quella ovest dalle catene montuose San Jacinto e Santa Rosa. Una profonda valle chiamata San Gorgonio Pass, fiancheggiata dalle montagne di San Jacinto e San Gorgonio, crea un corridoio accessibile tra queste due parti. Le montagne delle catene di San Bernardino e Little San Bernardino definiscono una parte del confine settentrionale, mentre altre numerose catene minori, tra cui quelle della Santa Rosa Wilderness e Cleveland National Forest, fungono da margini lungo i confini meridionali e occidentali della contea.
Le due metà, orientale e occidentale si distinguono per caratteristiche fisiche e modalità storiche di sviluppo. La porzione occidentale della Contea è più o meno rande la metà di quella orientale, definita dalle montagne di Santa Ana e dalla Cleveland National Forest a ovest, e dalle montagne San Jacinto Mountains e San Bernardino National Forest a est.Rispetto alla parte orientale della Riverside County, quella occidentale contiene la principale concentrazione demografica, e subisce le maggiori spinte alla crescita. La maggioranza della popolazione si concentra nelle circoscrizioni municipali di Corona, Riverside, Beaumont, Banning, Norco, Lake Elsinore, Perris, Hemet, San Jacinto, Moreno Valley, Calimesa, Canyon Lake, Murrieta, e Temecula.
Il fiume Santa Ana, che nasc dalle montagne di San Bernardino, scorre attraverso la porzione settentrionale della zona occidentale della contea, e poi nella Orange County fino a raggiungere l’Oceano Pacifico. Il fiume San Jacinto, che nasce dalle montagne di Santa Rosa e San Jacinto, taglia più o meno nel mezzo la parte occidentale della contea e finisce nel lago Elsinore. Parecchi laghi artificiali, che provvedono scorte d’acqua e spazi per il tempo libero, sono collocati in questa parte della contea, come Lake Mathews, Lake Perris, Lake Skinner, Vail Lake, e Diamond Valley Lake.
La porzione orientale della Riverside County è delimitata dal fiume Colorado a est, e dalle montagne di Santa Rosa e San Jacinto a ovest. Questa parte della contea si distingue da quella occidentale per i terreni desertici e dalla relativamente minore popolazione, con meno centri congestionati.
La gran parte della popolazione di quest’area della contea si concentra nella Coachella Valley, nelle circoscrizioni municipali di Desert Hot Springs, Palm Springs, Cathedral City, Rancho Mirage, Indian Wells, Palm Desert, La Quinta, Indio, e Coachella. Molti di questi centri sono conosciuti per la notevole presenza di seconde case, abitazione di pensionati, pratica del golf. Lo Joshua Tree National Park, noto per i suoi importanti habitat desertici, costituisce un margine naturale a settentrione della Coachella Valley. Il torrente Whitewater, corso d’acqua stagionale che si forma nelle montagne di San Bernardino, scorre attraverso la Coachella Valley sino a sfociare nel Salton Sea all’estremità meridionale della valle. Nella valle si è sviluppata una ricca economia agricola, che contribuisce al carattere rurale della parte orientale della Riverside County.
Una vasta area di territorio desertico separa la Coachella Valley dal corso del fiume Colorado. La città di Blythe si trova nella Palo Verde Valley lungo il fiume, in una delle aree agricole più produttive della contea.
[...] QUADRO GENERALE DEL PIANO [...]
Al centro della visione generale per la Riverside County sta la volontà di mantenere e sviluppare le peculiari caratteristiche della contea, come le straordinarie risorse naturali e caratteristici centri urbani, individuando chiaramente le zone da tutelare e conservare. Elemento chiave per conseguire tale obiettivo è concentrare la crescita futura secondo modalità che siano complementari e comprendano i sistemi di mobilità e quello degli spazi aperti. In sintesi, lo sviluppo futuro dovrà orientarsi verso aree ben servite da strutture pubbliche e servizi, con particolare attenzione alle caratteristiche ambientali più significative, come i bacini di drenaggio, le zone soggette a rischi naturali, le zone di rilevanza paesistica. Elemento centrale di questo Piano Generale non è proseguire a separare gli usi dello spazio, ma costituire e connettere comunità “integrali”. Questa prospettiva per la Riverside County vuole realizzarsi attraverso gli elementi base che seguono:
• Realizzare centri di città in posizioni strategiche e riorganizzare quelli esistenti secondo un insieme di funzioni adattate al trasporto collettivo e integrate fra commercio, residenza, attività economiche, verde, funzioni civiche, per il tempo libero, culturali, raggiungibili a piedi dalle strutture di trasporto. Questi centri città sono pensati per contenere una parte dello sviluppo futuro consentendo maggiori densità e intensità per ridurre lo sprawl e le superfici necessarie alle infrastrutture pubbliche;
• Costituire un sistema di spazi aperti integrato e multifunzione che offra varie possibilità, tra cui: costituire una cornice allo sviluppo insediativo che risponda ai bisogni di tempo libero attivo e passivo; fungere da elemento separatore fra i centri abitati; mantenere le caratteristiche storiche della Riverside County;
• Organizzare un sistema di trasporto multimodale che serva ad una popolazione in crescita e sia integrato con i vari usi del suolo attraverso un tipo di insediamento e infrastrutture adatti allo scopo. Questo sistema di trasporto sarà connesso a scala regionale e locale, comprendendo il trasporto veicolare privato, quello pubblico, il programma Oasis, collegamenti pedonali e piste ciclabili, sentieri, collegamenti aerei, varie forme di trasporto non motorizzato. Il sistema è adattato a ciascun centro e deve offrire possibilità di spostamento attraenti e sicure;
• Consentire un’equilibrata miscela di usi del suolo urbano, come funzioni commerciali, uffici, industrie, agricoltura, spazi aperti, e insieme una varietà di tipologie residenziali, densità, intensità in localizzazioni adeguate che si rivolgano ad una moltitudine di segmenti di mercato. Il piano urbanistico prevede vari tipi di insediamento residenziale, da quello a carattere rurale sino agli appartamenti urbani;
• Organizzare le varie comunità della Riverside County, che stanno crescendo ciascuna secondo una propria direzione, ritmi e contesto. Ciò comprende la tutela del carattere locale in alcuni casi, l’inserimento dello sviluppo in altri, un insieme di crescita e conservazione in altri ancora;
• Cooperare a scala regionale sulle questioni della mobilità, lo sviluppo dei sistemi di trasporto, la riduzione della congestione da traffico, acque e aria pulita, gestione dei bacini idrici, reti ecologiche; infine
• Utilizzare un sistema di incentivi pensati per facilitare il raggiungimento di questi fini generali in un contesto di libero mercato.
La parte sull’uso del suolo del General Plan istituisce una complessa interrelazione di funzioni nello spazio che contribuiscono al raggiungimento di molti degli obiettivi del piano. Aderendo strettamente alle linee fissate, è possibile sviluppare uno spazio di contea autosufficiente, con caratteristiche fisiche e una qualità di vita altamente desiderabili. La realizzazione del piano dipenderà dalla definizione di ben concepiti e generali strumenti di attuazione, dal sostegno costante e capacità di visione dell’amministrazione di Contea.
[...]
POLITICHE DI DESTINAZIONE D’USO DEL SUOLO
La sezione che segue descrive le Componenti Fondamentali per quanto riguarda le destinazioni d’uso del suolo e offre orientamenti per il tipo di interventi adeguati all’interno di ciascuna categoria, così come illustrato sia dalla carta del General Plan che da quelle dei Piani d’Area.
Le destinazioni d’uso sono organizzate secondo una duplice gerarchia, così come mostra la tabella successiva: quelle fondamentali del Piano Generale e quelle dei Piani d’Area. Le componenti del piano generale descrivono la natura generale e scopo di ciascuna delle cinque funzioni base: Agricoltura, Spazio Rurale, Insediamento Rurale, Spazio Aperto, Sviluppo Urbano. Queste componenti fondamentali sono di carattere generale e non definiscono specifici usi del suolo su singole proprietà localizzate entro i confini dei Piani d’Area. Questa specificazione delle funzioni è invece contenuta sulle singole carte di questi piani d’area. [...]
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[...] Destinazioni d’uso a Zone Commerciali
Le funzioni commerciali sono critiche per la stabilità economica e fiscale di lungo termine della Contea. Queste attività contribuiscono ad offrire posti di lavoro per gli abitanti, allo sviluppo ed equilibrio economico dei centri, facilitano la formazione di una base di contribuenti che aiuta ad offrire le necessari strutture e servizi pubblici. Le fasce commerciali non espressamente pianificate, sottoutilizzate, prive di manutenzione si trasformano in elementi tali da ledere la qualità urbana, e ostacolare l’efficienza degli assi stradali che le attraversano. Scopo di questo piano generale è di trovare spazi adeguati alla domanda commerciale, stimolare lo sviluppo di centri, organizzare una varietà di funzioni, ed assicurare che i complessi nuovi o ristrutturati migliorino le caratteristiche delle varie zone e siano integrati entro le comunità a cui si rivolgono. Come recita il documento di programmazione della Contea,
“Si creano raggruppamenti di attività simili in aree a ciò destinate, per la creazione di posti di lavoro, e il nostro sistema generale di formazione offre preparazione e addestramento per i lavori svolti in tali luoghi.”
Le funzioni commerciali nell’ambito delle zone di sviluppo urbano si articolano in tre destinazioni per quanto riguarda i piani di area: commercio al dettaglio, uffici, attività connesse al turismo.
Commercio al Dettaglio – Questa destinazione d’uso consente le funzioni commerciali a livello di quartiere, urbano e regionale, oltre a studi professionali e usi commerciali orientati al turismo. È consentita compatibilmente agli usi circostanti, e in base alla quantità di superfici commerciali già realizzate entro il territorio di contea non appartenente a circoscrizioni comunali [ unincorporated n.d.T.]. Le quantità di superfici destinate a Commercio al Dettaglio nel piano generale di contea superano quelle stimate necessarie alla popolazione di contea, se completamente sfruttate. Questa sovraofferta assicura che si mantenga una certa flessibilità nella scelta delle localizzazioni per gli interventi futuri. L’indice di fabbricabilità varia da 0,2 a 0,35. (allo scopo di prevedere più accuratamente il potenziale di sviluppo commerciale all’interno del territorio di contea, e i relativi impatti ambientali e sul traffico, le proiezioni statistiche utilizzate per la Valutazione di Impatto del piano hanno assunto che in definitiva si possa utilizzare a scopi commerciali il 40% dell’area a questa destinazione. In più è stato presunto che il rimanente 60% delle superfici probabilmente sarà utilizzato per la destinazione Residenziale Media Densità).
Turismo – La destinazione commerciale/turismo consente le attività commerciali connesse al turismo come alberghi, campi da golf, spazi per il tempo libero e il divertimento. Questi usi sono consentiti se compatibili con le funzioni circostanti. Indici di fabbricabilità da 0,2 a 0,35.
Uffici – La destinazione commerciale/uffici consente varie funzioni terziarie, come istituti finanziari, servizi legali, assicurativi, e altre attività. Le funzioni sono consentite compatibilmente a quelle circostanti. Indici di fabbricabilità da 0,35 a 1,0.
[...] Destinazioni d’uso Community Center
Uno dei concetti centrali sia del programma generale di contea che del Piano, è la creazione di centri comunitari. Come affermato nel programma:
"I nostri centri abitati mantengono le proprie particolari caratteristiche, di essere circondate nella maggior parte dei casi da spazi aperti o usi non intensivi, il che contribuisce alla loro identità. I centri comunitari, luoghi di incontro, particolari punti focali distintivi di ciascuna comunità, rafforzano questa sensazione".
Lo scopo dei community centers è multiplo: contenere gli sviluppi futuri, stabilire un nuovo tipo di sviluppo per la contea, definire e individuare i centri abitati, conseguire altri aspetti del programma di contea come una migliore mobilità o la tutela e offerta di spazi aperti. Essenzialmente i community centers sono pensati per accogliere densità superiori e ridurre lo sprawl. Ciò a sua volta contribuirà a tutelare gli insediamenti rurali, le caratteristiche tipiche e gli spazi aperti.
Questi community centers sono appositamente concepiti per operare in modo diverso dal classico insediamento a singole e segregate funzioni. Usi del suolo e attività sono pensati insieme secondo modi integrati a creare un ambiente urbano dinamico che funga da centro di attività per l’area circostante. Spazi e funzioni che si trovano nei community centers contribuiscono a costruire una “identità spaziale”. Qui si trovano varie densità residenziali, altre attività, spazi pubblici il tutto integrato in modo da promuovere il traffico pedonale e ridurre al minimo la dominanza dell’automobile. Funzioni pubbliche e semipubbliche come edifici civici, scuole, spazi aperti, strutture culturali e per il divertimento fanno pure parte integrante dei community centers. A causa della natura più intensiva e compatta del complesso edificato, questi centri possono ospitare e sostenere più facilmente un servizio di trasporto pubblico insieme ad altre forme di mobilità come quella pedonale e ciclabile.
I community centers normalmente consistono di due livelli di intervento: un “nucleo centrale” che contiene le funzioni a più alta intensità, e una “area semicentrale” in cui l’intensità edilizia decresce man mano ci si allontana dal centro. Questo tipo di destinazione d’uso consente un insieme di interventi organizzati in orizzontale e verticale su uno o più lotti, e può costruirsi sia in una serie di strutture indipendenti che combinate in un solo edificio.
Questi centri devono essere progettati in modo da incoraggiare ambienti pedonali sicuri e vivaci, servizi e commercio al pianterreno e uffici e residenza a quelli superiori.
Scala, dimensioni e miscela funzionale dei community centers variano a seconda del carattere dell’area circostante. L’articolazione è per quattro tipi che riflettono varianti di dimensione, scala, ruolo e miscela funzionale: Centri di Villaggio, Centri di Cittadina, Centri di Attività, Centri per il Tempo Libero. Gli specifici ruoli di ciascun centro previsto dal piano sono descritti nei singoli Piani d’Area che li contengono.
Centri di Villaggio – Sono community centers a orientamento pedonale che servono le zone residenziali vicine. Si tratta dei centri di scala minore, e sono pensati per riprodurre un’atmosfera da villaggio o centro di paese. Sono particolarmente adatti in ambiente suburbano. Le funzioni consentite nei Centri di Villaggio comprendono:
• Residenza a densità Alta e Molto Alta nel nucleo centrale;
• Residenza a densità Alta nella zona semicentrale;
• Commercio al dettaglio;
• Uffici;
• Servizi Pubblici; infine
• Spazi Aperti e per il Tempo Libero.
Le funzioni tipiche possono comprendere quelle pubbliche o semipubbliche (scuole, piazze, centri culturali, verde), commercio di quartiere o di scala urbana, usi per il tempo libero, uffici, residenza organizzata per corti o in linea. Di particolare importanza in genere le varie funzioni in cui si articola il Commercio, come alimentari, drogheria e altri, o gli Uffici, di tipo professionale o di servizi finanziari. Le densità residenziali variano da 12 a 50 abitazioni per ettaro, mentre le intensità non residenziali vanno da un indice di fabbricabilità di 0,2 sino a 0,5.
Centri di Cittadina – Consentono mescolanze più complesse e intense di funzioni rispetto ai Centri di Villaggio. I Centri di Cittadina possono essere collocati entro aree urbane dense o servire da nucleo di riferimento per una vasta zona suburbana. Offrono funzioni come quelle tradizionali di un distretto “ downtown”. Vi si trovano elementi di attrazione a scala regionale, oltre alle strutture e servizi a servizio dei residenti e lavoratori locali. Le funzioni consentite comprendono:
• Densità Residenziale Massima entro o nelle adiacenze del nucleo centrale;
• Densità Residenziale Molto Alta nel nucleo centrale e zona semicentrale;
• Commercio al dettaglio;
• Uffici;
• Attività Turistiche;
• Servizi Pubblici; infine
• Spazi Aperti e per il Tempo Libero
Le funzioni caratteristiche di un Centro di Cittadina sono quelle del commercio e degli uffici.
