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La Nuova Venezia, 22 febbraio 2017

TURISMO, 30 MILIONI DI COSTI
PER I RIFIUTI
di Alberto Vitucci
«È questo il sovraccarico per i residenti. A Venezia si produce il doppio della media regionale. Vertice sui progetti lunedì»

Trenta milioni di euro di spese in più per i rifiuti. A carico dei residenti. È uno dei tanti effetti dell’invasione turismo. Che fa felici alcune categorie che sul turismo lavorano. Ma provoca disagi al resto della città, anche economici. Veritas, l’azienda per la raccolta dei rifiuti, è una delle realtà che con l’incremento dei visitatori invece di aumentare gli introiti – come ad esempio Actv – aumenta i costi. Che vanno poi a finire sulla bolletta dei residenti. Nel 2016 i costi extra dovuti ai rifiuti prodotti dal turismo ammontano a circa 30 milioni. Vero che 22 milioni entrano dalla tassa di soggiorno. Ma non sono investiti nell’asporto rifiuti, che invece va a carico della Tari dei residenti.

Due conti. Il conto è presto fatto. La media regionale della produzione dei rifiuti nel Veneto è infatti di 0,55 chili al giorno per abitante, 445 chili ogni anno. A Venezia la produzione raddoppia, 860 chili l’anno. Numeri alti anche al Lido, per la presenza degli stabilimenti balneari e della Mostra: 770 chilogrammi l’anno per abitante, mentre in terraferma si scende a 557, appena sopra la media regionale. In termini di quantità complessive, la produzione annua è di 54 mila tonnellate a Venezia, Murano, Burano, 15.800 a Lido e Pellestrina, 96.700 in terraferma.

Vertice. Uno dei tanti problemi di cui si parlerà nel vertice convocato per lunedì a Ca’ Farsetti dal coordinatore e dirigente del settore turismo Maurizio Carlin. Si dovranno esaminare i venti progetti presentati in questi mesi di discussioni in commissione. Sceglierne tre o quattro. E sintetizzare in una proposta complessiva le migliori idee degli altri.

Sabato. Ma mentre ancora si discute la situazione peggiora di giorno in giorno. Da oggi l’invasione del Carnevale comincia ad andare verso i picchi, per raggiungere il massimo sabato e domenica, quando sono attese in città almeno 120 mila persone.

Proposte. Le proposte per la riduzione dei flussi parlano quasi tutte di prenotazione obbligatoria e di tassazione differenziata per chi decide di venire a Venezia nei periodi «caldi». Ma anche di regolazione degli accessi nell’area marciana, di diversificazione dei terminal di arrivo. E di interventi sulla struttura della città, che si sta snaturando in assenza di regole, trasformata in Disneyland ed emporio di souvenir e paccottiglia, invasa da bar e ristoranti che aprono senza nemmeno la necessità di autorizzazioni. Un piano che dovrebbe essere attuato in tre fasi. La prima, quella della riorganizzazione degli accessi a breve termine. Poi a medio termine i progetti di controllo dei flussi e delle prenotazioni obbligatorie. Infine, con tempi più lunghi, il controllo che necessita anche di modifiche legislative e della collaborazione di chi porta in laguna milioni di turisti l’anno come Trenitalia, Autorità portuale e Save. Ma il tempo è quasi scaduto.

MESTRE, CORSA AGLI OSTELLI.
A&O RADDOPPIA
di Mitia Chiarin

«La società tedesca aprirà entro il 1 agosto all’ex Vempa con 320 camere a 12 euro»

MESTRE. Sul sito internet della tedesca A&0, proprietaria dell’ostello che sta crescendo al posto dell’ex Vempa sul cavalcavia di Mestre, la data di apertura è già indicata: il AO Venedig Mestre aprirà entro il primo agosto 2017. Sul sito, sullo sfondo non ci sono vedute di Mestre ma uno scorcio di piazza San Marco. E ci sono i prezzi, decisamente bassi: 12 euro a notte per una stanza singola; 24 euro per una camera doppia. La sistemazione in dormitorio costa 12 euro a persona e i bambini che non pagano nulla.

La corsa alle aperture. Il 2017, insomma, a Mestre è l’anno della corsa all’apertura di nuovi ostelli, tutti a due passi dalla stazione di Mestre. Perché entro il primo agosto aprirà l’ostello della catena tedesca A&O progettato dallo studio Limesland e dall’architetto Sandro Bisà ma in dirittura d’arrivo è anche il cantiere del nuovo “Posh hotel” della catena Plaza, dietro il grande e storico albergo fronte stazione di Mestre, che avrà un target come ostello anche se con un costo, si dice, un pochino più alto. A progettarlo l’architetto mestrino Alessandro Papini. Entrambi i cantieri sono in stato avanzato.

Quattrocentoquaranta stanze. I cantieri sono il preludio all’apertura di due strutture per complessive 440 stanze (e forse più) nella zona della stazione. Quelle dell’ex Vempa 320, per quasi mille posti letto. Più di centoventi camere, invece, nel nuovo albergo pensato dalla proprietà dell’hotel Plaza.

Alla scuola di Eddyburg tenutasi a Venezia il 15-16 Settembre 2016 si è parlato di cosa stia accadendo a questa favolosa città e di come le questioni che la riguardano oggi fossero gia al cuore di una stagione di urbanistica progressista di cui Edoardo Salzano è stato, insieme ad altri, protagonista. Un collegamento con la storia dell’urbanistica Italiana importante che inevitabilmente sollecita urbanisti e urbaniste che erano presenti alla giornata di studio impegnati in vario modo e a vario titolo nel campo dell’urbanistica e della ricerca urbana.

Provo a rileggere le suggestioni e i molti temi emersi a partire da una chiave di lettura sulla quale sono impegnata da un po’. Io penso che a Venezia si sia parlato indirettamente del ruolo (e delle reponsabilità) dell’urbanistica e del governo urbano nei confronti di processi di esplusione urbana e di comportamenti predatori (quando non corrotti) di estrazione della rendita urbana. Intendo qui per rendita urbana sia la sua componenete materiale, la rendita immobliare urbana (si vedano Roberto Camagni e Walter Tocci su Eddyburg e i molti materiali della scuola di Eddyburg sulla rendita urbana disponibili sul sito), che la sua forma più effimera, simbolica, immateriale, legata a ciò che siamo disposti a pagare per godere di una esperienza urbana. Mentre la prima è fortemenete leggittimata da una cultura dello sviluppo che fa del territorio una moneta, di cui si è molto parlato sulle pagine di Eddyburg, la seconda è a mio parere più subdola ed è oggi fortemente legittimata dal discorso pubblico, da un insieme complesso di narrazioni, branding urbano e commercificazione (quando non reificazione) della vita urbana. Questa seconda forma di estrazione di valore dalla città è inoltre fortemente relazionata alla prima. Le prepara le premesse, costruisce un contesto favorevole agli investimenti, moralizza tutto ciò che non è conforme ad un apparato simbolico della classe media ( e delle elite urbane).

Per dirla in altri termini, perso che ciò di cui si è parlato, sebbene non si sia usato questo termine, abbia a che vedere con la gentrification nella sua forma più acuta e la rinuncia alla gestione delle esternalità negative che questo fenomeno comporta.
Per gentrification si intende una lenta e permanente esplusione degli abitanti di ceto popolare dalle aree urbane più centrali sostituiti da altri di ceto medio o da utilizzatori della città che però non vi risiedono stabilmente. Avviene in congiunzione con investimenti e politiche di sviluppo urbano più o meno esplicitamente orientate a questo fine. E’ dimostrato che con l’avanzare del tempo il fenomeno presta il fianco ad un comportamento predatorio e altamente speculativo di investimenti sempre più ingenti e che, di conseguenza, hanno aspettative di guadagno altrettanto ingenti, ai quale assistiamo inermi da diversi decenni. In Italia abbiamo inizialmente accolto il fenomeno positivamente perchè le sue fasi iniziali comportano investimenti nel patrimonio edilizio tutto sommato legittimi e perchè, ammettiamolo, siamo tutti parte della storia dell’evoluzione della città, siamo tutti un po’ ceto medio e siamo tutti più o meno corresponsabili di questo processo. Ci siamo così autoassolti, come urbanisti e come cittadini.

Nelle fasi più acute ed avanzate del fenomeno però, quelle di cui stiamo facendo diretta esperienza a suon di piani nazionali di alienazione del patrimonio e di un credo sconfinato nell’economia del simbolico che si nutre di città, il fenomeno è diventato più evidente fino a raggiungere l’opinione pubblica e ad essere finalmente percepito come un problema collettivo, quando non di vera e propria sopravvivenza delle communità urbane.

Oggi il fenomeno è oggetto di forte contestazione per esemio a Londra dove recentemente si è festeggiata la vittoria di una causa legale voluta dagli abitanti di Aylesbury Estate, un quartiere pubblico oggetto di un piano di rigenerazione (che prevede demolizione e ricostruzione) che ha comportato l’espulsione di centinaia di residenti.
Come effetto di questo evento, ma anche frutto di un inteso lavoro di ricercatori e attivisti, una interpretazione negativa del fenomeno di gentrification occupa quasi quotidianamanete le pagine del Guardian che ha dedicato una sessione plurilingue al tema “Cosa fa la tua città per contrasrare la Gentrification?”

La linea culturale anti-gentrification ha raggiunto anche il cuore dell’economia del simbolico, dell’esperenziale e della città creativa. Richard Florida accanito sostenitore della città creativa, bella, eccitante ma solo per chi se la può permettere che è stato interviatato ad un pubblico confronto con Loretta Lees, studiosa e promotrice di campagne anti-gentrification, a discutere del sul tema “Non sarà troppa questa gentrification per le nostre città? È governabile, si può fermare?”

Quello che è avvenuto a Venezia è in collegamento con tutto questo. E sebbene sia detto che la vita quotidiana a Venezia sia ormai irrimediabilmente compromessa, io penso che quella gironata ci ha fatto capire che, adifferenza di altri contesti, disponiamo di strumenti che ci permetterebbero di intervenire e di soggettività coscienti e movimenti sociali urbani che ce lo stanno chiedendo. Serve che l’opinione pubblica lo voglia davvero.

Abbiamo per il momento fatto un giro di boa. Abbiamo capito che, se non governato, il fenomeno assume proporzioni che ci sfuggono di mano, al punto di poter quasi ipotizzare che sia irreversibile. Il turismo di massa in aree fragili, come Venezia, è uno esempio ecclatante di cosa accade quando una città non è pensata per suoi cittadini ma per estrarre rendita dalla sua bellezza. Il grande assente di questa esperienza, i signori della lobby del turismo e i veneziani che operano nel settore, dovranno farsi protagonisti anch’essi di questo apprendimento collettivo. Senza un lavoro autoriflessivo sulle loro specifiche responsabilità ogni politica rischierà di essere un buco nell’acqua.

Oggi più che mai mi sembra che, come urbanisti e studiosi della questione urbana, dobbiamo essere più chiari, decisi e meno possibilisti nei confronti del fenomeno. L’urbanistica non può che essere una prassi anti-gentrification il che vuol dire una prassi di gestione della rendita.

La stagione progressista di governo della città di Venezia di cui Eddy e altri protagonisti tra i quali Vezio ci hanno parlato andava in questa direzione. Sena pretesa di asastività ecco cosa potrebbe fare l’urbanistica (con un set specifico di deleghe) oppure un buon sindaco capace di una visione olistica ed integrata del problema: si dovrebbe porre un freno ai cambi di destinazioni d’uso (per esempio da residenziale a turistico, o da residenziale ad uffici), tutelare il piccolo commercio di prossimità (artigiani locali e botteghe storiche) mediante l’intriduzione di codici etici che garantiscano la filiera di produzione delle merci; si dovrebbe poter disporre di strumenti negoziali per la riduzione/cancellazione di diritti edificatori assegnati in epoche di credo sconfinato nello sviluppismo edilizio in aree ad alta pressione speculativa (meno specifico per venezia ma cruciale per Roma e altre città), disegnare piani di sviluppo locale realmente partecipati che accolgano i termini del conflitto e le istanze espresse dalle soggettività attivamente impegnate in campagne anti-speculative; ipotizzare moratorie anti-sfratto per categorie vulnerabili ma anche in relazionate ai temi qui trattati che intervengano su centri storici e aree di ‘pregio’, vincolare spazi aperti, giardini, cortili e aree di archeologia industraile per il loro valore ambientale e assicurarsi che gli stessi possano ospitare usi conformi in primo luogo alle necessità delle popolazioni insediate, rimettere al centro del discorso urbanistico il tema della casa, anche e soprattutto in aree centrali e di pregio architettonico che devono poter essere accessibili anche ai ceti meno abbienti, gloccare i piani di vendita dell’edilidia residenzaile pubblica, riutilizzare il patrimonio disponibile per assorbire la domanda sociale di abitazioni e iscrivere questa pratica in una strutturale riforma della casa. Tutte cose che sappiamo fare e che spettano ad una nuova generazione di urbanisti, fortemente delegittimata e spesso e volentieri collusa con lo stato delle cose. Ci stiamo attrezzando e non possiamo che farlo a partire dalle esperienze di chi ci ha provato prima di noi. Per questo ti ringrazio per aver condiviso con generosità e memoria vivida di quegli anni, un esercizio tutt’altro che semplice.

Un itinerario attraverso la città e la laguna. Una serie di incontri con persone speciali. Riflessioni su Venezia emerse nell'iniziativa che la scuola di eddyburg ha organizzato il 15-16 settembre 2016. >>...

Una città un pianoL’iniziativa “una città un piano” quest’anno è stata dedicata a Venezia. Come sanno i lettori di eddyburg, le qualità della città lagunare riconosciute dal mondo intero sono state prodotte dal secolare rapporto, equilibrato e dinamico, tra la società e gli elementi fisici della città e della Laguna. Quell’equilibrio oggi appare compromesso. Venezia si è trasformata in un palcoscenico per il turismo di massa e in un terreno di caccia per gli interessi di pochi soggetti privilegiati, a scapito non soltanto della sua vivibilità e vitalità, ma persino della salvaguardia della Laguna. Per comprendere le poste in gioco, gli interessi dominanti e le possibilità alternative, abbiamo organizzato un itinerario attraverso la città e la Laguna, lungo il quale abbiamo conversato con alcuni esperti attorno all’origine dei mali attuali.

Venezia che vuole essere come le altre
Il nostro viaggio è cominciato, simbolicamente, sul piazzale della stazione ferroviaria. Le modificazioni che hanno interessato il sistema della mobilità esprimono bene le contraddizioni della condizione contemporanea di Venezia. Maria Rosa Vittadini, uno dei massimi esperti italiani di trasporti e di valutazione ambientale, le ha passate in rassegna per noi. Il suo racconto è iniziato dalla costruzione del ponte ferroviario nel 1846, un vero punto di svolta nella storia della città. Nei secoli precedenti, la prosperità degli abitanti era stata garantita dal rapporto intimo con l’ambiente lagunare, produttivo e protettivo al tempo stesso, e da una rete di rapporti con il mondo intero basata sul trasporto via mare. Agli inizi dell’ottocento, il declino economico e politico della città ha portato a ritenere necessario un collegamento stabile e veloce verso la terraferma. Da allora in poi, l’insularità di Venezia è stata avvertita come un problema da superare - letteralmente e simbolicamente - con ogni mezzo: collegamenti stradali, metropolitane e tranvie, in superficie, sopraelevati e nel sottosuolo. Per tutto il novecento si è perseguita l’omologazione alle altre città: un paradosso culturale che ha interessato tutti i settori della vita economica e sociale. Ed è proprio in questa tensione irrisolta fra conservazione della propria identità e ricerca del benessere che possiamo individuare la radice profonda delle contraddizioni attuali.

Il peso degli interessi piega le decisioni pubbliche
La seconda tappa del nostro viaggio è stata all’Istituto veneziano per la storia della resistenza, dove abbiamo incontrato Lidia Fersuoch, presidente della sezione cittadina di Italia Nostra ed esperta della storia urbana. Grazie a Lidia abbiamo potuto capire quanto gli interessi, parziali e contingenti, dei gruppi dominanti in città si siano posti in contrasto con il carattere dei luoghi. Un atteggiamento irresponsabile che riguarda tanto il settore privato, quanto quello pubblico.
L’esempio più clamoroso riguarda certamente il MOSE. Nel 1973, la salvaguardia di Venezia è stata dichiarata problema di preminente interesse nazionale, a cui devono provvedere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, Stato, Regione ed enti locali. La traduzione di questo impegno, con poche eccezioni, non è avvenuta con il rispettoso presidio dell’equilibrio sospeso fra terra e acqua che era stato garantito nel passato. Al contrario, contro ogni evidenza e a dispetto dei pareri degli esperti, le decisioni pubbliche sono state piegate alle convenienze di un sistema di potere, radicato a scala locale e spalleggiato a Roma. Per l’impatto prodotto, l’entità del denaro pubblico investito e il livello di malaffare, il MOSE ha pochi paragoni anche a livello nazionale. Tuttavia, lo stesso tipo di piegatura delle decisioni pubbliche a favore degli interessi privati si rintraccia anche in molti interventi di trasformazione urbana della città degli ultimi vent’anni. Sotto questo aspetto, Venezia si è effettivamente omologata ad altre città e si è lasciata avvolgere in una ragnatela di interessi consociativi la cui composizione, schiacciata su convenienze contingenti, non ha prodotto benefici pubblici significativi e duraturi e, non di rado, ha concorso ad aggravare i problemi esistenti.

Venezia inaccessibile
La terza conversazione, con Anna Renzini, ha riguardato il problema dell’abitare. Da oltre quarant'anni le statistiche certificano il declino demografico della città storica e la crescente pressione del turismo di massa. Il tracollo di Venezia, per emorragia di abitanti e asfissia turistica, dovrebbe spingere le istituzioni - locali e nazionali - a intervenire per correggere le distorsioni prodotte dalle rendite del settore immobiliare e dalla colonizzazione turistica di ogni spazio disponibile. Le cose sono andate e vanno tuttora in modo diametralmente opposto. Anna Renzini, per anni impegnata negli uffici comunali che si occupano della casa, è stata testimone diretta della progressiva scomparsa delle politiche abitative dall’agenda comunale e della sostanziale accondiscendenza verso ogni forma possibile di sfruttamento turistico. L’esaurimento delle politiche pubbliche merita una sottolineatura: il peso delle rendite immobiliari e delle pressioni economiche fa sì che le condizioni di partenza siano determinanti per il destino delle persone. In assenza di un’azione pubblica incisiva, chi non dispone già di spazi e risorse proprie non è in grado né di trovare casa, né di avviare o mantenere un’attività produttiva. Di conseguenza, non soltanto si riduce il numero di persone stabilmente insediate nella città storica, ma cambia anche il profilo sociale ed economico. Si tratta di un ulteriore evidente paradosso: la perdita dell’insularità ha determinato il progressivo isolamento del centro, oggi inaccessibile per larghe fasce di popolazione a cui, di fatto, è impedito di costruire a Venezia il proprio percorso di vita, lavorativa e familiare.

