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Lodo Meneghetti
Soprintendenze sì e no
20 Marzo 2014
L’attacco alle soprintendenze ritenute custodi di un radicalismo conservatore ...>>>

L’attacco alle soprintendenze ritenute custodi di un radicalismo conservatore ...>>>

L’attacco alle soprintendenze ritenute custodi di un radicalismo conservatore impedimento all’attuazione di certe opere necessarie allo “sviluppo” (ah…la parolaccia) non è una novità odierna. Che consisterebbe invece nel sorprendente (non per me) articolo su Repubblica di Giovanni Valentini, partecipe di quell’attacco. Mentre, commenta Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano, 13.03.2014, in eddyburg stessa data, giornalista e giornale sembravano da sempre schierati fra i difensori dell’articolo 9 della Costituzione (La Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione).

Era stato Valentini, dieci anni fa, a coniare felicemente il termine Malpaese da sostituire a quello di Belpaese diventato oramai incresciosa falsificazione dello stato reale dell’intero territorio nazionale. Come disse il comico, “del Belpaese resta solo il formaggio”. Eppure, allora, Valentini apparteneva al folto gruppo di sostenitore del progetto Niemeyer per l’auditorium di Ravello, contro la costruzione del quale si era mobilitato eddyburg con diversi articoli del direttore, degli opinionisti e dei frequentatori. Valentini lasciò il peggior compito a Mario Pirani, a quel momento rappresentativo della posizione del quotidiano e guida coi suoi articoli di una campagna di inaudita violenza verbale contro gli oppositori al progetto, in prima fila Italia Nostra. Pirani non si degnò di rispondere alle nostre lettere, né a quella, accorata, dello storico dell’architettura Giulio Pane, nemmeno pubblicata dal giornale.

E la soprintendenza? Silenziosa davanti al decisionismo del municipio sostenuto anche dalla Regione, dal Comune di Napoli e da tanti nomi (anche non belli) della cultura, del giornalismo, del management, tutti insofferenti della legalità: infatti il caso di Ravello si segnalava per due ragioni: non solo l’opera danneggiava gravemente la funzionalità e la bellezza di un ambiente già di per sé piagato dall’eccesso di edificazione, ma violava le regole urbanistiche esistenti. Scrisse nitidamente Salzano nell’editoriale del 19 gennaio 2004: “È impressionante come la legge venga considerata come qualcosa che si può ‘correggere’ o magari semplicemente ‘interpretare’ purché l’opera bella prevalga. Amici, maestri sono spaventato. Perché la logica è quella stessa di Berlusconi” (in Archivio di eddyburg 2003- 2013, Eddytoriale n. 35, 19 gennaio 2004).
L’anno successivo un gruppo di architetti italiani diffonde un appello articolato lungo due linee di protesta. La prima, una lamentela contro gl’incarichi assegnati ad architetti stranieri. La seconda, un’accusa sconcertante alle soprintendenze di essere soprattutto esse responsabili del mancato “sviluppo in Italia della nuova architettura”. E quali sarebbero state le “molte opere significative rimaste sulla carta a causa del diritto di veto dei soprintendenti”? Non riuscivo allora né riesco ora a compilare una lista di eloquente numerosità. Sarebbe facile, al contrario, stenderne una assai corposa, cominciando da ben prima del caso di Ravello, non delle interdizioni bensì delle corrive concessioni. In settant’anni è passata nel nostro paese una specie di terza guerra che ha devastato, distrutto, come in un ossimoro costruendo costruendo costruendo cose di ogni genere. Tutte estranee alla buona architettura e alla buona urbanistica.
In un tale disastro le soprintendenze, relativamente più forti e indipendenti nella prima fase della vicenda nazionale, hanno man mano palesato sempre maggiori debolezze e sudditanze davanti all’affermarsi dei poteri sempre meno democratici dei politici e degli amministratori locali: spesso lasciandosi stringere anch’esse nel cerchio di ferro dei favori e degli imbrogli gestiti dai proprietari fondiari e dagli imprenditori unitamente ai loro alleati nei governi e nelle amministrazioni di ogni livello. D’altronde l’autonomia dei soprintendenti lamentata allora dai disinformati firmatari dell’appello non esisteva più a causa dell’istituzione dei direttori regionali di nomina politica e dell’affermazione di un nuovo centralismo ministeriale. Per questo dobbiamo ricordare quei funzionari coraggiosi che hanno difeso i beni artistici architettonici archeologici paesaggistici… fino a che non hanno loro impedito di svolgere il proprio compito. Uno fra tutti Adriano La Regina, soprintendente alle antichità di Roma, inflessibile difensore della città come bene di tutti, odiato dai potenti e quasi costretto a lasciare la carica dieci anni fa. Eppure anch’egli aveva dovuto dolorosamente accettare quell’esorbitante, irrispettosa sistemazione dell’Ara Pacis secondo il progetto di Richard Meier.

I comportamenti delle soprintendenze non potevano non essere contraddittori, da un lato per l’impossibilità di unificare le valutazioni in un campo contraddistinto da centomila situazioni ognuna dotata di una propria specificità, da un altro per le diversità di formazione scientifica e culturale dei funzionari. Intanto i continui mutamenti dei quadri politici nazionali e locali e l’intrusione della politica di potenza in ogni interstizio dell’assetto democratico introducevano complicazioni inestricabili nell’esercizio della tutela. Così non potevano mancare le decisioni profondamente sbagliate, oltre che sul fronte delle concessioni, a mio parere di gran lunga preminenti, su quello dell’interdizione. Ho richiamato altre volte una delle prime contese a vasta risonanza inerente al progetto di Wright per il Memorial Masieri sul Canal Grande, oggi di certo dimenticata.

Mi permetto di riproporre qui la mia convinzione: “Si intendeva inserire un edificio di modeste dimensioni in un breve tratto della cortina lungo il Canale. Le istituzioni, locali e no, soprintendenza compresa, bocciarono il progetto, meravigliosamente (wrightianamente) ispirato alla storia e alla natura dei sentimenti. Erano accecate dal pregiudizio verso un’architettura moderna ritenuta comunque offensiva di un presunto inesistente stile del Canale: mentre la cortina, lo sappiamo, espone architetture di quattro o cinque secoli che è la forza della continuità e della partecipazione a una strada d’acqua a tenere insieme” (L’architettonica commedia di fine estate, in Archivio di eddyburg 2003-2013, 22 settembre 2005).

Milano, 18 marzo 2014

Riferimenti a miei altri articoli in Archivio di eddyburg…:
- La contesa di Ravello, 21 gennaio 2004
- La contesa di Ravello 2. Lettera aperta a Cesare De Seta, 3 febbraio 2004
- Pirani non docet, 7 maggio 2004
- Pirani fa rimpiangere Cederna, 25 maggio 2004

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