L’offerta può comprendere servizi di scala sia locale che regionale come ristoranti, libreria, negozi specializzati di livello superiore, complessi per uffici anche sviluppati in altezza, servizi alle imprese, sanitari, day care, alberghi. Le funzioni pubbliche sono quelle associate all’idea di “ downtown” come biblioteche, strutture culturali, spazi comunitari, sportivi e per il tempo libero, teatri, piazze, parchi urbani. Tra le altre funzioni, residenze multifamiliari e monofamiliari. Le densità variano da 25 a 100 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali da un indice di fabbricabilità di 0,5 sino a 3,0.
Centri di Attività – Possono essere considerati un punto di concentrazione di posti di lavoro. Variano in scala e dimensioni, ma sono tutti pensati per offrire un servizio a scala regionale che mescoli business park e altri uffici, sostenga funzioni commerciali al dettaglio e residenza ad alta densità. Gli usi consentiti sono:
• Densità Residenziale Massima entro il nucleo centrale;
• Densità Residenziale Molto Alta nel nucleo centrale e nella zona semicentrale;
• Business Park;
• Industria leggera;
• Commercio al dettaglio;
• Uffici;
• Servizi Pubblici; infine
• Spazi Aperti e per il Tempo Libero.
Le attività dei Business Park e Industria Leggera comprendono imprese di ricerca e sviluppo, manifattura, assemblaggio, istituti di ricerca pubblici e privati, istituti accademici, strutture mediche, funzioni di supporto al commercio. Nei Centri di Attività non sono consentite le funzioni di Immagazzinaggio e Commercio all’Ingrosso.
Le varie funzioni commerciali e servizi collaterali servono le necessità quotidiane di imprese e dipendenti. Usi caratteristici sono ristoranti, lavanderie a secco, negozi alimentari, centri di stampa e riproduzione, servizi di telecomunicazioni, uffici professionali, palestre, day care, commercio di servizio a un’area regionale come pompe di benzina, alloggi, banche, tempo libero e altre collaterali. Le residenze comprendono abitazioni unifamiliari in linea e multifamiliari organizzate a corte o ad appartamenti. Le funzioni pubbliche o semipubbliche all’aperto possono comprendere strutture culturali e per l’istruzione, governative, parchi urbani. Le densità residenziali variano da 35 a 100 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali variano da un indice di fabbricabilità di 0,1 sino a 0,5.
Centri per il Tempo Libero– Variano di dimensioni, scala e scopo specifico, da complessi turistici a centri di varie intense attività. I Centri per il Tempo Libero si propongono a scala regionale come destinazione turistica e strutture in grado di sostenere anche altre attività commerciali e terziarie. Le funzioni consentite sono:
• Residenza a Densità Molto Alta entro il nucleo centrale;
• Residenza a Densità Alta nel nucleo centrale e zona semicentrale;
• Attività Turistiche;
• Commercio al dettaglio;
• Uffici;
• Servizi Pubblici; infine
• Spazi Aperti e per il Tempo Libero.
La funzione principale dei Centri per il Tempo Libero è quella delle attività di intrattenimento e turistiche a scala regionale. Gli usi specifici possono comprendere parchi divertimenti, alberghi, campi da golf, giochi acquatici, sale giochi, complessi sportivi/stadi, parchi regionali e campi di atletica. Altre funzioni caratteristiche possono essere le residenze su piccoli lotti, sia singole che aggregate, spazi pubblici e semipubblici come quelli per i visitatori, commercio locale e regionale, uffici anche mediamente sviluppati in altezza.
Tra le funzioni commerciali e terziarie ci possono essere ristoranti, negozi specializzati, servizi alle imprese e finanziari. Le densità residenziali vanno da 20 a 50 abitazioni ettaro, mentre le intensità non residenziali variano da un indice di fabbricabilità di 0,5 sino a 3,0.
L'esperienza di piano della Riverside County è stata presentata tra l'altro come politica anti-sprawl "non-ideologica" da un articolo per Planetizen dell'urbanista Rick Bishop (f.b.)
Western Australian Planning Commission, Linee per una politica di piano 3: Sviluppo urbano e territoriale, Stesura provvisoria, aprile 2005, Predisposta ai sensi della sezione 5AA del Town Planning and Development Act 1928 (e successive modifiche); Titolo originale: Statement of Planning Policy 3: Urban Growth and Settlement – Traduzione di Fabrizio Bottini
2. Introduzione e premesse
Questo documento fissa principi e considerazioni relativi alla pianificazione urbana e territoriale in Western Australia. Si tratta di un ampio ambito di politiche nel quadro dello Statement of Planning Policy No. 1 : State Planning Framework. Le linee qui fissate verranno poi attuate attraverso altre più specifiche indicazioni per le questioni particolari degli insediamenti urbani che richiedono orientamenti aggiuntivi.
Un’ampia proporzione degli abitanti della Western Australia (oltre il 90%) abita in città e piccoli centri. I caratteri insediativi e la qualità dell’ambiente urbano sono quindi di grande significato per lo stile di vita della popolazione. Un sistema insediativo ben pianificato e coerente, un attento governo dello sviluppo urbano e delle trasformazioni, sono elementi critici per il conseguimento di migliori obiettivi sociali, economici, ambientali, ad esempio offrendo una maggior scelta rispetto alle abitazioni e ai modi di vita, una più facile accessibilità ai luoghi di lavoro, opportunità di servizi e tempo libero per le persone di tutte le età e abilità, un forte e condiviso senso di appartenenza comunitario, una buona progettazione urbane e di quartiere che sappia creare spazi altamente vivibili, piacevoli, efficienti.
La Western Australia è uno stato con un insediamento discontinuo. La maggioranza della popolazione, circa 2 milioni di abitanti, è concentrata a sud-ovest di una linea fra Lancelin e Albany. L’area metropolitana di Perth è il fulcro di popolazione e di attività economiche con 1,5 milioni di abitanti (compresa Peel). Altre concentrazioni di popolazione nel sud-ovest si trovano a Bunbury, Busselton, Collie, Northam e Albany.
Nelle altre parti dello stato, il sistema insediativo riflette lo sviluppo socioeconomico delle diverse regioni: predominanza dell’allevamento e dell’attività mineraria al nord e all’est, agricoltura nel mid-west e nella “fascia del grano”. Si tratta di un sistema di porti, centri pescherecci e di vacanza lungo la costa, città minerarie remote a nord e a est, localizzate vicino ai giacimenti, e piccoli centri sparpagliati attraverso le regioni agricole. La maggioranza della popolazione è concentrata nei centri di Kalgoorlie-Boulder, Geraldton, Esperance, Carnarvon, Karratha, Port Hedland, Broome e Kununurra.
Lo stato è in crescita e sta cambiando. Negli ultimi trent’anni la popolazione è quasi raddoppiata sino a circa 2 milioni e si prevede che aumenterà sino a 2,9 entro il 2031. Lo sviluppo più rapido sta avvenendo nella regione di Perth e lungo la costa. La popolazione dell’area metropolitana di Perth, compresa Peel, si prevede raggiungerà i 2,2 milioni entro il 2031, a rappresentare il 76% di una popolazione statale calcolata in 2,9 milioni. Esiste una continua pressione allo sviluppo insediativo nelle aree costiere, in particolare per progetti legati al turismo, seconde case, e da parte di chi cerca un tipo di vita diverso da quello della città. Spesso i piani per questi insediamenti sono carenti dal punto di vista dell’offerta di posti di lavoro e servizi, oltre ad essere totalmente dipendenti dall’uso dell’automobile. L’insediamento costiero deve essere pianificato con cura per assicurare tutela a spiagge, dune, sbocchi dei corsi d’acqua, zone umide, perché possano essere prevenuti i rischi dei danni delle tempeste e l’erosione della linea di costa, collocando lo sviluppo urbano dove possano essere predisposte le infrastrutture essenziali, posti di lavoro, servizi e trasporti pubblici. Lo Statement of Planning Policy No.2.6 State Coastal Planning Policy predisposto dalla Commissione fissa i principi della pianificazione e tutela delle coste incoraggiando la concentrazione dello sviluppo urbano attorno ai centri esistenti, in particolare quelli dotati di servizi e infrastrutture.
Nell’area metropolitana di Perth e in molte città e cittadine della regione, molti dei nuovi interventi hanno preso la forma di insediamenti suburbani a bassa densità. Questo tipo di sviluppo rappresenta una risposta alle preferenze dei consumatori da parte delle forze di mercato dell’epoca. Lo sviluppo suburbano riflette la volontà collettiva delle famiglie di un’abitazione isolata con giardino, di una mobilità senza vincoli. Esiste un riconoscimento crescente del fatto che la diffusione dell’insediamento urbano intensifichi la pressione su importanti risorse di terra e acqua, imponga costi per la fornitura di servizi e infrastrutture, aumenti la dipendenza dall’auto privata e crei potenziali disparità fra chi abita nei sobborghi esterni, dove le occasioni di lavoro e i servizi non sono immediatamente disponibili. Alcuni suburbi sono carenti in quanto a senso comunitario, e le persone si sentono isolate. Esistono altri costi, a causa della dipendenza dall’auto per gli spostamenti quotidiani, quando sarebbe facile che le persone camminassero o si spostassero in bicicletta verso le proprie destinazioni. Le speranze e preferenze collettive si stanno ora spostando verso un tipo di edificazione più compatta. Anche le famiglie stanno diventando più diversificate. La popolazione invecchia ed esiste una proporzione crescente di piccoli nuclei in cerca di una gamma più ampia di tipologie abitative, diverse dalla convenzionale casa suburbana. Più persone vengono attirate dagli insediamenti compatti a funzioni miste che li liberano dall’onere della manutenzione di vasti giardini e dalla dipendenza dall’automobile. C’è un maggiore interesse al ritorno nei vecchi quartieri. Anche nei nuovi suburbi esiste una tendenza a tornare alle forme del vecchio quartiere con maggior senso comunitario e più accessibilità a posti di lavoro, servizi e trasporti pubblici. La tendenza è a creare comunità più vivibili nei nuovi quartieri, rivitalizzare e rilanciare quelli già esistenti nelle zone urbane, offrire una gamma più ampia di abitazioni e ambienti di vita, allargare le possibilità di scelta dei mezzi di trasporto, conservare le risorse ambientali, offrire una maggiore possibilità di interazione sociale.
Nelle altre regioni, mentre i centri più grandi come Geraldton, Kalgoorlie, Broome e Esperance hanno continuato a crescere, alcune delle cittadine minori di campagna hanno subito un declino a causa della riduzione delle possibilità di lavoro e alle trasformazioni sociali, con la popolazione che si è spostata dall’insediamento rurale verso i centri urbani. Nel settore minerario ed estrattivo, i miglioramenti nella mobilità con una riduzione dei costi, hanno generato una crescita della forza lavoro di tipo fly-in fly-out che trova posto direttamente sui siti minerari dove esistono scarse possibilità di contribuire ad una crescita economica e urbana locale. Scopo generale della politica è di facilitare modalità sostenibili di sviluppo urbano e territoriale fissandone i criteri, e determinando in linea di massima le linee di crescita e trasformazione. Le indicazioni dovranno essere tenute presenti nella predisposizione delle strategie urbanistiche regionali e locali, nei piani regolatori e loro varianti, trovare spazio nelle decisioni normative riguardanti lo sviluppo urbano e territoriale.
3. Applicazione della presente politica
Questa politica si applica a tutto il territorio della Western Australia.
4. Obiettivi della presente politica
Gli obiettivi di questa politica sono:
● promuovere un tipo di insediamento sostenibile e ben pianificato in tutto il territorio statale, su superfici di terreno sufficienti e adatte ad offrire una vasta gamma di abitazioni, occasioni di lavoro, spazi e strutture per il tempo libero, zone libere.
● governare la crescita urbana in risposta ai bisogni sociali ed economici della comunità, riconoscendo valori e vincoli ambientali.
● promuovere lo sviluppo di quartieri in forme vivibili e sostenibili assicurando nello stesso tempo faci accesso a posti di lavoro e servizi attraverso varie modalità di trasporto, offrire scelta qualitativa e di prezzo per le abitazioni e creare spazi dotati di identità propria in ogni comunità.
● coordinare i nuovi insediamenti con la realizzazione di infrastrutture e servizi efficienti ed economici.
5. Criteri di attuazione
5.1 Creare città sostenibili
La presente politica è orientata a creare città, cittadine e altri luoghi che offrano alti livelli occupazionali e di sviluppo economico, comunità solide, vivaci, inclusive, un’efficace tutela dell’ambiente, un uso cauto delle risorse. Gli elementi chiave per le città sostenibili sono:
● una base economica solida, diversificata, sostenibile che assicuri accesso al mercato del lavoro;
● terreni sufficienti e adatti nelle localizzazioni adeguate per abitazioni, attività economiche, commercio, tempo libero e altri usi, coordinati con un’efficiente ed economica offerta di trasporti, infrastrutture essenziali e servizi alla persona;
● varietà e possibilità di scelta nelle dimensioni, tipologie, prezzi delle abitazioni, a rivolte a una vasta di dimensioni, fasce di età e reddito delle famiglie;
● massima efficienza nell’uso delle risorse attraverso l’utilizzo migliore dei terreni nelle zone urbane, in particolare di spazi ed edifici liberi o sottoutilizzati, alte densità dove esse possano essere ottenute senza detrimento dei caratteri dei quartieri, uso attento delle risorse rinnovabili, quali terre e edifici urbani, scuole e servizi comuni, sistemi infrastrutturali e quartieri consolidati; infine promuovendo e incoraggiando uno sviluppo urbano coerente a un uso efficiente dell’energia;
● promuovere maggiori densità residenziali dentro e attorno alle città e centri di quartiere, nodi di trasporti pubblici e interscambio ad alta frequenza, grandi strutture terziarie e sanitarie, vicinanza a spazi per il tempo libero di alto livello quali coste e parchi;
● concentrare commercio, uffici, divertimenti e altre attività che attraggono un numero elevato di persone in centri organizzati attorno ai principali nodi del trasporto pubblico in modo da ridurre le necessità di spostamento, incoraggiare le modalità non automobilistiche e creare centri attraenti, gradevoli e a funzioni miste;
● accessibilità a tutti gli spazi per il lavoro, la salute, l’istruzione, il commercio e la socialità, a piedi, in bicicletta o col trasporto pubblico anziché dipendere dall’auto (anche riconoscendo la convenienza degli spostamenti in automobile in alcuni casi, e la possibilità limitata di offrire alternative negli abiti rurali e nelle regioni remote);
● una buona progettazione urbana che crei e migliori l’identità locale, il senso degli spazi, la vivibilità e l’interazione sociale; un’idea di ambiente urbano che riduca le possibilità e le paure di azioni criminali;
● un’adeguata considerazione dell’ambiente, riconoscendo la necessità di tutelarlo e ripristinarlo, proteggendo la biodiversità e riducendo al minimo gli impatti dell’urbanizzazione sui suoli, le acque, l’uso di energia, i minerali e le altre risorse che concorrono all’economia urbana e allo sviluppo sociale; infine
● una cornice di piano propositiva che miri attivamente a facilitare e promuovere una buona qualità dell’edificazione, anziché concentrarsi su regole e controlli, in modi che contribuiscano alla crescita economica, sostengano comunità sicure sostenibili e vivibili, migliorino la qualità della vita, coinvolgano adeguatamente la comunità nella pianificazione.
All’interno della State Planning Strategy, lo sviluppo futuro dell’area sud-ovest del territorio statale è contenuto in quello del sistema urbano, ulteriormente precisato e articolato nella strategia per l’area metropolitana di Perth. La crescita di Perth sarà accuratamente governata allontanandosi dal tipo di espansione urbana verso le fasce esterne, con il consolidamento delle aree esistenti mantenendo al contempo un’adeguata offerta di terreni per la crescita nelle zone a ciò destinate. Bunbury, Busselton e Albany continueranno a svilupparsi come centri principali. I terreni fra le città e cittadine verranno mantenuti all’uso rurale per la produzione agricola, la tutela del paesaggio, la qualità generale della vita.
Per le altre regioni, la State Planning Strategy promuove il consolidamento e crescita dei sistemi esistenti, per rendere le città regionali comunità sostenibili sul lungo periodo. C’è probabilmente la necessità di evitare nuovi insediamenti specializzati isolati lontani dai servizi, esistenti e previsti, che creerebbero forme di concorrenza e declino delle cittadine esistenti.
