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Roberto Zanini
Spie come loro
6 Dicembre 2005
Scritti 2004
Democrazia irresponsabile, potrebbe essere il sottotitolo di questo editoriale de il manifesto del 24 luglio 2004. Hanno scatenato una guerra che ha sconvolto il Medio Oriente e ha gettato veleni sul futuro del mondo basandosi su infoirmazioni sbagliate, eppure non hanno colpa. Poveri noi

Lo sapevamo anche prima, ma vederlo nero su bianco fa un certo effetto. Nel giro di pochi giorni, tre differenti commissioni d'inchiesta dei paesi che hanno fisicamente raso al suolo l'Iraq hanno detto che la guerra è stata fatta per sbaglio. Saddam non aveva le armi letali. I paesi sono Stati uniti, Gran Bretagna e la mai abbastanza citata Australia. I rapporti della commissione bipartisan del Senato americano, della commissione Butler britannica e della commissione Flood australiana hanno analizzato lo stesso materiale, sono stati presentati nello stesso momento, sono arrivati alle stesse conclusioni. Non sono che tragiche fotocopie di una certezza talmente diffusa da diventare scontata e di conseguenza inservibile: l'Iraq era un pretesto, uno stato di guerra permanente l'obiettivo, il ritorno alla legge naturale dell'uccisione altrui la conseguenza.

La più curiosa coincidenza dei tre rapporti è quella di dare tutta la colpa agli agenti segreti e nessuna ai leader politici che hanno adoperato le loro informazioni - e che hanno commissionato le commissioni d'inchiesta. La minaccia d'antrace sventolata da Colin Powell all'assemblea generale dell'Onu era una panzana, l'argomento chiave di Blair che l'Iraq potesse esplodere un colpo mortale in 45 minuti era falso, le informazioni del ferino primo ministro Howard sull'arsenale di Saddam erano «deboli, ambigue e incomplete», insomma nessuno sapeva un accidente. Ma ciò è da attribuirsi a spiate andate a male, alla perfidia levantina delle fonti, alla venalità degli informatori a pagamento, all'incapacità occidentale di origliare compiutamente in lingua araba, alla burocrazia statale scampata al reaganismo che non connette i computer del Fbi con quelli degli aeroporti. Per nessun motivo è colpevole chiunque abbia fatto uso di tali spiate. Ciò ha una sola naturale conclusione: tutti e tre i presidenti in questione hanno dichiarato di aver fatto bene a combattere, tutte e tre le commissioni hanno raccomandato di spiare di più e di spiare meglio.

Con disinvoltura omicida viene rovesciato l'argomento logico secondo il quale, commesso un errore e accertato che se ne è accorto l'intero pianeta, si cerca di porvi rimedio. In breve tempo e con pochi brividi i tre paesi che hanno avviato il viaggio di ritorno all'età della pietra si sono invece congratulati con le proprie strutture democratiche formali. Esse sono capaci con tutta evidenza di individuare i propri errori e rappresentano pertanto un bene di qualità superiore che si ha il dovere di esportare. Invece di fucilare il capo delle spie e il presidente, negli Stati uniti elettorali si è persino acceso un dibattito che propone alternativamente un unico zar allo spionaggio interno ed estero oppure la frammentazione dei servizi segreti perché si bilancino tra loro, ovvero allungare il mandato al capo della Cia per sottrarlo agli equilibri politici del momento o infine accorciarglielo per farlo dipendere di più dalla Casa bianca e dal congresso. Tutte le proposte prevedono un solido aumento delle risorse per l'intelligence. C'è un dividendo anche per le cattive azioni.

Nessuno sembra sfiorato dall'altro argomento, del pari logico, che è forse la politica e soprattutto la politica estera l'arma migliore contro il nemico esplicito che i guerrieri affermano di combattere, cioè il terrorismo. Il quale è una tattica, non una persona. Non esiste un numero finito di terroristi nel mondo, non è cacciandoli uno a uno che se ne esaurirà la spinta, l'esercizio del ruolo di poliziotto globale assoluto è nel migliore dei casi velleitario, nel peggiore fascista.

Cosa altro serve per indignarsi? La guerra in Iraq ha il valore inaugurale di un evo contemporaneo nebuloso ma certo spietato. E l'indignazione, manifesta e su larga scala, è forse la nostra sola garanzia di futuro.

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