Una bella confezione
che racchiude un uovo vuoto
Nel mondo dominato dal consumismo siamo abituati a vedere (e siamo spesso obbligati a comprare) confezioni che avvolgono oggetti che magari sono di scarsissima utilità, o di utilità discutibile, o addirittura del tutto inutili. Si tratta di confezioni che ingannano il consumatore ingenuo e lo spingono a comprare gli oggetti solo perchè sono avvolti nelle affascinanti, ricche, lussuose confezioni, che non servono a nulla se non ad alimentare il business dei rifiuti.
Così sembra, a un primo esame, il PTCR approvato dalla Giunta Galan. Una serie nutrita, ricca, spesso intelligente di analisi, descrizioni, quadri conoscitivi, ragionamenti, perorazioni, delineazione di obiettivi e strategia, espressioni di volontà, che avvolgono un prodotto (le norme tecniche d’attuazione) del tutto inconsistente.
Ma se proviamo a leggere le norme, accanto alla loro inconsistenza formale scopriamo che esse rivelano l’ideologia e la strategia della regione, e quindi preannunciano le scelte di merito che, in modo del tutto discrezionale, la regione compirà nel concreto.
Il prologo: rivela e ribadisce
le intenzioni
Il prologo delle norme tecniche d’attuazione, parole prive di efficacia precettiva, già rivela comunque una cosa interessante. Si parla dei “vincoli giuridici gravanti sul territorio veneto”. La questione dei “vincoli” meriterebbe un ragionamento serio: rinvio al breve articolo che ho scritto in proposito per numero 15 di Carta: in due parole, chi demonizza i “vincoli” ritiene che l’unica utilizzazione ragionevole del territorio sia quella edilizia.
La Giunta dichiara che provvederà successivamente (non si sa quando) ad applicare l’unico strumento legislativo che richieda di porre vincoli di tutela del paesaggio, l’ambiente, i beni culturali: il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Rinuncia cioè all’unico strumento che potrebbe dare efficacia al piano e a tradurre le intenzioni proclamate in fatti. Non solo, ma promette che, disattendendo al suo dovere (come proclama l’articolo 9 della Costituzione e reiterate sentenze della Corte costituzionale) non aggiungerà vincoli di livello regionale a quelli già prescritti a livello statale.
La giunta afferma esplicitamente che il piano non è efficace. Sempre nel Prologo alle norme, quando definisce “Il PTRC di seconda generazione”, dichiara che è un piano “di idee e scelte, piuttosto che di regole, un piano di strategie e progetti, piuttosto che di prescrizioni”. Le norme stabiliscono più avanti che “le strategie e i progetti” li fa la Regione, scavalcando le autonomie degli enti locali.
Il prologo ritorna ancora sull’argomento, e precisa che “il PTRC persegue gli obiettivi non mediante prescrizioni imposte ai cittadini e limitative dei loro diritti”. Di quali diritti si preoccupa il piano è chiaro, i diritti dei proprietari immobiliari, quelli che sono interessati allo “sviluppo del territorio”, senza fastidiosi “vincoli”.
Progetti strategici
La questione del potere emerge fin dai primissimo articoli. L’articolo 5 contiene la ricca polpa del Ptrc: i “progetti strategici”. Questi sono strumenti che sottraggono la potestà delle scelte agli istituti rappresentativi della democrazia: decide la regione, e al tavolo dei decisori l’unico che partecipa in rappresentanza del comune è il sindaco. Il Consiglio, comunale o provinciale, non conta più nulla. Guardiamo alcuni dei “progetti strategici” (ma la Regione si autorizza a inserirne altri): l’attività diportistica (se vuole, ne progetta quanti ne vuole e li pianifica in barba al comune); l’ambito portuale veneziano; la neonate “cittadelle aeroportuali” (accanto agli aeroporti può autorizzare i comuni a “introdurre forme di valorizzazione delle aree sottoposte a vincolo […] attraverso misure di perequazione e compensazione che interessano aree contigue”, cioè regali di cubature); le aree circostanti le stazioni ferroviarie della rete metropolitana regionale e i caselli autostradali; quelli che il piano definisce “hub principali della logistica” (Verona Quadrante Europa, un analogo sistema policentrico tra Padova, Venezia e Treviso), e una serie di altri “terminal intermodali”. Ciascuno, ovviamente, col suo contorno di cemento, mattoni, asfalto, e soprattutto affari.
