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Edoardo Salzano
Le conclusioni (2)
2 Marzo 2010
2009 Città bene comune, vertenza europea
Intervento conclusivo al convegno "Città bene comune; una vertenza europea"

Le basi del lavoro gettate dal primo gruppo di relazioni (quelle di Somma, Baioni, Marson, Gibelli) sono state davvero utili. Gli interventi delle camere del lavoro si sono riferiti ai temi trattati, sottolineandone questo o quell’altro aspetto sulle base delle concrete esperienze di lavoro. Ringraziamo tutti gli amici ce le hanno svolte e anno lasciato un materiale utile ai partecipanti, e non solo a loro. Per me è stata particolarmente interessante la serie degli interventi delle Camere del lavoro, poercè mi anno dimostrato quali frutti stia cominciando a dare il lavoro avviato dalla CGIL nel 2006, con l’iniziativa del seminario a Montesole. E mi sembra ce dagli interventi siano venute indicazioni sulk lavoro da fare n(sulle difficoltà incontrate, su nuive esperienze di coinvolgimento dei lavoratori e degli altri cittadini e abitanti, di esplorazione delle farie facce dell’organizzazione del territorio, sui conflitti e sui modi di gestirli. Far comunicare tra loro queste esperienze mi sembra un risultato molto utile di incontri come questo.

Naturalmente – e questo lo sapevamo in partenza – non abbiamo affrontato tutti gli argomentoi ce si pongono. E ce n’è uno ce è emerso dal dibattito e sul quale vorrei brevemente soffermarmi. É un tema importante, è un anello necessario nelle trasformazioni del territorio: quelle negative come quelle positive: le Imprese. Evocava il tema Alboresi, nel suo intervento di stamattina, quando parlava della necessità di “coinvolgere le associazioni d’imprese”; e vi accennava Pivanti, quando criticava il ruolo della cooperazione nella contrattazione delle scelte urbanistiche.

Mi veniva in mente un episodio significativo di molti anni fa. Roma, 1970, il sindaco Luigi Petroselli costruì un trasparente accordo con le imprese edilizie della capitale, che accettarono – per dirla schematicamente – di abbandonare la rendita per puntare solo al profitto. Accettarono di impegnarsi in una grande operazione di costruzione di edilizia pubblica e sociale lavorando sulle aree del Peep, previamente espropriate. Erano anni molto diversi da quelli di oggi. Allora erano i fratelli Agnelli, Gianni e Umberto, padroni della Fiat e di molto altro, che dichiararono che occorreva combattere la rendita fondiaria. Avevano compreso che la rendita è letale per la città, aumenta il prezzo della casa, accresce la congestione, incide sul costo della vita dei lavoratori e quindi sollecita fortemente le rivendicazioni salariali: se il salario spinge e devo cedere qualcosa, per non ridurre il profitto devo spingere a ridurre la rendita.

Tempi molto lontani dai nostri. Allora nella sinistra (e non solo) la distinzione tra salario, profitto, rendita era ben chiaro. Così il carattere parassitario della terza componente del reddito, e quindi la necessità di contenerla e ridurne gli effetti. La rendita non può essere eliminata da ciclo economico, dicono gli economisti. Ma può essere ridotta o accresciuta dalle politiche urbanistiche, e si può ottenere che una parte consistente di essa torni alla collettività – le cui decisioni e i cui investimenti la generano. Oggi, anziché proporsi di combattere l’appropriazione privata della rendita e ridurne il peso, la si considera (da parte di tutte le forze politiche dalla destra al centro ex sinistra) come un “motore dello sviluppo”. Ma la tendenza si può invertire, i danni del “briglia sciolta agli immobiliaristi” sono ormai evidenti.

Collegato a questo tema ce n’è un altro che è stato evocato: la questione delle risorse. Ragionare le sulle risorse è certamente necessario. Ma io non accetto che si dica “non possiamo fare i Peep, non possiamo espropriare le aree perché non ci sono risorse”. Non è vero. Le risorse ci sono per salvare le banche (e la cosa può avere una sua ragionevolezza), per realizzare opere inutili o assolutamente non prioritarie (pensiamo al ponte sullo stretto di Messina a livello nazionale, e al veneziano ponte di Calatrava a livello locale). Non è ammissibile che non ci siano per acquisire le aree necessarie per l’edilizia pubblica.