Gli elementi chiave della State Planning Strategy sono confermati nelle presenti indicazioni. Obiettivo preponderante è di costruire nelle città esistenti per sostenere le economie locali e regionali, concentrare gli investimenti nei servizi e infrastrutture, migliorare la qualità della vita di queste comunità.
Si deve pensare a nuovi insediamenti e grosse espansioni urbane quando si abbia una prevista base economica e occupazionale, quando possano essere efficientemente serviti da infrastrutture locali e regionali come trasporti, acquedotto, fognature e scarichi, reti elettriche, parchi, scuole, negozi, strutture per il tempo libero e altri servizi. Qualunque importante nuovo intervento, sia esso un nuovo nucleo o un’espansione urbana, non deve consistere di sole abitazioni ma essere pensato come comunità sostenibile con una miscela di funzioni produttive, commerciali, per l’istruzione e altro.
Nelle zone di nuova edificazione, l’obiettivo deve essere di ottenere densità residenziali superiori e offrire una certa gamma di tipi di abitazione. Questi quartieri ad alta densità e funzioni miste devono essere incoraggiati vicino ai nodi del trasporto pubblico e centri di attività.
Al di fuori della zona metropolitana e dei centri di sviluppo regionale, qualunque proposta per grossi nuovi insediamenti, sia per importanti aggiunte ad altri esistenti che per nuovi nuclei isolati, poco probabilmente rappresenterà una opzione sostenibile, data la difficoltà di assicurare una base occupazionale certa, il costo di realizzazione di tutti i servizi e infrastrutture necessari, da possibilità di distogliere popolazione e risorse dai centri esistenti e contribuire così al loro declino. I nuovi insediamenti si dimostreranno sostenibili solo quando si rivolgeranno a una significativa carenza di alloggi nella regione, avranno una base occupazionale certa, dimensioni sufficienti a sostenere una serie completa di servizi locali come scuole, negozi, attività, e non esista alcuna alternativa sostenibile.
Nuovi insediamenti possono essere necessari per offrire sistemazione relativa a progetti minerari ed estrattivi in aree remote. La preferenza è per il collocamento della forza lavoro mineraria entro i centri più vicini, se il sito della miniera è sufficientemente prossimo ed esistono spazi per queste abitazioni, le infrastrutture e i servizi per questi lavoratori. In tal modo la forza lavoro mineraria sosterrà l’economia della cittadina a avrà accesso ai servizi locali disponibili.
5.2 Il governo dello sviluppo urbano e territoriale della Western Australia
Lo State Planning Framework, che comprende la State Planning Strategy, i programmi di scala regionale, sub-regionale, e altre politiche, offre indicazioni per le modalità future di sviluppo urbano e territoriale, oltre alla base per le decisioni riguardo alle specifiche proposte di progetto. Lo State Planning Framework costituisce il contesto dei piani regionali e locali, che devono tenerne conto nella redazione.
Le strategie regionali sono predisposte dalla Commissione e riguardano una regione o sub-regione. L’orizzonte di piano in genere è di 30 anni. Le strategie regionali riflettono e sviluppano politiche e proposte fissate nella State Planning Strategy. Esse devono offrire indicazioni chiare riguardo al futuro dello sviluppo territoriale della regione e individuare le zone di crescita tenendo conto dei bisogni della popolazione e di case entro il periodo di validità, coerentemente ad uno sviluppo sostenibile.
Nelle strategie regionali devono essere individuati gli ambiti con potenziale di crescita tenendo conto delle possibilità economiche, occupazionali, di accessibilità, offerta di servizi e infrastrutture essenziali, possibilità di organizzare questo sviluppo entro un buon quadro economico, sociale, ambientale. La pianificazione dovrà agevolare la crescita entro questi ambiti traendo vantaggio dalle possibilità di crescita.
Il Metropolitan Development Program e il Country Land Development Program rispettivamente riguardano i piani di land release per l’area metropolitana di Perth e le maggior città e cittadine dello stato. Essi offrono chiare indicazioni riguardo alla disponibilità di terreni urbani tenendo conto della crescita di popolazione, della domanda di abitazioni, delle caratteristiche dei lotti residenziali, dell’offerta di servizi e infrastrutture, delle principali opere e programmi, delle combinazioni finanziarie. Questi piani sovrintendono all’ordinata ed efficiente edificazione dei terreni urbani nella regione metropolitana e negli altri centri urbani regionali assicurando che i tempi dell’urbanizzazione siano coordinati alla realizzazione di infrastrutture e servizi alla comunità.
Le strategie di piano locali sono gli strumenti principali che consentono alle amministrazioni di quei territori di programmare il proprio futuro. Esprimono una visione in prospettiva, politiche e proposte dell’amministrazione locale e riflettono necessità e aspirazioni della comunità. Sono anche lo strumento chiave per tradurre le politiche statali e regionali in azioni locali e offrire un quadro di razionalità allo zoning e alle altre previsioni dei piani regolatori urbani. Le strategie locali devono riflettere e realizzare concretamente le politiche di sviluppo urbano e territoriale fissate a scala regionale, i piani di land release, applicandoli in dettaglio su scala locale tenendo conto di bisogni e specificità. Le strategie locali devono cercare di individuare quantità sufficienti di terreni per i bisogni futuri della popolazione e delle abitazioni, su un arco di almeno 10 anni.
Nella preparazione delle strategie di piano locali, le amministrazioni devono valutare il bisogno abitativo e il tipo di residenze aggiuntive da prevedere. Le strategie di piano locali devono assicurare un’adeguata miscela di tipi residenziali, alla luce della domanda di abitazioni e della mutevole composizione delle famiglie. Le amministrazioni locali devono adottare un approccio sistematico nell’individuare le località adatte per i nuovi sviluppi residenziali, i progetti di rinnovo, di infill e le possibilità di aumento di densità, in particolare attorno a centri di servizi e nei pressi dei nodi di trasporto pubblico. Un’ordinata previsione di sviluppo urbano e territoriale sarà facilitata da structure plans, che tengano conto strategicamente delle caratteristiche fisiche dei luoghi, siano alla base della crescita di quartieri sicuri comodi e attraenti, rispondenti ai vari bisogni della comunità, assecondino una logica e coordinata realizzazione di infrastrutture e servizi. Gli structure plans possono consistere in una gerarchia di previsioni che vanno da quelle ampie di distretto a quelle più dettagliate di zone e quartieri.
Le proposte di crescita urbana saranno definite tenendo conto di:
● State Planning Strategy e strategie regionali e sub-regionali entro lo State Planning Framework;
● previsioni demografiche fornite dal Department for Planning and Infrastructure;
● piani di land release pubblicati dalla Commissione; e infine
● strategie di piano locali predisposte dalle amministrazioni e approvate dalla Commissione.
In genere, non saranno approvate proposte riguardanti aree non individuate entro le strategie regionali e locali e nei piani di land release.
Allo scopo di giudicare adeguatamente e valutare i principali progetti di sviluppo urbano coerenti a questa politica, la Commissione può richiedere ai proponenti di presentare una descrizione dettagliata della coerenza del proprio progetto rispetti agli obiettivi di pianificazione regionale e sostenibilità. Sarà basata sull’analisi della coerenza della proposta con il quadro regionale e gli obiettivi di crescita economica, progresso sociale, conservazione delle risorse naturali e dell’ambiente. Elementi chiave dell’analisi saranno la capacità di offrire posti di lavoro, gli investimenti di capitale necessari per le infrastrutture e servizi (quali la partecipazione alle spese) e i costi e benefici generali del progetto, tenendo conto degli impatti sociali, ambientali ed economici (che possono essere negativi o positivi). Metodologia e dati utilizzati per l’analisi devono essere adeguati, trasparenti e verificabili, e possono far parte di un processo di consultazione riguardo al progetto. Dovranno anche essere fissati i dettagli di qualunque accordo o meccanismo attuativo della proposta.
5.3 Il governo dello sviluppo urbano nell’area metropolitana di Perth
Se un governo efficace dello sviluppo urbano è importante su tutto il territorio dello stato, esso diventa critico per un futuro sviluppo sostenibile dell’area metropolitana di Perth. La crescita di questa zona dovrà essere pianificata e governata secondo le attuali strategie:
● consolidando gli insediamenti residenziali nelle aree esistenti e orientando l’espansione urbana verso le aree a ciò destinate, che sono o saranno ben fornite dal punto di vista dell’offerta di posti di lavoro e trasporti pubblici;
● conferendo priorità allo infill development nelle aree urbane consolidate, in particolare attraverso processi di rigenerazione e intensificazione dell’edificato sui terreni sottoutilizzati, pur nel rispetto delle caratteristiche locali;
● collocando alte densità residenziali in posizioni accessibili a trasporti e servizi, come all’interno o attorno al distretto terziario centrale, nei centri regionali e di distretto, nei corridoi di attività, nei poli scolastici di istruzione superiore, in zone scelte di alto valore paesistico sulla costa e le sponde dei corsi d’acqua;
● concentrando lo sviluppo delle attività commerciali, culturali, sanitarie e per il divertimento all’interno e nei pressi dei centri e corridoi di attività con buon accesso al trasporto pubblico e dai bacini di popolazione;
● sviluppando un tipo di uso del suolo integrato che riduca la dipendenza dall’automobile e ampli le opzioni di trasporto, rendendo più facile per il pubblico usare i trasporti collettivi, camminare o andare in bicicletta verso le proprie destinazioni, fissando nei corridoi di mobilità la rete principale per il movimento di merci e persone;
● proteggendo la biodiversità e le aree di valore ambientale, e promuovendo l’idea di un sistema di spazi aperti regionali e locali strutturato a rete continua; infine
● proteggendo le risorse idriche, e riducendo lo sfruttamento di quelle non rinnovabili e che generano sprechi.
5.4 Progettare quartieri di alta qualità
La politica della Commissione denominata Liveable Neighbourhoods intende il quartiere come elemento base per uno sviluppo urbano di parti interconnesse e integrate, raggruppate entro ben definiti centri grandi e piccoli. Le nuove zone urbane verranno pianificate in modo integrato come comunità sostenibili con strutture e servizi locali, trasporti pubblici, possibilità occupazionali facilmente raggiungibili a piedi o in bicicletta, riducendo la dipendenza dagli spostamenti su auto privata. Oltre a rispondere ai bisogni quotidiani, i quartieri verranno anche progettati per costruire un forte senso dello spazio e comunitario, per offrire una miscela di vari tipi di abitazioni per vari tipi di famiglie, creando occasioni di interazione sociale, ambienti a dimensione umana, così che le strade siano attraenti, comode e sicuri spazi pubblici.
I principi per i Liveable Neighbourhoods si applicano alla redazione dei piani regionali e structure plans per le nuove aree di sviluppo, ai piani regolatori locali per le nuove lottizzazioni, ai progetti di rivitalizzazione e riorganizzazione dei quartieri esistenti. Questi principi sono:
● senso comunitario e forte identità locale e spaziale nei quartieri e nelle cittadine;
● una struttura urbana per quartieri percorribili a piedi raggruppati a definire centri di funzioni miste per ridurre la dipendenza dall’auto con facile accesso ai luoghi di lavoro, al commercio e ai servizi urbani;
● circolazione attraverso una rete di strade integrata dove sia piacevole e sicuro sia camminare, che andare in bicicletta, che guidare;
● accesso comodo e sicuro a servizi e strutture progettati per ogni tipo di utenza, compresa quella dei disabili;
● fronti strada attivi con edifici tesi a migliorare la sicurezza personale attraverso presenza e sorveglianza;
● nuovi insediamenti che sostengano l’efficienza del trasporto pubblico dove disponibile, e offrano un accesso diretto a sicuro a tutti gli abitanti;
● insediamenti urbani multifunzionali che offrano una vasta gamma di occasioni di vita, lavoro e tempo libero, in grado di adattarsi nel tempo alle trasformazioni della comunità, con adeguate caratteristiche di salubrità, sicurezza, bellezza;
● una varietà di dimensione dei lotti e dei tipi residenziali che risponda ai diversi bisogni di abitazione presenti nella comunità, ad una densità che sia in grado di sostenere l’offerta locale di servizi;
● forme urbanistiche ed edilizie che possano adattarsi a bisogni mutevoli e contenere graduali intensificazioni della densità;
● tutela delle aree ambientali più importanti e inserimento delle caratteristiche significative di tipo culturale e naturale all’interno dei progetti;
● approccio integrato alla progettazione degli spazi aperti, governo del sistema delle acque urbane; infine
● insediamenti efficienti, economici, ecologici, per promuovere l’abitazione a buon mercato.
5.5 Coordinamento di servizi e infrastrutture
La previsione di una nuova crescita urbana e di sviluppo del territorio deve essere coordinata con una economicamente efficiente di infrastrutture e servizi come strade, trasporti pubblici, acqua, fogne e scarichi, spazi aperti, scuole, strutture sanitarie e sportive.
Gli structure plans regionali e locali devono individuare gli spazi necessari per le future strade, linee di trasporto, infrastrutture, servizi alla comunità. Verranno consultati gli erogatori di servizi nella predisposizione di questi piani, per assicurare che la disponibilità del servizio sia coordinata con il processo di urbanizzazione.
Il piani di land release della Commissione devono guidare i programmi per nuovi insediamenti su aree libere e i principali interventi di infill/rinnovo urbano nella regione metropolitana e nei centri regionali, per assicurare la realizzazione tempestiva delle infrastrutture e servizi.
I contributi dei proprietari per le infrastrutture saranno regolati dalle politiche della Commissione. Nelle aree caratterizzate da una frammentazione delle proprietà, verranno considerate le ripartizioni dei costi per assicurarne un equilibrato finanziamento.
Agli insediamenti che avvengano su terreni liberi staccati dai margini attuali dell’edificato verrà richiesto di finanziare il prolungamento delle infrastrutture, come strade e servizi a rete, che sarebbero stati altrimenti realizzati dagli enti responsabili, in mancanza di un accordo fra costruttori e stato riguardo al finanziamento delle principali infrastrutture. È anche possibile che emerga il bisogno di contributi fissi per sostenere i costi di gestione generati da questi insediamenti.
5.6 Il governo dell’edificazione residenziale-rurale
Il sistema della residenza in zona rurale è un’importante componente dell’organizzazione territoriale in alcune aree dello stato. Gli insediamenti rurali-residenziali offrono un’opportunità di stile di vita e il potenziale per rivitalizzare le comunità rurali.
Questo tipo di insediamento però può anche avere una serie di impatti negativi. Le hobby farms e residenze rurali possono rappresentare potenziali conflitti con altri usi dello spazio e risorse come i prelievi d’acqua, alcune materie prime, zone naturali e paesaggi. C’è anche un certa pressione esercitata sul governo statale e sulle amministrazioni locali per i servizi e le infrastrutture, che sono difficili da fornire economicamente a causa del tipo di insediamento disperso. Nella regione metropolitana e nei pressi dei centri regionali, gli insediamenti di residenza rurale possono anche limitare le possibilità di un futuro sviluppo urbano frammentando i suoli, e rendendo più difficile l’accorpamento e più costosa la fornitura di servizi.
C’è dunque necessità di collocare e progettare gli interventi residenziali-rurali in modo sostenibile e integrato nel quadro territoriale generale.
La Statement of Planning Policy No. 2.5:Agricultural and Rural Land Use Planning della Commissione è rivolta al tipo di pianificazione degli insediamenti rurali-residenziali. Nel progettarli sarà necessario:
● evitare le terre agricole produttive, le risorse naturali importanti, zone boschive ad alto rischio di incendio o ambientalmente sensibili;
● evitare aree di cui è prevista l’urbanizzazione o comunque adatte allo sviluppo urbano per le loro caratteristiche e prossimità ai servizi;
● preferire le localizzazioni vicine ad insediamenti esistenti dotati di servizi e strutture che possano sostenere la comunità ed evitare una domanda di costose estensioni;
● ridurre al minimo le possibilità di conflitti con attività incompatibili associate a funzioni rurali produttive o gestione di risorse naturali;
● comprendere solo aree adatte a questo tipo di interventi, ad esempio terreni topograficamente vari, visivamente attraenti e con particolari caratteristiche ambientali; infine
● mantenere un approccio realistico destinando quantità di superfici proporzionate alla domanda di abitazione rurale, e non speculare sulla trasformazione d’uso.
