Il modello neoliberista si manifesta, nella città e nel territorio, in gravi forme di esclusione fisica, economica e sociale che provocano disagio generalizzato e frammentazione del tessuto urbano e sociale, minando il significato stesso di città. Per reagire al suo affermarsi e al consolidarsi occorre comprendere i fenomeni in atto e gli effetti, devastanti, delle politiche urbane e territoriali di questi ultimi decenni, mettere in evidenza le contraddizioni, le conseguenze negative e le bugie del neoliberalismo.
Il neoliberismo ha ben dimostrato di saper utilizzare e sfruttare la città, il capitale collettivo della città, per mantenersi.
Ha innescato la logica della concorrenza a tutti gli ambiti possibili, e l’avvio della competizione territoriale trova manifestazioni concrete attraverso la definizione di nuove istituzioni, la sperimentazione di nuove forme di governance urbana e l’elaborazione di nuove politiche, con la partecipazione di un’ampia gamma di attori locali, precedentemente esclusi dai processi di governo. Ha allargato la sua sfera d’azione inglobando nel circolo consumistico sempre più beni comuni che diventano quindi merci e ha adattato le città all’esigenza dell’accumulazione flessibile trasformando masse di lavoratori in precari e indebolendo la solidarietà di fabbrica. Non solo, ha controllato e controlla abilmente il capitale simbolico delle città, i cui elementi diventano potenti strumenti pubblicitari per i produttori di ambienti costruiti. Più autori sostengono che le città stanno diventando gli incubatori delle maggiori strategie ideologiche attraverso cui la dominanza del neoliberismo si mantiene, mobilitando lo scenario urbano per una crescita economica orientata verso il mercato e il consumismo.
In Italia poi, in modo del tutto particolare, il neoliberalismo (che il titolo di questa sessione definisce “straccione”) sfrutta in modo accentuato tutte le rendite di posizione (a cominciare da quelle immobiliari) che una politica incompetente lascia loro mietere a dismisura, e anzi accresce con scelte urbanistiche finalizzate alla “valorizzazione” delle aree.
Le profonde e sistemiche trasformazioni in atto nel territorio e nei suoi possibili usi, molteplici e conflittuali; l’insorgere di nuove istanze e temi che nascono dall’emergere di nuovi soggetti sociali e dal presentarsi di vecchi e nuovi problemi, bisogni, contraddizioni e valori; il superamento a tutte le scale dei confini amministrativi e nazionali dei processi economici ed ambientali in atto e quindi la stretta correlazione tra svolgimenti locali e globali, tutto ciò rende questa domanda di sapere e comprensione assai complessa.
Per dare un contributo in questa direzione, abbiamo scelto alcuni temi che riteniamo oggi centrali per provare a dipanare questa complessità e dai quali possiamo partire per ricominciare a riflettere e far convergere saperi ed esperienze provenienti dai diversi campi.
Il primo contributo, di Paola Somma, affronta il problema della sconnessione e frammentazione della città contemporanea neoliberista, e chiarisce come questa caratteristica sia al tempo stesso un requisito e un effetto delle varie forme di espulsione e segregazione. Queste separazioni, fisiche e sociali nel tessuto urbano, che scaturiscono dai comportamenti individuali ma anche dalle scelte della pianificazione e delle politiche pubbliche in generale, minano il significato e l’essenza stessa della città. Gli stessi programmi di rigenerazione e riqualificazione urbana hanno trasformato o ambito a trasformare le nostre città, o parti di esse, avendo come obiettivo una migliore vivibilità, qualità, sostenibilità ed integrazione, si sono resi responsabili di produrre separazioni e discriminazioni. Da una parte coloro che ne hanno beneficiato e dall’altro coloro che da questo ipotetico miglioramento delle condizioni dell’habitat sono stati esclusi, privati, emarginati, creando profonde disuguaglianze tra i segmenti della popolazione.
La casa, è uno dei più evidenti indicatori di diseguaglianze. Sono sempre di più le persone per le quali diventa difficile trovare un alloggio ad un prezzo commensurabile alle proprie capacità di spesa. Così come crescono coloro che hanno ricorso al mutuo per l’acquisto di una casa e poi si sono trovati in enormi difficoltà nel ripagarlo. Eppure avere un’abitazione è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, è un caposaldo di quel diritto alla città di cui si parla sempre più spesso. Nel corso degli anni ‘60 e ‘70 le lotte dei lavoratori avevano portato a risultati importanti, a riforme significative. Il problema della casa è appunto l’oggetto del secondo contributo. Mauro Baioni ci illustrerà come siamo arrivati a questa situazione, come oggi si declina il disagio abitativo, chi colpisce e come si configura la domanda e l’offerta di abitazioni. Anche attorno a quello che non sembrerebbe un problema, ma che invece lascia in difficoltà migliaia di famiglie, giovani e immigrati con un basso reddito, circolano falsità e ingenuità, che vanno superate con dati alla mano e ragionamenti coerenti. Ma non basta. Occorre, e Baioni ci aiuterà in questo, individuare alcuni cardini su cui impostare delle politiche della casa nuove, capaci di soddisfare i bisogni di una popolazione in trasformazione e di affrontare i problemi di una città che è sempre meno in grado di ospitare tutti.
Il terzo contributo, portato da Anna Marson, è un affondo su un’area geograficamente più circoscritta, cioè quella del Veneto, ma affronta al tempo stesso una questione più ampia, che non riguarda solo la città e il suo territorio, ma il futuro della società stessa. Raramente parlando di territorio e di quali trasformazioni per il futuro si riesce ad evitare una parola come “sviluppo”. Il Veneto, e tutta l’area padana, sono interessate da una serie di trasformazioni territoriali dominati da una idea di “sviluppo” che è risultato nefasto sia per l’ambiente che per le condizioni di vita dei suoi abitanti. E per “sviluppo del territorio” si intende, ancora, continuare la costruzione di strade, autostrade, raccordi e svincoli, capannoni, case e casette, piazzali, supermercati e centri commerciali – anche quando non servono, anche quando sarebbe possibile recuperare, riutilizzare, ri-urbanizzare aree già sottratte al ciclo della natura. La domanda che le abbiamo rivolto è proprio questa: è possibile una logica diversa nel governare il territorio e programmare le sue trasformazioni?
Per concludere questa sessione abbiamo portato una questione: quello del livello di pianificazione più adeguato per affrontare problemi e politiche, quelle della casa, dei trasporti, dei servizi, che non sono governabili all’interno dei singoli comuni. Essi, infatti, interessano spazi territoriali che vanno al di là dei confini amministrativi. Eppure, gran parte delle decisioni controllabili con la pianificazione sono racchiuse negli stretti confini della pianificazione comunale. Su questo tema alcuni elementi di riflessione ci vengono dal contributo scritto di Cristina Gibelli che avete in cartella, e che in sua assenza è qui brevemente presentato da Edoardo Salzano. Verranno illustrate le ragioni dell’importanza della pianificazione di scala intermedia e le difficoltà in cui si trovano oggi la pianificazione provinciale e le provincie in Italia. Così come non mancheranno i riferimenti ad altri possibili interlocutori e strumenti, sperimentati e praticati in Europa, utili per recuperare questo importante anello nel processo di pianificazione e governo delle trasformazioni delle nostre città e territori.