La Repubblica Milano, 2 aprile 2013, postilla (f.b.)
IN UNA città dall’altissima domanda (e bisogno) di abitazioni low cost, l’11 per cento degli uffici è inutilizzato. Il censimento del patrimonio terziario sfitto è emerso da un recente meeting tra operatori e banche a cui anche il Comune è stato invitato. Gli ultimi dati milanesi, aggiornati a fine 2012 ed elaborati dall’organizzazione immobiliare Urban land institute e dalla banca Bnp Paribas, collocano i due terzi del terziario fantasma nelle zone (semi) periferiche della città, talvolta più lontane dalla rete di trasporto metropolitano — è in questa fascia che sorgono i principali Office district come Maciachini-Farini, Portello, Certosa, Lorenteggio, Ripamonti, Porta Romana- Centro Leoni, Missaglia-Business park e Bicocca — e nell’hinterland milanese, come San Donato. Il restante 30 per cento circa è dentro la Cerchia dei Bastioni, di cui l’11 per cento in pienissimo centro. Un fenomeno cresciuto negli anni, quello degli uffici senza affittuario o compratore.
Più se ne sono costruiti e più è cresciuta la quota rimasta vuota che nel 2007 si attestava sugli 800mila metri quadri. E il mercato fatica ad assorbire questo eccesso di offerta: nel 2012 i metri quadri terziari venduti o affittati sono stati 200mila contro i 290mila del 2011. Che fare allora oggi? Palazzo Marino pone la questione sul tavolo: «La grande scommessa per il futuro è il riutilizzo del patrimonio esistente». E lancia un’ipotesi di lavoro: «Sulla gestione dell’invenduto e degli sfitti — dice il vicesindaco e assessore all’Urbanistica, Ada Lucia De Cesaris — il Comune intende far partire un confronto con tutti i soggetti interessati, dagli operatori ai sindacati, per avviare anche in via sperimentale modalità di trasformazione degli uffici in alloggi con affitto a prezzi accessibili ». Un’opportunità che potrebbe convenire a tutti, per sbloccare lo stallo di tutti quegli immobili.
In Inghilterra l’hanno fatto: a fine gennaio il governo ha deregolamentato il cambio di destinazione d’uso da uffici a residenza, consentendo di farlo senza pagare oneri. Una misura contenuta in un più ampio pacchetto di sostegno alla crescita economica. Il sistema anglosassone, più leggero dal punto di vista normativo, lo permette; in Italia, e a Milano, la ricetta inglese è ancora tutta da costruire. Ma le premesse ci sono. L’operazione nasce per sanare «le scelte sbagliate del passato che oggi si portano dietro criticità significative con le quali è necessario confrontarsi» afferma De Cesaris. Errore doppio, secondo l’amministrazione: l’esagerata realizzazione di locali destinati al terziario, causata dalla “forzatura” da parte degli operatori delle valutazioni sul mercato, e la mancanza di un corretto disegno della città, imputabile anche alla pubblica amministrazione. E il Pgt, piano di governo del territorio, e la delibera con cui si applica a Milano il Piano casa regionale, riescono solo in parte a far fronte al fenomeno.
Crisi a parte, il boom di uffici sfitti secondo gli esperti si giustifica così: «Per un verso pesa il divario tra domanda e offerta in termini di prezzo, specie in centro — ragiona il Country manager
per l’Italia di Bnp Paribas Real Estate, Cesare Ferrero — in secondo luogo molti stabili sono obsolescenti, per struttura e funzioni; terzo, spesso le ubicazioni non sono coerenti con le attuali necessità di prossimità alle infrastrutture di trasporto, o a zone con servizi pubblici». Prezzo, prodotto e posizione, insomma, le tre cause del diffondersi dello sfitto. Così il Comune prova a farsi regista del piano di recupero. Su cui serve partecipazione anche dalle altre istituzioni: «È necessario — aggiunge il vicesindaco — un progetto condiviso che preveda incentivi fiscali, nuove e diverse modalità di accesso al credito, e che coinvolga governo, Regioni e Comuni. A ciò, poi, deve seguire l’impegno di tutti a realizzare interventi che rispondano alla domanda effettiva di abitazioni e di terziario, partendo dai dati reali e dalle effettive esigenze di chi abita in città».
Postilla
Ci sono almeno due aspetti della faccenda che consigliano di andare coi piedi di piombo: l'origine dello studio alla base di questa proposta, e il riferimento all'esperienza britannica. Se cominciamo da quest'ultima, di sicuro non sfugge ai lettori del sito come da quando si è insediato il governo di coalizione Tory-Liberaldemocratico ci sia una poderosa spinta alla deregolamentazione del planning nazionale, entro la quale si inserisce anche questa abolizione di buona parte delle autorizzazioni al cambio di destinazione d'uso, sulla spinta di una assai vociferata emergenza casa che, a parere della sinistra di opposizione, viene spudoratamente sfruttata per far altro. Sul versante dell'origine degli studi alla base della pensata milanese, chiaramente immobiliarista, la si può inserire nel più vasto panorama mondiale dei tentativi di rilancio del settore, devastato dalle proprie passate intemperanze, ad esempio con una offerta di cubature terziarie senza capo né coda, che oggi producono proposte di “soluzione” tra le più stravaganti, come quella di demolizione generalizzata degli edifici curtain wall di Manhattan (sic) e ricostruzione con caratteristiche a basse emissioni, sostenuta da studi di origine assai simile a quelli milanesi. Ciò premesso, ben vengano le sperimentazioni puntuali, ma sempre evitando di ripetere le prospettive delle giunte di centrodestra passate, totalmente succubi di spinte particolaristiche, che hanno combinato esattamente i guai attuali (f.b.)
Visto che si sono citati due esempi, anche due links di eventuale riferimento
1) un esempio di "politiche per la casa" britanniche di amministrazione locale Conservatrice sotto un governo Conservatore (che dovrebbe dimostrare quantomeno la contraddittorietà di queste idee di riconversione uffici/case tanto sbandierate)
2) in che logica si inserisce a ben vedere l'attivismo dei centri studi legati a interessi particolari, quando si discute di "riuso dello stock edilizio terziario obsoleto" nelle grandi città (vedi anche links e allegati)