5.7 Un piano per le comunità Aborigene
Anche se molti Aborigeni vivono in ambienti di tipo rurale o urbano, molti risiedono in townships e centri che sono governati dalla comunità Aborigena.
La Commissione sovrintende al progetto statale Planning for Aboriginal Communities per predisporre piani di insediamento che orientino la localizzazione di nuove abitazioni e edifici comuni destinati alle comunità Aborigene stanziali più remote. Lo Statement of Planning Policy No.3.2: Planning for Aboriginal Communities della Commissione prevede la cornice di piano per progetti di insediamenti e loro inserimento entro i piani regolatori urbani.
6. Attuazione
L’attuazione della presente politica avverrà attraverso altri documenti di statement, strategie regionali, locali, e piani regolatori regionali e locali. L’attuazione avverrà anche attraverso il processo quotidiano di decisione sulle trasformazioni d’uso, gli structure plans, le lottizzazioni, i progetti, e l’azione di altri uffici statali nello svolgere i propri compiti.
Agenzie statali e amministrazioni locali dovranno tener conto della presente politica per assicurare decisioni coerenti e integrate nella pianificazione dello sviluppo urbano e del territorio.
Fiumi da tutelare come monumenti, boschi da salvaguardare al pari dei centri storici. Un approccio innovativo, portato avanti quando parlare di «cultura ambientale» in Italia era ancora affare per pochi. È quello del Piano paesistico regionale, che compie vent’anni ma non li dimostra, pronto a raccogliere nuove sfide. Come spiega una dei suoi artefici, l’architetto Felicia Bottino allora assessore all’Urbanistica: «I fulcri dello sviluppo regionale del futuro? I fiumi, che devono tornare a essere la porta di accesso alle città, e l’Appennino».
Professore, tutto cominciò con la legge nazionale Galasso che nell’85 introdusse per la prima volta l’idea di tutela e di salvaguardia dell’identità e degli aspetti naturalistici del territorio.
Ma rimase in sostanza lettera morta. L’Emilia-Romagna fu la prima a recepirla, seguita credo solo dalla Liguria. Scegliemmo la strada di un Piano, che attraverso norme o direttive poteva intervenire su tutto il complesso del territorio, e a cui quindi tutti i soggetti, privati o Comuni che fossero, dovevano adeguarsi. Una scelta molto forte e innovativa.
Ma anche contestata?
Sì, ricordo soprattutto il divieto di escavazione nel Po e negli altri fiumi che andava a incidere sulle attività di cava, tra le più remunerative, la Regione pose il vincolo ben oltre i 150 metri dai parchi fluviali. I fiumi e la costa furono senz’altro il teatro delle attività di salvaguardia più significative. Ma penso anche a molti enti locali, risentiti perché vedevano invasa la loro capacità di pianificazione.
Un esempio?
Quello era il periodo in cui la Riviera fu invasa dalla mucillagine. Gli operatori turistici, preoccupatissimi, volevano costruire piscine sulla spiaggia per non perdere clienti: sulla base dei singoli piani regolatori comunali magari avrebbero anche potuto riuscirci, il nostro Piano lo vietava. Per la sinistra fu un’operazione coraggiosa portare avanti questa battaglia: servì a creare una cultura ambientale che oggi diamo per scontata ma che allora non c’era. Anche se nella nostra regione i vincoli ambientali erano già una tradizione in molti Comuni.
La soddisfazione più grande?
Quando ho incontrato sindaci che dopo anni mi hanno dato ragione. Ma anche vedere che la Convenzione europea del 2000 andava nella direzione da noi già intrapresa. La Regione poi mi ha fatto un vero regalo di compleanno: con assessori e tecnici di Regione, Provincia e comuni dovrò redigere il documento con le linee di azione del nuovo Piano paesistico regionale, per recepire proprio la Convenzione europea.
Quali sono le nuove sfide da raccogliere?
Si tratta di spostarsi dalla tutela, ormai un dato acquisito, a progetti specifici di riqualificazione e recupero di paesaggi degradati. Oggi con la globalizzazione c’è una forte competizione territoriale, in Italia, allora dobbiamo investire sul Bel Paese, non a caso nel programma del nuovo governo si punta sul turismo culturale e sullo sviluppo della qualità urbana.
E per quel che riguarda la Riviera Adriatica?
Intanto a 20 anni dal Piano paesistico si deve decidere cosa fare delle colonie. Senza massacrarle e senza speculazione, penso al modello dei castelli in Trentino riconvertiti in Bed&Breakfast o in beauty farm. Insomma bisognerà unire un progetto paesaggistico a uno di gestione economica. Le colonie sono un grande patrimonio che può portare al rilancio del turismo. Poi occorrono incentivi per la riqualificazione di alberghi e di alcune aree cittadine.
Altre linee d’azione future?
Creare finalmente dei parchi fluviali che siano veramente tali. L’Emilia-Romagna è un pettine: il dorso è l'appennino, con i fiumi che “affondano” nel territorio. I piani regolatori comunali hanno sempre voltato loro le spalle, occorre una riqualificazione che ne faccia le vere porte di accesso alle città. L’Appennino e i fiumi sono la nostra risorsa ambientale, da valorizzare e rendere fruibili in un’unica rete ecologico-ambientale. Perché, per dirla con una battuta, non si può andare sulla costa tutti i fine settimana.
Cosa pensa del ricorso del WWf contro il campo da golf sulla collina bolognese?
Non ne conosco il dettaglio, vedo che si contesta il campo come «urbanizzazione privata»: in effetti, se è a pagamento non si può in alcun modo definire pubblico. Ma il vero punto è capire se questo campo è un’attività compatibile con la “migliore fruizione del bene da tutelare”, cioè la collina.
Insomma una questione di interpretazione?
Per la giunta comunale evidentemente il campo scuola garantisce questa migliore fruizione, io lo trovo molto discutibile. L’unico modo per facilitare l’accesso alla collina è predisporre pulmini pubblici, chioschi e gazebo gestiti dalle associazioni nei parchi esistenti, come al Cavaioni, per incentivare trekking e passeggiate. Così invece c’è il rischio che, se il campo da golf fallisce, la costruzione venga trasformata in una villa privata: bisogna capire qual è la volontà della proprietà, la giunta deve vigilare.
Postilla
La rilettura di uno strumento, il PTPR della Regione Emilia Romagna divenuto quasi un simbolo di una ideologia di pianificazione che, benchè indulga all'autocelebrazione, è quasi interamente condivisibile (ma che la tutela sia un dato ormai unanimemente acquisito è affermazione pericolosamente ottimistica e metodologicamente errata: la tutela non è un elemento statico, ma un processo che si evolve).
Il PTPR ha rappresentato certamente un punto di innovazione e di avanzamento della cultura ambientalista in Italia e come tale fu ampiamente apprezzato, fra gli altri, da Antonio Cederna, anche perchè fu il risultato di uno sforzo interno di un'amministrazione pubblica. All'epoca, Felicia Bottino, era la lungimirante assessora all'urbanistica di una regione che si faceva carico dei propri ruoli di pianificazione e gestione del territorio. Adesso, il nuovo incarico finalizzato all'adeguamento del PTPR viene dato alla presidente di una società esterna...(m.p.g.)
In una calda estate di fine Ottocento, nei porti del Mediterraneo iniziano a venir segnalati casi di colera. Come recita un testo medico, “La malattia, dopo un periodo di incubazione di 1-5 giorni, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. La trasmissione si verifica perchè il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto, per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell'acqua, per cui può arrivare all'uomo sano, attraverso gli alimenti e le bevande”.
Ad alcune settimane di distanza dalle prime segnalazioni, l’esplosione dell’epidemia in alcuni quartieri popolari di Napoli, dove non solo i sistemi di “ depurazione e potabilizzazione delle acque” risultano assai primitivi, se non inesistenti, ma dove le condizioni urbanistiche generali rasentano l’impossibile: casamenti che dal livello suolo si inerpicano disordinati per scale e cunicoli, a costruire ambienti spesso privi di luce e aria diretta, e con densità di popolazione che in alcune parti della zona Porto raggiungono i 2.600 abitanti ettaro. A questo si aggiunge anche il sistema socioeconomico, con una “economia del vicolo” entro cui si mescolano la residenza, le attività produttive anche di carattere microindustriale con l’uso di sostanze tossiche, il commercio anche alimentare e all’ingrosso con un confuso sistema di depositi e relativa rete di approvvigionamento e distribuzione.
Gli spaventosi livelli di mortalità provocano un dibattito nazionale, che sfocerà tra l’altro nella legge speciale per il Risanamento di Napoli, nel relativo piano regolatore della città, e successivamente nell’estensione a scala nazionale di alcuni provvedimenti, ritenuti utili per intervenire in casi di condizioni urbane igienico-sanitarie gravi.
I testi inseriti di seguito vogliono restituire in parte sia il clima culturale nazionale entro cui matura l’intervento per Napoli, sia alcuni caratteri dell’ambiente locale, sociale e urbanistico. Ne emerge un quadro sicuramente più complesso di quello, spesso soltanto legato ad alcune innovazioni normative, che di solito caratterizza le ricostruzioni della “Legge di Napoli”.
Il primo documento, Il dibattito politico sulla Legge di Napoli(estratto da: Camera dei Deputati, Segretariato generale, Ricerca sull’Urbanistica. Parte prima, Servizio studi legislazione e inchieste parlamentari, Roma 1961) costituisce una sorta di introduzione generale all'argomento.
Esso è poi raccontato, nel quadro delle problematiche e delle visioni contemporanee, da alcuni scritti di Carlo Carozzi ed Alberto Mioni, Le condizioni urbanistico-sociali di Napoli e la Legge Speciale(da L’Italia in formazione. Lo sviluppo urbanistico del territorio nazionale: antologia critica, De Donato, Bari 1980), Cesare De Seta. Le vicende locali nel quadro nazionale (da Napoli, Laterza, Bari 1981), Guido Zucconi, Igiene, Città, Urbanistica (da La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, Milano 1989) e Giancarlo Alisio, Presupposti e soluzioni urbanistiche al colera (da Napoli nell’Ottocento, Electa Napoli, 1992)
I due testi successivi descrivono il "ventre di Napoli" dall'interno e nell'immediato, per la penna di due famosi giornalisti di quegli anni: Pietro Ferrigni detto Yorick, Il degrado della città (brevi brani del 1877, estratti da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960) e alcune pagine del celeberrimo pamphlet di Matilde Serao, Bisogna Sventrare Napoli! (da Il Ventre di Napoli, Treves, Milano 1884)
Conclude, per il momento, Il Piano di Risanamento di Napoli (da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960)
A complemento e completamento della documentazione si uniscono una Galleria di immagini, e una presentazione powerpoint suddivisa in cinque file allegati
Si giunge così al 10 ottobre [1884], data nella quale il cav. Adolfo Giambarba, ingegnere capo, reggente la 1° direzione tecnica del Municipio di Napoli, presenta al Sindaco il lavoro disposto per la bonifica della città; lavoro che, come fa notare nella nota di accompagnamento, ha portato a termine “in soli quindici giorni, attesa l’urgenza giustamente addimostrata” mercé l’attivo concorso degli egregi ingegneri della sua direzione. “Il grave lavoro compiuto – fa rilevare il Giambarba – non avrebbe potuto recarsi ad effetto, senza il corredo di tutti gli studi parziali, che le successive Amministrazioni municipali hanno sempre preparato, tanto mercé pubblici concorsi che per opera di questa 1° Direzione tecnica”. L’opera, che tende alla soluzione del problema del risanamento radicale di Napoli bassa e alla edificazione di un nuovo quartiere, comprende la relazione, il computo metrico e la stima. Nello stesso giorno, con altra nota, il Giambarba presentava al Sindaco una “relazione aggiunta”, per fornire notizie e dati d’Ingegneria Statistica e Sanitaria [...]. Anche a chi non conosca la tragica situazione dei fondaci e dei bassi, anche a chi non conosca la costituzione composita della maggior parte delle strade napoletane – ove, spesso, addossati al apalazzo magnatizio, o da esso ricavati, sono gli abituri dei miseri, mentre nello stesso edificio coesistono le case dei borghesi benestanti e quelle del povero – appare evidente il rapporto tra il numero degli abitanti e la superficie abitata, nei quartieri che furono più colpiti dal colera (Mercato, Pendino, Porto, Vicaria: mq 0,75 per ab.) ed in quelli che furono meno colpiti (S. Ferdinando, Montecalvario, Chiaia, Avvocata: mq 0,98 per ab.)e sorge spontanea l’idea di un diradamento. Come subito si pensa alle superfici, allora esuberanti, di Chiaia, S. Carlo all’Arena, Vicaria e Vomero per destinarle ad una immediata espansione della città.
[...]
Era corretto o non il concorso dello Stato? La cifra proposta era sufficiente a raggiungere lo scopo? Quali garanzie erano necessarie ad evitare che il danaro fosse distratto dall’opera di risanamento? Lo Stato era garantito dal debito che il Comune avrebbe avuto verso di esso, per il pagamento dell’annualità di 50 milioni? Era possibile modificare, ed dentro quali limiti, la legge sulle espropriazioni per la pubblica utilità? Era possibile ottenere, con speciale disposizione, che la edificazione di nuove case precedesse l’abbattimento di quelle vecchie destinate ad essere demolite? Poteva essere lasciata, al Governo ed al Municipio, ampia facoltà di regolare le dichiarazioni di insalubrità, lesive del diritto di proprietà? Si poteva, in contrasto con tutti i precedenti legislativi, obbligare il proprietario a fornire di una determinata acqua la sua casa ed a pagarla secondo una tariffa municipale prestabilita?
[...]
Il progetto generale del 1884 che costituì, indubbiamente, l’elemento centrale per le previsioni della legge pel risanamento di Napoli (15 gennaio 1885, n. 2892) – dalla quale trassero poi vita i numerosi provvedimenti, relativi ai piani di risanamento ed ingrandimento della città di Napoli - si articolò ben presto in tre gruppi di progetti dei quali il primo, ed il più importante, è quello che si riferisce al risanamento dei quartieri bassi, seguono quello relativo alle fognature e quelli relativi ai rioni di ampliamento (Arenaccia, S. Efremo Vecchio, Otto Calli, Ponti Rossi, Miradois, Materdei, Vomero-Arenella, Belvedere, prolungamento Principe Amedeo), nonché quelli relativi alla sistemazioen di S. Lucia e S. Brigida. Il Piano generale pel risanamento delle sezioni Porto, Pendino, Mercato e Vicaria, deliberato dal Consiglio Comunale nelle sedute del 10 e 11 febbraio 1885, ed approvato dopo infinite vicissitudini, pur con qualche condizione di riserva, dai RR.DD. 7 gennaio e 22 luglio 1886, verrà reso esecutivo con la deliberazione della Giunta Municipale approvata dal Consiglio Comunale nel febbraio del 1888: il R.D. 17 marzo 1889, n. 6024, vi apporrà il suggello definitivo.
[...]
le opere comprese nel piano di risanamento vengono così suddivise:
1) Opere di bonifica per colmata e demolizione di fabbricato su larga scala, nonché formazione di rete stradale allacciata alla creazione di una unica arteria principale con limitata edificazione sulle aree disponibili. Queste costituiscono un insieme di opere, coordinate ad un’unica sorgente di risanamento e di edilizia insieme.
2) Opere di bonifica per demolizioni parziali con rete stradale sparsa, allacciata a diverse arterie esistenti, con limitata edificazione sulle aree disponibili. Queste rappresentano un complesso di bonifiche parziali usufruendo delle sorgenti di salubrità esistenti.
3) Opere di ampliamento nei terreni contigui alle zone bonificande con nuova costruzione di fabbricato, le quali sono una illazione necessaria delle prime e delle seconde.
[...] Si prevede lo spostamento di 87.447 abitanti, dei quali in modo definitivo: 4.693 della classe agiata; 25.151 della classe media; 39.354 della classe povera.
[...]