Reattivi contro il declino.
La giornata si sarebbe dovuta concludere con una visita a Poveglia. Attorno al destino dell’isola si è formata un’associazione di cittadini, determinati a contrastarne la privatizzazione e trasformazione turistica e a promuoverne forme di utilizzo più attente ai caratteri dei luoghi e più aperte alla fruizione collettiva. Ne avremmo voluto parlare durante il viaggio, sulle barche a remi recuperate dall’Associazione il Caicio, formata da un un gruppo di giovani appassionati della marineria veneziana, che da alcuni anni è impegnato nel restauro e riutilizzo di imbarcazioni tradizionali. Il cattivo tempo ha impedito il viaggio, ma non la possibilità di incontrare i giovani attivisti del Caicio e del movimento “Poveglia per tutti”. Francesco, Giancarlo e Patrizia hanno indicato, con chiarezza, che è possibile tracciare una rotta differente e dimostrato, con la loro determinazione, che è possibile perseguire un progetto di futuro legato al ripristino del rapporto tra comunità e territorio e a nuovi modi di produzione attenti al valore d’uso. Potranno le loro iniziative essere sostenute e accompagnate da un’intelligente azione pubblica? Ne abbiamo discusso, pubblicamente, il giorno seguente, con Eddy Salzano, nella meravigliosa aula magna del Liceo artistico Guggenheim.



Eddy racconta
Edoardo Salzano ha aperto il suo racconto-intervista soffermandosi su quello che ha imparato di Venezia e della Laguna per poi riportarci alla stagione amministrativa 1975-1985, durante la quale è stato prima consigliere comunale e poi assessore all’urbanistica. Chiave di volta di quella stagione è stato il piano regolatore della città storica. Uno strumento che conteneva al suo interno sia le regole fondamentali, valide a tempo indeterminato e desunte da un approfondito e rigoroso apparato di conoscenze, sia le scelte programmatiche, che l’amministrazione comunale di allora aveva formulato tenendo conto delle condizioni sociali, delle possibilità economiche, degli indirizzi politici e delle disponibilità degli operatori. E insieme al piano regolatore vale la pena di ricordare il piano comprensoriale di Venezia e della Laguna (di cui Vezio De Lucia ha ricordato i contenuti essenziali e le ragioni della mancata approvazione), il piano-programma della giunta comunale, gli indirizzi per il recupero delle isole minori, di cui riportiamo nel sito alcuni stralci significativi. Un quadro coerente di strumenti finalizzati a promuovere una sintesi tra salvaguardia ambientale e storica e sviluppo sociale ed economico.

Una nuova azione pubblica
Recuperare la conoscenza di quella stagione e di quei piani non è un esercizio di memoria fine a se stesso. Gli interventi che si sono succeduti nel dibattito conclusivo moderato da Silvio Testa hanno certificato, una volta in più, che non abbiamo bisogno di un nostalgico e indulgente sguardo verso il passato, ma di riannodare alcuni fili inopinatamente spezzati. Dalle parole di Salzano e De Lucia, così come dagli interventi delle persone oggi impegnate in movimenti e associazioni civiche, emerge la possibilità di un passaggio di testimone tra i protagonisti della più importante stagione riformista passata e una nuova generazione di cittadini, consapevoli della storia della loro città e appassionatamente interessati al suo futuro.
Si tratta ora di recuperare un rapporto proficuo tra le istituzioni e le forze sociali ed economiche più attive e dinamiche. Sapranno le prime aprirsi e compiere un passo in questa direzione? O spetterà alle seconde riappropriarsi della cosa pubblica, per rianimarla e restituirla alla sua primaria funzione? Seguiteci su eddyburg se, come noi, pensate che gli sviluppi futuri di queste vicende non riguardino solo Venezia e i suoi abitanti.




Il piano-programma del Comune di Venezia è stato ideato e fortemente voluto dall'allora sindaco Gianni Pellicani per definire un insieme coerente di interventi della civica amministrazione, desumendoli dalle esigenze di cambiamento espresse dalla popolazione e dalle aggregazioni sociali, economiche e culturali, e dalle proposte e ipotesi di azione delle forze politiche.

Si tratta di un corposo e dettagliato documento, composto da 400 pagine nella versione pubblicata a stampa, che contiene indicazioni su tutti gli aspetti cruciali per il futuro della città storica e della Laguna, tra i quali:
- il riequilibrio del bacino lagunare, il rilancio dei suoi usi produttivi e la tutela fisica degli insediamenti;
- il riuso della città storica;
- una diversa mobilità;
- il turismo.
Come ha osservato Luigi Scano in un suo ricordo di Pellicani, lo scopo essenziale del piano-programma era "quello di dare coerenza sistemica, e generale rispondenza a talune prescelte finalità, a tutte le attività, le azioni, gli interventi di realisticamente prevedibile concretizzazione nell’arco temporale del mandato amministrativo comunale, al contempo valutandone la fattibilità in relazione ai previsti flussi finanziari del comune, e in genere alle risorse credibilmente mobilitabili. Suppongo che oggi, per essere adeguatamente trendy, li si chiamerebbe “piani strategici”: ma non sono sicuro che i loro contenuti sarebbero altrettanto risolutamente fatti discendere dall’assunzione di precisi, e anche tra loro gerarchizzati, interessi collettivi."

Riportiamo qui di seguito il testo del capitolo dedicato al turismo. La distanza con l'attuale lassaiz-faire che tanto giova alle rendite di ogni tipo e agli interessi di pochi soggetti privilegiati, non potrebbe essere maggiore (m.b.).

1.4 Il turismo

1.4.0 Le scelte strategiche

L'importanza del settore turistico per Venezia è connessa sia, com'è ovvio, all'eccezionalità ambientale e monumentale della laguna e della città storica, sia al complessivo processo di terziarizzazione delle economie industriali, e degli insediamenti urbani in particolare.
La centralità di queste tematiche ne ha già fatto oggetto di accurate indagini promosse dalla Amministrazione Comunale, nonché di analisi e prescrizioni in sede di pianificazione comprensoriale.

Le fondamentali risultanze di tali indagini possono essere schematicamente riassunte nel modo seguente:
- il ristagno dell'offerta ricettiva nella città storica ed il suo slittamento verso le categorie più alte, selezionando la domanda in base al reddito, ha concorso a variare, all'interno di un universo in espansione, i pesi relativi del turismo "stanziale" e di quello "giornaliero" a favore di quest'ultimo;
- il turismo "giornaliero", proprio per le sue caratteristiche ineliminabili, è il massimo responsabile della concentrazione dei flussi nell'anno e nella giornata, e quindi degli effetti di congestione, delle trasformazioni delle strutture di ristoro e commerciali della città storica, e dello scadimento di livello, con aggravio di costi, dei servizi pubblici di trasporto (e dunque, complessivamente, della "qualità della vita" urbana), con effetti negativi, inoltre, sulle altre attività allocate ed allocabili nella città storica ed infine con effetti di ricaduta negati va su altri segmenti della stessa domanda turistica;
- il turismo "gionaliero" risponde massimamente ai connotati del turismo "consumistico-stereopatico" (il turista che pernotta visita, infatti, più del "giornaliero", rivolgendosi più o meno largamente ai diversi elementi della gamma delle "risorse turistiche": monumenti, anche fuori dagli "itinerari obbligati", mostre, musei, beni ambientali, …);
- gli almeno annualmente 150-200 miliardi di valore dalle attività turistiche aggiunto assicurati svolte nella città storica si distribuiscono tra poco meno di 10.000 addetti (in tutto, nella città storica, gli addetti al turismo arrivano nei mesi di punta a poco meno di 15.000), pari al 18% degli occupati nella città storica, mentre i costi che il turismo impone a Venezia, solo in parte monetari, si ripartiscono su tutta la collettività.

In conclusione si può tranquillamente asserire che i flussi turistici "giornalieri" producono per la città nel suo complesso vari e rilevanti effetti negativi a fronte di nulli o scarsissimi benefici apportati, comunque a ridotte categorie di cittadini, e che, se in genere il "consumo turistico" può essere considerato "non essenziale", quello praticato in Venezia dalla stragrande parte dei turisti "giornalieri" può anche essere considerato poco "specificatamente motivato", talchè (per il complesso delle ragioni ricordate) potrebbe apparire largamente legittimo agire per una consistente riduzione di tali flussi.

Ma non si può dimenticare come il fenomeno del turismo "giornaliero" sia, almeno in parte,"coatto", cioè determinato dalle caratteristiche dell'offerta ricettiva, che si nega ad ampie fasce di domanda (in genere percettori di redditi bassi e medio-bassi, e quindi diversi ceti sociali, giovani, larga parte degli anziani, etc…).

Proprio su questa contraddizione pare quindi opportuno far nell'immediato, e nel breve-medio periodo, attraverso proposte volte a "fissare", per così dire, una quota dei flussi turistici consentendone la trasformazione in turisti "pernottanti”

Tali politiche possono essere, in prima approssimazione, identificate nelle seguenti:
- l'individuazione di spazi e contenitori atti a consentire l'ampliamento quantitativo della ricettività nella città storica e nelle isole (si veda anche il successivo capitolo 2.), convenzionando con gli operatori tali ampliamenti al fine di garantire una permanente accettabilità da parte dei diversi segmenti della domanda esclusi nella situazione presente;
- lo stimolo alla riconversione di parte delle strutture ricettive esistenti, anche e soprattutto nella terraferma comunale, verso le "forme innovative" di organizzazione della ricettività, largamente sperimentate e presenti all'estero ed anche in altre località nel nostro Paese;
- la promozione, fortemente programmata e coordinata, quando non direttamente gestita, dal potere pubblico, della più vasta gamma delle "risorse turistiche" dell'area veneziana, e delle diverse "occasioni", in modo "mirato" verso i diversi (per reddito, età, motivazioni, circostanze di arrivo e/o accesso, ecc.) segmenti della domanda turistica, in atto e potenziale, sempre con lo scopo primario predetto di "fissare"i flussi turistici, e comunque con quello di evitare la congestione in specifici periodi dell'anno e/o in specifiche ore della giornata e/o specifiche zone;
- lo sviluppo e l'accentuazione delle iniziative volte ad ampliare a tutto l'anno l'arco temporale di fruizione delle risorse turistiche dell'area, contraendo le presenze dei periodi di "punta" ed aumentando quelle dei periodi di "morbida";
- il mantenimento e/o la messa in opera di vincoli e di incentivi, anche indiretti, volti a scoraggiare la banalizzazione/dequalificazione delle strutture di ristorazione e commerciali.

Non occorre sottolineare che il complesso di provvedimenti da porre comunque e immediatamente in essere è quello volto a divertere drasticamente i flussi turistici dai percorsi deputati a sostenere i flussi pendolari, ed in genere derivanti da motivi di lavoro e di studio, su cui ci si sofferma particolarmente nel seguente capitolo 6.

L' attuazione delle politiche dianzi accennate consentirebbe in ogni caso di avviare, in periodo successivo (e quindi evitando che esse comportino automatica esclusione, senza alternative possibili, dei segmenti della domanda potenziale meno dotati economicamente, dalla fruizione di Venezia) azioni di abbattimento dell'entità del turismo "giornaliero", sia in termini di politiche dei prezzi (alti nei periodi di "punta", incentivanti nei periodi di "morbida"), che in termini di scoraggiamento o di limitazione dell'accesso.

1.4.1 Le iniziative di medio periodo

Enunciate come sopra le scelte generali e le prospetti ve complessive di azione, è ora possibile indicare le iniziative che il Comune intende attuare nel periodo 1982-85, per realizzare le politiche di breve-medio periodo.

Va precisato che le premesse sulle quali si basa tale indicazione di iniziative sono le seguenti:
a) affermazione del ruolo dell'ente locale di programmazione e di coordinamento delle risorse turistiche, favorendo una rapida attuazione dell'organizzazione sub-regionale per il turismo, con la definizione delle deleghe dei poteri agli enti locali stessi;
b) visione del settore non come somma di singoli "segmenti" autarchici, bensì come "sistema" integrato e coordinato nel quale. ogni mutamento settoriale rimbalza i suoi effetti in altri settori e/o in tutto il sistema;
c) volontà di intervento di riequilibrio sui meccanismi dì socializzazione dei costi (economici e sociali) e privatizzazione dei profitti;
d) ricerca di ogni possibile occasione di accordo e coordinamento con gli operatori del settore, pubblici e privati, sulle iniziatìve da intraprendere;
e) ruolo dell'Assessorato al Turismo di coordinamento delle diverse competenze presenti nell'Amministrazione Comunale inerenti direttamente e/o indirettamente al turismo per una proficua azione di programmazione del settore.

In quest'ottica si ribadisce la volontà e l'urgenza di realizzare la Conferenza Comunale sul Turismo quale vera conferenza di settore, dalla quale emerga, in primo luogo una sintesi di indirizzi e proposte programmatiche per il turismo veneziano che tenga conto della programmazione regionale e comprensoriale, delle esigenze degli operatori e delle organizzazioni sindacali, delle proposte dei Consigli di Quartiere, in secondo luogo per andare soprattutto ad una verifica della linea politica portata avanti in questi anni dall'Amministrazione Comunale e ad una definizione del ruolo e delle competenze dell'ente locale nella promozione programmata e coordinata della più vasta gamma di risorse turistiche.

E peraltro da un lato tale Conferenza va richiamata a confrontrarsi (per verificarle , ma soprattutto per specificarle) con le scelte strategiche, rispondenti anche a più generali obiettivi d'assetto e d'uso del territorio, prima enunciate, dall'altro occorre che, nei tempi di elaborazione, prima, durante e dopo la Conferenza, di un programma di ampio respiro ed elevata ricchezza di contenuti, soprattutto perché coinvolgente tutte le componenti del settore, non si rimanga inoperosi. In tale ultimo senso vanno le indicazioni di iniziative appresso esposte.

Come si è precedentemente affermato, una essenziale iniziativa volta sia a ridurre i conflitti turismo-citta, che a promuovere diverse modalità di fruizione delle "risorse turistiche" dell'area veneziana, sarà la realizzazione di un diverso sistema di collegamenti e di percorsi, nei termini e nei tempi indicati dal successi vo capitolo 6, a cui pertanto si fa rinvio.

Le politiche per un ampliamento delle capacità ricettive rivoI to ai segmenti della domanda esclusi nell' attuale situazione della struttura dell'offerta si sostanzieranno, nel periodo 1982-85:
- in interventi modificativi della presente offerta campeggistica;
- nella promozione di nuove strutture ricettive, convenzionalmente vincolate a requisiti qualitativi tali da rapportarsi ai voluti segmenti dell'utenza, in "isole minori" della laguna, nell'area dello Stucky ed in località della terraferma e del litorale.

Il campeggio a Venezia oggi significa, quasi esclusivamente, penisola del Cavallino, con le note caratteristiche che in questa zona ha assunto e che alla zona stessa ha fatto assumere. D'altro canto la variante al P.R.G. per il Cavallino, e la legge regionale 56/1979 di regolamentazione dei campeggi, impongono dei mutamenti e delle variazioni tali da rischiare di sconvolgere l'economia della zona. Alcune iniziative si possono assumere per prevenire effetti negativi:
a) spostamento dei campeggi più verso l'interno rispetto al litorale e secondo la nuova normativa regionale, in modo da salvaguardare la pineta dalla distruzione del sottobosco, essenziale alla vita della pineta stessa;
b) utilizzazione a campeggio di aree prossime al canale Pordelio. verso Treporti, per un soggiorno extralberghiero legato alla laguna nord e alle sue isole, alle valli e alle attività di tempo libero che tali zone consentono, oltre che alla bellezza paesaggistica che le caratterizza; lo stesso canale Pordelio può essere una via d'acqua attrezzata per piccole imbarcazioni, e di collegamento tra laguna e campeggi;
c) utilizzazione per campeggio sociale, nel rispetto della normativa relativa a tale forma turistica extra-alberghiera, di aree a Punta Sabbioni, a Ca' Ballarin ed a Ca' Savio.

Parimenti ai fini di realizzazione di campeggi sociali si intende individuare idonee aree al Lido (una in zona S. Nicolò ed una in zona Malamocco-Alberoni) e nell'isola di Pellestrina, in prossimità alle aree di interesse naturalistico ed ambientale di Ca' Roman.

I campeggi assumono rilievo anche come offerta di residenza extra-alberghiera ai turisti giovani ed a basso-medio reddito che hanno come scopo turistico la visita a Venezia. Opportunità positive in questo senso possono essere date anche dalla terraferma, ed in quest'ottica si indica la necessità di reperire un'area vicina a Tessera, da adibire a campeggi. Collocata di fronte alla laguna, con alle spalle vie di comunicazione comode ed importanti, servita da mezzi via terra e via acqua da e per Venezia, una tale zona soddisferebbe certamente un segmento della domanda turistica. Parimenti, mediante un intervento congiunto dei Comuni della Riviera del Brenta, si propone di individuare un'area nei pressi del Brenta dove alcuni campeggi, oltre a soddisfare una domanda presente, possano contribuire alla rivalutazione turistica della zona.

Per quel che riguarda la promozione di strutture ricettive in "isole minori" si fa integrale rinvio a quanto in proposito esposto al successivo capitolo 2 ed in particolare al progetto 2.7. del presente "Piano Programma".

Quanto alla promozione di una gamma di "risorse turistiche" ben più vasta di quella stereotipatamente fruita nella situazione presente, occorre precisare che il problema si pone in maniera diversa a seconda che si tratti della città storica o di altre parti del territorio comunale.

Nel primo caso si tratta di svolgere un' azione promozionale ed informativa per riuscire a rompere gli schemi consueti della visita alla città, incentrati su alcuni (pochi) punti tradizionali. Ciò può essere ottenuto proponendo "percorsi" turistici per zone e temi turistico-culturali-monumentali-ambientali, tali da valorizzare tutte le zone, mettendone in luce le caratteristiche. Non quindi degli itinerari di viabilità, che alla fine conducono tutti a piazza S. Marco o Rialto, ma promozione, da un lato, di zone o "pezzi" della città storica con una propria validità turistica, e, dall'altro lato, di percorsi tematizzati su specifici aspetti, su "fili conduttori", che, se seguiti/guidino il turista a scoprire tutto ciò che Venezia offre ad uno specifico interesse o curiosità turistica e culturale.

Nel secondo caso invece l'azione promozionale si rivolge a zone che o non sono conosciute o non lo sono abbastanza. Ciò vale non soltanto per le "isole minori" e per il sistema lagunare nel suo insieme ma anche per zone come il Cavallino e l'estuario Nord, Lido, S. Pietro in Volta, Pellestrina, Chioggia, zone della terraferma lungo il Brenta e lungo la "li toranea veneta", ecc. Per quel che riguarda le "isole minori" e le aree lagunari e di gronda, sulle quali nel breve periodo pare opportuno concentrare gli sforzi, si fa ancora una volta integrale rinvio a quanto esposto al successivo capitolo 2. Richiamando, peraltro, in questa sede, lo stretto intreccio tra le indicazioni i vi formulate e la tematica della nautica da diporto e dei segmenti di domanda turistica a questa collegati.

A quest'ultimo proposito, e senza nulla togliere alle previsioni di realizzazioni connesse a tale attività formulate per le "isole minori", si sottolinea la volontà di promuovere sia l' ampliamento del diporto velico di S. Elena che la sistemazione delle strutture nautiche di S. Giuliano, che, soprattutto, il raggiungimento delle opportune intese con il Demanio dello Stato per la realizzazione nell'ex-Idroscalo di una grande marina, volta sopra! tutto alla nautica diportistica a motore e "fronte mare". E vanno altresì rammentate le forti e positive interazioni che potrebbero svilupparsi tra una adeguata e rinnovata offerta di attrezzature per il diporto nautico ed il rilancio della cantieristica minore (di produzione e manutenzione) legato a sua volta ad attività espositive (sia di tipo storico-documentale che della nuova produzione) che potrebbero darsi in parte delle aree, degli specchi d'acqua e dei volumi cell'Arsenale.

