«La sinistra si gioca la pelle». Fausto Bertinotti non lo dice esplicitamente ma la posta in gioco alle prossime elezioni secondo lui è abbastanza chiara. In questo lungo forum con il manifesto, il candidato della Sinistra arcobaleno non nasconde il fallimento del governo Prodi né le difficoltà del «nuovo soggetto unitario e plurale». Quasi due ore di intervista a tutto campo: dalle liste elettorali alla doppia sfida contro la destra e contro il Pd.
Inevitabile partire dal governo Prodi e dalla sua caduta. Da un male può nascere un bene?
Sì. Sì, se si determinano una discontinuità e una rottura vere. Altrimenti saremo marginalizzati o travolti da una «rivoluzione passiva». Il punto da cui partire secondo me è l'efficacia di una politica di sinistra - e per sinistra io intendo una forza che pur con tutte le innovazioni eredita dal movimento operaio del '900 il tema dell'uguaglianza e della trasformazione della società capitalistica nel suo tempo. Per rispondere al problema dell'efficacia, nel 2006 avevamo scelto la partecipazione a un governo di centrosinistra. Anche perché, dopo cinque anni di Berlusconi, c'era una tale attesa nel paese che l'alleanza di governo era una strada quasi obbligata. L'abbiamo presa puntando tutto su un programma molto dettagliato. Perché così dettagliato? Perché era il tentativo, un po' ingenuo, riconosco ex post, di ottenere quelle garanzie che non ci sembrava possibile ottenere per via politica. Andando alla concretezza dei dettagli potevamo chiedere agli altri: facciamo proprio questa cosa che c'è scritta qui.
Più che un programma è stato un contratto?
Sì. Ma non ha funzionato e dico subito che è stato un errore di cui mi prendo la mia parte di responsabilità. Sostituire a un chiarimento strategico pressoché impossibile un castello di dettagli programmatici si è rivelata una forzatura.
E' stata una disgrazia o una fortuna che sia caduto Prodi?
Formula antipatica. E' una fortuna se tutti coloro che si sentono di sinistra prendono atto che quella storia lì, cioè la possibilità di costruire una politica riformatrice prevalentemente dal governo con un'alleanza tra forze diverse, è finita. Perché sia una fortuna dobbiamo cambiare il gioco e dire che il centro del nostro interesse è costruire una sinistra. Non più trovare una risposta qui e ora al tema dell'efficacia attraverso alleanze e governo ma di ritrovarla più avanti nel tempo costruendo un nuovo soggetto politico di sinistra.
Ma in campagna elettorale questa proposta non rischia di essere poco credibile?
No, perché se facciamo la campagna elettorale dando l'idea che la Sinistra arcobaleno è un cartello elettorale non rispondiamo al tema dell'efficacia. E' invece un investimento a redditività differita, facciamo una cosa oggi aspettando un risultato domani. Chiedo di votarci in primo luogo per aiutarci a fare una sinistra di alternativa. Non tanto e non solo per come stiamo in questa competizione elettorale ma per costruire la vera novità: un soggetto unitario e plurale della sinistra che oggi in Italia non c'è e domani ci deve essere.
Ma dov'è l'elemento di discontinuità? Proponi comunque un soggetto politico pensato dall'alto.
Non ci giriamo intorno: senza un protagonismo dei partiti il soggetto non si può costruire. Prc, Pdci, Sd e Verdi sono un serbatoio di storie, conoscenze, esperienze e lavoro politico imprescindibile. Ma accanto ai partiti ci sono almeno altre due componenti. Una è la sinistra «diffusa»: associazioni, movimenti, giornali, club, centri sociali, che sono già organizzati ma che non si riconoscono nelle forme dei partiti. Non perché sia qui, ma uno dei pochi momenti di gioia in questa campagna elettorale è stato quando ho letto la vostra prima pagina che annunciando le edizioni del lunedì diceva: «Noi ci siamo». E' un impegno che vorrei si moltiplicasse. La terza componente è una sinistra «potenziale», fatta di componenti sociali, culturali o civili che oggi sono impedite a collocarsi in politica per il suo linguaggio o per la sua natura.
Per esempio?
