La legge 15 gennaio 1884, n. 2892, nota con il titolo di “legge per il risanamento della città di Napoli”, fu ispirata e determinata dai luttuosi eventi dell’estate del 1884, allorché il colera causò in quella città migliaia di morti. Lo stesso titolo del disegno di legge presentato dal presidente del Consiglio dei ministri, Depretis, il 27 novembre 1884, alla Camera dei Deputati (ove prese il n. 261), è chiaramente indicativo delle finalità perseguite: “Disposizioni per provvedere alla pubblica igiene della città di Napoli”. Del resto le considerazioni illustrative del disegno di legge e le ripetute dichiarazioni dello stesso Depretis non lasciano dubbi in proposito. Si sottolinea nelle prime l’esigenza, di fronte al frequente ripetersi di invasioni coleriche in Napoli, di provvedere “non tanto al riparo delle sventure singole e locali, quanto a prevenire e impedire le nuove e generali che potrebbero colpirci”. Durante la discussione al Senato, inoltre, nella seduta del 10 gennaio 1885, Depretis affermò che il disegno di legge in discussione doveva essere considerato nel suo vero carattere, precisando: “Esso è principalmente, anzi esclusivamente, un provvedimento igienico. Tuttavia i fini di igiene pubblica della legge non impedirono, come del resto era necessario, che l’attenzione si rivolgesse anche a problemi essenzialmente urbanistici. L’esatta individuazione delle cause del colera non poteva non suggerire interventi intesi a predisporre più razionali strutture cittadine e con l’occasione non si mancò di indicare gli strumenti procedurali e tecnici, oltre ai mezzi finanziari, dell’intervento pubblico nella sistemazione dell’insediamento urbano. Nella presentazione del disegno di legge si afferma: “Le cause principali della recente sventura furono accertate con sollecita cura dal Municipio di Napoli e da uomini competentissimi, e consistono nelle condizioni deplorabili delle fogne e del sottosuolo dove si sprofondano e pullulano migliaia di pozzi e sorgenti di acqua cattiva, naturale veicolo di infezione; nell’agglomerazione delle classi più misere del popolo in tuguri e sotterranei immondi; nella generale insalubrità delle abitazioni in parecchie sezioni di Napoli”. La discussione in Parlamento si polarizzò intorno a soluzioni di coraggiosa modernità e chiara tecnica urbanistica: costruzioni di una grande e larga strada centrale con numerose alte vie ad essa perpendicolari, costruzione di nuovi quartieri, espropriazione per pubblica utilità di zone “laterali alle nuove strade” ecc., elementi questi che portarono gli avversari della legge ad affermare, in polemica, che tutto un altro scopo era così perseguito, uno “scopo puramente edilizio ed estetico” e che non si vedeva quale relazione potesse trovarsi “fra un problema così complesso come è quello dell’igiene ed un bel rettilineo”. È evidente, pertanto, come la rilevanza della legge in esame trascenda le contingenze specifiche che la originarono: alcune norme in essa contenute rappresentano un momento essenziale del processo evolutivo della legislazione urbanistica italiana.
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Dalla discussione dei singoli articoli è da ricordare l’intervento del deputato Nervo il quale aveva presentato il seguente emendamento aggiuntivo all’art. 1: “Il sottoscritto propone di aggiungere le seguenti disposizioni all’art. 1: il piano dovrà essere concepito in modo che i nuovi fabbricati, che saranno costruiti in sostituzione delle case malsane, contengano abitazioni la cui distribuzione interna si presti anche all’esercizio di piccole industrie a domicilio, e il cui valore locativo possa essere accessibile alle classi meno abbienti che ora abitano i quartieri malsani”. [...] Furono proposti (ed accettati dal Governo) i due seguenti: “L’indennità dovuta ai proprietari degli immobili espropriati sarà determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente al rispettivo anno di locazione. In difetto di tali fitti accertati, l’indennità sarà fissata sull’imponibile netto, agli effetti delle imposte sui terreni e su fabbricati”.
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Durante la discussione generale da parte del senatore Brioschi furono analiticamente esaminate le varie possibili iniziative di opere pubbliche in Napoli e fu affrontato poi un più generale problema d’indole sociologica per i riflessi che sulle varie progettate soluzioni urbanistiche avrebbero avuto le specifiche condizioni della popolazione napoletana: “non pare a Lei, onorevole Presidente del Consiglio, non pare al Senato, che questo clima, questa plebe, queste abitudini, esigano considerazioni e studi speciali, anche dal punto di vista della questione edilizia; e che il partito di abbattere case malsane per costruirne altre salubri in altra località, partito che pure può ritenersi in generale opportuno, non lo possa diventare meno in quelle circostanze locali? Quei due nuovi rioni ideati a costruirsi, denominato l’uno rione operaio, l’altro rione industriale, sembra a Voi possano albergare quella parte della popolazione di Napoli intorno la quale hanno scritto così belle pagine il Villari, il Turiello, il De Zerbi, la Mario, il Fucini e molti altri? Non vi è qui un problema sociale che si complica con l’edilizio e con l’igiene e del quale, a mio avviso, non si è tenuto alcun conto?”.