Sul significato e sul valore di questa urbanistica ottocentesca, di queste trasformazioni della città nel sec. XIX, non pochi sono gli studiosi che hanno espresso il loro avviso discorde, ma non v’è dubbio che la maggioranza di essi ne accoglie sempre più positivamente le conclusioni. [...] Le trasformazioni delle zone inurbate, procedenti “per sventramenti di forza, operati da arterie nuove di traffico che s’aprivano un varco nel vecchio tessuto”; la urbanizzazione delle zone verdi circostanti fatta per mezzo di distinti quartieri residenziali per i più abbienti e per i meno abbienti; l’apertura di “lunghe strade rettilinee di sezione molto ampia, per solito alberate alla moda del tempo, coordinate a piazze secondo un andamento assiale”; il coordinamento del vecchio centro cittadino con le nuove zone di trasformazione; la monumentalità degli edifici pubblici; la tecnica risolutrice dei problemi relativi all’acqua potabile ed alle fognature: costituiscono già, all’epoca nella quale si pone mano al risanamento ed all’ampliamento di Napoli, una riconosciuta ed affermata tradizione della tecnica urbanistica dell’ottocento europeo.
L’irruzione dei precetti dell’igiene nel quadro delle trasformazioni urbane cambia radicalmente gli orientamenti ideologici dei tecnici intellettuali preposti alla redazione dei piani edilizi. Attraverso l’igiene vengono introdotti nuovi strumenti di intervento e di indagine, ma soprattutto tecniche collaudate da tempo subiscono una sorta di forzatura ideologica: operazioni di ordinaria amministrazione come rettifiche o allargamenti stradali vengono ora definite con un’espressione attinta al vocabolario di una chirurgia spicciola: sventramento. Analogamente, demolizioni e ricostruzioni, coordinate con i nuovi servizi a rete, assumono il nome di risanamenti o di sanificazioni. Il mutamento del significante, più che del significato, sottintende il senso, tutto ideologico, di una battaglia per il progresso contro le tenebre di un passato sudicio e oscurantista, del puro contro l’impuro. “Avanti, avanti colla fiaccola in mano e colla scure a sventrare le città, a regolarizzarle, ad ampliarle, a fognarle convenientemente, a dotarle di buona acqua potabile”, esorta l’ingegner Zannoni dalle pagine de L’Ingegneria Sanitaria (n. 5, 1896). Nell’indicare un atto di violenta chirurgia, il termine sventramento rivela l’attitudine degli igienisti a ricorrere a metafore attinte alla fisiologia del corpo umano. Sventrare significa attaccare il male nel suo epicentro, secondo procedure che nulla hanno di vistoso o di appariscente, che anzi si ammantano di intenti disinteressatamente missionari. “Nella vita materiale di una città, un buon sistema di fogne dà l’idea di quel complesso di virtù modeste e nascoste, perciò più rare e stimabili, che fa retta e pregevole la vita di alcuni individui” (E. Zabban, “Napoli e l’Esposizione d’Igiene”, Nuova Antologia n. 171, 1900, p. 161).
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Attraverso indagini a tappeto, da condursi con zelo missionario sul corpo malato della città, l’igiene rivoluziona gli strumenti della conoscenza: se per l’ingegneria del territorio il problema centrale era quello di rappresentare lo spazio ed i flussi in modo geometricamente esatto, per l’ingegnere igienista il problema è quello di organizzare la conoscenza attraverso strumenti che si addentrino nelle zone d’ombra, nel sottosuolo, nelle parti più recondite, in un parola nel ventre della città: si tratterà perciò di elaborare strumenti, che a partire dalle scienze positive rivelino ciò che non è visibile all’occhio umano. Prelievi di campioni d’acqua potabile, ispezioni nei pozzi neri, sopralluoghi nelle abitazioni più sordide sono i tasselli di una conoscenza degli aspetti materiali che riorganizza i dati secondo quadri e tabelle statistiche. Un metodo analogo a quello che, sul piano letterario, impiegano gli “scrittori-palombari”: coloro che, come Valera a Milano o Carbone a Firenze si addentrano nei labirinti della città, coloro che, sulla scorta dei successi letterari di Zola e della Serao, titolano i propri romanzi veristi con ventri, sotterranei e misteri. Lo schema del romanzo riproduce i metodi dell’indagine sanitaria: la vita che si svolge nelle viscere brulicanti della città è di norma prima rilevata, poi organizzata secondo capitoli relativi agli aspetti materiali [...] L’indagine collegata al risanamento di Napoli rappresenta il caso-campione, il modello che la legge del 1885 estende a tutti i comuni italiani che intendano intraprendere operazioni di risanamento.
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Così come il centro dell’indagine è costituito dal ventre della città, l’epicentro dell’azione è individuato nel sottosuolo: il piano di risanamento dovrà trasformare la città di superficie solo dopo aver profondamente modificato la città sotterranea. La progettazione delle reti per l’afflusso e il deflusso delle acque diviene lo strumento fondamentale per progettare le trasformazioni e le linee di espansione della città. Questo ruolo assunto dalla rete di fognatura appare ancora più evidente nella generalità dei centri minori, dove essa costituisce l’unico strumento di pianificazione urbana.
Il quartiere Porto, assieme al Pendino ed al Mercato, costituiva i “quartieri bassi”, edificati a partire dall’età altomedioevale, sull’antica spiaggia della città; [...] Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, l’area fu coinvolta in due massicci interventi, i più radicali per quanto riguarda la trasformazione della città: l’ampliamento del porto ed il risanamento dei quartieri bassi.
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I lunghi anni trascorsi tra il sorgere dell’epidemia di colera e l’inizio dei lavori furono densi di difficoltà e di impegnative battaglie politiche che interferirono, ovviamente, su un più rapido esame dei procedimenti amministrativi da adottare in proposito. Il piano del 1884 fu articolato in tre gruppi di progetti che corrispondevano, in effetti, ai criteri generali di scelta: risanamento dei quartieri bassi, sistema fognario e rioni di ampliamento (Arenaccia, S. Efremo Vecchio, Ottocalli, Ponti Rossi, Miradois, Materdei, Vomero-Arenella, Belvedere, prolungamento rione Principe Amedeo). Il “Rettifilo”, strada principale e asse attorno a cui ruotava tutta l’operazione di sventramento, presentava un percorso diverso rispetto a quello del piano del 1884. Esso, infatti, partendo sempre da uno degli angoli della piazza della Stazione centrale, giungeva fino alla piazza Mercato di Porto, dove era prevista una grande piazza rettangolare (l’attuale piazza della Borsa); qui, biforcandosi in due strade anch’esse in rettifilo (le attuali via Depretis e via Guglielmo Sanfelice), raggiungeva piazza Municipio e via Medina. Una piazza ottagonale (piazza Nicola Amore) si apriva all’incrocio di via Duomo con il “Rettifilo”, al quale afferivano 14 strade invece delle 16 previste; di minor numero erano anche le vie longitudinali che completavano la nuova trama viaria.
Il 22 luglio 1886 il piano fu definitivamente approvato, tuttavia non vi era alcuna intenzione da parte del Municipio di assumere direttamente l’esecuzione dell’opera richiedendo essa un impegno assoluto, a discapito degli altri problemi cittadini, coinvolgendo tutti i suoi organi tecnici, i quali sarebbero rimasti assorbiti da un cospicuo lavoro da condurre in tempi brevissimi. Si preferiva che un unico concessionario assumesse, dunque, i tre punti essenziali dell’opera: espropriazione, proprietà dei suoli e nuove costruzioni, con i relativi rischi. La scelta fondamentale era costituita dal risanamento delle zone insalubri della città mediante sventramento e diradamento dell’abitato, il che comportava, come diretta conseguenza, l’ampliamento urbano da effettuarsi ancor prima delle demolizioni dei vecchi fabbricati. Elemento amministrativo prioritario, per conseguire questi obiettivi, era il coordinamento della legge e dei mezzi finanziari ad essa assegnati, tutelando, al tempo stesso, gli interessi pubblici e privati coinvolti nella realizzazione dell’opera.
La superficie interessata dal piano di risanamento si estendeva su di un’area di 980.686,76 mq (durante la messa a punto dei progetti essa era notevolmente aumentata rispetto agli 802.459,27 mq del progetto del 1884), di cui 800.153,95 era coperta di fabbricati da demolire e strade da abolire, 95.625, 09 da fabbricati soggetti a colmata e 84.907,72 mq da strade da innalzarsi al nuovo livello.
La riuscita del piano era in parte condizionata dalla necessità di procedere rapidamente alla costruzione dei rioni d’ampliamento. Si prevedeva, infatti, il graduale spostamento dai vecchi quartieri di ben 87.447 abitanti, dei quali, una parte vi avrebbe fatto ritorno, occupando i fabbricati loro destinati ed un’altra avrebbe invece trovato stabile residenza nei rioni appena creati.
Soltanto quando, con decreto regio del 26 luglio 1886, furono approvati i piani parcellari relativi alle zone espropriabili ed alle opere da eseguire, la I Divisione tecnica iniziò la stesura degli estimativi di spesa, approssimativamente già compilati nel piano di massima.
Un rilievo delle aree interessate al risanamento in scala al 200 fu ritenuto indispensabile per individuare, nel dettaglio, le proprietà e definirne l’entità, per studiare, inoltre, le modifiche che si sarebbero verificate per i tagli parziali e, quindi, passare al progetto esecutivo.
Il 15 giugno 1888, il Giambarba era finalmente in grado di fornire tutti gli elementi necessari che, approvati dal Consiglio comunale nel marzo 1889, furono resi esecutivi con Regio Decreto del 17 marzo 1889 n. 6024. Dopo anni di attesa la bonifica dei quartieri bassi entrava, dunque, nella sua fase operativa. La gara d’appalto indetta nel frattempo fu vinta dalla Società per il Risanamento di Napoli, appositamente creata il 15 dicembre 1888, con un capitale di 30.000.000 di lire, da gruppi finanziari non napoletani. Il “Rettifilo”, oltre a svolgere la precipua funzione di collegamento est-ovest, all’altezza di piazza Nicola Amore, s’innestava a via Duomo, che finalmente veniva completata, proseguendo oltre il detto incrocio. Era così realizzata quella rapida comunicazione fra via Foria e via Marina, inutilmente tentata per tanti anni, e si otteneva, tra le colline ed il mare, un percorso alternativo a via Toledo, mentre il corso Garibaldi ed il suo prolungamento oltre piazza della Stazione e via Foria garantivano il collegamento fra l’entroterra ed il porto.
Il termine di dieci anni preventivato per la conclusione dei lavori non venne rispettato [...] il 25 luglio 1912 fu necessaria una nuova legge per il completamento delle opere residue che furono terminate alcuni anni più tardi.
Da: Giuseppe Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Società per il risanamento, Napoli 1960
“Un fondaco è una specie di falansterio, un’agglomerazione di inquilini miserabili, entro un vecchio palazzo costruito intorno alla più lurida corte. Si entra per un andito obliquo, dalle cui pareti l’intonaco casca a pezzi e scuopre la muratura, marmorizzata di placche giallognole e verdastre che puzzano di mucido un miglio lontano. Lungo il muro e negli angoli stanno le prove che la colonia, nell’ultime ventiquattr’ore, ha mangiato e bevuto grazie alla Provvidenza divina e alla carità napoletana, che ha gli occhi acuti e le braccia lunghe e le mani sempre aperte. In fondo all’angolo si apre quella cloaca del cortile, quadrato o triangolare, chiuso fra le pareti altissime, come nel fondo di un pozzo dal quale il cielo non si vede se non a rischio di un torcicollo. Cinque, sei, sette ordini di balconi, in muratura, sospesi su negri mensoloni di legno tarlato, dividono il piano terreno dal tetto, e accolgono un nuvolo di donne e di bimbi schiamazzanti. Raggio di sole non penetra mai nel tubo intestinale ... Tutti i muri sudano l’umidità e piangono la loja; tutte le pietre si vestono di quel verde marcio che – non so come – mi dà l’idea del veleno, della putredine, dell’interno di un sepolcro ... Lì, dentro ai mille bugigattoli oscuri e crollanti, stanno fino a quattrocento famiglie ammonticchiate, mescolate, confuse, perdute in que’ labirinti; lì nascono vivono muoiono migliaia di individui, che non hanno mai veduto Capodimonte né il Vomero;e che non usciranno né per amore né per forza, finché il piccone dei demolitori municipali non riduca il topaio in un mucchio di ruine” (Yorick, pseudonimo di Pietro Ferrigni, Vedi Napoli e poi ..., Napoli 1877).
Essa segnala “la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite. E non può […] non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico”.
Un ampio dibattito si apre nel paese. A cominciare dal Parlamento, dove un memorabile intervento di Mario Alicata, autorevolissimo esponente del PCI, accende gli animi. Pochi mesi dopo l’esondazione dell’Arno a Firenze e l’alta marea a Venezia confermano, con la forza degli eventi, l’entità dei danni provocati da una gestione del territorio governata dalla miopia pubblica e dalla rapacità privata.
Governo e Parlamento corrono ai ripari: per iniziativa di Mancini viene approvata una legge (un “ponte” verso una più compiuta riforma) che rende un po’ più incisiva la pianificazione urbanistica. Il risultato fu ottenuto, allora, dall’incontro tra la commozione dell’opinione pubblica, la sensibilità dei mass media, l’intelligenza dei governanti. Una simile confluenza si è manifestata raramente negli anni successivi, mai in quella più vicini.
Nei quartieri Porto, Pendino, Vicaria e Mercato, posti a ridosso del mare e nella zona bassa della città, viveva una popolazione di circa duecentomila abitanti e si raggiungevano densità dell’ordine di 1.200 abitanti per ettaro, con punte fino a 2.600 in alcuni rioni. Le abitazioni erano spesso ricavate nei fondaci, “in quei covi, nei quali non si può entrare per il puzzo che tramandano immondizie ammassate da tempi immemorabili, si vede spesso solamente un mucchio di paglia, destinata a far dormire un’intera famiglia, maschi e femmine tutti insieme. Di cessi non se ne parla, perchè a ciò bastano le strade vicine ed i cortili” (Pasquale Villari, Discorso al Senato del 10 gennaio 1885). I problemi creati da questo spaventoso addensamento erano aggravati dall’assenza quasi totale di una efficiente rete di fognature (la maggior parte delle abitazioni era dotata di semplici pozzi perdenti, e dalla scarsa estensione degli allacciamenti alla rete idrica. [...]. Un rapporto diretto, infine esisteva fra sovraffollamento e sottosviluppo socio-economico della popolazione. Sottosviluppo testimoniato dai bassissimi redditi derivanti da un lavoro saltuario e svolto per la massima parte a domicilio, con largo impiego di bambini e di vecchi; dall’alto indice di mortalità infantile; dalla diffusione dell’analfabetismo e, non ultimo, dalla assenza di una qualche coscienza delle cause della propria condizione, se è vero che “la plebe della città di Napoli era notevole per la cordialità delle sue relazioni con la borghesia, erto maggiore che in qualunque altra città italiana, salvo forse Palermo” (intervento del senatore Brosetti durante la discussione).
Nella sostanza la legge del 1885 impegnava lo Stato ad un intervento straordinario (100 milioni ottenuti mediante emissione di titoli speciali di rendita), per l’esecuzione di tutte le opere contenute in un piano di risanamento elaborato dal Comune. In ultima analisi, è proprio nell’insufficiente esame dello stato di fatto e nell’assenza di obiettivi a lunga scadenza di questo piano (tutto teso alla realizzazione di operazioni di primo intervento e di emergenza, condotte senza un quadro unitario di riferimento) che vanno fatte risalire le cause del modesto successo dell’operazione, proprio nei riguardi del miglioramento delle condizioni insediative. [...] È incontestabile che l’esecuzione del piano servì a dotare la città di alcune attrezzature che prima esistevano solo allo stato embrionale (ad esempio la fognatura), a promuovere sostanziali miglioramenti nelle condizioni di vita specie dei ceti borghesi, ad aprire mercati alle grandi imprese edilizie (in particolare a quelle settentrionali) e ad imprimere un volto “occidentale” ad una parte della città; servì meno a risolvere il problema del sovraffollamento delle zone più povere, né promosse un sostanziale spostamento di popolazione verso i nuovi settori di espansione. [...] Infine, da un punto di vista urbanistico, e cioè delle relazioni funzionali fra le diverse parti della città, la legge dell’85 provocò un addensarsi di attività “direzionali” nelle zone centrali ed una espulsione verso le aree periferiche della residenza più povera e quindi incapace di reggere, quando in seguito se ne presentò la necessità, una organizzazione urbana decentrata.