Il primo e il più grande sono gli operai, che sono uno dei drammi di questa vicenda elettorale. Il giorno dello sciopero dopo la strage della Thyssen Krupp in piazza era apprezzabile anche fisicamente una distanza enorme. I fischi al segretario della Fiom, impegnato tra l'altro nella lotta contrattuale, rendevano evidente che non si trattava di fischi «politici» - Non ci piace questo sindacato ma ce ne piace un altro -. Fischiavano perché i cancelli della fabbrica che il '68-'69 aveva aperto si sono chiusi. Il «noi» della fabbrica comunque declinato - noi classe operaia, noi comunisti, noi Fiom, noi Cgil, noi sindacato dei consigli, noi rivoluzionari - per la prima volta era un noi chiuso: noi operai che rischiamo di crepare diversamente da tutti voi che avete un'altra vita e state da un'altra parte. L'abbattimento di quel muro per me è necessario perché lo conosco da vicino ma ce ne sono altri. Penso che ci siano tantissimi «territori» potenzialmente di sinistra - per esempio la cultura ambientalista o femminista - che vivono un processo di sfruttamento e lo criticano ma non sono in condizioni di mettersi a disposizione di un progetto politico.
Però la rappresentanza della contraddizione operaia a fronte di scarsi consensi della sinistra al Nord non pone un problema vero?
In un certo senso non è mai stato vero. A Brescia potevi avere la più radicale lotta operaia e contemporaneamente il voto alla Dc. Negli anni '80 a Brescia o a Bergamo molti iscritti alla Fiom votavano Lega. Tuttavia il tema esiste anche in rapporto al Pd: esiste o no oggi una possibile interpretazione di classe della società? Esiste o no una formazione economica e sociale su scala mondiale che può essere chiamata capitalismo non come un'invettiva ma come l'interpretazione della società? Io penso di sì. Secondo: questo capitalismo tende alla mercificazione e all'annichilimento degli spazi di libera scelta e di autogestione più di quello precedente? Io penso di sì. Terzo: esiste ancora su scala mondiale e locale una contraddizione fra capitale e lavoro? Ancora sì, e questo è un punto cruciale per la costruzione della Sinistra arcobaleno: questa nuova soggettività politica deve entrare in conflitto con il modello economico sociale e deve fare dell'alternativa ad esso il suo elemento paradigmatico.
Rovesciamo la prima domanda: c'è qualcosa che in un ipotetico governo di sinistra varrebbe la pena rifare?
Fra le cose fatte ce n'è una che difenderei: la politica internazionale. Naturalmente è stato un compromesso, però lo difendo: dal ritiro delle truppe in Iraq fino al Libano e alla politica in Medio Oriente, a un Atlantico un po' più ampio, al riconoscimento di ciò che avveniva in America latina e in Africa via via fino alla cosa che soffro di più come il continuamento della presenza in Afghanistan. Anche lì la conferenza di pace ha offerto uno spiraglio...
...E il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo?
No. Qui penso che sia un errore e basta, che però condividiamo con tutta l'Europa e che è la conclusione di un ciclo drammatico che ha prodotto una neobalcanizzazione drammatica. Diciamo che è un errore che conclude un itinerario di errori. Però sostanzialmente la politica estera dell'Unione io la difendo. Purtroppo non abbiamo raggiunto lo stesso compromesso sul terreno economico-sociale e su quello dei diritti, basti pensare che in politica economica è tornata la logica dei due tempi. Non è che critico un provvedimento piuttosto che un altro, è proprio l'ispirazione complessiva che non ha funzionato: sulla precarietà, sulle pensioni, sui salari. Noi abbiamo cercato il compromesso, ma anche sui diritti civili è andata male.
Prima parlavi di un muro da abbattere tra operai e la gente che sta fuori. Ma non c'è un muro da abbattere anche tra i partiti e gli elettori? Se le parole chiave di questa nuova sinistra sono rinnovamento e partecipazione dove le vediamo? Le liste sono formate esclusivamente dai partiti, i gruppi dirigenti sono sempre gli stessi, tu stesso fai politica da molti anni per costruire questo soggetto unitario. Non credi che ci sia un deficit di credibilità?
No. Un deficit di credibilità no, un processo faticoso sì. Per favorire il rinnovamento ognuno deve dare il suo contributo e il mio lo vedrete tra 40 giorni.
