In questi giorni, Trump ha deciso di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, provocando le proteste e la giusta indignazione di tutti i paesi arabi alla Turchia all’Arabia Saudita, alla Palestina,che annuncia “un giorno di collera”... (segue)
In questi giorni, Trump ha deciso di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, provocando le proteste e la giusta indignazione di tutti i paesi arabi, dalla Turchia all’Arabia Saudita, alla Palestina (che annuncia “un giorno di collera”), e di molte cancellerie europee preoccupate per quella che sembra, nemmeno troppo velatamente, una provocazione gravida di conseguenze imprevedibili per tutta l’area del Medio Oriente. Con lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, di fatto gli Stati Uniti riconoscerebbero la città santa come capitale d’Israele, come mai prima aveva osato fare la comunità internazionale. Per ricordare il valore simbolico di questa città, sono riportati, di seguito, alcuni brani tratti dal libro del cardinale Martini, Verso Gerusalemme.
Carlo Maria Martini, l’arcivescovo di Milano, avrebbe voluto trascorrere a Gerusalemme gli ultimi anni della sua vita, scegliendola addirittura come la terra per la propria sepoltura. Non perché fosse semplicemente terra dei luoghi santi; semmai perché città lacerata da conflitti violenti, da passioni contrapposte, eppure fatta di persone viventi, di popoli, di comunità delle tre religioni monoteistiche che qui convivono. La chiamava la città dello shalom, che significa pace, completezza, prosperità, ma soprattutto amicizia, accoglienza.
Nel suo libro, così descrive il suo incontro con la città:
«Arrivai in aereo da Roma di sera tardi, mi recai sul terrazzo della casa e mi misi a contemplare il cielo stellato guardando verso le mura. A un tratto ebbi quasi con prepotenza questa percezione: io sono nato qui, a Gerusalemme. […] Mi sembrava di essere davvero nato lì, di essere sempre vissuto a contatto con quelle pietre.
Questa città, unica al mondo, svolge un ruolo simbolico fondamentale: «Ne deriva che la pace in Gerusalemme è il segno della pace nel mondo, è una questione cruciale per i popoli che vi abitano e insieme per l’umanità intera, in quanto simbolo, segno, del destino umano».
Ma Gerusalemme è anche la città della tensione, tra i praticanti e i non praticanti, tensione tra comunità differenti: «E’ una tensione che vibra sempre in questa città”, dove permane un conflitto mai sanato e che forse mai si sanerà. Ed ecco affacciarsi il tragico dilemma, si chiede Martini: il dualismo; città dell’incontro o semplicemente città della coesistenza? Città in cui tante persone e situazioni si passano vicini, ma non si compenetrano? La risposta del cardinale è questa: «Gerusalemme è un mondo di coesistenza e non di simbiosi: voi siete là, per esempio, alla porta di Sichem e potete vedere, gli uni accanto agli altri, un rabbino che va a pregare al Muro, una ragazzina in minigonna che viene da un kibbutz, un musulmano sul suo asino e poi un monaco greco. Non c’è, direi, alcuna interpenetrazione. Ciascuno vive nel suo mondo; non c’è niente di comune tra il mondo del rabbino e quello del monaco greco: sono mondi differenti che coesistono, l’uno affianco dell’altro».
Gerusalemme è città dei simboli. La pietra, innanzi tutto: «pietra non soltanto perché sorge su colline rocciose ma anche perché «pietra» sono i tre centri della città: la pietra del Muro del Pianto, la pietra della cupola, la pietra ribaltata del Sepolcro. E la Porta, porta della speranza: entrare in Gerusalemme, scrive Misrahi, è entrare nel combattimento per la giustizia, è assumere la responsabilità della lotta. Questa entrata avrà perciò uno sbocco, un’uscita: da Gerusalemme uscirà la Legge».
«E la nuova Gerusalemme è il punto di riferimento che dà senso a tutta la storia umana, è il punto d’arrivo di tutte le nazioni e di tutti i popoli, è la città ideale aperta e pronta a ricevere tutti, è la città che esclude ogni impurità e ogni falsità, che affratella nazioni e popoli a mano a mano che vengono immersi in questa pienezza luminosa».La decisione di Trump di spostare, in questo luogo sacro dell’umanità, l’ambasciata americana, è quanto di più empio sia stato partorito da questa modernità che ha totalmente perso il concetto della sacralità (come lo intendeva Pasolini). Solo a un Tycoon come Trump poteva venire in mente un’idea simile, segno e simbolo di future sciagure.