Quanto all’ampliamento all’intero anno del periodo di fruizione delle risorse turistiche veneziane, obiettivo al quale molte delle iniziative finora indicate sono certamente funzionali, si ritiene in particolare che, all’interno di un più preciso ed accentuato coordinamento dei tutte le “manifestazioni” 8nell’accezione più lata del termine) che vengono promosse nell’area ed in particolare nella città storica, occorra provvedere a spostare decisamente il baricentro di tali “manifestazioni” dalla “stagione alta” alla “bassa stagione”, provvedendo altresì, nei limiti massimi compatibili con l’opportunità di non perdere gli “effetti sinergici” propri di talune di esse, ad una distribuzione sull’intero anno che non dia luogo ad eccessivi fenomeni di “punta” e di “morbida”.

In tale contesto, ed in evidente relazione con un ampliamento destagionalizzato della gamma delle "occasioni" per il turismo "pernottante", si pone la necessità di accelerare la realizzazione del "Palazzo dei Congressi” già previsto nel complesso dell'area Stucky, nonchè di coordinare con tale nuova struttura la rete dell’offerta di minori attrezzature congressuali esistente o prevedibi1e.

Per quel che riguarda le politiche volte ad impedire e/o disincentivare la dequalificazione delle strutture commerciali e di ristorazione, esse sono largamente demandate, da un lato, all'incisività della pianificazione commerciale comunale, dall'altro alla stessa trasformazione della domanda turistica e delle conseguenti esigenze che essa esprime.

E' possibile peraltro che il Comune si faccia protagonista di iniziative "in positivo" volte a:

- incentivare la conservazione e/o il ripristino di punti di vendita e di ristorazione presentanti buoni valori "qualitativi" (il chè non significa affatto, necessariamente, "costosi");
- far crescere, in parallelo con l'ampliamento/trasformazione delle strutture dell' offerta ricetti va, favorendo la saldatura tra i soggetti attuatori delle diverse iniziative (anche con convenzionamenti reciproci) un'adeguata azione informati va, un' offerta di prodotti e di ristorazione "intelligente", a prezzi accessibili ai diversi segmenti della domanda.

Indicate queste prospettive, è peraltro doveroso riconoscere la necessità immediata di attivare strutture di ristorazione rapportate all'attuale tipologia turistica, calibrate in modo da:
- non indurre ulteriori processi di trasformazione/dequalificazione dei presenti punti di ristorazione recuperabili alla diversa prospettiva predetta;
- ridurre anche questo aspetto del conflitto turismo-città (ed anche turismo "stanziale-motivato"-turismo "giornaliero-stereotipato”), di cui l'aggravio di lavoro per la nettezza urbana e la trasformazione di punti della città storica in luoghi per pic-nic è sol tanto la faccia più appariscente ed emblematica.

Per la più puntuale trattazione delle iniziative soprammenzionate si rinvia al paragrafo 1.5. di questo stesso capitolo. Nell’ambito delle azioni di "informazione", e nell'immediato, il Comune intende sviluppare le prime positive esperienze fatte, che suggeriscono:
a) la diffusione, nei luoghi (italiani ed esteri) di origine dei movimenti turistici di materiali illustrativi sµi modi di arrivare a Venezia, dalle diverse direttrici, utilizzando il sistema del terminal e, da questi, il sistema dei trasporti terraferma_città storica e viceversa
b) di potenziare e migliorare l'informazione su tutti i servizi di pubblica utilità (pubblici e privati) di cui si può disporre in città, guidando il turista nella ricerca e nell'uso di detti servizi, compresi i trasporti pubblici di navigazione, incentivando, per questi, un uso che riduca il più possibile i fenomeni degli intasamenti e delle lunghe attese;
c) un' informazione nuova sugli itinerari turistici con la rivalutazione di quelle zone della città storica che, erronea_ mente, vengono oggi considerate di minore rilevanza e interesse turistico;
d) un'intervento promozionale più attento, legato ai periodi stagionali e teso a favorire sempre più la trasformazione del turismo prevalentemente "di alta stagione", in turismo distribuito durante tutto l'arco dell'anno, collaborando a tal fine Con gli operatori turistici e gli enti del settore;
e) l 'urgenza a riorganizzare il servizio di informazione turistica su scala più ampia, coinvolgendo e coordinando tutti gli operatori pubblici e privati, per consentire una maggior capillarità nei punti di accesso alla città storica da ogni direzione, e nei punti della città storica di maggior afflusso.

Va sottolineato che, per la gestione di un servizio cosi concepito, accanto alle forme di coordinamento dette, è utile provvedere ad un inserimento nel personale comunale di figure professionali adeguate.

Invito alle isole, predisposto dalla giunta Rigo-Pellicani per indirizzare il recupero e riutilizzo delle isole minori, in modo rispettoso con i loro caratteri naturali e storici e coerente con le finalità sociali che si intendevano perseguire per la città storica.

Il 14 aprile 1981, la Giunta Municipale di Venezia approva un documento di indirizzi riguardante gli interventi e le possibili utilizzazioni delle cosiddette isole minori. Si tratta di un gruppo di 34 isole nelle quali non sorgono centri stabilmente abitati. La maggior parte di esse, comprese quelle che ospitano costruzioni consistenti, alla fine degli anni settanta risultano abbandonate o fortemente sottoutilizzate. Alcune isole sono di proprietà comunale, altre demaniali, altre ancora di proprietà privata. Appare chiara la necessità di coinvolgere una pluralità di soggetti e di operatori, pubblici e privati.


A questo scopo, gli indirizzi espressi con un atto formale del Comune contengono sia le direttive per la pianificazione generale, sia i criteri di valutazione e scelta per gli interventi e le utilizzazioni che possono essere poste in essere nell’immediato (usi transitori, progetti e proposte).

Ricordiamo alcuni tratti salienti. Per le isole prossime alla città, le funzioni sono primariamente di studio e ricerca (per valorizzare la dimensione culturale e l’apertura internazionale della città), legate alle attività produttive, nel settore primario e secondario, ad alto livello tecnologico (per valorizzare una dimensione produttiva necessaria per conferire a Venezia l’attributo di città, e per rafforzare il legame con l’acqua e la laguna), residenze turistiche ad ampia rotazione d’uso, in modo da garantire una utilizzazione prolungata nel tempo e di carattere sociale.
Per le isole più lontane, si ipotizzano utilizzazioni legate alla fruizione della laguna (diporto, escursionismo, rimessaggio), al settore primario, alla nautica velica, integrate con forme di residenza temporanea e turismo stanziale.

Deve essere sottolineato il corretto rapporto tra pubblico e privato che viene perseguito attraverso questo documento che, non per caso si intitola "Invito alle isole". L'invito è sì rivolto agli operatori (ai proprietari e ai soggetti economici), ma è finalizzato a catalizzare le risorse e i saperi attorno ad un progetto complessivo di rilevante interesse pubblico, che non perde mai di vista né le finalità sociali che possono essere conseguite dal riutilizzo dei beni, né l'attenzione verso i caratteri naturali e storici che devono essere attentamente compresi e rispettati.

Il percorso compiuto negli ultimi anni non può essere più distante da quanto allora ipotizzato: le isole sono messe all'asta, il criterio economico è l'unico metro di valutazione, nessuna direttiva è impartita ai soggetti che intervengono, le finalità sociali eluse. Come ci ricordano gli attivisti veneziani di Poveglia per tutti, i pochi investimenti pubblici sono - di fatto - serviti solo per costituire le premesse per la successiva valorizzazione immobiliare. E dove quest'ultima non trova le proprie convenienze, prosegue inesorabile il processo di abbandono e anche i nuovi interventi sono destinati ad un rapido degrado.

Tutto sarebbe diverso se le istituzioni che hanno competenzepatrimoniali e finanziarie avessero collaborato per rendere fruibili le isoleminori ai Veneziani e ai cittadini italiani e stranieri in forme compatibilicon la salvaguardia e il rispetto dei luoghi. Nonostante tutto, ancora oggi – almeno per un gruppo di isole – si potrebbe procedere sulla strada immaginata quarant’anni fa, attraverso il coinvolgimento diretto della parte di cittadinanza più attiva per il riutilizzo in chiave sociale dei beni comuni. Questa è la posta in gioco della battaglia che stanno conducendo gli attivisti di Poveglia per tutti, come loro - meglio di tutti noi - sanno bene.
Comune di Venezia
INVITO ALLE ISOLE
Indirizzi per la definizione degli interventi

0. Premessa
Il documento programmatico della maggioranza (agosto 1980, par. 3.4.2) fornisce le seguenti indicazioni:
"Particolare attenzione e impegno si porrà alla definizione della utilizzazione delle isole minori. La pianificazione complessiva di queste avverrà nel quadro della formazione dei nuovi strumenti urbanistici, ma si delineeranno subito gli indirizzi in base ai quali affrontare alcune questioni più urgenti (Sacca Sessola, S. Clemente ecc.). Le destinazioni d'uso saranno prevalentemente quelle produttive, per quanto compatibili con l'ambiente, e quelle legate al tempo libero, al turismo organizzato, alla cultura; l'utilizzazione sarà in regime pubblicistico o in regime convenzionato».
Il presente documento, approvato dalla Giunta Municipale nella seduta del 14 aprile 1981, contiene appunto «gli indirizzi in base ai quali affrontare alcune questioni più urgenti».
La logica complessiva di tali indirizzi può essere sintetizzata come segue.

La definizione complessiva della modalità d'uso delle varie parti della laguna (e quindi delle cosiddette isole minori) avverrà nel quadro della pianificazione in atto. Si possono peraltro definire fin d'ora alcuni interventi necessari e possibili nell'immediato, non contradditori con la pianificazione in corso. Accanto a questi, si può individuare un metodo che consenta di dare alcune prime risposte a problemi che troveranno una più compiuta definizione nei nuovi strumenti urbanistici.

1. Interventi necessari e possibili nell'immediato
Sono necessari, e anzi spesso inderogabili e urgenti, tutti gli interventi Jelativi alla salvaguardia fisica delle isole, sia dal punto di vista della {.manutenzione delle difese idrauliche 'sponde, argini, ecc.), sia da quello della ricostituzione delle colture agricole e forestali, sia infine dal punto 'i vista della manutenzione delle strutture edilizie.

Gli interventi suddetti possono essere compiuti:
a) dai proprietari delle isole (Comune, Demanio, privati);
b) dai concessionari.
Si propone di individuare subito per quali isole può essere assentita la concessione, e per queste di subordinare la concessione stessa anche alla realizzazione delle opere manutentorie, su progetti controllati dagli enti competenti (Comune, Soprintendenza, Magistrato alle Acque, Genio Civile OO.MM.). Per le altre, il Comune promuoverà la formazione di un programma di opere di salvaguardia fisica, concordandone l'attuazione con i proprietari e studiando i modi d'intervento legittimamente operabili in caso di inerzia dei proprietari. Saranno assentite, e anzi stimolate e promosse, tutte le richieste di concessione delle isole prive di costruzioni, o nelle quali le costruzioni hanno un valore accessorio rispetto alle utilizzazioni produttive del suolo, e per le quali la concessione sia volta all'utilizzazione agricola e forestale.

Particolare cura sarà posta nella individuazione delle colture omogenee all'habitat lagunare.

Per le isole nelle quali le costruzioni sono invece di consistente entità, il ragionamento è più complesso, e implica un ragionamento di carattere urbanistico, che consenta di individuare le modalità mediante le quali si può pervenire a una prima definizione delle utilizzazioni ammissibili perché non contradditorie con la pianificazione più complessiva.

2. Una prima classificazione delle isole in relazione alla loro utilizzabilità
Una classificazione delle isole finalizzata alla loro utilizzazione deve tener conto dei seguenti parametri:
A) GLI ELEMENTI FISICI E LE CARATTERISTICHE DELL 'INSEDIAMENTO. Da questo punto di vista le isole possono essere classificate come segue:
a 1) isole prive di costruzioni, o nelle quali le costruzioni hanno un valore accessorio;
a2) isole nelle quali le costruzioni prevalenti appartengono a tipologie specialistiche (conventi, ospedali, forti, ecc.) per le quali è possibile configurare una pluralità di destinazioni d'uso compatibili con il tipo originario; a3) isole per le quali le costruzioni precedenti appartengono a tipologie residenziali (le isole di questo tipo sono prevalentemente già pianificate: Lido, Pellestrina, Murano, Burano, Vignole, S. Erasmo).

B) LA LOCALIZZAZIONE IN RELAZIONE ALL'ACCESSIBILITA Da questo punto di vista le isole possono essere classificate come segue:
b 1) isole collocate lungo percorsi che consentono una accessibilità con buoni livelli di servizio dal centro storico, in relazione a un servizio di trasporti pubblici non diseconomico;
b2) isole collocate lungo possibili percorsi di penetrazione in laguna dal sistema dei terminals;
b3) isole la cui accessibilità difficilmente ed eccezionalmente potrà essere garantita da un sistema di trasporti pubblici.

C) L'ATTUALE PROPRIETA E USO. Sotto questo profilo le isole possono essere così classificate:
c1) isole già convenientemente utilizzate dai proprietari e/o concessionari;
c2) isole non utilizzate o sottoutilizzate, di proprietà comunale o simile;
c3) isole non utilizzate o sotto utilizzate, di proprietà demaniale;
c4) isole non utilizzate o sotto utilizzate, di proprietà privata.
Per la classificazione delle isole secondo i tre parametri suddetti si veda l'allegato B.

3. Criteri per la definizione delle destinazioni d'uso
3.0. Il problema di definire destinazioni d'uso prima della definizione del piano delle isole nasce soprattutto per le isole di cui sub c2) e c3). Per quelle sub c1) si pone, in alcuni casi, il problema di consentire all'utilizzatore di effettuare gli interventi necessari in relazione alle utilizzazioni attuali, dove questi si ritengono adeguate e tali da dover essere consolidate (es.: Armeni). Per quelle c4) l'unico problema che va risolto nel breve periodo è quello di effettuare, o imporre, le opere di difesa fisica: ciò perché non si ritiene opportuno consentire trasformazioni consistenti delle isole di proprietà privata prima di una compiuta definizione pianificatoria.
Nonostante queste differenziazioni, le indicazioni che si daranno di seguito, mentre varranno fin dall'immediato per definire le utilizzazioni delle isole di proprietà pubblica, costituiranno indirizzo per la definizione della pianificazione complessiva.

3.1. I parametri per definire l'individuazione delle destinazioni d'uso sono, da un lato, gli elementi fisici e le caratteristiche dell'insediamento, dall'altro lato, il livello dell'accessibilità. Per quanto riguarda il primo dei parametri suddetti, va considerato che tutte le isole per le quali è urgente definire una utilizzazione ricadono nelle categorie a1) e a2) di cui al par. 2. Nel primo caso (isole prive di costruzione), nell'immediato - e cioè prima della definizione complessiva dell'assetto della laguna - l'utilizzazione che può essere assentita senza problemi è quella produttiva nel settore primario. Nel secondo caso (costruzioni con tipologie specialistiche) le particolari tipologie si prestano a una gamma abbastanza vasta di utilizzazioni; sicché discriminanti diventano le indicazioni che discendono dal secondo parametro.

Per quanto riguarda il livello dell'accessibilità va innanzitutto considerato che questo non è mai tale, e non potrà prevedibilmente esser mai reso tale, da garantire livelli d'accessibilità che, in termini di ragionevolezza economica, possono essere considerati urbani. Ciò esclude quindi una utilizzazione delle isole minori per residenza primaria, e in generale per funzioni che richiedono collegamenti pubblici frequenti in tutto l'arco della giornata.

Tra le altre destinazioni, quelle che appaiono opportune e possibili (salvo verifiche più specifiche) sono le seguenti: residenza turistica, attrezzature per il diporto nautico, attività di studio e di ricerca, attività produttive ad alto livello tecnologico e assolutamente non inquinanti, altre attività culturali (oltre, ovviamente alle attività produttive nel primario e ai connessi servizi). Ma per definire più precisamente, all'interno di questa gamma, i criteri di selezione delle utilizzazioni, conviene riferirsi in termini più specifici ai tre livelli d'accessibilità di cui al par. 2. sub B).

3.2. Le isole di cui alla lettera b 1) hanno il «privilegio» di poter essere collegate in modo relativamente efficiente al centro storico. D'altra parte, l'economicità del servizio pubblico di collegamento è a sua volta condizionato dalle funzioni, le quali sono più o meno trafic intensives. Da queste due considerazioni nasce un primo criterio di scelta: le isole del gruppo b 1) hanno le loro destinazioni più convenienti nelle utilizzazioni che, da sole o associate, producano una notevole domanda di trasporti soddisfacibile mediante il sistema di trasporto pubblico. Residenze turistiche di massa (turismo scolastico e giovanile, ostelli per la gioventù, ecc.), e attrezzature universitarie ad alta intensità d'uso sono utilizzazioni che rispondono a questi requisiti. Ad esse possono essere associate utilizzazioni le quali, pur presentando una minore domanda di trasporti, possono tuttavia integrarsi convenientemente con le prime e in qualche modo fornire un elemento di connessione funzionale con le utilizzazioni delle isole caratterizzate da minori livelli di accessibilità, quali quelle relative alle attività nautiche, alla cantieristica minore, ai servizi per le attività produttive del settore primario. Va sottolineato il fatto che le isole più vicine (in termini di accessibilità) al centro storico possono essere usate al fine di alleggerire la pressione che, sulla residenza e le attività connesse del centro storico, viene esercitata da utilizzazioni localizza bili anche fuori dal centro storico. Utilizzazioni turistiche delle isole non potranno, prevedibilmente e nel breve periodo, «spostare» esercizi turistici dal centro storico e «liberare» spazi per la residenza, ma almeno potranno dare uno sbocco a una pressione che oggi non ha alternative. Utilizzazioni per l'università e la ricerca, invece, potrebbero condurre - oltre che a una riduzione della pressione - anche alla «liberazione» di alcuni spazi. Da questa considerazione può nascere un secondo criterio di scelta nella individuazione delle utilizzazioni delle isole.

3.3. Le isole di cui alla lettera b2) costituiscono localizzazioni privilegiate per una serie di attività cui il Piano comprensoriale affida un più complessivo recupero e rivitalizzazione della laguna: si tratta delle attività connesse al diporto nautico, all'escursionismo, al turismo anche stanziale, delle attrezzature di rimessaggio, ricovero e riparazione per la grande nautica da diporto, e delle attività produttive nel settore primario (agricoltura, itticoltura) e dei relativi servizi. Dove le dimensioni delle costruzioni esistenti non inducano a prevedere utilizzazioni di maggiore interesse «strategico», è possibile assentire utilizzazioni di carattere culturale o di ricerca, anche private.

3.4. Le isole di cui alla lettera b3) sono quelle che presentano livelli d'accessibilità più bassi, e che - più precisamente - non sono prevedibilmente collegabili né con la rete del trasporto pubblico urbano né con quella del trasporto turistico di linea. Per queste isole può quindi essere assentita qualunque utilizzazione privata che sia compatibile con le destinazioni generali della laguna.

4. Condizioni per l'utilizzazione delle isole
4.1. L'utilizzazione in regime di concessione delle isole di proprietà pubblica deve essere in ogni caso subordinata a una convenzione con il Comune. Sarebbe opportuno che questa fosse collegata alla concessione, anche nel caso che l'ente proprietario sia diverso dal Comune.