E' una notizia?
No. Lo sapete tutti che ho scelto di non avere nessun incarico di direzione in questo nuovo soggetto. Proprio perché penso che non solo bisogna fare un rinnovamento generazionale, che pure è necessario, ma anche cambiare le forme di organizzazione. Adesso noi siamo in un imbuto e facciamo il fuoco con la legna che abbiamo. Lo dico chiaro già da ora: queste liste elettorali non saranno convincenti. Chiedo uno sforzo di comprensione al popolo, a tutti: «Siate generosi». Perché non c'è un terreno più infido e più complicato di quello della rappresentanza, lo sappiamo bene. Questo vale per tutti ogni volta che si deve formare un organismo dirigente. E non è una giustificazione. Quando diciamo innovazione dobbiamo essere pronti. E' curioso che molti di noi che hanno alle spalle una storia di critica delle forme di organizzazione non genericamente della politica ma del movimento operaio e della sinistra lo hanno fatto quando queste organizzazioni erano forti e possenti. E oggi che bisognerebbe lavorare ad una ricostruzione della sinistra questo elemento critico viene un po' dimenticato. In questo passaggio così difficile chiedo uno sforzo di generosità, è comprensibile che quando si mettono insieme i soci fondatori vengano un po' tutelati. Non è bene che la formula «bombardate il quartier generale» venga invocata dall'alto ma in ogni modo penso proprio così: che bisognerebbe che ricominciasse subito un'altra storia. Che cioè già in campagna elettorale si costituissero non dei comitati elettorali ma i comitati per la Sinistra arcobaleno. Spero che si possano aprire «case della sinistra arcobaleno» già in queste settimane, anche facendo sì che le sedi dei partiti vedano sovrapporsi al proprio simbolo un altro cartello e un'altra forma di partecipazione. Una volta sofferta la composizione delle liste, piuttosto che recriminare affoghiamola moltiplicando i luoghi della partecipazione. Insomma dobbiamo davvero aprire una fase costituente.
Non è però un problema solo di liste elettorali. Non si può ignorare che nella sinistra arcobaleno convivono oggi prospettive completamente diverse sul suo futuro. Almeno tra i Verdi e il Pdci. Come rispondi a questo problema?
Le resistenze vanno battute ma i voti vanno presi. Questa operazione non sopravvive e non decolla se non ha un risultato elettorale. Quindi intanto pancia a terra avanti come siamo. E' indispensabile all'impresa, lo dico a tutti. Ma poi penso che questo soggetto unitario va fatto. Voglio rispondere a chi solleva il tema dell'identità anche se non lo condivido nelle sue forme. L'identità è comunque un problema reale se il processo è vero, aperto e inclusivo. Se invece si fa un'operazione asettica di pura razionalità politica sbagliamo. Il problema della costruzione di un popolo è anche il problema dei simboli e dunque fa parte del processo costituente. Quindi: il massimo di apertura e contemporaneamente il massimo di determinazione. Le resistenza vanno battute. Il chi ci sta è decisivo. Io sono perché ci siano tutti, anche di chi è più lontano da me. Ma poi la battaglia politica deve essere aperta e a tutto campo. Non ci sono recinti e depositi privilegiati per la costruzione di questo soggetto.
A proposito di identità e prospettive. Tremonti e la Lega affrontano la crisi della globalizzazione con una chiusura nazionalistica. Da 120 anni la sinistra ha una visione opposta. Oggi?
Schematizzo al massimo. Della destra tutto si può dire tranne che non sia dotata di realismo. Siccome la crisi c'è e deve difendere interessi reali risponde brutalmente con una nuova combinazione di liberismo e populismo che è il protezionismo. All'ingrosso: liberisti nei rapporti economici, protezionisti nei rapporti tra stati. Ma il Pd a sua volta fa un'operazione di sistema. Dallo scioglimento del Pci a ieri c'è stata una controriforma graduale e non dichiarata ma sempre collocata a sinistra. Oggi invece è indicativo che la parola «sinistra» venga cancellata anche nel nome. Non è maquillage, quella di Veltroni è un'operazione che va presa sul serio. Sempre quando la sinistra è in difficoltà diventa aristocratica e sottovaluta i problemi. L'abbiamo fatto con Berlusconi ora rischiamo di ripeterlo con Veltroni. Quello del Pd è un riposizionamento vero: è la richiesta di cancellazione del conflitto. Sia sul terreno della lotta di classe che in quello del lavoro. Il conflitto viene cancellato come se fosse un fraintendimento dei vari portatori di interessi. Dunque lo schema di destra è comunitario-protezionistico, quello di centrosinistra è la dissoluzione delle fisionomie sociali e dei diritti. Di fronte a queste due ipotesi di «sistema» la sinistra è alternativa alla prima e critica con la seconda.
