Sarà un pezzo più lungo di quelli che scrivo di solito, me ne scuso. Ma il momento è serio. Il Popolo delle libertà e la Lega stravincono le elezioni, il Pd resta inchiodato a oltre nove punti di distanza , Berlusconi torna al governo, la Sinistra Arcobaleno subisce una sconfitta storica e per la prima volta non entra in Parlamento. Siamo stati penalizzati dall’appello ossessivo al voto utile (tanti elettori di sinistra hanno votato Pd illudendosi di poter battere Berlusconi ma il loro voto non è servito) e dall’astensione di un’altra parte delusa dall’operato del Governo Prodi appoggiato anche dalle forze di sinistra.
Questi due elementi però non spiegano una sconfitta tanto bruciante maturata nell’ultimo anno, e che deriva dai nostri enormi e persino incredibili errori.
Non abbiamo convinto gli elettori che avevano votato a sinistra nel 2006, non abbiamo conquistato nuove forze. La Sinistra Arcobaleno in versione lista elettorale finisce qui. Quando nacque il Pd dicemmo che era un terremoto politico, che nulla sarebbe più stato come prima. Che nessuna delle forze della sinistra poteva da sola rispondere al vuoto che si creava a sinistra del Pd: che era necessaria e urgente una sinistra unitaria e plurale, un nuovo soggetto politico. Ma tra il nostro dire e il nostro fare c’è stato di mezzo il mare.
Abbiamo sprecato un anno . Nonostante gli Stati Generali in dicembre, dove tutti i dirigenti della sinistra politica si erano dichiarati pronti a promuovere e a farsi “travolgere” da una costituente della Sinistra , capace di risvegliare la partecipazione alla politica, pochi giorni dopo tornavano a prevalere chiusure, piccoli egoismi e nessuna costituente è partita nei territori. Siamo così arrivati tardi all’appuntamento delle elezioni anticipate, solo con una lista elettorale (la Sinistra Arcobaleno), senza una idea di sviluppo di questo paese, senza un progetto chiaro e credibile per il dopo elezioni, noncuranti di ristabilire un minimo di radicamento sociale.
Abbiamo puntato tutto sul fatto che la sinistra rischiava di scomparire, che bisognava difenderne l’esistenza. Questo appello non poteva essere sufficiente perché per quanto un elettore di sinistra sia sensibile al mantenimento di una Sinistra nel suo Paese egli vuole capire come sarà, dove lo porta, quali politiche concrete propone per cambiare in meglio la vita delle persone, quali principi mette a base del suo progetto. E vuole anche democrazia nelle scelte programmatiche, nella elezione dei gruppi dirigenti, nella definizione delle liste, condivisione e partecipazione. Senza democrazia diventa asfittico qualsiasi organismo politico (oppure diventa leaderistico e personalistico come sono il PDL e il PD). Senza partecipazione siamo stati percepiti come uno dei tanti ceti politici che cercano di salvare loro stessi, e questo, per una sinistra che aveva denunciato la crisi della politica e si era proposta di cambiarla nelle forme e nei modi è risultata una contraddizione enorme. Se ci guardiamo intorno siamo, paradossalmente, noi dirigenti della Sinistra Arcobaleno quelli che più di tutti gli altri risultano travolti dalla pesante critica che montava, spesso con analisi che io non ho condiviso, dalla cosiddetta antipolitica. E a questo voglio aggiungere che l’aver dato una immagine totalmente maschile è stato un limite serissimo che denuncia una cecità profonda e mai superata.
Se sono vere anche solo una parte delle cose che ho scritto fin qui è chiarissimo che siamo di fronte ad una mole enorme di problemi da capire e da risolvere se vogliamo pensare ad una ripartenza. Per ricominciare bisogna avere chiare le ragioni di una sconfitta, rimettere mano in fretta alle pratiche politiche sbagliate che hanno condotto a quegli errori, cambiare con la democrazia (e non con sommarie rese dei conti) coloro che dirigeranno in futuro l’eventuale progetto di rilancio. Ma bisogna anche dirsi con chiarezza e senza prese in giro qual’è la proposta politica e il progetto di paese che vogliamo rimettere in campo. Ho scritto tante volte della Sinistra che vorrei e non potrei adesso scrivere cose diverse .
