Nei quartieri Porto, Pendino, Vicaria e Mercato, posti a ridosso del mare e nella zona bassa della città, viveva una popolazione di circa duecentomila abitanti e si raggiungevano densità dell’ordine di 1.200 abitanti per ettaro, con punte fino a 2.600 in alcuni rioni. Le abitazioni erano spesso ricavate nei fondaci, “in quei covi, nei quali non si può entrare per il puzzo che tramandano immondizie ammassate da tempi immemorabili, si vede spesso solamente un mucchio di paglia, destinata a far dormire un’intera famiglia, maschi e femmine tutti insieme. Di cessi non se ne parla, perchè a ciò bastano le strade vicine ed i cortili” (Pasquale Villari, Discorso al Senato del 10 gennaio 1885). I problemi creati da questo spaventoso addensamento erano aggravati dall’assenza quasi totale di una efficiente rete di fognature (la maggior parte delle abitazioni era dotata di semplici pozzi perdenti, e dalla scarsa estensione degli allacciamenti alla rete idrica. [...]. Un rapporto diretto, infine esisteva fra sovraffollamento e sottosviluppo socio-economico della popolazione. Sottosviluppo testimoniato dai bassissimi redditi derivanti da un lavoro saltuario e svolto per la massima parte a domicilio, con largo impiego di bambini e di vecchi; dall’alto indice di mortalità infantile; dalla diffusione dell’analfabetismo e, non ultimo, dalla assenza di una qualche coscienza delle cause della propria condizione, se è vero che “la plebe della città di Napoli era notevole per la cordialità delle sue relazioni con la borghesia, erto maggiore che in qualunque altra città italiana, salvo forse Palermo” (intervento del senatore Brosetti durante la discussione).
Nella sostanza la legge del 1885 impegnava lo Stato ad un intervento straordinario (100 milioni ottenuti mediante emissione di titoli speciali di rendita), per l’esecuzione di tutte le opere contenute in un piano di risanamento elaborato dal Comune. In ultima analisi, è proprio nell’insufficiente esame dello stato di fatto e nell’assenza di obiettivi a lunga scadenza di questo piano (tutto teso alla realizzazione di operazioni di primo intervento e di emergenza, condotte senza un quadro unitario di riferimento) che vanno fatte risalire le cause del modesto successo dell’operazione, proprio nei riguardi del miglioramento delle condizioni insediative. [...] È incontestabile che l’esecuzione del piano servì a dotare la città di alcune attrezzature che prima esistevano solo allo stato embrionale (ad esempio la fognatura), a promuovere sostanziali miglioramenti nelle condizioni di vita specie dei ceti borghesi, ad aprire mercati alle grandi imprese edilizie (in particolare a quelle settentrionali) e ad imprimere un volto “occidentale” ad una parte della città; servì meno a risolvere il problema del sovraffollamento delle zone più povere, né promosse un sostanziale spostamento di popolazione verso i nuovi settori di espansione. [...] Infine, da un punto di vista urbanistico, e cioè delle relazioni funzionali fra le diverse parti della città, la legge dell’85 provocò un addensarsi di attività “direzionali” nelle zone centrali ed una espulsione verso le aree periferiche della residenza più povera e quindi incapace di reggere, quando in seguito se ne presentò la necessità, una organizzazione urbana decentrata.