4.2. Il contenuto essenziale della convenzione dovrebbe essere il seguente:
a) impegno da parte del concessionario, a concordare con il Comune un progetto di sistemazione dell'isola, nel quale siano definiti - tra l'altro - tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, i relativi tempi e costi, le modalità tecniche di esecuzione;
b) definizione delle destinazioni d'uso delle isole e delle singole componenti, e vincolo a non modificare le utilizzazioni rispetto a quelle previste pena la decadenza della concessione;
c) durata della concessione, da stabilire in relazione all'entità dei lavori per periodi compresi da 5 a 30 anni;
d) clausole particolari per quanto riguarda - dove necessaria - la libertà d'accesso.

4.3. Nella fase attuale (e cioè prima della definizione pianificatoria) gli interventi saranno comunque limitati agli interventi di restauro e risanamento, attraverso interventi prevalentemente di manutenzione straordinaria, degli edifici esistenti.

5. Scelta degli operatori
Per le isole di cui sub a 1) (prive di costruzioni) e b3) (di difficile accessibilità con trasporto pubblico) la concessione può essere assentita a qualunque soggetto.
Per le altre isole, e in particolare per quelle di maggiore rilevanza urbanistica e consistenza fisica, si procederà secondo criteri che consentano di stimolare e confrontare tra loro le diverse possibili proposte di utilizzazione (gara pubblica).

Per comprendere la vicenda di Poveglia, segnaliamo su eddyburg due articoli , di Paolo Cacciari e degli attivisti dell'associazione Poveglia per tutti, con un link a un dossier dettagliato. Per comprendere la portata della deriva attuale, rinviamo a un magistrale articolo di Paola Somma, intitolato San Marco benedice le isole della Laguna.
Visita guidata attraverso la città e la Laguna e incontro pubblico con Edoardo Salzano, il 16-17 settembre 2016, organizzati dalla scuola di eddyburg.


Le ragioni dell’iniziativa.
Le qualità di Venezia sono prodotte dal rapporto equilibrato e dinamico che si è per secoli manifestato tra gli elementi fisici della città e dell'ambiente e il concreto e complesso tessuto sociale ed economico che della ricchezza della città costituisce una fondamentale componente. Questo equilibrio oggi è compromesso, a causa degli interessi economici dominanti, assecondati dalla politica. Non è sempre andata cosi. Tra il 1975 e il 1985, l’amministrazione comunale si è misurata con i problemi che oggi appaiono insuperabili e ha proposto iniziative e programmi per conservare la complessità sociale della città unitamente alla ricchezza della sua struttura fisica. Recuperare la conoscenza di quella stagione è premessa indispensabile per chi è convinto che si deve e si può contrastare la trasformazione di Venezia in un palcoscenico per il turismo di massa e in una riserva di caccia per gli interessi di pochi soggetti.
Programma
Venerdì 16.09.2016 | 9,30-18,30
In giro per la città e nella Laguna
.
Per comprendere le poste in gioco, gli interessi dominanti e le possibili alternative, percorreremo un itinerario che attraversa la città e la laguna, con una serie di incontri organizzati in luoghi significativi.
Trasporti contro natura: fare a meno dell’acqua. Incontro con Maria Rosa Vittadini
Abitare è difficile: politiche per la casa a Venezia. Incontro con Anna Renzini
Laguna e città sotto assedio turistico. Incontro con Lidia Fersuoch
Difesa e riconquista degli spazi pubblici: Poveglia, una storia esemplare. Gita in barca, su un mezzo riservato al nostro gruppo, a cura de Il Caicio, un'associazione costituita nel 2004 da un gruppo di giovani Veneziani interessati al recupero delle tradizioni marinare, con un occhio di riguardo alla marineria veneziana, attraverso la costruzione, il restauro, il mantenimento e soprattutto l’utilizzo delle imbarcazioni tradizionali.

La visita guidata è riservata agli iscritti. Le iscrizioni sono terminate.

Sabato 17.09.2016 | 10,30-12.30
Eddy racconta 

Incontro pubblico, con partecipazione libera, presso l’aula magna del Liceo Guggenheim, 
Campo dei Carmini, Dorsoduro, 2613
Per recuperare la conoscenza della stagione amministrativa 1975-1985, ci affidiamo al racconto-intervista di uno dei principali protagonisti di quel periodo, Edoardo Salzano, all’epoca consigliere comunale e assessore all’urbanistica.
Quello che so di Venezia: dalla modernità all’omologazione.
La mia esperienza amministrativa: colloquio con Silvio Testa.

Seguirà la presentazione dell'associazione eddyburg
da parte di Edoardo Salzano, Maria Cristina Gibelli e Paolo Dignatici

L'invito all'incontro pubblico con Edoardo Salzano è scaricabile qui.
Presto su eddyburg renderemo disponibili i documenti sui temi trattati e sulle due giornate.
Una città un piano: Napoli 1980 - Piano delle periferie.


Ritorniamo a Napoli, sette anni dopo la prima iniziativa che ha dato avvio al fortunato ciclo di visite guidate organizzate dalla scuola di eddyburg a Friburgo, Vienna e Lione. Le città che abbiamo scelto si caratterizzano per aver fornito, attraverso una consolidata attività di pianificazione, risposte di elevata qualità alle domande sociali della casa, della mobilità, dei servizi pubblici, della protezione ambientale. Il racconto con i nostri interlocutori - amministratori, tecnici, attivisti locali - ci ha permesso di comprendere le intenzioni sottese alle scelte di piano. La visita alle realizzazioni concrete ci ha consentito di valutare corrispondenze e scarti tra obiettivi e risultati. Un lavoro fruttuoso, di cui trovate ampia documentazione in eddyburg.

L'iniziativa organizzata a Napoli dai nostri amici, che ringrazio, si inserisce appieno nel nostro percorso, con una particolarità. Il seminario e la visita guidata sono dedicati a una vicenda piuttosto lontana nel tempo. Come sapete, il piano delle periferie è stato approvato il 16 aprile 1980 e gli interventi che andremo a osservare da vicino sono stati realizzati pochi anni dopo. Da che cosa scaturisce, dunque, il nostro interesse odierno? In questo seminario e nella visita guidata avremo modo di costatare la qualità delle realizzazioni e la loro corrispondenza rispetto alle intenzioni che hanno animato quella stagione di pianificazione (1). In questa presentazione vorrei soffermarmi su tre aspetti di portata generale.

Intervenire nella città esistente

Come sapete, viviamo da molti anni una fase di sostanziale disimpegno dello Stato nei confronti dell'urbanistica. Non è sempre stato così. I numeri del programma straordinario, incardinato sul piano delle periferie, restituiscono la misura dello sforzo compiuto allora per cambiare volto a parti consistenti della città e rispondere, in questo modo, a fabbisogni di carattere strutturale. Li riassume Antonio Cederna, in un suo articolo del 1987 che abbiamo ripubblicato in eddyburg. Tredicimila cinquecento alloggi, la metà dei quali ultimati in soli sette anni dall'approvazione del programma, una settantina di sedi scolastiche, impianti sportivi, centinaia di ettari per nuovi parchi, millecinquecento negozi e laboratori per attività artigianali. Un impegno finanziario di oltre 850 miliardi di lire per le abitazioni e di circa mille per le dotazioni pubbliche: l'equivalente di circa quattro miliardi di euro, ai valori attuali (2).

La distanza tra allora e oggi è imbarazzante. Per il recupero delle periferie di tutte le città italiane, il governo ha stanziato 500 milioni di euro, con i quali si propone di finanziare decine di interventi. Nessuna strategia e nessun programma sorregge le sporadiche iniziative attuali. La questione urbana è scomparsa dall'agenda pubblica. Politiche per la casa, misure per contrastare la crescente polarizzazione economica e sociale delle città e del territorio, interventi per fare degli spazi pubblici il luogo dove consolidare una società plurale e solidale, sostegno alle economie di prossimità necessarie per rendere meno faticosa la vita di milioni di persone: poco se ne parla, e ancor meno si fa. Si continua a sottovalutare che nella trasformazione della città esistente si materializzano le principali sfide del nostro tempo, sociali, ambientali ed economiche.


Pluralità, coralità

La seconda questione attiene al ruolo dell'amministrazione pubblica. Nel programma straordinario di Napoli l'amministrazione pubblica, per prima, ha agito coralmente, attraverso le sue articolazioni. Il sapere tecnico e la cultura hanno dato il loro contributo, sia nell'alimentare il dibattito e la critica, sia nel fornire un apporto operativo. Il mondo delle imprese è stato ingaggiato, attraverso forme ordinate di partenariato, in piena legalità e trasparenza. I cittadini sono stati coinvolti attraverso una costante e attenta opera di intermediazione, guidata dagli attivisti politici locali.

Se non vogliamo limitarci a qualche intervento estemporaneo di trasformazione urbana, oggi come allora è necessario garantire pluralità e coralità. La regia pubblica è essenziale per questo scopo. Solo l'amministrazione pubblica può esercitare le funzioni di impulso, indirizzo, coordinamento, regolazione e monitoraggio. E l'amministrazione pubblica, prima e più di ogni altro soggetto, è tenuta a garantire la massima trasparenza, apertura e rendicontazione.

Dobbiamo quindi contrastare due affermazioni che l'ideologia corrente ha reso ormai di senso comune: non è vero che il progressivo restringimento dell'iniziativa pubblica a favore del cosiddetto mercato sia di per sì salutare; non è vero che, per rendere efficace il potere pubblico, occorre esercitarlo in forma autoritaria. Al contrario - e la vicenda napoletana ne è testimonianza - è vero che la committenza pubblica può farsi portatrice di istanze progressiste e puï mobilitare le forze sane presenti nella società. Se vogliamo rigenerare le città, dobbiamo innanzitutto rigenerare l'azione pubblica.

Memoria collettiva e impegno per il futuro

Il terzo e ultimo aspetto di interesse che vorrei richiamare molto brevemente, riguarda il nostro rapporto con le vicende passate. La lunga fase di declino che stiamo attraversando induce a guardare al passato con nostalgia. Niente di più sbagliato. Non siamo qui per questo, e nemmeno per un esercizio di sterile conoscenza. Il racconto dei protagonisti e la visita ai luoghi, molto più della sola lettura dei testi, sono un tramite per appropriarci di una memoria collettiva, di una storia che non abbiamo vissuto personalmente, ma che pure è la nostra. L'empatia con le persone e i luoghi facilita il lavoro di decifrazione e interpretazione necessario per rintracciare qualche filo utile per intessere una nuova trama. Siamo qui perché ci interessa il domani, ancora tutto da inventare.

Note

(1) Nelle pagine di eddyburg sono disponibili:
- i documenti essenziali riguardanti il programma di ricostruzione post-terremoto e il piano delle periferie (disponibili a breve);
- la presentazione e il programma dell'iniziativa organizzata a Napoli il 6-7 aprile 2016.
(2) I dati riportati nel testo si riferiscono ad alcune delle voci di investimento. L'ufficio del programma straordinario ex lege 219/1981 è stato incaricato di sovrintendere alla realizzazione di opere per un investimento complessivo di 3.000 miliardi di lire (circa 6 miliardi, ai valori attuali).

La cultura urbanistica più avvertita sostiene da decenni la necessità di politiche della casa improntate al recupero del patrimonio edilizio, in alternativa all’espansione. Non molti sanno che Napoli è stata la prima città a scegliere il recupero in periferia. Agli inizi degli anni ottanta la giunta di sinistra guidata dal sindaco Maurizio Valenzi approvò un piano per le periferie, attuato con le risorse straordinarie della ricostruzione post-terremoto del 1980. Il successo di questa esperienza e il suo lascito duraturo possono essere verificati e forniscono un insegnamento di valenza generale sulle possibilità d’intervento nella città esistente.
Le aree interessate dal piano delle periferie, approvato nel 1980, con evidenziati i luoghi visitati durante l’iniziativa Una città un piano.
Ponticelli - veduta aerea
San Pietro a Patierno - veduta aerea

Eddyburg, con il sostegno dell’Ordine degli architetti di Napoli, ha organizzato una giornata di studi e una visita alle più significative realizzazioni del piano delle periferie, nei quartieri di Scampia, Secondigliano, Ponticelli e Barra. Elena Camerlingo, Giovanni Dispoto, Roberto Giannì, Mario Moraca, che hanno redatto i piani e assicurato la loro realizzazione, hanno illustrato i contenuti urbanistici e sociali del programma e guidato i partecipanti nella visita. Maria Musetta è stata la preziosa e paziente segretaria dell'iniziativa. Qui è disponibile il programma.

Nel sito abbiamo raccolto numerosi documenti che testimoniano questa straordinaria vicenda urbanistica. Possono essere scaricati da questa pagina.

L'intervento introduttivo del seminario che si è svolto il 6 aprile è disponibile qui.

Qui di seguito inseriamo alcune fotografie scattate durante le giornate del seminario:

Visita guidata - in primo piano Elena Camerlingo

Visita guidata - al centro del gruppo Roberto Gianni
Visita guidata - Il parco Troisi (foto di Tino Perna tratta da panoramio.com)
Visita guidata - Il parco di Scampia

Poco a valle del centro storico di Lione, la Saone e il Rodano si uniscono tra loro. Alla fine del settecento, Antoine Perrache, ingegnere e imprenditore, avvia un imponente opera di rettifica e regimazione del Rodano. Il punto di confluenza viene spostato di qualche chilometro a valle, ricavando una striscia di terreno di circa 200 ettari, destinata a depositi e attività industriali.

L’area prende ufficialmente il nome del suo ideatore, quartiere Perrache, ma i Lionesi la chiamano "Derrière le voûtes" (oltre i sottopassi): per raggiungerla occorre infatti superare la barriera formata dalla ferrovia e - dopo il 1970 - dall'autostrada. Isolata dal resto della città, l'area ospita, nel novecento, industrie e depositi, due prigioni, il mercato all'ingrosso e un quartiere operaio.

In seguito al progressivo declino dell'industria pesante si comincia a pensare a una possibile riconversione. Il sindaco Raymond Barre - nel 1996 - indice un concorso internazionale per la redazione di un masterplan. Alla base del progetto c'è un obiettivo ambizioso: riconquistare a usi urbani un'area che, anche nell'immaginario delle persone, è considerata un luogo degradato e poco piacevole per vivere. Per costruire il consenso si apre una fase di consultazione pubblica. 24.000 lionesi visitano l'esposizione del progetto vincitore e inviano 1000 osservazioni scritte alla municipalità. Il dibattito è serrato, ma la scelta di fondo non è messa in discussione. Comune e Grand Lyon (l'associazione intercomunale, corrispondente alla città metropolitana) siglano un accordo per la trasformazione dell'area. Viene istituita una società di scopo (l'equivalente di una società di trasformazione urbana), con il compito di definire tutte le operazioni preliminari nei successivi quattro anni: piano esecutivo, acquisizione dei suoli, avvio dei lavori preparatori e dell'attribuzione dei primi lotti agli operatori privati.

Il progetto vincitore del concorso, redatto da Oriol Bohigas (l'urbanista che, pochi anni prima, aveva trasformato il volto di Barcellona), non viene realizzato, anche a seguito delle critiche ricevute nel dibattito pubblico. La nuova amministrazione di centro sinistra, guidata dal sindaco Gerard Colomb, ne affida la revisione allo studio Grether-Desvigne. Si opta per uno “schema direttore” da attuarsi nel tempo con interventi autonomi. Lo slogan utilizzato è: uno schema-mille progetti e, in effetti, la Confluence è anche un catalogo di architetture griffate, tra cui Coop Himmelbau, Odille Decq, Jakob+MacFarlane, Kengo Kuma, Fuksas, Herzog & de Meuron. Le risorse investite sono imponenti: oltre 1 miliardo di euro per la prima fase, riguardante 40 ettari su 150 complessivi e le principali infrastrutture. Per segnare la discontinuità col passato, al quartiere viene dato un nome nuovo: La Confluence.

Quindici anni dopo, la trasformazione dell'area può dirsi a buon punto. Una nuova linea tranviaria attraversa l'area e la connette alle principali stazioni ferroviarie e della metropolitana. Un nuovo ponte pedonale, un grande museo e un parco sono posizionati all'estremità meridionale, nel punto di unione dei due fiumi. Nel cuore dell'area è realizzata una darsena interna - una sorta di piazza d'acqua - sulla quale affacciano le residenze, gli spazi commerciali e ricreativi e la nuova sede della Regione Rhone-Alpes. A nord, l'insediamento storico è oggetto di una progressiva riqualificazione, tuttora in corso. La municipalità vi trasferisce parte degli archivi comunali, l'università cattolica si insedia nelle vecchie prigioni, il recupero delle quartiere operaio è agevolato con sussidi pubblici. Le rive della Saone sono attrezzate come una lunga "promemade" nella quale si svolgono iniziative culturali ed eventi che invogliano i lionesi a scoprire il nuovo volto del quartiere e aumentano l'attrattività potenziale per gli operatori. A sud è conservata una parte produttiva, ma le nuove attività che si insediano sono legate al terziario, alla cultura e all'informazione (la nuova sede di Euronews è ospitata in un iconico cubo verde), al turismo. Nella nuova parte residenziale, dove vivono circa 8000 nuovi abitanti, un quarto degli alloggi è riservato all'edilizia sociale nelle sue diverse declinazioni. L'edilizia libera e quella sociale sono compresenti in ciascun lotto, a volte anche nello stesso edificio. Infine, l'attenzione al risparmio energetico, alla mobilità lenta, agli spazi collettivi e al verde contribuisce a definire il profilo del quartiere, pienamente allineato a quello dei nuovi ecoquartieri sorti nelle maggiori città nordeuropee.

L'esperimento di rigenerazione sembra pienamente riuscito. A ben vedere, la creazione della penisola alla fine del settecento e la sua radicale trasformazione due secoli dopo sono legate tra loro: entrambe sono state concepite e realizzate da un'amministrazione pubblica ambiziosa, determinata a costruire solide basi per lo sviluppo futuro della città. Occorre constatare che nessuno, nel nostro paese, è in grado di fare altrettanto.

Abbiamo visitato il quartiere della Confluence il 19 settembre 2015, nell'ambito dell'iniziativa Una città un piano organizzata dalla scuola di eddyburg. Ci ha guidato Nicolas Bruno Jacquet, architetto di Lione.

Per saperne di più si possono scaricare il volantino con i dati essenziali e due documenti che illustrano la storia del quartiere e la parte residenziale. Altre informazioni sono disponibili sul sito della società di trasformazione Lyon Confluence.

Dal 17 al 19 settembre, a Lione, due giorni di incontri con amministratori etecnici del GrandLyon e dell’Agence d’Urbanisme e visite guidate. Qui il programma.

Nei due giorni di visita organizzata (giovedì 17 e venerdì 18 settembre) ci proponiamo di ragionare sui principali aspetti della rigenerazione urbana assieme ad amministratori e tecnici del GrandLyon e dell’ Agence d’Urbanisme e di visitare le realizzazioni più significative, con la guida di alcuni amici, italiani e lionesi.

Sabato 19 (e domenica, per chi intenderà restare in città) saranno invece dedicati alla visita dei luoghi più simbolici e allo splendido centro storico.

Il viaggio il soggiorno sono autonomi. Ognuno è libero di decidere come raggiungere Lione, dove soggiornare e quanto tempo fermarsi. Daremo agli iscritti l’indicazione dei luoghi di ritrovo per le attività organizzate dal giovedì al sabato.