Campagna edilizia
La valorizzazione del territorio agricolo e dei paesaggi rurali sono proclamati a ogni pie’ sospinto nelle chiacchiere. Nel merito, tutto il territorio rurale è suddiviso in quattro tipi di aree: agricoltura periurbana, agropolitane in pianura, ad elevata utilizzazione agricola, ad agricoltura mista a naturalità diffusa. Pensate che, per contrastare il consumo di suolo e difendere naturalità e agricoltura, da tali aree sia esclusa l’urbanizzazione? Tutt’altro. Nelle prime e nelle seconde bisogna “localizzare prioritariamente lo sviluppo insediativo”, in quelle ad agricoltura periurbana bisogna “garantire l’esercizio non conflittuale delle attività agricole rispetto alla residenzialità”, in quelle “agropolitane” bisogna addirittura “garantire lo sviluppo urbanistico attraverso l’esercizio non conflittuale della attività agricole”. E nelle stesse aree ad elevata utilizzazione agricola bisogna “limitare”, non vietare, “la penetrazione in tali aree di attività in contrasto con l’obiettivo della conservazione delle attività agricole e del paesaggio rurale”
Le norme, insomma, non solo non forniscono cartografie definite, criteri certi, limiti, indici, parametri oggettivi, metodi per salvaguardare le risorse naturali, ma addirittura sollecitano a non creare conflitti alla tranquilla crescita dell’edilizia nelle residue zone rurali del Veneto.
La continua preoccupazione di tutelare la possibilità dei proprietari di edificare sul loro terreno traspare in ogni norma. Perfino nel definire la rete ecologica, per la quale il piano non dà nessuna prescrizione tassativa, l’unica preoccupazione è nella direzione dell’edificabilità: bisogna ispirarsi “al principio dell’equilibrio tra la finalità ambientale e lo sviluppo economico” e bisogna evitare “per quanto possibile la compressione del diritto di iniziativa privata”!
Capannoni e grattacieli industriali dappertutto
Per il sistema produttivo il piano definisce una gran quantità di tipologie territoriali, con una fantasia eccezionale. Vi sono i “territori urbani complessi”, i “territori geograficamente strutturati”, quelli che sono invece “strutturalmente conformati”, e poi le “piattaforme produttive complesse regionali”, le “aree produttive con tipologia prevalentemente commerciali”, nonché le “strade mercato”. Ma accanto a queste, che sembrano occupare,nell’indeterminatezza della cartografia, quasi tutto il territorio di pianura e di collina, il piano individua le “eccellenze produttive”, che attraversano orizzontalmente tutte le aree predette e che “la Regione valorizza mediante appositi interventi e progetti che ne assicurino lo sviluppo”.
In tutte queste aree (che non sono né perimetrate nelle cartografie né caratterizzate da regole definite) bisogna “contrastare il fenomeno della dispersione insediativa” individuando “linee di espansione delle aree produttive”, definendo “modalità di densificazione edificatoria sia in altezza che in accorpamento”.
Molto simili sono le indicazioni del piano per le aree urbane. Dietro il titolo accattivante “Città, motore del futuro” si rivela la medesima strategia. Nessun vincolo allo sprawl, al consumo di suolo, alla continua espansione disordinata e frammentata della città sul territorio rurale: guai a porre “vincoli”! In aggiunta alla prosecuzione e all’intensificazione dello “svillettamento” (del resto ulteriormente stimolato dalla recentissima legge perr lo sviluppo dell’edilizia), si sospingono comuni, province, costruttori, proprietari a densificare le aree urbane esistenti, compattare, riempire, annaffiare il terreno di mattoni, cemento e asfalto per far crescere grattacieli.