Le vicende dell’amministrazione si trascinarono confusamente fino all’elezione a sindaco di Nicola Amore, nel maggio del 1884. L’alacrità di questo amministratore, i suoi onesti intendimenti, la capacità di divenire interlocutore privilegiato del presidente del Consiglio Depretis, sembrava dovessero sortire alcuni effetti; ma nell’estate del 1884 scoppiava l’epidemia di colera che si diffuse rapidissima nella città e in gran parte della provincia. Tutte le denunce che avevano preceduto questo drammatico evento - che solo a Napoli fece 7000 vittime – ebbero larga eco in tutto il paese suscitando forte emozione. Finalmente il governo Depretis nel gennaio del 1885 varò una legge speciale per il Risanamento della città di Napoli. Ancora una volta le vicende amministrative della città si succedettero con colpi di scena che non contribuirono certo a che una così imponente impresa fosse gestita e guidata nel migliore dei modi. Lo scontro maggiore, tra i sostenitori di Amore e il gruppo cattolico-moderato, riguardava proprio la questione dei lavori programmati: essi si fondavano soprattutto sulla bonifica edilizia dei quartieri di Porto, Mercato, Pendino e Vicaria, sull’ampliamento per nuovi quartieri residenziali e per il completamento dell’acquedotto del Serino. [...] Il piano per il Risanamento di Napoli, dopo i lavori del Viceré don Pedro de Toledo, è il più vasto programma urbanistico che abbia avuto Napoli nella sua storia moderna e contemporanea.
[...]
Il progetto per il risanamento di Napoli nasceva da una lunga sedimentazione di piani e programmi vari che almeno a partire dal 1870 erano stati elaborati da privati professionisti, da associazioni di tecnici o da uffici pubblici senza alcun concreto esito; ma essi costituirono un innegabile patrimonio di idee e di operative indicazioni di cui la Società per il Risanamento si servì. [...] Questi progetti vertevano sulla necessità di collegare il centro antico – attraverso trafori nelle colline – con il settore occidentale; di collegare la parte bassa – mediante funicolari – con il Vomero e Posillipo; di rendere più spediti i collegamenti tra i due versanti della città attraverso l’ampliamento della Riviera di Chiaia o la creazione di una litoranea. Puntavano sulla necessità di realizzare un quartiere operaio ad oriente che fosse di supporto alle attività dell’industria siderurgica, a quelle commerciali e portuali; prevedevano massicci interventi di sventramento [...] nell’ottica del grand travaux alla Haussmann, secondo il fortunato e celeberrimo modello parigino. Tema privilegiato – poi reso operativo dal Risanamento – fu quello del collegamento del centro con la piazza della Ferrovia.
[...]
Adolfo Giambarba, in qualità di ingegnere capo della Prima divisione tecnica del Comune, fu l’estensore del progetto: esso prevedeva il risanamento dei quartieri Porto, Mercato, Pendino – con uno sconfinamento nella sezione Vicaria – l’ampliamento della fascia costiera e la ristrutturazione della rete delle fogne e dell’approvvigionamento idrico del nuovo acquedotto del Serino. [...] Il progetto s’articolava in diversi interventi retti dalla stessa logica dello sventramento dei quartieri più malsani; un’ampia strada, partendo da via Medina, giungeva alla stazione di piazza Garibaldi, un sistema di assi ad essa perpendicolari – ma poco profondi generalmente, tanto da non intaccare a nord il complesso monastico di S. Marcellino – in numero di sedici s’aprivano nel corpo dell’edilizia preesistente, ed altre parallele s’aprivano all’altezza del quartiere Mercato. [...] da piazza Garibaldi la via omonima veniva prolungata a nord fino a piazza Ottocalli, prospiciente l’imponente mole dell’Albergo dei Poveri ove, con massicce demolizioni, si creava il disegno del tridente. L’intervento residenziale più esteso era previsto proprio in quest’area del vecchio quartiere di S. Antonio Abate. Edera questa l’area orientale destinata ai quartieri operai. [...] Dopo un esame abbastanza rapido del Comune il progetto passò al governo che, dopo discussioni nei due rami del Parlamento, il 15 gennaio 1885 varò la Legge per il risanamento della città di Napoli. [...] l’amministrazione comunale non trovò concordia d’intenti, le giunte si susseguirono al governo della città, sicché il fatidico primo colpo di piccone ufficialmente fu dato dopo ben quattro anni dall’approvazione della legge, precisamente il 15 giugno 1889.
[...]
Tra le poche voci precocemente ostili all’operazione va ricordata quella di Pasquale Villari che, dal 1885 al 1910, seguì con permanente attenzione le vicende della città. Egli rimproverava al Risanamento d’essersi risolto in una operazione speculativa, di non aver offerto alloggio agli abitanti dei quartieri sgombrati e di averli ridotti ai margini della città in condizioni non migliori di quelle che avevano abbandonato; di aver goduto dei pubblici provvedimenti legislativi per fini sociali e di averli manifestamente disattesi o, peggio, d’averli adoperati a fini speculativi. [...] Ritornando alla distruzione del patrimonio artistico va ricordata l’opinione del Ceci che poteva scrivere “la grande opera del Risanamento dei vecchi quartieri napoletani, invocata da igienisti e da filantropi, ordinata, ad impulso e con concorso dello Stato dal nostro Comune, avrà i suoi errori, ma tra questi non si dovrà annoverare la distruzione di chiese notevoli per importanza artistica” (G. Ceci, Ricordi della vecchia Napoli. Notizie delle chiese comprese nel piano di Risanamento della città, Napoli 1982).
[...]
l’operazione Risanamento ha caratteri inequivocabilmente e smaccatamente speculativi che le fonti di studio più accreditate hanno cercato invano di celare: il sol fatto che il risanamento dei fondaci proceda con esasperante lentezza e con impudente disinteresse per la sorte dei destinatari, ne è una ben palmare conferma. Accade che la massiccia immissione sul mercato di case signorili e di edilizia borghese nei quartieri di ampliamento sortisca il duplice risultato di far impazzire il mercato immobiliare e di ridurre nei più sordidi tuguri, posti alle spalle dei boulevards parte della stessa popolazione residente nelle aree sventrate che non poté certo accedere alle nuove abitazioni rese disponibili. [...] l’operazione del Risanamento costruì assai più case signorili di quanto il mercato immobiliare potesse assorbire e assai meno case economiche e popolari di quante sarebbero state necessarie. Basti ricordare che nei primi tre anni di lavori ci furono nei quartieri bassi 20.000 espulsi e sicuramente più di 10.000 arretrarono nelle povere case, fondaci e bassi alle spalle del Rettifilo, facendo precipitare ulteriormente le condizioni igienico-edilizie di questa area urbana.
[...]
Quantunque manchino delle ricerche analitiche sull’andamento demografico della popolazione in questo periodo [1861-1901], si legge con chiarezza una prima fase di tendenza alla stagnazione ed una seconda di netta ripresa: confermata da un andamento positivo del tasso di natalità rispetto a quello della mortalità che è un indice abbastanza chiaro per dire che il nuovo sistema fognario e gli stessi lavori del Risanamento, nonostante i caratteri speculativi da esso assunto, contribuirono in qualche misura a rendere meno precarie le condizioni igienico-edilizie di taluni settori urbani.
Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perchè voi siete il Governo e il Governodeve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie. Ma il Governo doveva sapere l' altra parte; il Governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il Governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il Governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri [...] Vi avranno fatto vedere una, due, tre strade dei quartieri bassi e ne avrete avuto orrore. Ma non avete visto tutto; i napoletani istessi che vi conducevano non conoscono tutti i quartieri bassi. La strada dei Mercanti, l’avete percorsa tutta? Sarà larga quattro metri, tanto che le carrozze non vi possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello; le case altissime la immergono durante le più belle giornate, in una luce scialba e smorta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato, è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce. In questa strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, v’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio. Da questa via partono tante altre viottole [...] molto più strette dei Mercanti, ma egualmente sporche e oscure; e ognuna puzza in modo diverso: di cuoio vecchio, di piombo fuso, di acido nitrico, di acido solforico.
[...]
Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studi, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare.
Voi non potrete sicuramente lasciare in piedi le case che si sono lesionate dalla umidità, dove al pianterreno vi è il fango e all’ultimo piano si brucia nell’estate e si gela nell’inverno; dove le strade sono ricettacoli d’immondizie, nei cui pozzi, da cui si attinge acqua così penosamente, vanno a cadere tutti i rifiuti umani e tutti gli animali morti [...] il cui sistema di latrine, quando ci sono, resiste a qualunque disinfezione.
[...]
Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnare loro come si vive – essi sanno morire, come avete visto! – per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla.
Ho letto di recente una tesi di laurea sull'urbanistica partecipata della quale lei è stato relatore.
La lettura di questo lavoro, molto interessante, mi ha aiutato a comprendere alcune delle complesse dinamiche che avvengono, più che nei processi di pianificazione a fianco di essi, ho percepito chiaramente il gioco di posizioni che si compie tra gli amministratori e chi come noi li affianca.
Mi sono ricordato con entusiasmo i periodi in cui lavoravo per strada raccogliendo le storie di vita dei lavavetri del mio quartiere, era la scoperta di un linguaggio di segni e sguardi da decifrare, di piccoli gesti significanti di un mondo oltre le parole.
Allora pensavo con curiosità che fare etnografia volesse dire imparare a comunicare con i gatti. Il gatto è "l'altro" per eccellenza un essere con il quale ci si rapporta ma che non subisce l'addomesticamento, con il quale si deve codificare un linguaggio nuovo fatto con il corpo, fatto di piccoli adattamenti reciproci…
Mi scusi la fantasiosa metafora, non le scrivo per tediarla parlandole di gatti, il fatto è che spesso provando a lavorare mi trovo a dover cercare di stabilire canali comunicativi con gli amministratori locali, scegliendo di posizionarmi su vari livelli lungo la distanza che separa me da loro.
Oggi però mi chiedo se effettivamente tutto questo sforzo sia opportuno, nel senso che non sono più tanto sicuro di voler prendere l'urbanistica come una missione, o meglio comincio a non averne più la possibilità (economica ma anche come risorse di energie), forse insistere col presentarsi ai sindaci dei comuni più disparati, per proporre azioni di sviluppo e sollecitare la creazione di strategie di pianificazione è una fatica inutile, perchè lottare per convincere la gente a muoversi per provare ad evolvere verso livelli di qualità della vita migliori? (ma poi migliori per chi?) quando questa stessa gente non ha mai fatto nulla per cercare di migliorare le proprie condizioni?
Il fatto è che fino ad adesso sono stato troppo legato alla mia terra ed ho avuto la convinzione di dovermi impegnare in qualche modo, per contribuire alla sua evoluzione allora tutto quello che vedevo mi stimolava alla creazione di idee, di ricerche, di possibilità di azione, ma a lungo andare mi sto esaurendo e sto perdendo amore ed energia.
Allora sempre più fortemente mi chiedo cosa significhi lavorare da urbanista in realtà territoriali dove esiste la cultura dello sviluppo, dove esiste civitas, dove i cittadini per primi sono attori locali interessati alla ricerca di modi di sviluppo di tutela dell'ambiente e salvaguardia dei patrimoni.
Esistono davvero questi mondi civili oppure sono un miraggio? si può veramente fare urbanistica senza lottare come Don Chisciotte?
Sono contento che la tesi di Cinzia Rinzafri ti sia stata utile. Ma più della tesi, è la vita a suggerirti gli interrogativi che poni. Non voglio risponderti adesso, preferisco aprire un dibattito sulla tua domanda.. Sono sicuro che qualcuno dei frequentatori di questo sito risponderà, e si aprirà una discussione che potrà essere utile a molti.
La legge 15 gennaio 1884, n. 2892, nota con il titolo di “legge per il risanamento della città di Napoli”, fu ispirata e determinata dai luttuosi eventi dell’estate del 1884, allorché il colera causò in quella città migliaia di morti. Lo stesso titolo del disegno di legge presentato dal presidente del Consiglio dei ministri, Depretis, il 27 novembre 1884, alla Camera dei Deputati (ove prese il n. 261), è chiaramente indicativo delle finalità perseguite: “Disposizioni per provvedere alla pubblica igiene della città di Napoli”. Del resto le considerazioni illustrative del disegno di legge e le ripetute dichiarazioni dello stesso Depretis non lasciano dubbi in proposito. Si sottolinea nelle prime l’esigenza, di fronte al frequente ripetersi di invasioni coleriche in Napoli, di provvedere “non tanto al riparo delle sventure singole e locali, quanto a prevenire e impedire le nuove e generali che potrebbero colpirci”. Durante la discussione al Senato, inoltre, nella seduta del 10 gennaio 1885, Depretis affermò che il disegno di legge in discussione doveva essere considerato nel suo vero carattere, precisando: “Esso è principalmente, anzi esclusivamente, un provvedimento igienico. Tuttavia i fini di igiene pubblica della legge non impedirono, come del resto era necessario, che l’attenzione si rivolgesse anche a problemi essenzialmente urbanistici. L’esatta individuazione delle cause del colera non poteva non suggerire interventi intesi a predisporre più razionali strutture cittadine e con l’occasione non si mancò di indicare gli strumenti procedurali e tecnici, oltre ai mezzi finanziari, dell’intervento pubblico nella sistemazione dell’insediamento urbano. Nella presentazione del disegno di legge si afferma: “Le cause principali della recente sventura furono accertate con sollecita cura dal Municipio di Napoli e da uomini competentissimi, e consistono nelle condizioni deplorabili delle fogne e del sottosuolo dove si sprofondano e pullulano migliaia di pozzi e sorgenti di acqua cattiva, naturale veicolo di infezione; nell’agglomerazione delle classi più misere del popolo in tuguri e sotterranei immondi; nella generale insalubrità delle abitazioni in parecchie sezioni di Napoli”. La discussione in Parlamento si polarizzò intorno a soluzioni di coraggiosa modernità e chiara tecnica urbanistica: costruzioni di una grande e larga strada centrale con numerose alte vie ad essa perpendicolari, costruzione di nuovi quartieri, espropriazione per pubblica utilità di zone “laterali alle nuove strade” ecc., elementi questi che portarono gli avversari della legge ad affermare, in polemica, che tutto un altro scopo era così perseguito, uno “scopo puramente edilizio ed estetico” e che non si vedeva quale relazione potesse trovarsi “fra un problema così complesso come è quello dell’igiene ed un bel rettilineo”. È evidente, pertanto, come la rilevanza della legge in esame trascenda le contingenze specifiche che la originarono: alcune norme in essa contenute rappresentano un momento essenziale del processo evolutivo della legislazione urbanistica italiana.
[...]
Dalla discussione dei singoli articoli è da ricordare l’intervento del deputato Nervo il quale aveva presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’art. 1: “Il sottoscritto propone di aggiungere le seguenti disposizioni all’art. 1: il piano dovrà essere concepito in modo che i nuovi fabbricati, che saranno costruiti in sostituzione delle case malsane, contengano abitazioni la cui distribuzione interna si presti anche all’esercizio di piccole industrie a domicilio, e il cui valore locativo possa essere accessibile alle classi meno abbienti che ora abitano i quartieri malsani”. [...] Furono proposti (ed accettati dal Governo) i due seguenti: “L’indennità dovuta ai proprietari degli immobili espropriati sarà determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente al rispettivo anno di locazione. In difetto di tali fitti accertati, l’indennità sarà fissata sull’imponibile netto, agli effetti delle imposte sui terreni e su fabbricati”.
[...]