Vedo moltiplicarsi in questi giorni convulsi appelli di ogni genere ma ciò che li accomuna è un dato chiaro: la richiesta di tornare ognuno nei propri accampamenti e nei vecchi perimetri culturali. Il solito ritornello che vuole i comunisti con i comunisti, i verdi con i verdi, i socialisti con i socialisti..ripropone solo la congenita e maledetta incapacità delle varie culture della sinistra italiana a stare insieme. E’ una resa. Credo che ognuna di queste culture politiche per quanto ben organizzata non possa, da sola, andare da nessuna parte. Temo che andrebbe solo verso il suo esaurimento.
Sento anche che alcuni altri (pochi per fortuna) propongono di trasferirci armi e bagagli nel Pd : mi pare anche questa una proposta disperata e sbagliata. Se siamo uomini e donne di sinistra come potremmo ritrovarci in un partito che , per sua stessa ammissione non è e non vuole essere un partito di Sinistra?
Tutte le ipotesi che ho elencato rinunciano alla sfida che resta intatta davanti a noi e che ci è caduta addosso quando è nato il Pd : come e chi ridarà forza ad una sinistra in italia? Come ricostruirla? E su quali basi? Dobbiamo tenere i nervi saldamente ancorati alla ragione perché in un momento tanto grave i gesti istintivi e frettolosi possono apparire più semplici, ma in genere sono sostenuti da poco pensiero e rischiano di diventare altri errori che si accumulano a quelli già fatti. Io penso che resti tutto intero davanti a noi l’obiettivo di una sinistra unitaria e plurale perché ritengo maturo (anzi oramai quasi scaduto) il tempo nel quale le culture più storiche della sinistra possano convivere insieme a quelle più recenti e nuove (quelle nate dall’ecologia scientifica, dal pensiero della differenza di sesso e dalla libertà femminile, dalla critica alla globalizzazione). E del resto quanti di noi interrogando la loro coscienza (e anche la loro pratica politica quotidiana) potrebbero dirsi oggi solo e soltanto comunisti, o solo socialisti o soltanto verdi? Siamo molte culture (ognuno di noi ne raccoglie nel suo intimo molte più di quel che ci diciamo) e insieme dobbiamo cercare di radicare nel paese una sinistra unitaria e plurale. Che non può essere la somma di tanti partitini e dei suoi gruppi dirigenti, ma un soggetto politico nuovo.
Per quel che attiene al progetto riparto anche qui da cose già dette :
“Se non si cresce non c’è nulla da ridistribuire. La crescita prima di tutto e il Pil come totem” Questo è stato il tema della campagna elettorale del PDL ma purtroppo è diventato anche il motivo dominante di quella del Pd. La Sinistra parte da altri presupposti: è una forza politica che vede il mondo e le sue contraddizioni globali e ha il coraggio di dire al Paese cosa deve crescere e cosa invece deve decrescere.
Devono crescere, ad esempio,i servizi immateriali, i trasporti di merci su ferro e per mare e i mezzi pubblici per le persone, il risparmio energetico e le energie rinnovabili, il salario e gli stipendi, la sicurezza del lavoro e il suo ruolo sociale, l’agricoltura non modificata, le reti idriche, l’edilizia di manutenzione e di recupero , l’impresa sociale, i diritti.
Devono diminuire le rendite, le speculazioni edilizie e finanziarie, l’uso di cemento che ci vede tra i primi Paesi nel mondo, il trasporto di merci su gomma, la dipendenza dal petrolio, il numero di automobili, la chimica più inquinante, le spese per armamenti (che negli ultimi dieci anni toccano il picco). La chiave di volta è una idea di sviluppo fondata sulla riconversione ecologica di settori importanti della nostra economia. Una diversa concezione dei consumi,dei cicli produttivi e delle merci. Lanciare allarmi sui cambiamenti climatici e sui limiti delle risorse naturali non vale nulla se si rinuncia ad indirizzare lo sviluppo verso altri fini, anche attraverso indirizzi chiari e forti dello Stato in economia.
Il cambiamento del modello di sviluppo liberista è il nostro obiettivo e la riconversione ecologica dell’economia è l’insieme di riforme da mettere in campo per conseguirlo. Spesso la Sinistra non ha saputo vedere quanta giustizia sociale passi attraverso la riconversione ecologica, e ha sbagliato. Proviamo a pensare all’acqua. Di quale giustizia sociale si può mai parlare in un mondo nel quale una parte enorme di persone non ha accesso all’acqua e da qualche settimana neppure al cibo minimo? Che l’acqua resti un bene comune, un diritto, e che la gestione delle reti resti pubblica è una scelta precisa, di sinistra, redistributiva, antiliberista. Il Pil misura in modo indifferenziato la produzione di un Paese, non ci parla degli squilibri. Il Pil non misura i diritti e non li garantisce, non riequilibra le risorse, non ci parla di democrazia, non si cura della sicurezza sul lavoro, non ci dice che stiamo consumando troppo territorio agricolo, che cementifichiamo le coste (vera risorsa per un turismo di qualità), che abbiamo il 40 per cento di acqua che si disperde . Il Pil è un indicatore nudo e crudo.
