11 giugno 2018. Contributo di eddyburg alla "Marcia per la dignità di Venezia", una città che come molte altre è stata ridotta a macchina per il profitto perdendo il suo originario ruolo di spazio per la vita.
Venezia non è solo l’espressione di una comunità locale, ma un esempio emblematico di un modello di sviluppo e di governo tipico di questa fase del capitalismo, finalizzato all’estrazione di profitto e mercificazione di ogni componente della nostra vita. Questo modello ha delle caratteristiche urbane specifiche, le principali possono essere così schematizzate:
- Realizzazioni di "grandi opere", che risultano sempre negative all'analisi costi e benefici: sono destinate ad ingrossare il debito pubblico, indebitare le generazioni future, ad avere un pesante impatto ambientale senza apportare un beneficio alla qualità della vita, ma solo a nutrire gli interessi delle ditte coinvolte nei lavori, i politici che le promuovono e criminalità, dal riciclaggio di denaro sporco a corruzione. A Venezia, il MoSE è uno degli esempi più eclatanti, ma la terraferma non è da meno con la superstrada Romea Commerciale e Veneto City.
- L’appropriazione privata della rendita urbana, che anche quando non si trasforma in un appropriazione indebita, diventa una forte pressione economica e politica sulle amministrazioni locali, provocando fondamentali disfunzioni nella pianificazione e quindi nel benessere della città e dei suoi abitanti. Parliamo di appropriazione privata in quanto la ricchezza prodotta da una città, che si riflette sui valori immobiliari, è frutto di una sforzo collettivo, che include investimenti, opere e lavoro privato e pubblico, e quindi dovrebbe tornare alla collettività attraverso processi di tassazione adeguata. Al contrario, questo valore aggiunto, viene appropriato dal singolo proprietario, riducendo le opportunità di investimento pubblico in particolare nei servizi, nella manutezione, nelle politiche sociali, inclusa la residenza pubblica e agevolata. Inoltre, essendo la rendita immobiliare diventata una fonte di profitto primaria, la sua appropriazione scatena pressioni politiche, anche accompagnate da veri e propri atti illeciti, nelle destinazioni d'uso, nell'allocazione dei diritti edificatori, nella realizzazione di opere, che seguono la logica del profitto anziché la logica dei bisogni degli abitanti e dell'interesse collettivo. A Venezia, l'esempio più eclatante é rappresentato dalle destinazioni d'uso, sia degli edifici residenziali che di quelli commerciali, attribuiti seguendo la logica del maggior profitto immediato, cioè residenze turistiche e commercio finalizzato al turista.
- Vendita del patrimonio immobiliare pubblico, dalle isole ai spazi pubblici, dai palazzi ai musei, per risanare il debito pubblico. Anche in questo Venezia è emblematica in quanto nel 2005 ha iniziato la fase di vendita degli immobili storici del comune con il loro trasferimento alla Società Vecart S.r.l. e poi creando nel 2009 il fondo Immobiliare “Città di Venezia” gestito dalla Est Capital che acquista gli immobili pubblici grazie a un finanziamento bancario a un prezzo dal 15-20% inferiore a quello di mercato per ricavarne una ricca plusvalenza.
- Taglio, ristrutturazione e/o privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture collettive all'insegna di una austerità fiscale e presunta efficienza, con un generale aumento dei costi per gli utenti dei servizi stessi.
- Mobilitazione di una politica a “tolleranza zero”, con forme di sorveglianza e controllo discriminanti e militarizzato degli spazi pubblici accompagnata da rappresentazione allarmista della città (disordini urbani, classi pericolose, declino economico).
- Distruzione e sfruttamento dell’ambiente naturale e storico: dall’inquinamento dell’aria dell’acqua e del suolo, ad opera di una mobilità e di una produzione di merci stimolata da bisogni indotti e non reali. A Venezia assistiamo all'erosione della laguna, al pesante inquinamento delle navi da crociera e mezzi di trasporto non idonei alle nuove sfide di riduzione delle emissioni di carbonio.
- Monocultura turistica come la nuova industria pesante del XXI secolo. Non un turismo finalizzato alla conoscenza del messaggio positivo che Venezia, il suo territorio, la saggezza dei governanti del suo glorioso passato hanno prodotto nel gestire il rapporto tra uomo e natura, ma il turismo "mordi e fuggi" che mortifica la città e i suoi stessi visitatori.
- Espulsioni e gravi forme di esclusione fisica, economica e sociale che provocano disagio generalizzato e frammentazione del tessuto urbano e sociale, minando il significato stesso di città. Dalla distruzione o gentrificazione di aree popolari e appetibili per lasciar strada a riqualificazioni speculative, alla formazione di ghetti e altri spazi “selettivi” di riproduzione sociale dove le condizioni ambientali sono mediamente peggiori rispetto al territorio circostante. Rispengimento dei migranti
- Governo autoritario, diminuzione della democrazia. Venezia ha dimenticato che è stata la prima città italiana a sperimrntare la democrazia diffusa con la creazione dei consigli di quartiere, all'epoca del sindaco Titta Gianquinto, e sta attualmente contestando, per opera del suo attuale sindaco Brugnaro, il lavori di partecipazione del popolo alle decisioni sulla città avviato dalla Municipalità. Si rinnegano anche i risultati dei referendum, come quello dell’acqua pubblica.
- La sovrapposizione di un copertina patinata e di un idea di città idilliaca a una realtà complessa e conflittuale. L'immagine della città diventa più importante dei fatti, di conseguenza il city-branding, la pubblicità che la città fa di se stessa acquisiscono un peso sempre crescente più che gli strumenti di urbanistica ordinaria.
Bisogna, di nuovo rivendicare il diritto alla città, cioè difendere la città come spazio vitale. Venezia non è più, come tanti altri insediamenti nel mondo, uno spazio adatto alla vita umana, ma si è trasformata in una macchina per il profitto, il profitto di pochi. Rivendicare la città e tutti gli insediamenti, periferie, villaggi, quartieri, paesi come spazio vitale significa:
1. Riappropriarsi dello spazio fisico, dagli spazi pubblici a tutti gli spazi e servizi utili alla vita quotidiana; spazi salubri e accessibili a tutti. Il diritto a un alloggio dignitoso a un prezzo commisurato al reddito.
2. Riconquistare lo spazio delle relazioni sociali, schiacciate e impoverite dalle disparità create dal capitalismo, che ci frammenta e divide e sprona all’individualismo attraverso l’esaltazione della concorrenza. Dobbiamo mettere al centro cooperazione, solidarietà e mutualismo.
3. Ricostruire lo spazio della politica, oggi connotato da autoritarismo, maschilismo, personalismo e tifoseria acritica. Significa rivendicare il diritto di partecipazione di tutti alle decisioni che riguardano la vita di tutti. Significa anche riportare la politica al suo originale mandato, quello di riconoscere un problema comune e risolverlo nell’interesse di tutti.