Durante la discussione generale da parte del senatore Brioschi furono analiticamente esaminate le varie possibili iniziative di opere pubbliche in Napoli e fu affrontato poi un più generale problema d’indole sociologica per i riflessi che sulle varie progettate soluzioni urbanistiche avrebbero avuto le specifiche condizioni della popolazione napoletana: “non pare a Lei, onorevole Presidente del Consiglio, non pare al Senato, che questo clima, questa plebe, queste abitudini, esigano considerazioni e studi speciali, anche dal punto di vista della questione edilizia; e che il partito di abbattere case malsane per costruirne altre salubri in altra località, partito che pure può ritenersi in generale opportuno, non lo possa diventare meno in quelle circostanze locali? Quei due nuovi rioni ideati a costruirsi, denominato l’uno rione operaio, l’altro rione industriale, sembra a Voi possano albergare quella parte della popolazione di Napoli intorno la quale hanno scritto così belle pagine il Villari, il Turiello, il De Zerbi, la Mario, il Fucini e molti altri? Non vi è qui un problema sociale che si complica con l’edilizio e con l’igiene e del quale, a mio avviso, non si è tenuto alcun conto?”.
Firmata dagli urbanisti Edoardo Salzano, Giuseppe De Luca, Vezio De Lucia, Giorgio Piccinato, Francesco Indovina, Ezio Righi, Stefano Fatarella, Giovanni Caudo, Paolo Pècile, Anna Marson, Bernardo Secchi, Luca D’Eusebio, Manlio Marchetta, Mauro Baioni, Luciano Vettoretto, Silvano Bassetti, Dusana Valecic, Daniele Rallo, Chiara Mazzoleni, Teresa Cannarozzo, Tommaso Giuralongo, Marco Guerzoni, Paolo Avarello, Andrea Rumor, Luigi Scano, Piero Cavalcoli, Piergiorgio Rocchi, Daniele Pini, Enrico Fontanari, Imma Apreda, Alessandro Delpiano, Franco Corsico, Massimo Preite, Alberto Clementi, Mauro Parigi, Roberto Giannì, Mario Fadda, Matelda Reho, Ignazia Pinzello, Elettra Malossi, Mariangiola Gallingani, Silvia Saccomani, Graziella Guaragno, Michele Pasqui, Umberto De Martino, Rodolfo Sabelli, Elena Tamagno, Bruno Alampi, Sandro Fabro, Paolo Berdini, Mosè Ricci, Loreto Colombo, Gustavo Cecchini, Vincenzo Bentivegna, Sergio Peri, Giuseppe De Togni, Catia Chiusaroli, Francesco Lopiccolo, Alessandro Dal Piaz, Luigi Longo, Fabrizio Bottini, Giuseppe Vitale, Piero Rovigatti, Silvia Viviani, Alberto Magnaghi, Attilio Belli.
Dopo l’invio della lettera (11 febbraio 2003) sono ulteriormente pervenute le adesioni di Biagio Cillo, Francesco De Simone, Ferdinando Trapani, Elena Camerlingo, Moreno Veronese, Paolo Rigamonti, Felicia Bottino, Filippo Boschi, Alfonso De Nardo, Roberto Gambino, Bruno Gabrielli, Dario Predonzan, Luciano Viotto, Federico Della Puppa, Mario Petillo, Romano Fistola.
Caro Direttore,
abbiamo apprezzato molto l’impegno costruttivo della sua rivista nello sforzo di delineare un programma per un’altra Italia possibile. E ci sembra che l’ampiezza degli argomenti trattati, la qualità delle persone coinvolte nel delinearli, il taglio impresso alle proposte, tutto ciò costituisca un contributo di grande rilievo alla costruzione di un’alternativa concreta all’attuale, squallida situazione di governo.
Proprio queste valutazioni positive ci rendono fortemente preoccupati per un’assenza, che francamente ci sembra clamorosa. Se nei capitoli del programma di Micromega non mancano (e giustamente) la sanità e la giustizia, l’immigrazione e il lavoro, l’università e le carceri, l’ambiente e i beni culturali (e altri numerosi temi), manca completamente il territorio. Questo, infatti, non si riduce all’ambiente (nell’accezione che questo termine ha assunto negli ultimi decenni, e che è ben rappresentato nel testo di Ermete Realacci) né ai beni culturali (nonostante l’accezione giustamente ampia che Salvatore Settis attribuisce a questa espressione).
Ragionare e proporre un capitolo del programma per “un’altra Italia” che riguardi il territorio e la città significherebbe infatti farsi carico insieme delle ragioni dell’ecologia e di quelle dell’armatura urbana del nostro territorio, della tutela della natura e della dotazione delle infrastrutture, della difesa del paesaggio e del miglioramento delle condizioni di vita nelle città. Del resto, non dovrebbe essere evidente a tutti che una delle cause non secondarie della dissipazione del patrimonio culturale e della devastazione dell’ambiente sta proprio nella cattiva gestione della città e del territorio, nel prevalere degli interessi individuali e aziendali di rapace sfruttamento del territorio sugli interessi collettivi, degli uomini e delle donne di oggi e di quelli di domani? Dall’assenza quindi della pianificazione territoriale e urbanistica, della sua delegittimazione come strumento per l’affermazione degli interessi e delle speranze comuni, o della sua riduzione a strumento per l’accrescimento di posizioni private di rendita e di sfruttamento?
È stato un uomo che ha avuto un ruolo importante nella nascita della sua Rivista, Giorgio Ruffolo, a scrivere (proprio sulle pagine di uno dei primi fascicoli di Micromega) che la pianificazione urbana e territoriale è uno dei “sette pilastri della saggezza ambientalista”. Ma da quegli anni – duole ammetterlo – l’insieme delle forze che oggi si oppongono da sinistra al nascente regime berlusconiano ha dimenticato quella verità. Chi si è preoccupato di domandarsi che fine avevano fatto, nel concreto delle realtà regionali e provinciali e comunali, le speranze accese dalla cosiddetta Legge Galasso per la tutela del paesaggio? Chi si è impegnato nel considerare decisione politica rilevante porre dei limiti al dimensionamento delle espansioni urbane, accertare la effettiva disponibilità degli spazi necessari per le esigenze della vita collettiva e del benessere delle cittadine e dei cittadini, contrastare nei fatti l’abusivismo urbanistico ed edilizio? Chi si è dimostrato consapevole del fatto che proprio la delegittimazione della pianificazione urbanistica, e del sistema trasparente di regole che essa stabilisce, era stata una delle cause non secondarie di Tangentopoli, ed è ancor oggi uno degli alimenti che ne consentono la sopravvivenza? Chi si è adoperato per riaffermare l’autorità del piano urbanistico - come strumento degli interessi collettivi e pubblici, trasparente nel suo procedimento di formazione, aperto alla partecipazione dei cittadini, proiettato verso il futuro ma radicato nella gestione ordinaria dell’amministrazione pubblica – contro il prevalere degli interessi di pochi gruppi di operatori economici e, soprattutto, di proprietari immobiliari? Chi, insomma, tra le personalità e le forze della sinistra e del centro, ha posto la questione del governo della città e del territorio (e quindi della pianificazione territoriale e urbanistica) come un grande problema politico?
È anche per questo, signor Direttore, che ci sembra che l’assenza del territorio e della città, dell’urbanistica, della pianificazione tra i 24 capitoli del programma proposto da Micromega sia un’assenza grave. Sarebbe utile, sulla sua Rivista, aprire una discussione sulle ragioni di questa assenza. Che non sono certamente né la distrazione né la fretta ma – forse – qualcosa di più profondo, su cui tutti dovremmo interrogarci.
Improvvisi ed eccezionali accadimenti hanno scosso il paese tra luglio e novembre: la frana di Agrigento, l'allagamento di Firenze e Venezia, le frane e le alluvioni nell'alto e basso Veneto.
Alla radice di ognuno di essi sta, per certo, il cattivo uso del suolo, sotto forma sia di continuativo ed insensato disfacimento di antichi equilibrati ecosistemi naturali, sia di violento e pervicace sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori.
In entrambi i casi, la natura, irragionevolmente sfidata, ha scatenato d'improvviso le sue furie terribili ed ammonitrici.
In entrambi i casi, alla radice è l'imprevidenza umana. E se, nell'imminenza del repentino maturare della tragedia, è mancata anche la più rudimentale forma di preavviso organizzato, alle origini giganteggia una ben più ampia e continuativa imprevidenza, che si concreta nel mancato uso razionale degli strumenti della pianificazione territoriale ed urbanistica.
Non è infatti pensabile l’istituzione ed il funzionamento di un sistema di costante controllo, capace di far scattare uno stato di allarme, senza la presenza di un quadro di riferimento generale, che, stabilite le regole interne di equilibrio fra i vari fattori, definisca le finalità delle singole azioni, d'intervento e d'uso, e fissi le soglie dello stato di pericolo. Senza piani territoriali ed urbanistici, seriamente studiati e coscienziosamente resi operanti, è dunque perfettamente inutile pretendere un efficace sistema di controlli per l'ultima ora: se in Olanda scatta l'allarme nel « polder » minacciato è perché l’intero paese è vigilato da una pianificazione territoriale attiva ed attenta, con strutture, responsabilità e tradizioni.
È proprio per questo motivo, per la stretta connessione fra le carenze di pianificazione ed i recenti dissesti territoriali, che questo fascicolo è doverosamente dedicato all’illustrazione e, nei limiti delle attuali possibilità conoscitive, all'esame urbanistico dei casi occorsi.
E cosi alla riedizione integrale della relazione Martuscelli si aggiungono alcuni profili sulla situazione di Firenze, di Venezia e del Veneto, durante e dopo il diluvio.
Ne si tratta soltanto di illuminare questi eventi di luce razionale, sottraendoli alle deformazioni emotive e recriminatorie, ma soprattutto di trarre sensate e tempestive conseguenze dagli avvertimenti della natura violentata.
Non a caso, le annose ostinate resistenze alla presentazione della nuova legge urbanistica, in tempo utile per esser ancora discussa ed approvata nella presente legislatura, sono cadute di fronte ai fatti di Agrigento. Non a caso sono stati presentati in Parlamento i provvedimenti di immediata modifica della legge urbanistica del ‘42, che dovrebbero divenire operanti in tempi brevissimi.
Urge infatti far presto, ricuperando, se possibile, il tempo perso in sterile attesa. Urge dar mano alla formazione dei piani per le città ed i territori che sono sprovvisti e rivedere dalle fondamenta una quantità di piani operanti, ma inefficienti, perché privi di chiara finalizzazione all'interesse pubblico, di coerenza interna e di strumentazione efficace, oltreché di coordinamento territoriale e di compatibilità economica e finanziaria.
Urge studiare e lavorare intensamente a tal fine, per formare nuovi piani e dotarli di capacità operativa. Ed è bene dire esplicitamente che a tal scopo non bastano le leggi che si stanno predisponendo con i loro attuali obiettivi. Anzitutto, perché le leggi ed obiettivi sono tutt’oggi ancorati agli accordi di governo del luglio '64 che riflettevano una interpretazione mediana di condizioni generali del paese ormai sostanzialmente mutate. Nell'estate del '64 era infatti ancora largamente diffusa l'illusione, e non solo nell'ambito degli operatori edili, nella ripresa del sistema economico che aveva prodotto dapprima il boom edilizio e quindi il suo arresto. Le opinioni dei partiti dellà coalizione governativa oscillavano, allora, tra gli assertori dell'esigenza di immediate riforme di struttura atte a modificare sostanzialmente il sistema, ed i fautori di una sostenuta ripresa del sistema stesso, da condizionare si a fini sociali mediante correttivi, ma solo successivamente alla sua rimessa in moto. Se allora prevalse la tesi moderata è perché, tutto sommato, vi era una maggioranza effettiva che ancora nutriva un'acritica fiducia nel sistema precedente.
Pienamente coerente con questa logica di fiducioso sostentamento della ripresa era la lunga casistica degli esoneri dall'esproprio, garantiti agli operatori edili ed ai proprietari di aree dagli accordi di governo del luglio '64.
Mal si comprende come questi esoneri, allora concessi nell'intenzione di sostenere la ripresa, possano ancora giocare, oggi, con qualche efficacia come stimolo all'edificazione, se nei 30 mesi trascorsi, in cui ha regnato il totale esonero da espropri, l'attività edilizia privata non è affatto rifiorita in virtù di tale libertà. È invece evidente che l'ampia casistica degli esoneri, se ancora mantenuta, agirà ormai soltanto più come remora alla messa in moto di una pianificazione operativa.
Occorrerà, dunque, che il Parlamento decida con chiarezza se sia logico coltivare ancora a lungo l'illusione in una ripresa automatica per forza endogena di incostanti e incoerenti iniziative private o se, dopo le recenti drammatiche esperienze, non sia preferibile agire più celermente nella direzione di interventi razionali e responsabili, progettati, discussi e decisi alla luce del sole. In questa seconda ipotesi, è ovvio che la casistica degli esoneri dovrà esser completamente riveduta.
Ma non basterebbe solo questo aggiornamento per garantire efficacia al processo di pianificazione, occorre rettificarne sensibilmente gli obiettivi per i tempi brevi del periodo transitorio, in attesa delle leggi regionali. Infatti, non si tratta più, oggi, di far fronte alle esigenze delle aree di « accelerata urbanizzazione » con semplici strumenti di razionalizzazione ad effetto immediato: questa esigenza nasceva dalle tumultuose urbanizzazioni originate dal boom del '60-'63 nelle aree metropolitane ed in quelle di interesse turistico. In tali zone, le finalità della nuova legge urbanistica dovrebbero esser chiaramente delineate, nelle disposizioni transitorie, rispetto alle situazioni attuali, più in funzione di una profonda ristrutturazione generale delle agglomerazioni urbane e del paesaggio, che non di semplice razionalizzazione dei margini esterni dell'onda espansiva.
E poiché su questa materia, estremamente seria le improvvisazioni non aiutano alcuno, il Parlamento trarrebbe giovamento ad avvalersi, durante l'iter di esame della nuova legge urbanistica, della consulenza di esperti e di pubblici amministratori, incaricati di riferire documentatamente, in tempi brevissimi ed anche, occorrendo, in contradditorio, sui recenti mali urbanistici di alcune città e località. I provvedimenti legislativi allo studio, sia per i tempi brevi, che per i tempi lunghi, assumerebbero cos1 maggior concretezza ed aderenza ai fatti, e si eviterebbero i pericoli, tutt'altro che remoti, di astratte e formali generalizzazioni giuridiche.
A questo proposito, l’indagine sulla situazione urbanistica ed edilizia di Agrigento è stata esemplare, essendosi consentito alla. Commissione, con l'accesso ai documenti di tutti gli Enti, di ricostruire la realtà sotto tutti gli angoli visuali e di ritrovare, nel succedersi ed intrecciarsi dei fatti, il filo conduttore delle singole azioni dei singoli protagonisti pubblici e privati. È un documento acquisito al Paese.
Ma analoghe indagini occorrono su alcune situazioni campione, comprensive di aree metropolitane di sviluppo e di zone ad elevato interesse turistico, dirette non tanto alla identificazione di responsabilità personali, quanto piuttosto alla ricerca delle cause dell'avvenuta degenerazione delle strutture urbanistiche del Paese. Un'indagine seriamente organizzata, mobilitando tutte le forze disponibili, anche a livello degli Istituti universitari e di CNR, dovrebbe, in non più di sei mesi, dare i suoi frutti. Sulla base di quelle risultanze anche l'introduzione di nuovi strumenti operativi per la pianificazione sarà, allora, più facile. Diventerà ad esempio evidente a tutti la necessità di dotare gli Enti, preposti all'attuazione dei piani, di strumenti non solo positivi, e cioè liberatori e suscitatori di iniziative pubbliche e private, ma anche contemporaneamente di quelli negativi, e cioè di vincolo, temporaneo o permanente, sulla edificabilità di talune aree. Senza, infatti, il doppio pedale dell'accelerazione e del freno, senza l'uso congiunto del si e del no, senza la delimitazione delle aree da urbanizzare con priorità e delle aree a temporanea sospensiva d'uso, è impossibile porre in moto una macchina veramente efficiente. Ecco perché i sia pur apprezzabili emendamenti legislativi per i tempi brevi, ormai all'esame del Parlamento e che riportiamo per esteso qui di seguito, rischiano l'inefficienza, se privati del progettato, ma non presentato, programma operativo dei Piani regolatori, in cui siano definite periodicamente le aree da urbanizzare e quelle di riserva.