Lo consideriamo, ma non è la bussola della Sinistra. A noi interessa il benessere economico netto . Il disco rotto della crescita indifferenziata gira sul piatto da molti anni. E da molti anni nulla di buono cresce. Noi lavoriamo invece per l’aumento della qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Se queste (e molte altre ancora) sono alcune delle nostre idee, dalle quali derivano progetti di cambiamento che migliorano la vita delle persone, un altro nodo va sciolto al nostro interno.
Si tratta del fatto se la Sinistra alla quale pensiamo debba avere oppure no una cultura di governo. Che non vuole dire stare al governo. Io provengo da una forza politica, il Pci, che aveva una solida cultura di governo. Che sapeva misurarsi con tutti i problemi che i lavoratori, i cittadini, gli insegnanti, i tecnici, le città come organismi complessi presentavano. Si può stare all’opposizione con una solida cultura di governo e ottenere risultati importanti, si sta spesso al governo per anni senza ottenere alcun risultato e senza governare (la Campania insegna).
Ebbene io penso che una sinistra unitaria e plurale per diventare una forza popolare, radicata socialmente, presente sui problemi del territorio debba avere una cultura di governo su tutti i temi che si aprono davanti a noi in questo secolo così difficile. Nessuno escluso, anche quelli che ci imbarazzano di più o che vedono una nostra elaborazione assai scarsa. Parlerei di egemonia, una parola fondante per la sinistra, ma non vorrei aprire un confronto filosofico.
Da ultimo le forme, i modi, le relazioni, le nostre parole. L’unica forma per organizzare una forza politica di qualsiasi genere è la democrazia. Nessuno accetta più, a sinistra di vivere senza democrazia. Se la Pdl e il Pd hanno scelto il modello leaderistico e personale di tanti uomini soli al comando io ritengo che la Sinistra non possa farlo perché negherebbe in radice la sua natura. I modi sono quelli della trasparenza delle scelte, della partecipazione e dell’ascolto, del ritorno ad organizzazioni territoriali e a rete.
Le relazioni sono quelle tra le persone nelle quali si riconosce ad ogni livello e si rispettano le differenze e la presenza e la libertà di tutti e due i sessi. Le parole nuove ce le dobbiamo inventare tutti e tutte insieme, e non sarà facile perché spesso, parlando quasi sempre tra noi abbiamo assunto un linguaggio autoreferenziale e incomprensibile a chi ci ascolta, ai giovani in particolare. Vedo in questi giorni tentativi sommari di trovare capri espiatori, di consumare rese dei conti. Inutili pratiche, vecchie come il mondo.
Chiarito il percorso che vorranno fare tutti coloro che non sono disponibili a tornare dentro i recinti di prima allora democraticamente e con un forte collegamento con i territori dovremo trovare tutta la democrazia che serve per eleggere in modo trasparente chi dovrà portare più responsabilità di altri. Vendola nella sua intervista di ieri ha detto un nuovo gruppo dirigente che comprenda al suo interno anche una nuova generazione, e io concordo. Dice anche che si potrebbe pensare ad una direzione duale (un uomo e una donna), può essere e sarebbe un fatto nuovo. Ma la condizione è che percorsi, programmi, persone vengano scelte con la democrazia e con il voto. Abbiamo fretta da una parte ma abbiamo anche un po’ di tempo. Rifondazione è alle prese con un dibattito congressuale difficile che io rispetto e che credo vada svolto. Ma pur seguendo con attenzione quella riflessione non è detto che nel frattempo si debba restare fermi. Ripartiamo dal territorio, dai gruppi unitari che si sono formati in tante realtà, dalle case della sinistra, dalle associazioni che sono disponibili, dagli eletti nei comuni, nelle province e nelle regioni. Costruendo attorno a loro partecipazione , legame con i territori e discussione politica. Riuniamoci, compagne e compagni, diciamoci tutto quello che pensiamo…e poi, finite le critiche e le invettive, rimettiamoci in cammino.