Nelle relazioni si fornisce la giustificazione: c’è un drammatico problema della casa, un grande fabbisogno insoddisfatto di abitazioni. Ma si trascura il fatto che chi ha bisogno di un alloggio è il giovane o l’immigrato, il quale non ha le risorse per accede a un mercato caratterizzato da prezzi sempre più alti: un mercato nel quale, come spiegano gli economisti seri, l’accrescimento delle costruzioni non porta a una riduzione e dei costi, ma anzi ad un loro aumento.
La strategia
La strategia della Giunta del Veneto è ben descritta in un documento preliminare al piano: quello scritto da Paolo Feltrin, esperto di politiche amministrative, dedicato a “La seconda modernità veneta e il territorio”. Sembra la relazione di un urbanista, e trova preciso riscontro nelle scelte contenute nella normativa.
L’analisi della situazione territoriale del Veneto è precisa, nella sua efficace sinteticità. Tutti i fenomeni più rilevanti sono descritti: dalla prevalenza dei modelli abitativi unifamiliari e sparpagliati (lo “svillettamento”, lo sprawl), l’inefficienza del sistema della mobilità (addebitato all’insufficienza della rete stradale), il ruolo assunto dai caselli autostradali (sempre più caratterizzati dalla presenza di strutture del terziario) la desertificazione della rete dei centri storici (giustamente addebitata all’alto livello dei canoni di locazione e alla concorrenza delle nuove strutture commerciali). Il fatto è che questi elementi, che vanno letti tutti come elementi di crisi da correggere o rimuovere, vengono visti come dati ineliminabili, segni di vitalità di un sistema che deve essere assecondato (e razionalizzato) nel suo trend.
Su questa linea, peraltro condivisa da una parte della cultura urbanistica italiana, si arriva ad affermazioni francamente aberranti. Come quando si afferma che c’è ancora tanta campagna nel Veneto sicche il consumo di suolo non è un problema reale, poiché la percentuale di terreno rurale è di molto superiore a quella delle terre coltivate (come se l’attività economica del settore primario fosse l’unica ragione della salvaguardia del suolo dall’urbanizzazione). O quando si afferma che si devono assumere decisamente i caselli autostradali come le nuove polarità da incentivare. ribadisce così, per un verso (la prosecuzione dello svillettamento) e per l’altro (l’enfatizzazione delle autostrade), il cancro della tendenziale esclusività della motorizzazione individuale.
Che fare
Per concludere: il Ptrc non ha nessuna capacità regolativa, non esercita nessuna tutela di ciò che va tutelato, non fa nessuna scelta nelle infinite trasformazioni che si possono compiere sul territorio. Ciò significa che, da un lato, esso costituisce il quadro più favorevole per l’ulteriore scatenamento degli “spiriti animali” di quel capitalismo italiano intriso di rendita ben più che di profitto, volto all’appropriazione parassitaria delle risorse ben più che dal loro impiego nell’innovazione e in uno sviluppo socialmente, o anche solo economicamente, paragonabile a quello di altri paesi europei. Ed è, dall’alto lato, un quadro nel quale la massima discrezionalità e capacità autonoma d’intervento è lasciata ai poteri forti, in primo luogo a quelli della regione (della sua giunta), che comunque governa i rubinetti della spesa diretta e indiretta.
Ma è anche un insieme di elementi nel quale vi sono due aspetti da cogliere positivamente. In primo luogo, c’è una messe di documenti analitici che forniscono un quadro oggettivo della situazione reale del territorio, in tutte le sue componenti essenziali. A quel patrimonio informativo possono attingere quanti vogliano proporsi di promuovere una strategia diversa, e alternativa a quella della maggioranza regional. Ma in secondo luogo, c’è la delineazione d’una strategia di potere che stimola (che deve stimolare) a coglierne le contraddizioni per costruirne un’altra, alternativa e diversamente capace di guadagnare consensi per contrastare così la strategia, l’ideologia e il gioco di potere espressi nel Ptrc.
Il complesso dei documenti approvato salla Giunta è visibile nel sito della Regione Venbeto. Ciò che dicono in pubblico gli uomini della Giunta è leggibile qui.