Perché vi alleate con il Pd nelle città? In una battuta: è meglio Rutelli sindaco di Veltroni premier?
Noi dobbiamo valorizzare le autonomie e ripensare un sistema elettorale in cui ci sia autonomia di movimenti, soggetti politici e realtà sociali. In questa prospettiva i corpi intermedi - sindacati, associazioni, il volontariato ma anche gli enti locali - hanno una grande rilevanza. Ma per quale ragione dovremmo privarci del governo delle città?
Forse perché Rutelli ha già chiarito che un albo delle unioni civili a Roma non lo farà mai. La critica che fai al governo Prodi non rischi di replicarla domani in cento città?
E' un rischio ma è anche la possibilità di aprirsi spazi significativi. Pensiamo a Napoli. Dal governo locale possono venire aperture a spazi di organizzazione nella società molto significativi, poi naturalmente mi si può dire: ma che politica urbanistica fai? Che politica dei trasporti fai?
Il governo locale è più permeabile di quello nazionale?
Sì. Anche per un'esperienza finita così male come quella del governo Prodi. Porsi il problema del governo è indispensabile, perché se da un lato c'è il rischio dell'omologazione dall'altro c'è quello di chiamarsi fuori, in forme politiche non dico estremistiche ma semplificate e banali, che non fanno i conti con la durezza e la complessità della mediazione. Puoi riuscirci o no, ma quel cimento è obbligato.
C'è il rischio che questa formazione della sinistra appaia una cosa vecchia. Di cultura si parla poco in questa campagna elettorale. La Rai, la televisione, è il veicolo attraverso il quale si è formata anche una cultura, disastrosa, dell'Italia. Oggi l'unica cosa a cui si pensa è sganciarla dai partiti e privatizzarla. Voi a quale tv, a quale Rai, pensate?
Questo campo pone una questione davvero cruciale: il problema della costruzione di un senso comune, che possiamo anche chiamare la questione dell'egemonia. Su questo abbiamo accumulato molti ritardi. E una delle ragioni è la scomparsa di luoghi di ricerca comune e di formazione sui grandi temi di fondo della società. La politique d'abord ci ha massacrati. Bisognerebbe creare una scuola, un diavolo di luogo dove si possa organizzare e pensare sistematicamente, perché scuola, radio e televisione, nuovi strumenti di comunicazione, nuove produzioni di arti e di cultura, obbligano a ripensarci organicamente. Penso che, come per la scuola, il tema della ridefinizione di una missione della tv è fondamentale; tutte le discussioni in cui spesso ci avviluppiamo - tre, quattro, cinque reti - contano poco. Persino la contesa con Mediaset - rischio di apparire un bestemmiatore - conta poco quando il linguaggio è unificato e non si distingue più un programma del servizio pubblico da uno di Mediaset. Per la Rai bisogna aprire una discussione sulla sua missione, marcandone sia nel contenuto che nel contenitore il carattere di spazio pubblico. E in questo caso continuo a pensare che la forma migliore sia il più vicino possibile all'autogoverno. Se tu mi chiedi: chi governa la Rai? Ti dico: chi ci lavora. Ma se tu mi chiedi che i partiti si ritirino, sono disposto solo a favore dei lavoratori. Sennò perché devo liberarmi?
Proprio il 13 marzo avete indetto un sit in di fronte alla Rai.
Se dobbiamo andare a viale Mazzini per chiedere un minuto in più è meglio stare a casa. Invece vogliamo marcare il carattere di servizio pubblico, e dentro questo spazio chiediamo una complessiva capacità di informare sottratta al vizio di una logica duopolistica.