E' obbligatoria l'iscrizione, dato che possiamo accettare solo 25 partecipanti. Per iscrivervi dovete:

- scrivere a eddyburg2014@gmail.com. Indicate il recapito mail e il telefono cellulare per le comunicazioni;
- attendere una conferma da parte nostra (vi diremo se ci sono ancora posti disponibili o se vi mettiamo in lista di attesa);
- trasmettere per mail la prenotazione dell’albergo che avete scelto e/o del biglietto del treno/aereo (così siamo sicuri che siete seriamente motivati). Se non trasmettete i documenti entro 10 giorni, assegniamo il posto a chi è in lista di attesa.
L’iscrizione è gratuita. Le spese di viaggio e soggiorno sono a carico vostro.

. Il capo-dipartimento della municipalità riassume le politiche abitative nella capitale austriaca. Da Urbanistica, in occasione del viaggio della Scuola di eddyburg. Anche in inglese. (m.b.)

Le politiche abitative a Vienna presentano tratti straordinari. Circa il 60% dellefamiglie vive in alloggi che hanno variamente beneficiato di finanziamentipubblici. La produzione annuale di alloggi sovvenzionati dall'attore pubblicovaria oggi tra le 5.000 e le 7.000 unità (una quota compresa tra l’ottanta e ilnovanta per cento delle nuove edificazioni). Le radici di tali politicherisalgono al primo dopoguerra, ma nel corso del Novecento la città hacostantemente investito nell'innovazione delle politiche e progettisti einvestitori sono oggi implicati dall'amministrazione pubblica in un modellod'azione che dà corpo a politiche abitative che rispondono a obiettivi disostenibilità sociale (in riferimento ai costi di produzione e gestione),urbana (in riferimento a qualità tipologiche ed edilizie) ed ecologica (inriferimento ai consumi energetici e ai materiali impiegati).

La crisi abitativa. Una riforma delle politiche dal basso

Alla fine dell'Ottocento, Vienna fu terreno delle prime inchieste sociali sulle forme moderne di povertà estrema. La risposta alla domanda abitativa sociale aveva fino ad allora trovato risposta in un mercato della locazione privata, dominato da investimenti speculativi di coloro che alla fine del secolo (nel periodo cosiddetto di Gruenderzeit) avevano investito i propri capitali nella costruzione di immobili d'affitto.

Dietro facciate neorinascimentali che imitavano il volto della città borghese, si nascondeva la miseria di alloggi minuscoli e privi di servizi essenziali, in una sorta di città 'alla Potemkin' che fu oggetto delle invettive di Adolf Loos. In questo contesto, il primo intervento pubblico in materia di politiche abitative, nel 1917, fu un intervento legislativo di regolazione del mercato della locazione, in larga misura tuttora in vigore.
Nel primo dopoguerra la situazione abitativa assunse toni drammatici e costituì uno dei principali fronti di lotta e attivazione del movimento rivoluzionario. I diritti di proprietà privata erano messi alla prova dalle condizioni di povertà estrema e dalla fame: molti terreni, anche in ambito urbano, vennero occupati dalla popolazione per coltivare ortaggi e allevare animali da cortile. Ovunque, ai margini della si allestivano alloggi di fortuna e si svilupparono estese baraccopoli. La città di Vienna si trovò a fronteggiare imponenti manifestazioni per il diritto alla casa e mosse i primi passi versi la definizione di una politica pubblica, procedendo ad acquisire direttamente i suoli per l'edificazione e a distribuire alla popolazione materiali di costruzione e supporto tecnico per l’autocostruzione di alloggi.
Questa prima forma di supporto all'autocostruzione, dai tratti quasi pionieristici e assai poco conosciuta, diede luogo a esiti di grande interesse. Fu all'origine, per esempio, della costituzione di alcune prime cooperative di lavoratori, che si attivarono per produrre e fornire componenti edilizi finiti, dai mattoni alle finestre. Ma fu anche il riferimento delle posizioni che nel dibattito architettonico optavano per lo sviluppo di Siedlungen, insediamenti residenziali a bassa densità e con tipologie a schiera. La qualità architettonica ed edilizia dei circa 5.000 allo realizzati attraverso questo processo, in 50 diversi insediamenti, è straordinaria. Adolf Loos, a quel tempo architetto capo del dipartimento per le politiche abitative della municipalità di Vienna, curò direttamente la consulenza architettonica alle cooperative di lavoratori. “Un'abitazione, un muratore” era il motto del progetto modello per l'edificazione di case a schiera, CI sistema assai economico e semplice che fu realizzato nella Siedlung di Heuberg. L'architetto del Werkbund, Josef Frank, progettò a Vienna in questi anni una serie di interventi fortemente razionalizzati, che furono riferimenti per un'intensa sperimentazione. Margarethe Schtitte-Lihotzky, collaboratrice di Loos, curò il progetto della prima cucina componibile, poi divenuta nota come Frankfurter küche.

Vienna rossa, 1918-1933

Nel 1919, a seguito del primo suffragio universale, il partito socialdemocratico assunse il governo della municipalità di Vienna con la maggioranza assoluta. Il disegno di una politica delle abitazioni fu scelto subito come obiettivo primario. Sin da allora, la questione centrale per la produzione di edilizia sociale consisteva nella disponibilità di finanziamenti e per alimentare le casse fu impostato un articolato sistema di prelievi fiscali. Il gettito più rilevante derivava dall'imposta sui suoli, da quella sull'incremento di valore e da quella sulle nuove costruzioni, introdotta nel 1923. Quest'ultima era proporzionale alla dimensione degli alloggi: per un'abitazione operaia il prelievo corrispondeva a circa il 2% dell'affitto, ma per residenze signorili poteva salire fino al 36%. Questo sistema di tassazione procurò alla città un flusso di finanziamenti straordinari, che consentì di promuovere un massiccio piano di investimenti nell'edilizia sociale.

Tra il 1923 e il 1934 furono costruiti più di 61.000 nuovi alloggi, distribuiti in 348 insediamenti, in posizioni più centrali e ad alta densità, in forma di Hoefe, "superblocchi" di edilizia alta e compatta. Altre 5.000 abitazioni furono invece realizzate nelle 42 Siedlungen, a bassa densità, con abitazioni singole o a schiera. Nel 1934 circa un decimo della popolazione viennese abitava in alloggi comunali. Il programma di costruzioni lanciato nel 1923 prevedeva essenzialmente due tipi di alloggi, di 35 e 45 mq, in cui i servizi igienici interni e il doppio affaccio erano requisiti fondamentali, segnando la differenza rispetto alle tipologie del mercato privato. Oltre all'alloggio, la dotazione di una serie di servizi alla popolazione era considerata elemento fondamentale per promuovere i diritti di cittadinanza e la stessa democrazia. Sale per riunioni, bagni, scuole materne, lavanderie, negozi, biblioteche erano i servizi di base nei maggiori interventi e contraddistinguevano i quartieri pubblici, rispetto all'offerta della città del capitalismo privato, offrendo un contributo anche alla liberazione delle donne dal lavoro domestico.
La municipalità concorreva alla produzione diretta di elementi standardizzati. Finestre, porte, sanitari, rubinetteria, ringhiere ed elementi di arredo urbano per le corti e i giardini, erano forniti direttamente al programma di costruzione, contribuendo a disegnare immagine e identità dei nuovi quartieri. Nella maggior parte dei casi si cercano anche caratteri "monumentali", come tratto distintivo, nel tessuto urbano, dei progetti della municipalità. Il principale simbolo di Vienna rossa è certamente il Karl Marx-Hof, realizzato nel 1927 su progetto di Karl Ehn: 1.200 alloggi sono distribuiti intorno a grandi corti, che ospitano i servizi collettivi, coprendo il suolo disponibile solo per il 30%, a fronte degli sviluppi intensivi della speculazione privata, che arrivavano al 90%. In questi anni la promozione di soluzioni innovative del progetto residenziale fu intensa, sostenuta dalle collaborazioni avviate e sostenute dalla municipalità con una serie di progettisti di alto profilo: Peter Behrens, Josef Frank, Hubert Gessner, losef Hoffmann, Clemens Holzmeister e Adolf Loos tra gli altri. Nel 1932 si realizza l'insediamento del Werkbund, con l'obiettivo di disporre di una sorta di catalogo di modelli per la produzione di alloggi pubblici a basso costo, disegnati e realizzati da diversi progettisti.
Il nazionalsocialismo e la seconda guerra mondiale 1934-1945


Dopo la chiusura del Parlamento e il divieto di costituire partiti, a esc

lusione del Fronte nazionalista cristiano-sociale, nel febbraio 1934 prese corpo un conflitto civile tra i due gruppi paramilitari dei socialdemocratici e dei cristiano-sociali, che in molti casi portò l'esercito ad attaccare numerosi grandi quartieri della Vienna rossa, divenuti quasi fortezze, in cui si asserragliavano i lavoratori e molti oppositori del regime fascista in ascesa. L'avvento del regime segnò di fatto la fine della Vienna rossa e della sua politica abitativa. Durante il nazionalsocialismo circa 60.000 alloggi furono espropriati alla popolazione ebrea e nel secondo conflitto mondiale andarono distrutti 87.000 alloggi, circa il 20 % dello stock totale, più di quanti la Vienna Rossa ne avesse prodotti.

L'edilizia sociale dopo il 1945

A guerra conclusa, sebbene la città versasse in condizioni disastrose, a causa delle distruzioni, della povertà della suddivisione in settori controllati dalle forze alleate, a fronte di un fabbisogno abitativo calcolato in circa 117.000 alloggi, venne fissata l'agenda delle politiche di sviluppo della città: con obiettivi di diradamento dei quartieri centrali più densi e di uno sviluppo più sostenuto negli ambiti periurbani. Il primo grande progetto di edilizia abitativa promosso dalla municipalità nel dopoguerra fu la Per-Albin-Hansson-Siedlung, progettata da Franz Schuster e finanziata grazie ad un programma di aiuto del governo svedese. Dagli anni Sessanta venne avviato un consistente programma di espansione urbana, che prevedeva la realizzazione di oltre 10.000 alloggi sociali all'anno. Negli anni Settanta il finanziamento di edilizia residenziale si concentra in quartieri a pianta libera, orientati a garantire ampi comparti residenziali cui fossero assicurati vasti spazi verdi, buona accessibilità e infrastrutturazione. Lo strumento del tradizionale concorso di architettura fu spesso il riferimento per attivare i progetti della municipalità. Tra questi, i più rilevanti sono il quartiere Am Schoepfwerk, su progetto di Hufnagl e di un gruppo di giovani architette e quello di Alt-Erlaa di Harry Glueck, più di 3.000 alloggi grandi stecche che degradano in una serie di terrazze individuali, con una dotazione di servizi collettivi di qualità che comprende anche piscine scoperte sulle sommità degli edifici. Gli anni ottanta sono stati caratterizzati dai tentativi di articolare un’offerta di edilizia sociale che consentisse maggior varietà di soluzioni abitative, rispetto alle stecche e torri dei quartieri modernisti e con impianti a pianta libera. Tra i nuovi quartieri, Biberhaufenweg (progettisti Tesar, Pruscha, Hauselmayer e Wafler) e Wienerberg (masteplan di Otto Hauselmayer). Nello stesso tempo le poltiche abitative municipali iniziarono a sostenere con vigore programmi di riqualificazione del patrimonio di alloggi di proprietà privata, assai consistente, soprattutto nella città ottocentesca. L’orientamento si consolidò in un modello di azione definito Sanfte Stadternneurung, ovvero riqualificazione sensibilie, che mirava a qualificare il patrimonio di alloggi privati in locazione, con contributi economici diretti e indiretti ai proprietari interessati, garantendo condizioni di tutela e sostenibilità agli inquilini.

Alla metà degli anni ottanta, avanza in modo più significativo una nuova sensibilità per il dimensionamento e la composizione degli interventi di edilizia sociale che porta a ridefinire in modo significativo il carattere delle nuove espansioni residenziali. In particolare, in questi anni, la municipalità avvia una complessificazione del sistema dei concorsi, muovendo dalla tradizionale impostazione del concorso di architettura verso competizioni che articolassero attese e richieste più complesse, riferite non solo al disegno di progetto, che aprono all’articolazione di diversi profili di offerta e composizione sociale dei nuovi insediamenti. Gli interventi di Pilotengasse (progettisti Krischanitz, Herzog und de Meuron, SteidIe) e di Traviatagasse (masterplan di Raimund Abraham) sono tra le sperimentazioni pilota di riferimento per l'obiettivo di articolare l'offerta abitativa che guiderà le politiche della municipalità negli anni Novanta.
L'assunto chiave è che a fronte dei mutamenti della società locale e della domanda sociale, le politiche pubbliche devono muoversi anticipando e prospettando modelli abitativi adeguati. La maggior eterogeneità della popolazione residente, l'organizzazione postindustriale del lavoro, l'individualizzazione e la pluralizzazione degli stili di vita sono sfide rilevanti e urgenti per ridisegnare le politiche della casa. La scelta della municipalità, in fondo, è accentuare e rinvigorire la tradizione di innovazione che da sempre ha caratterizzato i piani di edilizia residenziale pubblica, sviluppando in modo esplicito alcuni temi emergenti dell'abitare contemporaneo. In questa direzione viene promossa una serie di progetti pilota a carattere "tematico" per dare concretezza a nuove soluzioni per l'abitare contemporaneo. Si è così avanzati sul tema della prossimità tra abitazioni e luoghi di lavoro, su quelli della declinazione di genere e della qualità abitativa, sulla riduzione del traffico. Il tema dell'abitare multiculturale è stato lanciato con successo con un primo progetto, poi ripreso da una serie di nuovi insediamenti, in cui la maggioranza degli inquilini è di origine straniera, che propone organizzazioni dello spazio che tentano risposte alla pluralità di pratiche d'uso. Tra i molti progetti quello di Sargfabrik (Baukiinstlerkollektiv 2), realizzato in un ambito densamente edificato del XIV distretto, considerato un emblema di questa fase per la sapienza con cui una serie di alloggi assai eterogenei si combina a servizi d'uso collettivo di grande qualità, che costituiscono elementi di connessione con l'ambito urbano: un ristorante, una sauna, una sala per manifestazioni e concerti, un asilo nido.

Le politiche della casa a Vienna, oggi.

Lo strumento principale di riferimento per l'azione pubblica, che consente di garantire soluzioni abitative sostenibili generalizzando una buona qualità di vita per la popolazione viennese è il Wohnbauforderung, un sistema di finanziamento che agisce a supporto della nuova edificazione di edilizia sociale, di interventi di rinnovo del patrimonio esistente, di sostegno all'affitto per i singoli. Sul fronte della produzione di nuovo edilizia sociale, sebbene la città di Vienna sia a tutt'oggi il maggior proprietario immobiliare del paese (220.000 alloggi circa), è andato progressivamente aumentando il numero di promotori immobiliari impegnati nella produzione di edilizia sociale, implicati in un sistema attentamente regolato, in fase sia di produzione sia di gestione degli immobili in locazione. Un fondo di finanziamento, garantito da un sistema nazionale, ridistribuisce le risorse agli stati federati (Vienna è città-stato), ma in paralIelo si è adottata una composita serie di misure per alimentare la produzione alloggi, mirando a ridurre i costi di costruzione e a migliorare le qualità ecologiche e progettuali degli interventi.

Un ruolo chiave, nel periodo più recente, è svolto dal Wiener Bodenbereitstellungs und Stadterneurungsfonds (1), un'agenzia a maggioranza pubblica, che acquista a valore di mercato aree agricole, in seguito dichiarate edificabili e destinate all'edilizia residenziale sociale. Ciascun progetto interessato da finanziamenti pubblici, diretti o indiretti, viene alternativamente valutato da una commissione ad hoc o sottoposto a procedure competitive attraverso una Bautragerwetterwerb, ovvero il più recente sistema concorsuale introdotto dalla municipalità. Tale sistema prende l’avvio dall’individuazione di un’area (già acquisita dalla città che ne sancisce l’edificabilità attraverso una variante). Il bando mette a concorso insieme l’acquisto dell’area, da parte del promotore, la costruzione e successiva gestione dell’intervento di edilizia sociale.
Ciascun progetto è valutato attraverso una serie di parametri, in corrispondenza di tre assi di pari peso nelle valutazioni finali: qualità progettuale (del disegno architettonico e urbano), costi (di costruzione, gestione e prezzi finali di locazione), qualità ecologica (processi, materiali di costruzione e consumo energetico). Questo sistema di competizione si è rivelato un dispositivo assai efficace per promuovere qualità e innovazione dell'edilizia sociale. I risultati sono eccellenti su più fronti, incluso il miglioramento dei profili di sostenibilità delle nuove residenze: dal 1998 tutti i nuovi progetti di edilizia sociale garantiscono standard ottimali di consumo energetico (al massimo 40 kwh per mq all'anno) e in un numero crescente di casi anche standard passivi (13 kwh per mq).

Vienna e il futuro delle politiche abitative

Le realizzazioni degli ultimi anni hanno consentito di sperimentare concretamente alcune soluzioni che permettono alla municipalità di meglio misurarsi con il ripensamento delle condizioni dell'abitare richiesto dall'evoluzione del quadro sociale e dalle dinamiche demografiche. Se si assumono come obiettivi il mantenimento prolungato degli anziani in condizioni di autonomia presso il proprio alloggio; comunità alloggio, servizi sociosanitari prossimi o integrati alla residenza, commistione di più fasce d'età, sono fronti di azione prioritaria. Circa un terzo della popolazione viennese è straniera, di prima o seconda generazione: la cura dei processi di scambio e interazione tra gruppi diversi di popolazione non è demandata solo alle politiche sociali o culturali, ma è assunta come obiettivo concreto di politiche di sviluppo e rigenerazione urbana così come del progetto di architettura.

Oltre la soglia dell'alloggio, i programmi di management di quartiere (Gebietsbetreung) hanno alimentato in questi anni esperienze significative di gestione delle problematiche dell'abitare nei quartieri più consolidati della città, attraverso servizi di mediazione dei conflitti, progettazione e gestione congiunta degli spazi aperti: l'integrazione tra progetti sullo spazio e progetti di carattere più propriamente sociale o di sviluppo economico, è un fronte su cui non mancano riferimenti e soggetti competenti sul campo. La ricerca e promozione di tratti più consistenti di urbanità, nei nuovi progetti di sviluppo, trova immediato campo di sperimentazione nei progetti di edilizia sociale governati dalla municipalità. Il principio di una significativa frammistione di funzioni e usi si accompagna all'obiettivo di una buona mescolanza di diversi gruppi sociali.
La finalità non è solo migliorare l'attrattiva dei nuovi ambiti di sviluppo urbano, ma anche di articolare e consolidare una forma compatta di sviluppo urbano, che consenta di ridurre e contenere la mobilità, godendo al contempo di alti livelli di qualità della residenza e degli spazi aperti. Il crescente numero di studenti residenti, di single e di famiglie non tradizionali, variamente composte (Patchwork-familien), così come le nuove forme di coabitazione, trovano attualmente una buona rispondenza nell'offerta di alloggi (di grandi dimensioni e dunque variamente componibili), che rendono eterogenea quanto attrattiva la città ottocentesca. Sono oggi queste popolazioni e questi modi di abitare i riferimenti per la progettazione di nuovi ambiti residenziali, significativamente più complessi nel disegno e nella composizione dei tipi abitativi. Sono questi i fronti sui quali concretamente ci si muove, in un orientamento che vuole dare concreta evidenza alla sostenibilità sociale e alla nuova produzione residenziale.
(1) Fondo viennese per la politica fondiaria e l'ammodernamento urbano. Questo strumento nasce inizialmente come Fondo imperiale per l'assistenza alloggi. Dopo la prima guerra mondiale fu trasformato dallo Spo (Partito socialdemocratico austriaco) in Fondo comunale per l'edilizia. Il Wbsf governa l'assegnazione dei contributi per il rinnovo urbano e alimenta le attività di compravendita, vigilando sul mercato dei terreni destinati alla costruzione di edifici residenziali sovvenzionati.

