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William Hamilton
Un muro: più bellezza, meno spine
18 Agosto 2006
Articoli del 2006-2007
Surreale dibattito fra architetti: le forme di una possibile barriera al confine col Messico. The New York Times, 18 giugno 2006 (f.b.)

Titolo originale: A fence with more beauty, fewer barbs – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

PROBLEMI coi vicini? Mettete uno steccato. Se va tutto bene, potrete appoggiarvi lì a discutere.

Non è proprio questa, l’idea delle barriere fra le nazioni; che non possono facilmente mascherare il proprio spietato obiettivo. Ora si propone una recinzione lungo gli oltre 3.000 chilometri del confine fra Stati Uniti e Messico, nel tentativo di migliorare la sicurezza nazionale e contenere l’immigrazione illegale. Il Senato ne vuole 500 chilometri, la Camera 1.000. E il Presidente Bush ha invitato i contractors militari a definire un tracciato “virtuale” che unisca i sistemi esistenti di recinzione puntuale attraverso strumenti ad alta tecnologia, come sensori di movimento, voli teleguidati e satelliti.

Ma c’è in corso qualche forma di diplomazia ufficiosa – il Messico non è un nemico – e dei precisi sospetti per il compito: architetti progettisti che devono trovare soluzioni accettabili per mascherare il brutto problema; per creare gradevolezza dove non può essercene.

Come per un classico concorso di architettura, il New York Times ha chiesto a 13 architetti e urbanisti di ipotizzare questo “steccato”. Molti hanno rifiutato di rispondere perché ritenevano si trattasse di una questione puramente politica. “É una cosa sciocca da progettare, un rompicapo” ha detto Ricardo Scofidio dello studio Diller Scofidio & Renfro di New York. “Si può lasciarla a genieri e addetti alla sicurezza”.

Quattro dei cinque che hanno proposto schemi, indicano nel confine un ambito di nuova integrazione, non di tradizionale divisione: qualcosa che possa essere visto da entrambi i lati come orizzonte delle occasioni, non una barriera.

James Corner di Field Operations, studio di New York specializzato in urbanistica e architettura del paesaggio, propone che, come qualunque tipo di fortificazione monumentale, abbia un secondo scopo, ovvero una striscia di raccolta dell’energia solare, a realizzare quella che chiama “una zona industriale a regime speciale sostenibile” che attiri le industrie dal nord e crei occupazione per il sud. Entro la medesima terra di nessuno che ora le persone attraversano in cerca di lavoro. Corner chiama questa sua compartecipazione di poteri territoriali del XX secolo e di interconnessione globale ambientalista da XXI secolo, “qualcosa di ibrido, Bush che incontra Gore”.

Anche Calvin Tsao, direttore alla Architectural League di New York e socio di Tsao & McKown, propone una zona industriale a regime speciale, che ricostruendo il confine sotto forma di piccole città in crescita lo faccia diventare un margine di luce, visibile anche di notte dallo spazio.

Eric Owen Moss, architetto di Los Angeles, è più preciso riguardo al proprio confine come vessillo di luce. Nel suo progetto, una passeggiata di colonne di cristallo illuminate inserita nel paesaggio invita allo scambio sociale serale, un po’ come il “ paseo” tanto popolare nella cultura ispanica.

“Costruire qualcosa fra le due culture, che possa condurre a una terza” suggerisce Moss. “Celebrare l’amalagama delle due componenti”.

Enrique Norten, architetto nativo messicano che ha uffici sia a Città del Messico che a New York del suo studio TEN Arquitectos, propone di utilizzare invece il bilancio stanziato per la recinzione in infrastrutture come le strade.

“Il futuro sta nel coinvolgere l’economia del Messico” dice, in un piano di lungo termine per l’area, non in una misura tappabuchi come una barriera. Norten risponde dalla Germania, dove sta seguendo i Mondiali di calcio. “Guadate all’Europa, dove queste cose succedono. La Spagna era una nazione di confine dieci anni fa. Ora fa parte di una comunità più ampia”.

Antoine Predock, di Albuquerque, “smaterializza” la barriera, spiega, attraverso una muraglia fisica progettata come un miraggio. Un terrapieno di polvere irregolare spinto dai lavoratori giornalieri messicani. Sparse di fronte, rocce spezzate, riscaldate dal basso, appaiono sospese sopra il terreno, come il caldo fa fluttuare gli oggetti, come miraggi.

“Ci sarebbe confusione sulla materialità del muro” spiega Predock. “Scoraggerebbe dall’attraversarlo, ma il messaggio da entrambe le parti sarebbe di buona volontà”.

Nota: una breve opinione del sottoscritto e qualche link sul dibattito "politico" attorno al muro di confine (f.b.)

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