Infine, il discorso non può chiudersi senza un accenno, ormai d'obbligo su queste pagine, alle strutture degli -uffici di progettazione e di gestione dei piani, a tutti i livelli.
Si rompano gli indugi e si parli finalmente della istituzione del Ministero della Pianificazione urbanistica.
Si riparli seriamente delle Regioni, e non solo sotto il profilo del loro costo d'impianto, ma anche dei benefici economici che potranno realizzarsi con l'effettivo incontro fra stato ed enti locali, mediante la pianificazione territoriale ed urbanistica, decisa a livello regionale, all'unico livello cioè, capace di sostanziare la programmazione economica.
Si guardi per tempo agli uffici tecnici comunali, attrezzati oggi in modo arcaico e per compiti di istituto, in cui la pianificazione urbanistica è quasi totalmente esclusa o mortificata. E si incominci ad edificare una efficiente struttura tecnico-amministrativa dell'urbanistica, dagli uffici di pianificazione locale, a quelli a livello regionale e statale.
Si obietterà che tutto ciò costa, ed è facile rispondere che una efficiente struttura di pianificazione urbanistica costerà alla collettività una piccola frazione dell'insieme dei danni provocati dall'assenza di tale struttura. Ma si può anche dare una risposta più precisa: stanzi per intanto lo stato quanto ha stanziato per riparare i danni del solo episodio di Agrigento, ma per finanziare, e subito, strutture e studi urbanistici, e si istituisca immediatamente il Ministero della Pianificazione Urbanistica come primo atto di volontà pianificatrice: tutto il resto verrà, e presto.
A meno di accettare fatalisticamente il cumulo, già enorme, di conseguenze negative della mancata pianificazione urbanistica.
[…] ecco l’avvenimento che ripropone drammaticamente l’intera “questione urbanistica”. Il 19 luglio 1966
“una frana di inconsuete dimensioni, improvvisa, miracolosamente incruenta, ma terribile nello stritolare o incrinare irrimediabilmente spavalde gabbie di cemento, ed impietosa, al tempo stesso, nello sgretolare vecchie abitazioni di tufo, in pochi istanti, ha buttato fuori casa migliaia di abitanti ponendo Agrigento sotto nuova luce e nuova dimensione”[i].
La frana è stata causata dall’enorme sovraccarico edilizio: ben 8.500 vani costruiti negli ultimi anni in contrasto con tutte le norme esistenti. Mancini, Ministro dei lavori pubblici, nomina una commissione d’inchiesta, presieduta da Michele Martuscelli. Nel settembre la “relazione Martuscelli” è resa pubblica.
“Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento. Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l’aspetto sociale, civile ed umano”[ii].
L’impressione nel paese è enorme. Sotto accusa è la DC che amministra la città da vent’anni. Un aspro dibattito si accende nel Parlamento e nel Paese. Un accusatore implacabile è il deputato comunista Mario Alicata:
“Il dramma di Agrigento non pone problemi nuovi o straordinari. Ripropone il problema dello sviluppo democratico e civile della Sicilia e del Mezzogiorno, il problema del tipo di sviluppo economico e sociale, che è stato impresso a tutto il nostro paese, e, in questo quadro, il problema, oggi centrale, dei caratteri impressi all’urbanizzazione da un sistema di potere economico e politico fondato sulla speculazione e l’affarismo; ripropone il problema del monopolio politico della DC, come strumento, oltre tutto, degenerativo della vita pubblica del paese”[iii].
La DC fa quadrato intorno ai suoi uomini compromessi.
Gran parte della stampa conservatrice tenta di accreditare la versione dell’“evento naturale imprevedibile”. In questa tesi, in fondo, c’è del vero: la sordida connivenza tra amministratori e speculatori, che è all’origine della frana, non è una triste prerogativa di Agrigento; Agrigento riproduce in piccolo la generale situazione italiana, da Roma a Napoli, da Palermo a Mestre. Lo afferma la stessa commissione Martuscelli che
“nel rimettere agli atti, sente il dovere di segnalare all’attenzione del Signor Ministro, dei Parlamentari e di tutti i responsabili delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali, la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite. E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico. Il problema non può ovviamente, essere risolto che con una nuova legge urbanistica - la cui emanazione non dovrebbe essere ulteriormente rinviata - ; ma in attesa che tale legge entri in vigore e dispieghi i suoi effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l’adozione - eventualmente anche nella forma del decreto-legge - di alcune essenziali ed incisive norme di immediata operatività atte ad affrettare la formazione dei piani, ad eliminare nei piani e nei regolamenti le più gravi storture relative ad indici aberranti e a troppo estese facoltà di deroga e ad impedire i più vistosi fenomeni di evasione e di speculazione”[iv].
La “lezione di Agrigento” induce Mancini a correre ai ripari; “in attesa che la nuova legge urbanistica sia emanata e che i dispositivi da essa previsti producano i loro effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l’emanazione di norme intese a porre un freno all’attuale situazione di disordine urbanistico-edilizio”. Così inizia la relazione al d.d.l. governativo, che sarà approvato nell’estate del 1967 e sarà noto come “legge-ponte”.
Ad accelerare l’approvazione della legge concorsero anche, indubbiamente, i disastri del novembre 1966: le tragiche alluvioni di Firenze e Venezia, le frane e le alluvioni nel Veneto. Come scrive Giovanni Astengo:
“Alla radice di ognuno di essi sta, per certo, il cattivo uso del suolo, sotto forma sia di continuativo ed insensato disfacimento di antichi equilibrati ecosistemi naturali, sia di violento e pervicace sfruttamento intensivo del suolo a scopi edificatori. In entrambi i casi, la natura, irragionevolmente sfidata, ha scatenato d’improvviso le sue furie terribili ed ammonitrici. In entrambi i casi, alla radice è l’imprevidenza umana. E se, nell’imminenza del repentino maturare della tragedia, è mancata anche la più rudimentale forma di preavviso organizzato, alle origini giganteggia una ben più ampia e continuativa imprevidenza, che si concreta nel mancato uso razionale degli strumenti della pianificazione territoriale ed urbanistica”[v].
[i] Ministero dei lavori pubblici, Commissione d’indagine sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento, Relazione al Ministra, on. Giacomo Mancini, Roma, 1966, p. 5.
[ii] Ivi, p 142.
[iii] M. Alicata, La lezione di Agrigento, Roma, 1966, pp. 29‑70.
[iv] Ministero dei lavori pubblici Commissione, cit., p. 142.
[v] G. Astengo, Dopo il 19 luglio, in “Urbanistica”, n. 48, dicembre 1966 p. 2.
Signor Ministro,
all'atto di consegnarLe i risultati di due mesi di intenso lavoro, pur riconoscendo che la brevità del tempo a disposizione e la complessità di eventi e situazioni, non le hanno consentito di spingere le indagini fino al completo esaurimento di ogni conoscenza, né forse di calare l'intera materia in equilibrate ripartizioni, la Commissione ritiene che il peso della consistente documentazione raccolta, dalla quale si son potute trarre considerazioni generali specifiche, sia tale da illuminare sufficientemente sulle situazioni di fatto e di diritto. sulla concatenazione storica degli eventi e sul comportamento dei soggetti. Una risposta ai pressanti interrogativi dell'opinione pubblica può essere ora data, ed è stata data dalla Commissione.
Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento.
Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l'aspetto sociale, civile ed umano.
La città dei « tolli » non è piú l'Agrigento di un tempo.
Il volto urbano, sfigurato, potrà forse in parte essere ricuperato con generose piantagioni di verde, cui affidare la, cicatrizzazione delle ferite e la ricucitura dei tessuti, ma difficilmente, e certo con costi assai elevati, potrà assumere l'aspetto decoroso di una città umana: le ferite inferte, anche curate, resteranno a lungo.
Ma ancora piú delicato si prospetta il problema dei rapporti umani, che, con l'accertamento e la punizione di colpe, esige che sia posto fine alle sofferenze della popolazione agrigentina, a lungo vessata dall'arbitrio.
È per questi pro fondi motivi che la Commissione ritiene di aver assolto nel rispetto del vero, della legge e dei principi della umana convivenza, il proprio mandato e di aver fornito elementi per un sereno giudizio e per efficaci proposte.
La gravità dei fatti rilevati pone senza dubbio la situazione di Agrigento al limite delle possibili combinazioni negative dei molteplici fattori che concorrono alla formazione di una città, alla sua crescita ed alla sua guida.
E l'evento franoso, verificatosi in questa città, potrebbe dirsi in un certo senso coerente con questa aberrante situazione urbanistico-edilizia.
Ma la Commissione, nel rimettere gli atti, sente il dovere di segnalare all'attenzione del Signor Ministro, dei Parlamentari e di tutti i responsabili delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali, la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite.
E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico.
Il problema non può, ovviamente, essere risolto che con una nuova legge urbanistica - la cui emanazione non dovrebbe essere ulteriormente rinviata -; ma in attesa che tale legge entri in vigore e dispieghi suoi effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l'adozione - eventualmente anche nella forma del decreto-legge - di alcune essenziali ed incisive norme di immediata operatività, atte ad affrettare la formazione dei piani, ad eliminare nei piani e nei regolamenti le piú gravi storture relative ad indici aberranti e a troppo estese facoltà di deroga e ad impedire i più vistosi fenomeni di evasione e di speculazione.
Se, da un serio esame della situazione urbanistico-edilizia di Agrigento potranno emergere, con l'ampliamento dell'orizzonte e con una precisa volontà operativa, atti concreti di progresso urbanistico, la frana di Agrigento non sarà soltanto ricordata come un evento calamitoso, che ha posto in luce gravi patologiche locali, ma potrà aprire un nuovo capitolo nella storia urbanistica dell'intero paese.
Michele Martuscelli, Amindore Ambrosetti, Giovanni Astengo, Nicola Di Paola, Giuseppe Guarino, Bruno Molajoli, Angelo Russo, Cesare Valle
Roma, 8 ottobre 1966
Carissime e carissimi,
Vi ringrazio di aver risposto alla lettera a proposito del “Mondo di Ca’ Tron”. Sulla base delle vostre risposte mi sembra che si possano enucleare alcuni argomenti sui quali avviare un lavoro comune.
1. La pianificazione altrove
Un primo argomento riguarda la pianificazione fuori d’Italia, soprattutto (ma non esclusivamente) in Europa. Mi sembra che le iniziative possano riguardare soprattutto tre aspetti:
La formazione del planner negli altri paesi europei. È un tema che potrebbe essere svolto dal prof. Patassini, anche sulla base dell’esperienza dell’Aesop. Molto utile in un clima di concorrenza internazionale: i nostri laureati devono competere con quelli di altri paesi: come sono formati questi? Che competenze e abilità possiedono, quali limiti la loro formazione? Oltre a una rassegna comparativa, sarebbe utile la partecipazione di “nostri” che si siano cimentati nel mercato internazionale.
Il governo del territorio nei paesi europei: quali valori, quale organizzazione statuale, quale struttura sociale stanno dietro alla pianificazione in Gran Bretagna, Francia, Germania,Spagna ecc.? Non ha molto senso comparare le technicalities (quali piani) se non ci si rende conto delle differenze sostanziali delle realtà nelle quali operano. È un tema complesso, che richiederebbe la formazione di un gruppo di lavoro, e magari un lavoro in rete cui partecipino persone che hanno svolto, o stanno svolgendo, esperienze di lavoro in altri paesi. Elena Besussi,.che ha proposto il tema, potrebbe coordinarlo.
La pianificazione del territorio e delle città in … Si potrebbe pensare a una serie di chiacchierate,o piccoli seminari, tenuti da studenti o ex studenti che hanno vissuto esperienze di pianificazione in altri paesi, dell’Europa o dei PVS (in collaborazione con la nostra Scuola PVS). Meglio se nell’ambito del lavoro del gruppo di cui sopra, ma senza formalizzarci troppo.
2. Temi d’oggi
Alcune questioni sono state poste da più d’un intervento: si tratta di temi che hanno a che fare con le pratiche professionali d’oggi, e con curiosità su ciò che sta per avvenire e condizionerà il lavoro dell’urbanista: temi che attraversano tutti i territori. Alcuni sono già emersi dalle risposte, altri possono essere già individuati.
Il rapporto tra pubblico e privato nella pianificazione. È un tema che ha alcuni aspetti generali (vedi il dibattito sulle proposte legislative recenti), e alcuni aspetti legati alla concreta esperienza degli urbanisti nel loro lavoro. Si potrebbe pensare a diversi tipi di eventi: una discussione sulle proposte di legge urbanistica nazionale, preceduta da una loro illustrazione; un’analisi sugli strumenti urbanistici complessi e sul loro esito, arricchita da testimonianze sulla concreta situazione di governo di tali strumenti; la presentazione di testi che affrontano l’argomento, o che vi siano connessi (esempio: La città e il suolo urbano di Hans Bernoulli).
La partecipazione nella pianificazione urbanistica. È un tema sul quale si è prodotto molto materiale, e che ha visto l’applicazione di parecchi nostri studenti. Ad alcuni di questi si potrebbe affidare la preparazione di un piccolo dossier e l’individuazione di specifiche iniziative di illustrazione di esperienze concrete (esempi: Avventura urbana, Nuovi Municipi)
La città vissuta dai cittadini. Sotto questo titolo si potrebbe pensare a iniziative su questioni sostanziali, come quella della casa (che cos’era l’intervento pubblico nel settore, perché è scomparso, come si pone la questione oggi) e quello della mobilità (è un problema di infrastrutture, o di organizzazione del territorio e della società?). Le iniziative potrebbero consistere in presentazione di esperienze (esempio: il piano della rete del ferro a Napoli), o di proposte (esempio, Città amica).
3. I territori
Potrebbe essere interessante raccontare esperienze complesse localizzate: meglio se positive, anche per dare la sensazione che qualcosa si può fare per cambiare la realtà che non ci piace. Mi vengono in mente queste cose:
Il sindacato dei lavoratori e il territorio: Vicenza. Nell’ambito di una iniziativa di diverse camere del lavoro, a Vicenza la CGIL segue con molta attenzione e intelligenza i problemi del territorio anche nella loro strumentazione. Alcuni ex studenti potrebbero istruire una illustrazione e discussione sull’argomento.
Una regione controcorrente: la Sardegna. La politica di Renato Soru ha il suo momento più vistoso nelle iniziative per la difesa della costa, ma ha il suo centro nell’inversione del modello di sviluppo tradizionale. Varrebbe la pena di ragionare sui suoi diversi aspetti, magari a partire dal Piano paesaggistico regionale ma affrontando più questioni (le tasse, le ex miniere, ecc)
Una regione che cambia: la Puglia. Un presidente atipico, una brava urbanista assessore al territorio, l’ex dirigente del PTCP di Bologna che diventa dirigente del Territorio: ci sono gli elementi per discutere su tentativo molto interessanti in una regione difficile.Anche qui,mobilitando studenti ed ex studenti.
4. Altre iniziative
Anche indipendentemente dagli argomenti di cui sopra si potrebbe organizzare la presentazione di libri interessanti, di anniversari significativi, ricordi di studiosi, e simili.
Per concludere, una proposta operativa
Carissime e carissimi, mi piacerebbe discutere con voi, e lavorare con voi, su queste proposte. Per cominciare, via e-mail. Ma vi propongo anche di vederci, all’inizio di settembre, naturalmente qui a Ca’ Tron. Vi propongo due date possibili: mercoledì 6 settembre, oppure venerdì 8 settembre. Chi potrebbe esserci?
L’obiettivo è mettere a punto, su questa base, un programma operativo di qualche iniziativa da svolgere durante la Settimana di orientamento, ai primi di ottobre. E magari, come qualcuno di voi mi ha proposto a voce, anche la costruzione di un piccolo sito web, da adoperare per la condivisione di materiali e lo scambio tra noi, nonché (come suggeriscono Patassini e Vettoretto) l’avvio di un’indagine sui nostri laureati (formazione, esperienze, difficoltà, rapporti con gli ordini professionali, con altre figure professionali, con i committenti e gli amministratori ecc.), in modo da cominciare a costruire una sorta di archivio di questioni ed esperienze.
A presto
Venezia, 16 luglio 2006