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Omar Calabrese
Un'Italia in formato ridotto
2 Dicembre 2005
Scritti 2004
Una riflessione che dovremmo fare spesso. Domandandoci come mai, per quali errori e negligenze, la comunicazione sia finita in mano ai banditi della mente. Da l'Unità del 13 dicembre 2004

Secondo Silvio Berlusconi, gli elettori italiani sono come bambini di seconda media, e per di più non siedono nemmeno nei primi banchi (vale a dire: non sono i primi della classe). Il concetto può apparire cinico e riprovevole, tanto più se ripetuto (il Presidente, circa due anni fa, sostenne che l'elettore medio ha un'età mentale di anni undici), e immagino che la reazione di molti sia lo sdegno. Grave errore, poiché purtroppo il Cavaliere - nell'analisi - ha ragione. Vale la pena chiedersi, però, i motivi di quel dato di fatto; se quel dato di fatto sia negativo, e come lo si possa in questo caso modificare; quali siano le conseguenze che ne trae la sua parte politica, e quali dovrebbero trarne i suoi oppositori.

Cominciamo dall'inizio. Perché l'italiano medio avrebbe un'età meno che adolescenziale? È forse stupido, incolto, babbeo, razzialmente inferiore, nevrotizzato dalle mamme? La risposta è più semplice: gli italiani trascorrono quotidianamente tre ore e quaranta di media dinanzi alla televisione (i bambini fino a cinque), e non hanno altro forte legame sociale col mondo.

Solo che la televisione frammenta per sua natura la società (ti tiene chiuso in casa), e si ripropone come l'unico orizzonte in grado di ricomporla (dice cosa fare, cosa è bene e male, cosa avviene nell'intero pianeta, ma lo spettatore è solo passivo, non può mai dire la sua). Inoltre, la televisione si fonda apparentemente su un gusto “medio” del pubblico, ma in verità lo schiaccia sempre verso il basso: crea insomma una mentalità abbastanza appiattita. Se a tutto questo aggiungiamo che la stampa è ormai in scia del mondo televisivo, che il cinema e la musica operano in chiave televisiva, che lo sport non esiste senza televisione, e che perfino i sogni di carriera dei giovani si modellano sulla tv (fare la velina, partecipare al Grande Fratello), il gioco è fatto.

Il fenomeno è valutabile? O dobbiamo soltanto prenderne atto? Una volta, francamente, le cose non stavano così, anzi esistevano strutture di mediazione capaci di guidare l'interpretazione individuale della realtà, o quanto meno di discuterla (la parrocchia, la casa del popolo, il circolo sportivo e ricreativo, il bar, la sala da gioco, la sala da ballo, l'osteria). Si aveva una maggiore circolazione di idee, anche conflittuali, e la capacità di scelta era più ponderata. Paradossalmente, una società che nel complesso andava meno a scuola aveva più strumenti di confronto della nostra, che distribuisce più titoli di studio. Uno studioso americano, David Putnam, nel libro Bowling Alone, ha esaminato il grado di socializzazione negli Stati Uniti dall'epoca di Kennedy a oggi, e ha calcolato che questa si sia ridotta dell'80%. Si tratta di un fatto grave, perché senza socializzazione non c'è più identità, non c'è più coscienza collettiva, non c'è più cittadinanza, ma solo piccoli interessi individuali. Il fenomeno va dunque fronteggiato e combattuto, offrendo nuove occasioni di incontro e confronto a chi le ha perdute e a chi non le ha mai avute. Ma qui siamo ormai nel bel mezzo della politica, intesa non già come pura amministrazione della cosa pubblica, ma come progetto per la vita quotidiana della comunità.

Veniamo così alle conseguenze sul piano elettorale. Berlusconi riconosce con abilità l'esistenza in Italia di una “società bambina”, e ne ricava una strategia. Questa consiste nel trattare gli elettori come clienti (non a caso ha anche sostenuto che nella cabina, al momento del voto, ci si comporta come al supermercato: ci sono tanti marchi concorrenti, e si sceglie quello più promettente). È il marketing politico più stretto e finalizzato. Si basa sui sondaggi (il calcolo dei desideri che il pubblico-bambino crede di avere) e sulla tecnica della seduzione (io sono ciò che tu stai desiderando). Va da sé che i desideri sono individualisti e non tengono conto di un progetto sociale, e va da sé che proporsi come l'oggetto del desiderio non mette mai in discussione i modi per realizzarlo. Soprattutto, finisce per considerare e far considerare la politica solo come una mera questione di potere, quando invece essa è soprattutto una filosofia della vita, una maniera per immaginare un futuro migliore, persino “educando” la popolazione a praticare una simile ricerca. A quella strategia si può e si deve contrapporre qualcos'altro. Ad esempio, si può tentare la strada della persuasione (ti propongo un progetto che non hai ancora pensato, e ti convinco che è davvero desiderabile). E da lì, quella di suscitare la partecipazione e l'entusiasmo dei cittadini.

Il piccolo problema è che tutto ruota attorno a una parola magica: il progetto. Gli oppositori di Berlusconi dovrebbero smetterla sia di scandalizzarsi per ogni frase del Cavaliere (l'irritualità è una sua precisa tattica proprio per essere seduttivo), sia di inseguirlo sul terreno della pura concorrenza merceologica, dando così ragione all'idea della scheda come scaffale del supermarket. Dovrebbero invece seriamente pensare alla qualità della proposta da offrire ai cittadini. Le tradizioni di pensiero su cui si fonda l'alleanza di centrosinistra sono tutte nobili e importanti, ma hanno storicamente identificato singoli partiti: la loro somma non è automatica, non contrassegna l'intera alleanza, non dà il senso di una precisa organizzazione della vita sociale. E poi, diciamocelo, quelle idee sono datate, e nessuno ha ancora pensato a come ammodernarle, o a come rendere evidente la loro eventuale capacità di interpretare i problemi contemporanei. Se si vuole creare davvero entusiasmo - sentimento che Walter Veltroni ha invocato in modo egregio dalle pagine di “Repubblica” per il centrosinistra - occorre ridefinire quale stile di vita si vuol proporre agli italiani attraverso le leggi e l'amministrazione delle leggi. In caso contrario, resteremo nel supermercato, ma, purtroppo, la capacità della concorrenza di confezionare buoni contenitori per lo scaffale del voto è molto alta (campagne soprattutto televisive, affermazioni populiste, promesse non realizzabili, demolizioni dello stato sociale fatte passare per defiscalizzazioni). Insomma, per tornare alle battute di Berlusconi, proviamo a comunicare con quegli elettori-fanciulli di cui parla, e tentiamo di fornire loro occasioni di crescita. Ricordiamoci che, in fondo, il massimo desiderio di un ragazzo è

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