Hai detto che la sinistra si deve porre il tema dell'uguaglianza. Fai quattro proposte secche per stabilirla una situazione di stagflazione, di recessione. Qualcosa che vi distingua dagli altri partiti.
La prima è l'aumento dei salari, degli stipendi e delle pensioni. Cosa a cui va attribuita un'importanza grandissima. Uno più importante di me diceva: contro i padroni aumento dei salari. Io dico: contro la recessione aumento dei salari. Salari, stipendi e pensioni sono così bassi che il loro aumento determinerebbe una possibilità di spesa immediata e in qualche modo questo risponde insieme ad un criterio di giustizia e a un criterio di domanda. Secondo: in alternativa alle grandi opere, che rischiano di suggestionarci anche dal punto di vista dell'occupazione, proponiamo un grande programma di opere pubbliche costruite al contrario: mettere a sistema la difesa idrogeologica del paese, costruire le case popolari. Un intervento di civiltà, di valorizzazione ambientale e di beni comuni come il patrimonio artistico-culturale. Cioè non un'operazione di devastazione ma di arricchimento di risorse che sono anch'esse un argine contro l'impoverimento, dall'acqua fino agli asili nido. Terzo, l'energia: al contrario del nucleare e del carbone, vogliamo accompagnare quello che sta già accadendo nel paese. A Milano si costruisce un nuovo Politecnico tutto in funzione dell'energia solare. Quanti progetti come quello possono essere avviati in Italia? Quarto, il salario sociale: l'idea di una dotazione in denaro e in servizi per i giovani che entrano nel marcato del lavoro, siano essi disoccupati o precari, che li accompagni nel mercato del lavoro.
Negli ultimi mesi della legislatura Rifondazione si è concentrata molto sulla legge elettorale. Tanto che tu stesso dopo il 20 ottobre hai aperto a un governo istituzionale anche con la contrarietà delle altre forze della sinistra. Qualcuno ha sospettato che questo abbia per esempio rallentato la discussione di alcune leggi in parlamento come il conflitto d'interessi e la Gentiloni.
No, le calendarizzazioni le decide il governo e alla fine il governo ha deciso di non affrontare la Gentiloni, o il conflitto d'interessi perché ha pensato di non avere la maggioranza in senato, cosa poi verificatasi. Quanto alla domanda: quello che succede oggi mi dà ragione e in questo ti rispondo a mio nome, non come rappresentante della Sinistra arcobaleno. Se oggi avessimo avuto una legge simil-tedesca, avremmo una competizione pulita invece che una pulsione al 'voto utile'. In nome della quale si produce una cosa terribile, per cui se parli con una persona sul piano dei contenuti ti dà ragione - salari, ambiente, diritti degli omosessuali. Poi gli chiedi: per chi voti? E ti risponde «chi vince», come in una partita di calcio. Avessimo avuto una competizione alla tedesca, non si dava il premio di maggioranza e dunque l'argomento del «voto utile» cadeva in sé.
Nelle forze della Sinistra arcobaleno sulla legge elettorale siete divisi. Il prossimo governo però farà comunque una riforma. Come farete a restare uniti?
Adesso il tema dell'alleanza in coalizione è derubricato per scelta del Pd. Dunque ora la riforma è una scelta tra due direzioni: una presidenzialista e bipartitica, l'altra verso la centralità dei partiti in una repubblica parlamentare e proporzionale. Ho buone ragioni di pensare che la Sinistra avrà una scelta quasi obbligata.
Come spieghi la significativa assenza di movimenti in questo inizio di campagna elettorale per un partito che per un certo periodo pensava di essere un partito-movimento?
I movimenti, secondo me, vivono una fase di difficoltà per molte e complesse ragioni. Del resto tutto questo lungo ciclo ci ha abituati ad un andamento diversificato, in cui si producono grandi, fortissimi momenti di conflitto e anche di tensione verso l'unità. Penso al movimento degli studenti francesi contro il Cpe (il contratto di primo impiego, ndr), vittorioso, che viene da un grande successo come la vittoria del referendum contro il trattato europeo, e poi vai alla competizione elettorale e sei massacrato da Sarkozy. E' imprescindibile che la costruzione della sinistra alternativa si misuri con i problemi dei movimenti, con un approccio che è quello del rispetto dell'autonomia ma anche della costruzione di forme di relazione e di un processo di tendenziale unificazione. Pensiamo alla Fiom: è presente in tutti i movimenti. In Val Susa contro la Tav c'era, a Vicenza c'era, nei cortei per la pace c'era. Poi però quando c'è il contratto dei metalmeccanici è sola e il reciproco non si vede. Mettiamola così: mi pare un problema complesso, un limite della sinistra. Si riconoscerà però che anche al governo e con tutte le difficoltà, tranne in un caso controverso, il grosso della Sinistra arcobaleno è stata nettamente con i movimenti.