Housing policies in Vienna: continuity in innovation and perspectives di Wolfgang Foerster


Vienna's social housing originated from an internationally acknowledged reform programme in the 1920s and has been developing far eighty years. Currently nearly 1,7 million inhabitants live in Vienna and 60% of ali Vienna households live in subsidized apartments, including 220,000 in council housing. At the end of the nineteenth century Vienna had reached its zenith in urban development. The city Government pushed through an extensive infrastructure programme after 1895, but social policies were almost non-existing. In no other area this became more obvious than in housing. With few exceptions housing was exclusively left to private capital. The first important state intervention into housing issues took place during World war I. To avoid an increasing number of evictions a 'families a tenants' protection law was introduced in 1917, limited until december 31,1918. The law excluded evictions and rent increases, and in substantial parts is valid until today. The collapse of the monarchy brought a wave of refugees and increased the housing shortage; on the other hand, a revolutionary atmosphere prevailed, which evoked a radical squatter movement unique in Europe. However, the issue was not simply housing. From the very beginning the cooperative had determined to equip the settlement with relatively numerous cultural and social facilities. Settlers worked on the site themselves; the settlement, including communal facilities, was completed first, then separate houses were distributed by lot. The technical and architectural quality of these nearly 15,000 terra ce houses in fifty settlements is amazing. Adolf Loos, far some ti me ch ief a rch itect of the Vienna settlement office collaborated substantially to it. His collaborator, Margarethe Lihotzky, sketched what was presumably the world's first built-in kitchen, Josef Frank, coming from the Austrian Werkbund, planned several settlements in a rationalistic stvle. After the collapse of the Habsburg monarchy and the introduction of a universal, equal and direct suffrage, the Vienna socialdemocratic Party achieved an absolute majority. In fact, impressive reforms were carried out between 1919 and 1934. Housing, however, should become the key issue of the new government. Here, in day-to-day life, the difference between capitalistic 'usury' and socialist municipal politics should be experienced by everyone. Since the old rent tax and the land value tax did not bring enough income anymore, new taxes were introduced. Most important were the new land tax, the increment-value tax and above ali the new housing tax, which was introduced in 1923. The office of Urban construction organised also public tenders far construction works and far building material, and organized standardisation and quality control. After 1923 private architects were increasingly commissioned with new housing projects, mostly by direct contracts, partially by competitions. They were surprisingly independent in the external design of the buildings and this explains the architectural variety of the building programme. Apart from discussion about high-rise versus low-rise buildings, which was pragmatically solved in favour of multi-storey housing, there was little debate about architecture during the first years. On the other hand, the city provided precise instructions regarding the size of apartments, the amount of infrastructure and the use of standardised building parts. The building programme of 1923 provided two types of apartments: 35 and 45 m2. Meeting rooms, bath houses, kindergartens, educational workshops, laundries, mother-and-child centres, health centres, special tuberculosis prevention centres, children's' dentist, sports halls, libraries, cooperative shops, etc. were not only a compensation for the small apartments, but actually represent an important step of societal development in housing. After closing of the Parliament and prohibition of all parties, with the exception of the Christian-social Front (the conservative party), a civil war between the Socialdemocratic Schutzbund and the Christian-social Heimwehr followed in February 1934. Not merely symbolically this led to severe damages in council housing estates by the Bundesheer, the Austrian army.

After 1934, only some little housing was built, including some agricultural settlements for the unemployed and 'family asylums' for the growing number of homeless. World war Il ended with the demolition of 87,000 apartments, about 20% of the stock, more than Red Vienna had built before. In 1945 the city, heavily hit by war destruction and by famine and separated into four sectors, organized a conference on the reconstruction of the city to define the generai political objectives. These included the reduction of density in inner city areas while increasing the density of suburban areas by garden cities, and the setting up of architecture competitions. The housing shortage amounted to some 117,000 units. Already in 1947 the foundation stone was laid for a large council housing estate at the southern periphery. Construction of large new housing areas at the northern and southern peripheries started with the opening of the first pre-fabrication plant in 1961. The enormous volume of construction of more than 10,000 public apartments per year relieved the housing situation in the densely populated inner city and created the pre-conditions for the vast urban renewal programme of the next decades. Vienna started what has probably become the world's largest housing rehabilitation programme with up to now more than 170,000 refurbished apartments. In accordance with the tenants, the quality of apartments is improved without displacing the mostly low-income sitting tenants. During the 1970s and the 1980s, some remarkable estates were built in Vienna within the framework of social housing. The fall of the iron curtain led to the immigration of more than 100,000 people and set up new housing construction to 10,000 units per year in the middle of 1990s. A key role was given to the Vienna land procurement and urban renewal fund (Wbsf), wich was established to purchase the needed land. Today, the market has reached equilibrium, which allow to pay more attention to quality criteria. Larger new housing projects are normally carried out in the form of Bautragerwettbewerbe (housing developers’ competition).

These are based on free competition of developers for social housing subsidies. The procedure differs from architecture competitions, as the project applicants are the housing developers themselves and, in addition to the architectural quality, economic and ecological qualities of the projects are judged equally within a complex score system.

Competitions aim at the reduction of construction costs in multi-storey housing as well as a simultaneous improvement of planning and environmental and technical qualities. The jury consists of architects, representatives of the construction sector and of the city of Vienna, and of specialists in the fields of ecology, economy and housing law. Experimental building, often in form of 'theme-oriented' estates with topics predetermined by the city, has a major share in the qualitative development of Vienna public housing. These projects are to be understood as experiments, which can help to introduce now contents and standards into social housing over a longer period.

Vienna social housing thus represents a manifold system, which for decades has continuously developed and adapted to meet new challenges. In spite of its complexity, however, its primary aim should be kept in mind: to offer comfortable contemporary housing in an attractive urban environment to all residents at affordable prices.
Testo in italiano e sintesi in inglese sono tratti da Urbanistica, 140/2009, p. 7-10.
L’articolo di Foerster è compreso all’interno di un ampio resoconto sulle politiche abitative di Vienna curato da Massimo Bricocoli e Lina Scavuzzo. Lina Scavuzzo è autrice di Social housing a Vienna, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2011.

Come si costruisce una città accogliente, attenta alle differenze sociali, e pronta a contrastare emarginazione e conflitti? Attraverso la forma e l’organizzazione degli edifici e degli spazi aperti? Attraverso la dotazione di servizi? Assicurando ai cittadini la possibilità di incidere effettivamente nelle decisioni sull’uso e sulla trasformazione dei luoghi? Come si promuovono iniziative inclusive? Chi sono i soggetti beneficiari? Chi sono i soggetti che decidono? Chi interviene, come e con quali risorse?

 
Proveremo a rispondere a queste domande attraverso l’osservazione diretta della città di Vienna e l’analisi critica delle politiche di rigenerazione urbana promosse dall’amministrazione municipale. Viaggeremo in bicicletta nei nuovi quartieri. Parleremo con i rappresentanti dell’amministrazione pubblica. Incontreremo abitanti e operatori coinvolti nelle iniziative.
 
Dove: La città delle bici, la città delle donne che lavorano, l’ex fabbrica dei cavi, la stazione nord

Le politiche della casa a Vienna hanno radici storiche ben conosciute. Nel 1994 è stato promosso un nuovo programma di edilizia sociale incentrato sulla riqualificazione urbana, riorganizzando l’attività dell’amministrazione pubblica per affrontare le sfide legate alla promozione dell’inclusione sociale e alla costruzione di efficaci partnership tra pubblico e privato. Dopo quasi venti anni, possiamo giudicare sul campo questa esperienza.
Con chi: Amministratori, tecnici, associazioni di cittadini, giovani urbanisti
Nella nostra visita guidata incontreremo i responsabili del Dipartimento di Progettazione Urbana della municipalità di Vienna, architetti che sono stati coinvolti nelle realizzazioni e membri delle associazioni che si occupano di cohousing, per avere un quadro il più possibile completo di tutti i punti di vista. Giovani urbaniste che hanno lavorato e studiato a Vienna ci accompagneranno, aiutandoci a comprendere le specificità dell’esperienza viennese.
Quando: 5-7 giugno 2013
Mercoledì 5 giugno: arrivo a Vienna.
Giovedì 6 giugno: ore 9.30-12.30 – visita a Kabelwerk, con Volkmar Pamer (municipalità di Vienna)

Giovedì 6 giugno: ore 15.00-18.00incontro con le associazioni di Cohousing (da confermare)
Venerdì 7 giugno: ore 9.30-12.30visita al 10mo distretto, con Daniela Patti (urbanista)

Venerdì 7 giugno: ore 15.00-18.00visita guidata in bicicletta nei nuovi quartieri, con Gabriele Brugner

Venerdì notte (o sabato): rientro in Italia.
Agli iscritti verrà inviato per e-mail il programma definitivo, con le indicazioni dettagliate degli appuntamenti e degli spostamenti.

In Eddyburg e Mall

I. De Pommereau, Un nuovo quartiere in Germania per un per una vita senza automobile

Articolo da The Christian Science Monitor, 20 dicembre 2006, scelto e tradotto da Fabrizio Bottini;

A. Purvis, É questa la città più verde del mondo?

Ampio articolo da The Observer, 23 marzo 2008, scelto e tradotto da Fabrizio Bottini;

M. Baioni, Friburgo, Vauban. Quartiere speciale in una città speciale

Presentazione alla Scuola di eddyburg, edizione 2010

A. Mazzette, La città del futuro

Commento su La nuova Sardegna ad una lezione di Wulf Daseking al Centro studi urbani di Sassari.

Nei siti locali

Pagine dedicate a Vauban nel sito istituzionale di Friburgo

Contiene numerose informazioni, foto aeree, i pannelli realizzati per una mostra, il piano attuativo (B-plan).

Sito del Forum-Vauban

Informazioni e storia del forum, in lingua inglese e tedesca. Contiene riferimenti ad altri articoli e siti che parlano di Vauban.

Andreas Delleske

Quartierssozialarbeit im stadtteil vauban

Erich Lutz, Naturconcept

Tre gemmazioni del sito del Forum. Il sito di Naturconcept contiene una sterminata serie di foto e una sezione sui "fallimenti" (conflitti, problemi irrisolti).

Nel 1993, nella città di Freiburg nasce il progetto del quartiere Vauban. Lo spunto che da inizio a tutto è la dismissione di di una caserma francese usata dall’esercito fino al 1992. Quando i francesi lasciarono la caserma, i pianificatori della città e molti cittadini videro in questa un’occasione unica e un luogo ideale per creare un nuovo quartiere residenziale. In effetti con i suoi 380.000 mq di estensione, la vicinanza al centro storico (solo 2 Km) e il confine con una zona verde destinata allo sport e allo svago, Vauban risulta essere un luogo strategico e appetibile per essere trasformato in un quartiere ad alta densità, per differenti gruppi sociali, con un insediamento di 5000 abitanti e la creazione di 600 posti di lavoro. Quello che prende forma è un progetto ambizioso che consiste nella creazione di un villaggio ecosostenibile, con edifici a basso consumo e l’uso di risorse rinnovabili; frutto di una progettazione partecipata, in cui non sono solo i pianificatori a progettare, ma gli stessi cittadini entrano in gioco, e proprio per questo, forse, sfocia in un ben riuscito mix sia funzionale che sociale.

Vauban presenta delle caratteristiche rilevanti sia nel campo dell’urban design, sia in quello della progettazione edilizia. I nuovi concetti che rendono questo intervento "ecologico" hanno interessato contemporaneamente diversi aspetti come la coesistenza tra luoghi di lavoro e residenze, la creazione di alloggi per diverse utenze sociali, l'ideazione di un sistema di mobilità car-free che valorizza i trasporti pedonali, ciclabili e pubblici a scapito dell'uso delle auto private, la realizzazione di piazze e spazi pubblici e di un centro del quartiere con negozi per gli acquisti quotidiani, un asilo e una scuola elementare per limitare gli spostamenti verso il centro città, la tutela delle aree verdi preesistenti, il massimo sfruttamento dell'energia solare, lo sviluppo di un impianto di riscaldamento centralizzato e di un sistema di recupero e trattamento delle acque piovane a scala urbana.

Gli edifici sono costituiti da case a schiera da 2 a 4 piani fuori terra. All’interno di questi prendono posto, oltre alle residenze, anche uffici e negozi, con la strategia di coniugare lavoro e luogo di abitazione. Sono per la maggior parte parallelepipedi diversi l’uno dall’altro, ma accomunati da caratteristiche tecnologiche finalizzate al risparmio energetico: l’orientamento che permette di sfruttare al massimo le condizioni atmosferiche delle diverse stagioni, l’uso di materiali naturali, l’impiego di pannelli fotovoltaici. Alcuni di questi edifici vengono definiti “Plusenergiehauser” perché sono in grado mediante questi sistemi di fornire più energia di quella che necessita per i residenti Inoltre le costruzioni sono totalmente in legno, dalla struttura intelaiata portante ai tamponamenti e al rivestimento esterno a doghe, tinteggiate con colori vivaci che contribuiscono a rendere estremamente vivibile e gradevole l’isolato.

Nel nuovo quartiere sono state attuate alcune strategie per disincentivare l’uso dei mezzi privati a motore e incentivare l’uso dei mezzi a locomozione non inquinanti: la strada centrale non è destinata al traffico, fisicamente impedito, ma alla linea del tram che, in 15 minuti, consente di raggiungere il centro e la stazione ferroviaria; non sono presenti parcheggi, né lungo le strade né in prossimità delle abitazioni. Chi vive a Vauban o rinuncia all’automobile, o la tiene in sosta in uno dei parcheggi collettivi (Solar-garage), posti al limitare del quartiere. Poche auto sono parcheggiate lungo la Vauban-allée, e sono quelle destinate al car-sharing. Percorsi pedonali e ciclabili consentono di spostarsi all’interno di Vauban in tutta sicurezza ed si connettono ad una rete ciclabile estesa per oltre 500 km, che innerva tutta la città.

Il mix funzionale è stato raggiunto sia attraverso la presenza di esercizi commerciali all’interno del distretto, sia perseguendo il progetto Whonen und arbeiten che prevede l’inserimento di spazi lavorativi all’interno delle abitazioni, diminuendo le esigenze di spostamento. Tutto questo è ancora più accentuato nell’isolato di Schlierberg, dove i parcheggi si concentrano al limite esterno e gli edifici residenziali non sono dotati di garage o posti macchina, ma in compenso le unità immobiliari sono provviste di un capanno in cui riporre le biciclette da utilizzare per gli spostamenti di breve medio raggio.

Il verde permea l’intero tessuto del quartiere, ed è disegnato in modo da ricreare il biotipo locale, come nel caso di un ruscello, che in precedenza era stato canalizzato, è stato rinaturalizzato. Attraverso il verde, l’intera rete delle acque piovane scorre a cielo aperto e contribuisce al disegno degli spazi esterni.

Nelle schede scaricabili qui di seguito, preparate da Serena Righini, Federica Manenti e Bianca Maria Caravati, sono descritti in dettaglio gli aspetti relativi all’impianto urbanistico, alle soluzioni tecnologiche, al disegno degli spazi pubblici e all’impostazione car-free del sistema della mobilità.

In Europa. A partire dagli anni novanta, molte città europee hanno promosso la realizzazione di quartieri definiti “ecologici” e “sostenibili”. Si tratta di una semplice operazione di marketing per promuovere iniziative tradizionali di espansione e rinnovo urbano, oppure siamo di fronte a un effettivo passo in avanti?

Nella rete internet abbondano descrizioni e comparazioni di casi studio che consentono di tracciare un primo quadro di insieme. Con l’eccezione delle controverse Eco-towns inglesi e dei nuovi quartieri satellite di Linz (Solar city) e di Helsinki (Vikki), gli interventi più citati in rete riguardano aree libere, all’interno o in stretta continuità con le città esistenti, oppure la trasformazione di aree dismesse o sottoutilizzate (i cosiddetti brownfields). I nuovi quartieri sono localizzati in aree periferiche, ben collegate e infrastrutturate, poiché il contrasto allo sprawl (e al cosiddetto leap frog) è considerato ormai un elemento imprescindibile.

I nuovi quartieri si caratterizzano, innanzitutto, per l’adozione di soluzioni costruttive finalizzate alla riduzione dell’impatto sull’ambiente: risparmio energetico, contenimento dell’impermeabilizzazione, recupero dell’acqua piovana, riciclo dei rifiuti. Uguale importanza, in chiave ambientale, viene attribuita alla progettazione della rete dei trasporti, cercando di eliminare o quanto meno ridurre fortemente il trasporto automobilistico privato.

Nelle intenzioni - la connotazione ecologica e sostenibile è intesa in un’accezione più ampia, ponendo attenzione anche agli aspetti economico-sociali. La monofunzionalità residenziale e la netta separazione delle attività sono bandite: residenza, attrezzature di interesse collettivo, servizi di vicinato, sono compresenti e integrati tra loro, in modo da coniugare – per quanto possibile – vitalità e vivibilità. Piazze e luoghi di incontro sono considerati essenziali, così come la presenza di una quota di abitazioni riservate alle persone con minori disponibilità di reddito.

Gli spazi pubblici sono trattati con grande attenzione e spesso costituiscono i capisaldi sui quali viene impostato l’impianto urbanistico del quartiere, riprendendo alcuni caratteri della città storica e otto-novecentesca, che meglio si addicono al raggiungimento degli obiettivi sopra ricordati. Che si tratti di un atteggiamento pragmatico, o di una meditata scelta di campo, appare evidente il tentativo di sfuggire tanto agli errori compiuti nella costruzione dei quartieri popolari del secondo dopoguerra, quanto all’omologazione imperante. Con rare eccezioni, sono banditi grattacieli, centri commerciali e grandi strutture del loisir e del business affidate alle archi-star e starlette, così come le distese di villette e palazzine.

Infine, cosa tutt’affatto secondaria, le amministrazioni locali dirigono le iniziative assumendo le decisioni più rilevanti su dove, quanto e che cosa, costruire. In nessun caso ai developers privati è lasciata mano libera, sebbene si ricerchino forme virtuose di collaborazione pubblico-privato, sia nell’ideazione, sia – soprattutto – nell’attuazione degli interventi. Anche a questo scopo, il processo di costruzione delle decisioni è generalmente aperto, e in alcuni casi – come a Vauban – molto inclusivo.

Friburgo. Possiamo annoverare il quartiere Vauban all’interno della casistica sopra descritta, ma commetteremmo un errore se non ci rendessimo conto che si tratta di un quartiere speciale in una città altrettanto speciale.

Da molti anni, l’amministrazione di Friburgo ha fatto della pianificazione ambientalmente orientata un vero e proprio tratto distintivo. Negli anni ’70 l’opposizione alla costruzione di una centrale nucleare ha alimentato un movimento di cittadini che si è tradotto in una consuetudine alla partecipazione alla vita pubblica e in una spiccata sensibilità ambientalista, creando un contesto favorevole per l’adozione di politiche urbane attente all’ambiente e alla vivibilità.

