Questo il senso di una recente sentenza del Consiglio di Stato a proposito della bocciatura di una lottizzazione a Cala Giunco, sulle coste sarde. Nel nostro Paese, nel Continente e nelle Isole, la Costituzione esiste ancora ed è uguale per tutti. Uguale per tutti è l’articolo 9, che impegna tutti alla tutela del paesaggio come uno dei beni supremi. La legislazione che tutela il paesaggio ha un valore che supera altre regolazioni, compresa quella dei cosiddetti “piani casa” (che con il bisogno di casa non hanno quasi nulla a che fare).
Scrivono i giudici del Consiglio di Stato: «Nella valutazione comparativa di contrapposti interessi, quello generale alla salvaguardia del paesaggio anche a tutela delle generazioni future, e quello individuale e imprenditoriale allo sviluppo degli insediamenti turistici, trova piena legittimità costituzionale la previsione regionale, estesa anche alle lottizzazioni in corso».
Questa sentenza ha due effetti, entrambi importanti: il primo riguarda territorialmente la Sardegna, l’altro l’Italia.
In Sardegna, è ulteriormente ribadito il giudizio positivo che la giustizia amministrativa esprime a favore della pianificazione paesaggistica della giunta Soru. Questa è «di particolare rigore, ma trova piena giustificazione nell’esigenza di salvaguardare un paesaggio di incomparabile bellezza, che ha già subìto attentati a causa della propensione italica ad un’edificazione indiscriminata».
Analoghe sentenze del tribunale amministrativo regionale avevano già proclamato la correttezza tecnica, amministrativa e giuridica del PPR, e dell’intera azione di difesa della costa e dei beni paesaggistici, ben al di là della fascia dei risibili 300 metri delle vecchie norme e degli stessi 3000 metri del primo, e transitorio, provvedimento “salva coste”. Ma l’avallo, ampiamente circostanziato e motivato, del giudice nazionale acquista un valore significativo, anche perché interviene in una fase in cui si tenta di smantellare gli argini eretti per tutelare gli interessi dell’umanità attuale e futura in merito alla bellezza creata dalla natura e dalla storia.
C’è però anche un motivo di rimpianto e un motivo di rimprovero: il rimpianto per la mancata estensione del PPR all’intero territorio della Sardegna; il rimprovero per chi non ha consentito di portare a termine il lavoro, sia con l’estensione del PPR sia con l’attivazione delle politiche previste per la sua implementazione. Ma il futuro è ancora aperto. L’attenzione di chi, in Sardegna, vuole opporsi alla marea montante della cementificazione, privatizzazione, segregazione (come i tentativi di riservare le spiagge ai turisti ricchi), dovrebbe indirizzarsi alla ripresa del cammino iniziato dalla giunta e non alla rincorsa della logica nefasta dei “piani casa”.
Anche al resto dell’Italia la sentenza del Consiglio di Stato dice qualcosa di interessante e utile per resistere. Le ragioni del paesaggio e della sua difesa restano vincenti su tutte quelle che le minacciano, siano esse motivate da interessi di speculazione immobiliare o siano argomentate da preoccupazioni relative allo “sviluppo”. Non è necessario alcun astratto “equilibrio” tra le esigenze della tutela e quelle di uno “sviluppo” basato sul parametro quantitativo del PIL. Le prime prevalgono in ogni caso, e l’unico sviluppo umanamente e socialmente valido è quello basato sulla messa in valore (non sulla “valorizzazione” economica) del patrimonio che i nostri avi ci hanno lasciato, e che dobbiamo conservare per i nostri posteri, accrescendone la consistenza e la qualità.
Questo articolo è andato in rete su Tiscali il 21 settembre 2009, e lì raccoglie numerosi commenti.
Si vedano gli articoli di Mauro Lissia su la Nuova Sardegna e di Paolo Urbani su l'Unità a proposito delle sentenze dei tribunali amministrativi.
Per l'equilibrio tra tutela e sviluppo si vedano l'articolo degli assessori regionali di Toscana ed Umbria e la replica di eddyburg .