Parlando di partecipazione, ti faccio l'esempio della Sinistra europea. Lì dentro c'è un'innovazione e un'apertura reale però poi la linea da tenere rispetto al governo viene decisa solo nella segreteria di Rifondazione. Chi partecipa alla sinistra arcobaleno poi dove va a finire?
Hai ragione. Questo processo contiene molte contraddizioni e molti limiti. Ognuno di noi è in grado di misurare le proprie impazienze e io stesso ne conto più d'una. Quel percorso ha dato luogo a un'aggregazione di forze interessanti che però non siamo riusciti a fluidificare in un rapporto stringente con il partito.
Visto che auspichi un soggetto unitario non pensi che le riunioni volanti tra i leader dei vari partiti debbano essere rese permanenti o istituzionalizzate?
Si aprirà fra pochi giorni a Roma una sede della Sinistra arcobaleno: mi piacerebbe che non fosse solo un comitato elettorale. Lo dico a chiunque, associazione o giornale, etc, è interessato a questo percorso unitario: va lì e occupa una stanza, perché proprio è un processo - secondo me - che deve prodursi e gemmare. E poi certo, sarebbe opportuno che si producesse subito un grande evento, un'assemblea di tutti coloro, partiti e non, che si prendono l'impegno di costruire la Sinistra arcobaleno al di là della campagna elettorale. Un'assemblea autoconvocata per provare a dire dove vogliamo andare.
Sessant'anni fa, nel '48 e sempre in aprile, ci fu una sconfitta pesante del Pci e del Psi. Però si ripresero. Ove ci fosse una sconfitta, cosa che speriamo di evitare, secondo te ci sono le forze per reagire?
Credo sarebbe molto dura. Sono convintissimo che la Sinistra arcobaleno debba nascere come una necessità. Però temo anche il rischio - che c'è in tutta Europa - della scomparsa della sinistra politica dalla panorama politico e culturale. Non che questo cancellerebbe i movimenti, le tensioni critiche, l'anticapitalismo, ma che non siano più presenti sulla scena della politica. Una sconfitta temporanea rischia di portarci a una devastazione di lungo periodo. E' questa la mia risposta a chi parla di voto utile. Da un lato costruire questa sinistra dentro e oltre le elezioni è una necessità storica. Dall'altro è l'unico modo per condizionare il Pd a una relazione con la sinistra. Il voto per noi è doppiamente utile.
Se uno dovesse fare una previsione oggi su come vanno queste elezioni finisce con un quasi pareggio in senato e una situazione di ingovernabilità che, come dicono spesso sia Veltroni che Berlusconi, porti a una legislatura di transizione.
Mi pare una tesi arbitraria da sconfiggere politicamente. E' stata messa in campo per preparare una sorta di union sacrée post-elettorale e mettere il paese di fronte all'inevitabilità di un'alleanza per le riforme tra Pd e Pdl. Anche nel suo versante più dolce sarebbe una specie di governo istituzionale che tuttavia nelle nuove condizioni avrebbe l'obiettivo di istruire un regime, cioè un taglio delle ali fatto per via istituzionale e non per il voto. E quindi chiedo a Veltroni e Berlusconi: se volete costruire un regime ditelo subito, passate attraverso il consenso e non nascondetevi dietro al pareggio. Se così fosse potremmo batterci politicamente. Se invece queste riforme non dichiarate si vogliono fare dopo il voto vanno contrastate sul terreno della democrazia e quindi chiamando fin d'ora tutte le forze democratiche a una sorveglianza, perché il pericolo che prima veniva indicato della scomparsa della sinistra qui verrebbe perseguito attraverso un'operazione autoritaria istituzionale che chiederebbe davvero una mobilitazione democratica di tutti i cittadini.