In vista l’allargamento dell’arteria esistente, ma la Provincia di Grosseto non ci sta - La Sat risparmierebbe più di un miliardo. I tempi però si allungano e sorge il problema degli attraversamenti
GROSSETO. I rilievi per cambiare il tracciato, a sud di Grosseto, li stanno facendo da mesi. Ora dal presidente della Sat, Antonio Bargone, arriva la conferma che, anche per le prescrizioni chieste dal Cipe, si sta lavorando per cambiare il tracciato dell’autostrada Tirrenica. Non più a monte dell’Aurelia, ma sopra all’Aurelia stessa, che sarà di fatto allargata e trasformata. Una rivoluzione che farà risparmiare a Sat più di un miliardo, ma che non va giù alla Provincia di Grosseto.
Il tratto è quello a sud della città di Grosseto, fino al confine con il Lazio, quello più pericoloso, dove ogni anno si contano i morti. A nord, dove i lavori sono iniziati a Rosignano, già è previsto che l’autostrada passi sull’Aurelia. Lo stesso avviene nel tratto laziale, fino a Civitavecchia.
In mezzo, nei Comuni di Grosseto, Orbetello e Capalbio, il progetto originario prevede un tracciato interamente a monte dell’Aurelia, con quest’ultima trasformata in strada-parco. Progetto che adesso Sat pensa di rivedere. Bargone ne aveva già parlato al Tirreno nell’aprile scorso: «Non siamo noi a voler cambiare il progetto - disse - ma è il Cipe che ce lo chiede. Anche se poi, passando sull’Aurelia, i costi complessivi scendono da 3,7 a 2,5 miliardi di euro».
Soprattutto all’altezza di Orbetello in origine era prevista una larga pancia del tracciato, che si allontanava parecchio dall’Aurelia. Una soluzione ritenuta dal Cipe troppo impattante sull’ambiente. «Prima di fare una scelta definitiva - ci disse ancora Bargone - la concerteremo comunque con le amministrazioni locali».
Ma, evidentemente, una gran concertazione non c’è stata. Visto che il presidente della Provincia, Leonardo Marras, saputo della nuova ipotesi taglia corto «È folle passare sull’Aurelia».
Le motivazioni sono legate soprattutto al gran numero di attraversamenti presenti: «A sud di Grosseto, fino al confine, ci sono adesso quasi cinquecento accessi all’Aurelia. Sono strade più o meno grandi, spesso semplici passaggi da un podere all’altro. Come si pensa di fare con 3-4 caselli? Da dove passano i residenti, gli agricoltori? Mica si possono alzare due muri e tagliare in due il territorio senza dare un’alternativa. Le altre strade, in quella zona, sono un labirinto».
I problemi sono più di uno. Da una parte ci sono aziende attraversate dal nuovo tracciato, dall’altra ci sono i tempi, che rischiano di allungarsi. Infine l’aspetto economico. E proprio su questo il presidente della Provincia ha le idee assai chiare: «Con un po’ di buona volontà una soluzione si può trovare, penso ad un tracciato che sia più basso di quello originale, ma comunque non coincidente con l’Aurelia, che resterebbe strada ottima per i collegamenti locali, con tanto di pista ciclabile. Non capisco perché lo Stato non debba contribuire alla realizzazione di un’opera come questa e si pensi di farla ripagare interamente dai pedaggi».
Contro la nuova ipotesi si scaglia anche l’Idv. Sia a livello centrale, con l’onorevole Fabio Evangelisti che annuncia un’interrogazione parlamentare, sia sul territorio: «Sono stati necessari - dice Mauro Pasquali, coordinatore provinciale - molti anni per arrivare a una conferenza dei servizi che mettesse d’accordo tutti e finalmente si era arrivati a un progetto preliminare condiviso. Oggi, invece, ecco una nuova ipotesi, senza la necessaria complanare (prevista per legge). Così anche i residenti, passati i 5 anni in cui saranno esentati dal pedaggio, dovranno pagare per ogni spostamento poiché senza alternative».
Postilla
Svolta nella pluridecennale vicenda dell’autostrada tirrenica. Il tratto maremmano è stato quello più a lungo contestato. Si sono susseguiti tracciati autostradali che tagliavano in vario modo le colline o le pianure maremmane. Le associazioni ambientaliste e gli esperti non legati alla potente SAT (Società autostrade toscane) hanno sostenuto la maggior convenienza, per i traffici di lunga percorrenza, di utilizzare l’esistete statale Aurelia correggendone il tracciato, sulla base di un progetto che l’Anas aveva già predisposto. Ma questo avrebbe impedito la “continuità autostradale”, e quindi obbligato la società privata a rinunciare a una parte dei pedaggi. Le ragioni degli oppositori al tracciato SAT e la forza delle associazioni che ne costituivano la base sociale hanno alla fine prevalso. Sembra che la SAT abbia ripiegato sulla soluzione fisica proposta dagli oppositori, e quindi sia disposta a modificare il tracciato utilizzando il tracciato (e l’area) dell’Aurelia. Meno impatto, meno occupazione di terreno, meno devastazione del paesaggio, meno soldi.
Una vittoria, da questo punto di vista. Con un “ma”. In questo modo gli abitanti che vogliono muoversi da un punto all’altro della Maremma sono obbligati a pagare il pedaggio. Si fa interprete di questo disagio il presidente della provincia di Grosseto, che si oppone alla nuova soluzione e vuole cjhe si torni alla soluzione dell’autostrada in sede proppria. Come se il consumo di suolo, spreco di risorse, impatto ambientale e distruzione del paesaggio fossero prezzi che un amministratore può accettare di pagare (di far pagare alla collettività di oggi e di domani). Insomma, il ricatto della SAT è questo: se volete il tracciato territorialmente corretto mi dovete concedere di recintare l’Aurelia. Un altro bene pubblico privatizzato.
Il ricatto si deve rifiutare. Bisogna accogliere la bocciatura del Cipe che ha indotto a scegliere il tracciato dell’Aurelia, ma bisogna ricontrattare con la SAT la concessione. Nel tratto maremmano l’autostrada deve essere aperta, chi l’attraversa non deve pagare il pedaggio; e non per solo 5 anni. Esistono certamente le modalità tecniche che lo consentono. Per lottare per questa soluzione bisogna che i difensori dell’interesse collettivo si attrezzino e sottopongano a un attento vaglio critico le convenzioni che Stato e SAT hanno stipulato. L’antico maestro Guglielmo Zambrini ci ha insegnato che con atti unilateralmente favorevoli alle società concessionarie lo stato si è spogliato perfino delle mutande, e che la costruzione di autostrade, in Italia, è per i privati un affare che produce laute e prolungate rendite, anziché onesti profitti imprenditoriali.