Lo testimoniano meglio di ogni altra cosa le scelte nel settore dei trasporti. Le prime decisioni in favore della mobilità dolce e del trasporto pubblico maturano all’inizio degli anni ’70. Più esattamente, nel 1969 viene approvato il primo piano del traffico e delle piste ciclabili (che oggi si sviluppano per oltre 500 km), nel 1972 si avvia l’estensione della rete tranviaria (oggi composta da 4 linee, per oltre 30 km), nel 1973 viene pedonalizzato il centro, nel 1984 si istituisce il trasporto regionale (oggi l’integrazione tariffaria riguarda 90 linee per oltre 2800 km). I risultati ottenuti, ai nostri occhi sorprendenti, sono la logica conseguenza di questo impegno quarantennale: spostamenti in auto decrescenti, incremento dell’uso del trasporto pubblico e della bici, minori sussidi al trasporto pubblico, incidentalità molto bassa.

La coerenza complessiva delle scelte di governo del territorio non sembra legata alla forte personalità di un politico, o ad un particolare momento storico, bensì è frutto del consolidamento di una tradizione di governo della cosa pubblica, lungo un arco di tempo ormai quarantennale.

I due principali quartieri di espansione della città sono concepiti e localizzati in modo tale da poter essere serviti egregiamente con le linee tranviarie. La città ha vietato, almeno finora, l’apertura di nuovi grandi centri commerciali e ricreativi, perché incoerenti con le politiche di trasporto. È stata assicurata l’inedificabilità di spazi naturali molto estesi, pari al 50% del territorio (oltre 6.000 ha di foresta comunale, pari a 300 mq/ab). Con il piano urbanistico del 1999, si è deciso di privilegiare lo sviluppo entro i limiti della città rispetto all’espansione, senza peraltro rinunciare alla dotazione di spazi verdi urbani (30 mq/abitante). Solo metà delle previsioni inattuate (80 ha) è stata confermata: il territorio urbanizzabile è oggi meno esteso di quello previsto dal precedente piano. Contestualmente, sono stati promossi due programmi intercomunali (Komreg e Pfif). Il primo è finalizzato a favorire il coordinamento dello sviluppo urbano, affrontando il nodo del sovradimensionamento complessivo delle previsioni dei piani comunali; il secondo istituisce un registro delle aree disponibili e prefigura la costituzione di un consorzio, al quale sono affidati il marketing e la gestione pro-quota dei ricavi.

Infine, l’economia. Il partito dei Verdi ha da tempo un consenso molto largo e, nel 2002, Friburgo è stata la prima grande città tedesca ad avere un sindaco di questo partito, Dieter Salomon. Già in precedenza l’amministrazione cittadina aveva puntato sull’economia ambientale, finanziando le prime realizzazioni sperimentali nel campo dell’energia solare. Oggi la città ospita università e centri di ricerca specializzati (Oko-institut) che hanno contribuito a consolidare un vero e proprio “milieu” innovativo, creando 12.000 posti di lavoro in circa 2.000 imprese.

Per non fare di questo breve ritratto un’agiografia, è bene concludere ricordando che non è tutto oro (verde) quello che luccica. Un sito di un movimento ambientalista (BUND ) riporta alcune criticità: la crescita urbana è stata molto sostenuta, con conseguente alterazione del paesaggio nella valle del Reno; l’eccessiva influenza delle aziende di gestione ambientale, ha sospinto la costruzione di un inceneritore; la realizzazione di una superstrada urbana, molto contestata, ha dato vita a proteste, anche con l’intervento della polizia. Infine, nonostante gli sforzi compiuti, l’impronta ecologica e la produzione di CO2 di Friburgo, continuano a crescere, testimoniando l’insostenibilità complessiva del modello di sviluppo attuale. Lo slogan “la green economy è una truffa” ha campeggiato proprio all’ingresso di Vauban, il quartiere ecosostenibile per eccellenza, quasi a testimonianza di questa contraddizione di fondo.

Vauban. I caratteri del quartiere Vauban, la sua concezione “car-free”, l’adozione di soluzioni tecnologicamente avanzate per il contenimento dell’impatto sull’ambiente, sono ampiamente illustrati nel web. Qui di seguito, ricordiamo alcuni passi salienti della genesi e dell’attuazione del quartiere.

Volendo rispondere ad una forte domanda di abitazioni senza alimentare una crescita incontrollata delle dimensioni della città, l’amministrazione comunale decide – all’inizio degli anni novanta – di concentrare l’offerta di alloggi all’interno di due nuovi insediamenti, Riesefeld e Vauban, rispettivamente destinati ad accogliere 10.000 e 5.000 abitanti.

Scartata a priori l’idea di affidare la progettazione e attuazione alle imprese locali di costruzione, si decide di procedere in prima persona, ricorrendo ad un finanziamento specifico e seguendo una strada non lontana da quella dei nostri piani per l’edilizia economica e popolare: acquisizione a basso costo, bonifica e urbanizzazione, vendita dei terreni urbanizzati ad un prezzo tale da ripagare l’investimento iniziale.

Una delle due aree prescelte è l’ex caserma intitolata al Marchese di Vauban, ideatore delle fortificazioni settecentesche di Friburgo, quando la città era sotto il dominio francese.

Il piano urbanistico è definito a partire da un concorso di idee. Il progetto vincitore (studio Kohlhoff & Kohlhoff, Stoccarda) prevede la realizzazione di un quartiere senz’auto e ad elevata efficienza energetica. Non si tratta di una scommessa facile, dato che anche a Friburgo si è affermato il modello della casa unifamiliare, con giardino per il barbecue e spazio sufficiente per parcheggiare la propria auto.

Anche per superare le iniziali diffidenze e incoraggiare i giovani friburghesi ad acquistare casa in un quartiere anomalo, rispetto agli standard correnti, l’ideazione è accompagnata da iniziative di coinvolgimento dei cittadini. A dire il vero, una forma particolare di partecipazione aveva preceduto e, in un certo senso, sollecitato la ristrutturazione urbanistica delle caserme. Annunciata la dismissione, un gruppo di giovani aveva occupato gli stabili lasciati liberi dai militari, rivendicando il diritto di passare “dalle caserme alle abitazioni”. Studenti, genitori single e persone senza lavoro avevano dato vita a SUSI, un’iniziativa auto organizzata di recupero no-profit, ricavando nei vecchi stabili rimessi a nuovo alcune decine di alloggi ecologici, economici e con ampi spazi per la socializzazione.

L’iniziativa SUSI riguarda una porzione limitata dell’area. Nella parte rimanente si procede all’implementazione del piano attuativo, sulla base del progetto vincitore, istituendo un ufficio di piano con 5 persone dedicate, con l’assistenza dell’Azienda per l’edilizia di Stoccarda. Per gestire il processo di partecipazione, il comune si fa affiancare da un Forum di cittadini , la cui attività è sovvenzionata sia con specifici fondi europei (attinti dal progetto EU-LIFE), sia con un finanziamento comunale, pari a circa 20.000 €/anno per tutta la durata del progetto. Gli investimenti sono consistenti, ma altrettanto rilevante è l’impegno gestionale: il sistema di attori coinvolti è molto complesso e la gestione dei conflitti non è facile.

La costituzione del Forum Vauban contribuisce in modo decisivo a orientare la concezione del quartiere. I lotti di terreno sono venduti a piccole cooperative di abitanti (fra 3 e 21 famiglie) che, autonomamente, scelgono il proprio architetto e realizzano le abitazioni nel rispetto del piano generale, abbattendo per quanto possibile le spese. Il Forum svolge, a questo scopo, una funzione di intermediazione: le famiglie interessate ad abitare nel quartiere sono invitate a partecipare ad una serie di incontri, durante i quali viene illustrato e dettagliato il programma di attuazione degli interventi. Quando un gruppetto di persone (bau-gruppe) trova un accordo complessivo, presenta domanda ufficiale per ottenere un lotto e ricerca un architetto. Se il comune accetta la prenotazione, nei successivi dodici mesi si deve formalizzare l’associazione, presentare il permesso a costruire e dare avvio ai lavori.

Grazie a questa originale organizzazione, i futuri abitanti hanno la possibilità di discutere sulle caratteristiche del proprio stabile (le case a schiera di Vauban riflettono le diverse propensioni) e degli spazi comuni. Ciascuna delle aree pubbliche per il gioco dei bambini è caratterizzata da un tema e da arredi specifici: in una troviamo un forno del pane, nella successiva vasche di sabbia, in un’altra un percorso avventura, e così via. Il risultato è sorprendente in positivo, tanto sotto il profilo fisico e funzionale, quanto sotto l’aspetto sociale. L’interazione tra le persone prosegue tuttora, attraverso associazioni di abitanti che si occupano della cura dei luoghi e dell’organizzazione delle attività di quartiere.

Sotto questo aspetto, Vauban può essere considerato un esperimento di costruzione di una comunità coesa, sebbene gli esiti si prestino ad una lettura in chiaro-scuro, come sottolineato da molti dei visitatori che hanno lasciato un commento in rete: la composizione sociale appare – al momento – sbilanciata al confronto del resto della città. Sono presenti molti giovani, ma sono assenti (o confinati all’interno di SUSI) i poveri e gli immigrati; l’impressione di un quartiere per classe media “left/green oriented” è molto forte, con tutti i rischi che ne conseguono in termini di chiusure ed esclusioni. Questo squilibrio deriva anche dalla riduzione delle sovvenzioni pubbliche. Inizialmente era stata fissata una quota minima del 25%, ma a seguito del taglio dei finanziamenti regionali, il numero è stato ridotto. Di conseguenza, non soltanto l’esperimento di co-housing SUSI è rimasto un’eccezione, ma anche la costruzione di alloggi destinati a vendita e affitto a prezzi calmierati è limitata ad un solo isolato (cooperativa GENOVA).

Il lungo e complesso percorso di attuazione, porta a modificare quattro volte in 10 anni il piano attuativo (B-plan): gli adattamenti successivi vengono giustificati dal comune attraverso lo slogan “planning by learning” ossia dal confronto continuo fra i diversi attori coinvolti (forum del quartiere, commissione comunale, soggetti attuatori pubblico/privati) e dalla composizione, non sempre facile, dei relativi punti di vista e interessi.

In particolare, il pareggio operativo è ottenuto con fatica: nel 2003-4, ad attuazione molto avanzata, si comprende che il deficit non può essere ripianato se non con alcune correzioni al ribasso. Il prolungamento della linea del tram – cardine dell’intero progetto – si blocca per una discussione relativa al tracciato e ai costi. Il bypass del centro storico richiede un investimento di 30 milioni (1/3 del costo complessivo di urbanizzazione) e solamente la rinuncia a questa opzione e l’ottenimento di un finanziamento regionale e statale consentono il completamento della linea, nel 2006. Non meno significativa è la rinuncia ad assegnare la concessione per il recupero degli ultimi tre stabili della caserma ad una cooperativa che vuole ricavare alloggi popolari. La decisione di procedere con una vendita libera, genera non poche tensioni con la comunità locale.

Anche gli investitori privati devono superare alcuni ostacoli. Il caso più interessante riguarda il distretto di Schilierberg, dove si concentrano le abitazioni ad alta efficienza energetica, in grado di produrre e immettere energia nella rete. Il promotore immobiliare, Instag AG, piuttosto famoso in Germania, entra in difficoltà finanziarie. Il progettista, Rolf Disch, si impegna in prima persona a ricercare nuovi investitori e rileva la convenzione. Il comune non è d’accordo e indice una nuova gara per l’assegnazione delle aree. Il consorzio Solarsiedlung Gmbh, guidato da Rolf Disch, ottiene comunque l’assegnazione, ma il progetto iniziale viene ridotto sul 40% dell’area. La vendita si rivela inizialmente difficoltosa: si sparge voce che le case rimarranno invendute per il prezzo eccessivo e, di conseguenza, le banche sono riluttanti a concedere il finanziamento iniziale. Grazie ad un marketing mirato, si riesce a costituire un fondo a partecipazione collettiva (300 quote di 5000 €, per 1,5 Mln) che acquista un numero sufficiente di alloggi per far decollare l’iniziativa .

Perché non qui? Oggi l’attuazione è completa e chiunque percorra le strade del quartiere è in grado di giudicare l’esito complessivo. La fama di Vauban, vera e propria meta di pellegrinaggio per chi si occupa di città e di ambiente, testimonia il successo dell’iniziativa. Diventa perciò inevitabile domandarsi se questo tipo di esperienza sia in qualche misura trasferibile altrove e quali insegnamenti si possano trarre dalle complesse vicende che abbiamo provato a sintetizzare.

Tra i molti spunti di riflessione, scelgo di soffermarmi su tre questioni a mio avviso cruciali:

- la proprietà dei suoli;

- le modalità di socializzazione della rendita;

- l’inquadramento all’interno delle politiche urbane.

A Friburgo, come in molte altre città, i nuovi insediamenti “sostenibili” derivano da piani di iniziativa pubblica su terreni di proprietà pubblica. La proprietà pubblica del suolo consente grande libertà nel promuovere sperimentazioni nel campo dei trasporti, dell’energia, della vivibilità, della coesione sociale – variamente combinati tra loro. Ciò non significa affatto escludere l’iniziativa privata. Come abbiamo ricordato, lo spazio per una collaborazione virtuosa è molto ampio e i privati possono intervenire con profitto in qualità di attuatori, siano essi organizzazioni no-profit, piccoli gruppi di investitori o imprese di costruzione. A Friburgo, così come in molte delle città europee elencate in precedenza, per ottenere la disponibilità delle aree non si è ricorso ad espropri: il riutilizzo di aree pubbliche dismesse e forme di consorzio pubblico-privato hanno garantito alle amministrazioni locali una disponibilità sufficiente di aree a basso costo. Al contrario, in Italia, la dismissione del patrimonio pubblico e l’affidamento ai promotori immobiliari dell’ideazione e realizzazione delle iniziative in campo abitativo costituisce da molto tempo un imperativo categorico. Qualche dubbio in proposito è lecito.

A Vauban, come in altre iniziative nord-europee, si è seguito un modello non dissimile da quello dei nostri piani per l’edilizia economica e popolare: acquisto preventivo del suolo e rivendita dell’area urbanizzata alle imprese di costruzione. A Friburgo (e a Linz, in Austria), si è optato per piccoli lotti assegnati a cooperative di abitanti, ricercando un compromesso tra esigenze di bilancio, qualità degli interventi e sostegno al diritto all’abitazione. Una discussione pubblica ha preceduto le decisioni cruciali sui modi in cui “socializzare” la differenza di valore tra il prezzo di acquisto dei terreni e quello di vendita degli alloggi, traducendola in servizi di elevata qualità (dai trasporti, al verde e alle scuole), o in un’offerta di alloggi accessibili anche per persone disagiate. Sembra sussistere qualche ragione per riproporre, ovviamente in modo aggiornato rispetto agli anni sessanta e settanta, una nuova stagione di piani e politiche per la casa. In questa fase di crisi, il sostegno pubblico e le maggiori garanzie per gli investimenti che ne derivano, potrebbero rivelarsi fattori decisivi in positivo.

Infine, come abbiamo sottolineato all’inizio e come risulta evidente dall’intervista a Wulf Daseking (direttore dell’ufficio di piano), le vicende di Vauban sono strettamente legate all’impostazione complessiva delle politiche urbane e ad un impegno costante, più che decennale. Come hanno saggiamente osservato gli osservatori ministeriali del governo inglese, la realizzazione di progetti e politiche urbane che non si limitino a ricalcare pedissequamente le scelte e i comportamenti passati, non è immediata, né facile, né a buon mercato. Più probabilmente, è vero l’opposto (DETR, 1999), ma non è una buona ragione per rinunciare a priori.

Nella cartella della scuola di eddyburg, edizione 2010, è scaricabile una presentazione con alcune immagini del quartiere.

Le ragioni della visita

Come sarà la città del prossimo futuro? Peter Newman la descrive così: piste ciclabili e strade libere dalle auto collegano le case-solari ai negozi, alle aree verdi e ai servizi, oppure a una fermata del tram per raggiungere un posto più lontano in città. Davanti alla scuola i genitori aspettano in bici o a piedi i loro figli, e non rinchiusi nelle loro auto. È presente un negozio, dove gli agricoltori del posto vendono prodotti biologici… Uno stereotipo? Un’utopia? Non esattamente, dato che coincide con la descrizione del quartiere Vauban a Friburgo.

Vauban è un quartiere speciale in una città altrettanto speciale. Da molti anni l’amministrazione di Friburgo ha fatto della pianificazione ambientalmente orientata un vero e proprio tratto distintivo. Friburgo “green city” e “solar city” non sono slogan inappropriati: dagli anni settanta, in modo continuativo, la città investe risorse e impegno amministrativo nel settore della mobilità, dell’energia, del verde, dell’urbanistica.

La visita ha un duplice scopo: percorrere la città per verificare sul campo le effettive realizzazioni, e incontrare alcuni interlocutori-chiave per approfondire quei temi che alla scuola di eddyburg del 2009 sono stati affrontati in modo necessariamente speditivo, come la vivibilità e gli spazi pubblici, le relazioni tra i luoghi e le attività che in esse si svolgono, i modi di coinvolgimento delle persone nella costruzione degli spazi e nella loro successiva gestione.

Agli amministratori locali chiediamo di aiutarci a capire i seguenti aspetti:

- come hanno fatto “i conti in tasca” al recupero urbano (quali costi pubblici, quali benefici privati, quali forme di finanziamento, quali spese ripagate da vendite/affitti, ecc)?

- come costruire un'autorevole partnership pubblico-privato (quante persone sono state coinvolte, quali ruoli sono stati mantenuti al pubblico, chi e come ha sorvegliato/valutato, quali “accordi” sono stati necessari, ecc)?

- come gestire una politica urbana pluriennale, complessa, integrata (come si sono sviluppate e aggiornate le politiche urbane negli ultimi 20 anni? Quanti e quali strumenti? ecc.)

Programma

La trasferta a Friburgo si svolge il 3-4-5 novembre 2011.

Prevede:

- partenza da Bologna, la mattina di giovedì 3 novembre.

- viaggio in pullman da 30/40 posti (ditta Ricci Bus).

- visita giudata della città di Friburgo con il tram (Vauban, Rieselfeld)

- incontro con il direttore dell’ufficio di piano Wulf Daseking, per illustrare la genesi di Vauban nel contesto di Friburgo Green city

- durante il ritorno, una sosta a Lucerna, per visitare il centro storico, il centro congressi (Nouvel) la nuova stazione ferroviaria (Calatrava);

- rientro a Bologna, nella serata di sabato 5 novembre.

Incontri e interviste sono in lingua inglese e in tedesco, con nostro aiuto per la traduzione.

Il Cantiere sociale Arcipelago Napoli si propone di “costruire ponti per pensare una città diversa”. Con spirito di pontiera quindi ho deciso di partecipare alla iniziativa di eddyburg, “Una città, un piano: Napoli”, che si è svolta dal 24 al 26 aprile scorso, proprio per connettere il lavoro che da mesi facciamo come Cantiere sociale qui a Napoli alla storia di quanti, negli ultimi 20 anni, hanno pensato e disegnato lo spazio urbano.

È iniziato così un viaggio di conoscenza della mia città che per me, non addetta ai lavori e ignorante di urbanistica, è sempre apparsa come un luogo scontato, dove vivo e mi muovo ogni giorno, in cui a volte mi meraviglio e mi incanto per alcuni bellissimi cambiamenti che mi colgono alla sprovvista, e dove a volte soffro per le deturpazioni e il disamore che colgo nei gesti di tanti che la sfregiano. Così, come Alice nel paese della meraviglie, mi sono avviata a questa 3 giorni di visite in luoghi emblematici della città (Ponticelli, San Pietro a Paterno, Bagnoli, le stazioni della Metro collinare). Le sorprese che mi hanno colpita mi hanno sbilanciata da molteplici punti di vista: tante e diverse sono state le emozioni e i pensieri che per mettere almeno un poco di ordine in queste suggestioni sparse è stato necessario un ulteriore approfondimento con Elena Camerlingo, che generosamente e pazientemente mi ha dedicato un intero pomeriggio, e che ringrazio sinceramente. Ovviamente quanto scrivo è frutto della mia esperienza e ne sono la sola responsabile.

Per prima cosa, mi ha colpita la conferma che siamo davvero un arcipelago di solitudini. C’è voluto eddyburg, con la sua scuola di urbanistica itinerante, per fare incontrare pezzi di Napoli simili e complementari tra loro; e la sorpresa è dovuta alla somiglianza del lavoro di trincea con cui, ognuno nel suo pezzo, stiamo attaccati alle nostre pratiche di salvaguardia dei diritti di cittadinanza: chi progettando luoghi inclusivi e sorvegliando sull’attuazione a salvaguardia dei principi ispiratori, ma poco potendo fare sul piano della gestione, se non rammaricarsi laddove a quel livello si vede stravolgere la visione iniziale; e chi invece opera nel sociale inventandosi nel proprio agire e lavorare quotidiano un welfare che non c’è più.

Principio ispiratore della pianificazione urbanistica a Napoli è stato il diritto di cittadinanza attraverso l’accessibilità per tutti, da tutti i luoghi a tutti i luoghi, annullando la gerarchia tra centro e periferia. Per fare questo si è lavorato integrando urbanistica e trasporti, immaginando lo sviluppo della città in funzione del ferro già esistente e di quello ipotizzabile per favorire lo sviluppo e la mobilità sostenibili. Si è colta l’occasione dell’ampliamento della rete dei trasporti per ridisegnare o creare le piazze intorno alle stazioni. Piccoli grandi cambiamenti che hanno modificato il volto e la vita di molti quartieri a Napoli.

Si è pensato agli equilibri necessari, tra centro e periferie, ma anche tra zone rurali e zone edificate.

Si è tutelato il verde come bene primario, e Napoli con il Parco delle Colline ha oggi 2.200 ettari di verde, un quinto dell’intero territorio della città, dove si preserva l’agricoltura urbana, nella lungimirante visione di offrire alla città una produzione agricola locale, a filiera corta, tipica. Qui in particolare emerge subito una contraddizione fortissima, quando lo stesso luogo è contemporaneamente sede di futuribili visioni di città sostenibile e preda, a Chiaiano, dei soprusi governativi per cui, militarizzata e dichiarata in emergenza, diventa sede di ammassi di rifiuti per consentire finti miracoli.

Nel disegno di Napoli, si è puntato ad amplificare al massimo la caratteristica che ne ha fatto nei secoli una città a suo modo vivibile: la mixitè.

Punti fermi intorno ai quali si è progettato lo spazio urbano: fare muovere le persone e non le auto puntando sui trasporti pubblici e restituendo agli usi sociali gli spazi pubblici (vi ricordate Piazza del Plebiscito quando negli anni ‘70 era il mega parcheggio del centro?); distribuire funzioni pregiate in tutte le parti della città evitando specializzazioni che emarginano e gerarchizzano i quartieri: ogni quartiere ad esempio deve avere il suo parco pubblico a verde. Ci si deve poter muovere, se si vuole, ma non deve essere indispensabile. A Napoli, anni addietro, gli abitanti di quartieri periferici erano obbligati ad andare alla Villa Comunale per una passeggiata in un parco: oggi possono scegliere se farla nel proprio quartiere, e hanno anche la rete dei trasporti pubblici per evitare di usare l’auto.

La metropolitana collinare ha avvicinato la periferia al centro di Napoli. L’idea di spostare in periferia alcune funzioni importanti come l’Università era un modo per equilibrare gli spostamenti da e verso il centro, annullando la gerarchia, laddove la direzionalità prevalente definisce la subordinazione di un quartiere ad un altro.

Si è provato a facilitare la mixitè spostando funzioni pregiate e necessarie laddove si correva il rischio di avere solo un dormitorio o un ghetto, per distribuire a tutti i cittadini un pari diritto di cittadinanza nella propria città. Tutto questo ha dovuto e deve fare i conti con il pensiero oggi dominante dell’esclusione in nome della presunta sicurezza, per cui molti abitanti dei quartieri centrali di sentono “invasi” dalla metropolitana collinare, che di colpo ha annullato le difficoltà di mobilità dei cittadini delle periferie verso la loro preziosa gabbia dorata.

Si è lavorato a recuperare la contaminazione come fattore di inclusione sociale, contro il pensiero dominante della sicurezza propinata attraverso l’esclusione di tutte le diversità, la militarizzazione dei territori e i recinti, che nulla hanno a che fare con la sicurezza percepita, che diminuisce ad ogni recinto e ad ogni evidente segregazione, per cui è facile immaginare quanto questo approccio della pianificazione sia stato e venga tuttora ostacolato nella attuazione e nella gestione. D’altra parte una popolazione separata e ghettizzata è facile preda di demagogiche politiche securitarie, e consente forme di controllo sociale e spazi di interesse privato a prezzi veramente scontati.

Purtroppo i tempi dalla pianificazione alla attuazione e successiva gestione sono troppo lunghi, attraversano troppi periodi amministrativi, e corrono il rischio ad ogni passaggio di venire stravolti e “re-interpretati” in funzione di interessi particolari piuttosto che per il bene comune.

Se poi tra i livelli amministrativi di pianificazione-attuazione-gestione si inserisce anche l’elemento dell’operatività dei servizi sociali, non più esclusivamente servizio pubblico ma in gran parte erogato da operatori privati e del terzo settore sulle cui spalle si è buttata la responsabilità di rientrare in principi di economicità dei servizi, le zone opache di scarsa comunicazione aumentano vistosamente. Quanto era stato pensato negli anni di welfare forte e innovativo, oggi viene gestito in una situazione di welfare ridotto all’osso, pretendendo di inserire nell’erogazione di servizi essenziali per garantire cittadinanza e dignità a tutti, principi di economicità assolutamente insufficienti almeno fintanto che non si riesca a farli rappresentare anche attraverso variabili di benessere sociale.

A questo punto si chiude il cerchio delle suggestioni, e i pezzi del puzzle trovano ognuno la propria giusta collocazione. Ritorno alla sorpresa iniziale dell’arcipelago di solitudini di coloro che a Napoli lavorano, ognuno per suo conto, a credere ancora che un altro mondo è possibile. Siamo caduti anche noi nella trappola dell’esclusione e della separazione, che ci preclude la mixitè attraverso cui, se riuscissimo a metterci davvero in rete, diventeremmo improvvisamente forti e visibili. Per questo come Cantiere Sociale a Napoli abbiamo anche provato a lanciare, insieme ad altri che come noi credono che valga la pena di provarci, dei Segnali di fumo. Ma questa è un’altra storia, e ve la racconteremo un’altra volta.

Pasquale (purtroppo è scomparso)era tra i pochi che dai piani urbanistici sanno scorgere la realtà sociale che essi preparano. Oggi quel piano è in avanzata fase di realizzazione, tra molti conflitti indicativi della fase che viviamo. L’affermazione di Coppola nasceva da due obiettivi di quel piano (oltre a quello di spostare quote di traffico dall’automobile al mezzo collettivo): rendere accessibile tutta la città al numero più elevato possibile di cittadini; utilizzare le stazioni come strumento non solo per raggiungere gli spazi pubblici, ma per restituir loro vitalità e liberarli dalle automobili e dal degrado. Base indispensabile per raggiungere gli obiettivi era mettere in rete i molti rami esistenti di ferrovie, metropolitane, funicolari, di proprietà di numerosi enti, connettendoli in unico sistema di accessibilità e di gestione.

La rete fisica è stata costituita; le nuove stazioni e quelle ristrutturate, già quasi tutte realizzate, sono diventate i punti di connessione tra i diversi segmenti. Le localizzazioni delle stazioni è stata fatta non in funzione delle esigenze aziendali, ma assumendo come criterio di scelta il massimo numero di persone servite con un percorso casa-rete inferiore a 8 minuti. L’unificazione delle tariffe tra le aziende coinvolte consente di percorrere tutta la rete con un unico biglietto.

Il conflitto principale è tra l’esigenza di coordinare la gestione della rete e le spinte autonomistiche delle singole aziende. Oggi molti eventi segnalano il rischio che gli interessi del privatismo aziendale prevalgano su quelli del coordinamento, compromettendo l’esercizio del diritto alla città da parte dei cittadini.

L’evento si è svolto in una tre giorni di incontri e visite e ha consentito di conoscere e discutere le più significative trasformazioni urbane del capoluogo campano raccontate direttamente da chi le ha vissute in prima persona, come cittadino e, soprattutto, come amministratore.

Nella prima giornata Elena Camerlingo, Vezio De Lucia, Roberto Giannì e Laura Travaglini hanno illustrato le strategie e gli obiettivi essenziali del piano di Napoli ispirati al recupero della legalità, della qualità urbana e della salvaguardia delle aree verdi residue, tratteggiando le caratteristiche in cui tali scelte sono state maturale e le difficoltà tecnico-politiche che hanno dominato l’attuazione e la gestione dei principali interventi di trasformazione e conservazione del territorio.

Uno degli elementi portanti del riassetto urbanistico della città e del processo di riqualificazione auspicato è stata la riorganizzazione del sistema della mobilità avvenuta principalmente attraverso la formazione della rete di ferrovie metropolitane. La progettazione infrastrutturale è stata condotta in una logica di pianificazione integrata ovvero mai disgiunta dall’insieme delle regole urbanistiche e territoriali che hanno guidato la trasformazione dell’assetto urbano della città.

La seconda giornata è stata interamente dedicata alla visita di alcuni dei principali luoghi di interesse sotto il profilo delle iniziative di riqualificazione urbana praticate negli ultimi decenni: il parco Troisi a S.Giovanni a Teduccio, San Pietro a Patierno, il Parco delle Colline e l’area di Bagnoli.

Sorto in un momento di grande difficoltà politico-sociale (nel post terremoto del 1980) e riaperto nel 1994 dopo anni di chiusura, il parco cittadino “Massimo Troisi” di S. Giovanni a Teduccio è uno degli spazi pubblici centrali del quartiere e rappresenta una scommessa vinta contro lo scettiscismo di chi avrebbe preferito destinare quest’area a nuova edilizia per superare l’emergenza del terremoto. Uno spazio vivo, frequentato, ben tenuto, la cui riapertura ha permesso di rivitalizzare un’area ben più vasta, con nuove attività e la riscoperta di spazi che fino a quel momento rappresentavano un retro della città.

La seconda tappa, ben più impegnativa, è stata quella della municipalità di San Giovanni a Patierno, un esempio degli interventi di recupero dei centri storici attuati mediante il Piano delle Periferie a seguito del terremoto. L’intervento è stato dettagliatamente raccontato direttamente da chi ha promosso e redatto il piano attraverso la descrizione puntuale degli strumenti, principalmente di natura ordinaria, che sono stati utilizzati per in fase di progettazione e di gestione: la rivoluzione di questo quartiere, come di altri, è stata la conquista di una dimensione normale, fatta di servizi pubblici funzionanti, di spazi verdi e di abitazioni dignitose, attraverso un processo partecipativo da basso che ha coinvolto direttamente i suoi abitanti storici.

La visita è poi proseguita nell’area del Parco delle colline di Napoli, un’area circa 150 ettari di altissimo pregio e naturalità sottratta all’abusivismo edilizio. Il Direttore del parco, Agostino Di Lorenzo, e Antonio di Gennaro, uno dei più attivi promotori della nascita del parco, hanno descritto il lungo processo di formazione dell’ente parco e hanno illustrato le sue prospettive di crescita, legate alle attività agricole che stanno partendo in questi anni.

L’ultima tappa della visita è stata la passeggiata lungo il pontile dell’area industriale dismessa di Bagnoli, recentemente recuperato, ristrutturato e aperto al pubblico. Oggetto di uno degli interventi più importanti e discussi, l’area industriale è il simbolo più conosciuto di un Piano che ha puntato sulla trasformazione urbana come occasione per innalzare il livello qualitativo degli spazi pubblici. Oggi dal pontile si ha la prospettiva di uno spazio strappato a nuovo cemento, di cui, grazie al parco e ad altre attrezzature pubbliche, godranno tutti i cittadini.

La giornata si è chiusa presso la Casa della Città per un primo momento di confronto e di scambio di impressioni e idee.

L’ultimo giorno è stato dedicato alla nuova metropolitana di Napoli e alle sue stazioni, fiore all’occhiello del piano comunale dei trasporti che ha accompagnato e corredato il processo di pianificazione urbanistica iniziato con la variante di salvaguardia del 1994. Gli obiettivi di migliorare l’accessibilità, di riqualificare il centro storico e di risolvere la marginalità di molti quartieri periferici sono stati perseguiti attraverso una serie di interventi che, coordinati in un ampio programma di opere a scala metropolitana, hanno puntato sulla riorganizzazione e sulla messa in rete delle linee ferroviarie e metropolitane già esistenti.

Per toccare con mano il lavoro svolto in questi anni, la visita si è svolta quasi per intero in metropolitana: da Mergellina a Salvator Rosa, quindi a Materdei e a piedi fino a Montesanto attraverso il quartiere dell’Avvocata, uno dei rioni popolari della città. Le stazioni della metropolitana, concepite come raccordo tra il sistema degli spazi pubblici e il sistema dei trasporti, diventano in questa rete dei nodi, trattati come luogo per installazioni, gallerie d’arte, piazze e luoghi centrali a dimensione di quartiere.

Con un po’ di stanchezza, la tre giorni è terminata sulla terrazza della stazione di Montesanto, uno dei nodi fondamentali dell’intera rete dei trasporti: qui il racconto della nascita della stazione, un ultimo scambio di opinioni e un lungo giro di saluti finali. Uno strenuo lavoro di trasformazione strutturale della città che non ha avuto il giusto risalto, né sulla stampa nazionale (sempre distratta sulle vicende urbanistica), né sulle pubblicazioni di settore.

Per fortuna c’è eddyburg.

Sul sito Picasa sono disponibili le foto scattate durante la visita, riordinate da Alessandro Boca. Per accedere: login eddyburg@tin.it, password: eddyburg2009.

Non essendosi conformata alle mode e alle derive degli ultimi tempi, la pianificazione urbanistica di Napoli non è al centro dell’attenzione delle cronache urbanistiche. Eppure, in quella stessa città che "da tempo è divenuta un paradigma della disfatta di ogni prospettiva urbana" (Francesco Erbani), si sta attuando, tra mille difficoltà, quanto prefigurato nel piano regolatore impostato da Vezio De Lucia, agli inizi degli anni novanta, durante la prima giunta Bassolino.

La progressiva involuzione della guida politica (Bassolino, allora sindaco osannato, è oggi additato come responsabile della cattiva gestione della cosa pubblica in Campania) non hanno impedito al piano regolatore e al piano dei trasporti, tra loro integrati, di imprimere alcuni significativi orientamenti allo sviluppo della città: l’arresto dell’espansione e la difesa del verde agricolo, il recupero del centro storico, la regia pubblica delle operazioni di riqualificazione urbana (a Bagnoli così come nelle periferie a occidente e oriente del centro storico), la realizzazione di nuove stazioni del trasporto pubblico ideate come fulcro di spazi pubblici (nel centro storico e nella periferia) vitali e liberati dal degrado.

Le vicende urbanistiche napoletane degli ultimi venti anni sono raccontate in due libri fondamentali:

Vezio De Lucia (1998), Napoli. Cronache urbanistiche 1994-1997 , Baldini e Castoldi: Milano.

Gabriella Corona (2007), I ragazzi del piano , Donzelli mediterranea: Roma. Su Eddyburg sono disponibili lla prefazione, scritta da Piero Bevilacqua e a recensione del libro , scrita da Francesco Erbani.

Alla città di Napoli è dedicata una specifica cartella di eddyburg.it. Al suo interno segnaliamo in particolare i seguenti articoli relativi al piano regolatore:

Approvato definitivamente il PRG di Napoli (29.03.2004)

Gabriella Corona, Politiche sostenibili per la città: Napoli come caso di successo (14.03.2005)

Roberto Giannì, Contenuti essenziali del PRG (18.09.2004)

Antonio di Gennaro, PRG di Napoli: Strategia vincente (04.02.2006).

La scuola estiva di pianificazione ha dedicato due giornate alla pianificazione urbanistica di Napoli.

Nell'edizione 2007, dedicata a “Casa, trasporti, ambiente”, Giovanni Lanzuise ha illustrato i contenuti del piano dei trasporti. Il suo intervento è contenuto nella pubblicazione La costruzione della città pubblica (Aliena, 2008) che raccoglie gli interventi dei docenti della scuola.

Nell'edizione 2008 Roberto Giannì (dirigente del settore urbanistico) e Vezio De Lucia, inbtervistati da Gabriella Corona, hanno illustrato i presupposti, gli obiettivi, i contenuti e l'attuazione delle scelte del Prg. I relativi materiali sono in corso di pubblicazione.

In eddyburg si veda inoltre:

- Elena Camerlingo, dirigente comunale del settore trasporti, spiega perché le stazioni sono state concepite come occasioni di riqualificazione urbana;

- Francesco Erbani, in un articolo pubblicato su La Repubblica, 28.11.2005) si sofferma sul felice connubio tra arte, architettura e pianificazione dei trasporti.

Per chi infine volesse comprendere quale inaudito scandalo sia lo scempio di quella che fu la Campania felix, consigliamo di leggere un prezioso libriccino di Antonio di Gennaro: La terra Lasciata, CLEAN edizioni, 2008, di cui è disponibile sul sito la prefazione di Edoardo Salzano.

venerdì 24: alle ore 17,00 arrivo presso il Dipartimento pianificazione urbanistica del Comune, in via Diocleziano 330. Nella biblioteca del dipartimento (al primo piano dell’edificio) saluto del vicesindaco Sabatino Santangelo, presentazione a cura di Edoardo Salzano, interventi introduttivi di Roberto Giannì (L’urbanistica a Napoli nel dopoguerra e il nuovo Prg), Elena Camerlingo (La pianificazione integrata trasporti-urbanistica: lo stato d’attuazione), Laura Travaglini (Lo stato di attuazione delle attrezzature), Giovanni Dispoto (Il piano urbanistico attuativo del Vallone san Rocco), conclusioni di Vezio De Lucia.

sabato 25: i luoghi delle trasformazioni in città. Partenza con autobus dell’ANM alle ore 9,00 dallo stazionamento ANM davanti alla chiesa di Piedigrotta. L’itinerario si snoda lungo le strade della periferia cittadina da est ad ovest. Sono previste quattro soste: al parco Troisi di Barra-San Giovanni a Teduccio, nel centro storico di San Pietro a Patierno, alla sede del Parco delle Colline, sul pontile nord di Bagnoli._Dopo la pausa ristoro, nella sede del Parco delle Colline è previsto un incontro con gli amministratori e il consorzio degli agricoltori.

domenica 26: alcune stazioni della nuova metropolitana e saluti sulla terrazza della nuova stazione della Cumana di Montesanto. Partenza alle ore 9,00 dalla stazione FS di Mergellina con percorso fra le linee della metropolitana. La visita si conclude nella rinnovata stazione SEPSA di Montesanto con le considerazioni finali.

Il programma dettagliato, i piani e gli ulteriori documenti utili possono essere consultati e scaricati dalle pagine web che l'amministrazione comunale ha dedicato all'iniziativa di Una città un piano:Napoli

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