Ma veniamo al punto più importante delle conclusioni di un evento come questo bellissimo convegno (e ringrazio ancora molto tutti quelli che sono intervenuti, e la Camera del lavoro di Venezia che lo ha organizzato). Mi sembra che siano emersi temi da approfondire, con successive iniziative analoghe a questa, e azioni che si possono condurre.

I temi. Oscar Mancini proponeva di lavorare nell’immediato su due argomenti:

1. La casa, che è indubbiamente – oltre che un’emergenza – un nodo rilevante di quel complesso di temi che stanno all’interno di quello del diritto alla città. Quasi tutti gli interventi lo hanno ripreso, avanzando anche proposte interessanti (come quella di rilanciare la cooperazione a proprietà indivisa, come ricordava Pivanti). Nell’approfondire la questione abitativa, come qualsiasi altra questione, continueremo a non perdere di vista l’unitarietà delle questione urbana e delle politiche necessarie per ciascun suo aspetto.

2. I servizi pubblici, questione sollevata tra gli altri da Guietti, che costituisce un aspetto generalmente trascurato delle politiche urbane, e che invece è un tema centrale se si vuole che la città non sia una merce e che l’uguaglianze di tutti gli abitanti sia un requisito fondamentale da raggiungere. La battaglia contro la privatizzazione dell’acqua coglie uno dei settori che si vogliono sottrarre alle regole dei beni comuni, ma non l’unico.

Le azioni. Mi sembra che dagli interventi delle Camere del lavoro siano emerse esperienze di grande interesse, tutte ispirate a una visione nuova del sindacato. Un sindacato che si costituisce come cerniera tra il lavoro e gli abitanti della città e del territorio (Chiloiro). Un sindacato che utilizza i Consigli di zona e la Lega dei pensionati per conoscere il territorio, spiegarlo ai suoi abitanti, agire, mobilitare su di esso, senza timore di affrontare i temi caldi del rapporto tra popolazione indigena e immigrati (Pivanti, Alberini). Un sindacato che pretende di discutere i bilanci comunali e che si attrezza per spiegare ai cittadine quale truffa i governanti compiono quando fanno credere di regalare un nuovo ospedale e nascondono il prezzo che i cittadini pagheranno per la sua realizzazione (Castagna). Un sindacato che sa rivendicare la necessaria coerenza delle azioni sul territorio (Alboresi) e sa che “non c’è idea rifondativa della città se non sostenuta da un’idea di pianificazione contro la deregulation urbanistica” (Castronovi). Un sindacato che perciò non chiede di discutere il piano regolatore per dire la sua su questa o quest’altra previsione (come a Carpi), ma per capire a favore di chi è fatto, per quale tipo di sviluppo è disegnato, quali interessi serve e quali colpisce.

E mi sembra che sia stata giustamente sottolineata dalle esperienze la funzione educativa del lavoro compiuto sul territorio. L’informazione che viene ammannita è deforme, travisa la verità, nasconde le cose, gli interessi, le ricadute delle proposte di governo. Occorre far capire, negli interventi proposti e praticati nella città e nel territorio, chi paga e chi guadagna, come hanno fatto a Padova. Altrimenti chi combatte la mercificazione della città rimane in minoranza. Ferron raccontava che la vicenda della lotta contro la centrale termoelettrica di Montecchio Maggiore, che ha visto la CGIL promotrice del coinvolgimento di larghi strati della popolazione, a indotto i cittadini a cambiare lo sguardo verso il territorio ma supera l’atteggiamento che dal fatalismo (non si possono cambiare le cose), passa alla delega, e poi si trasforma in mugugno.

Il primo obiettivo, immediato, è rendere noto il lavoro che abbiamo fatto, e quello che c’è dietro, che qui è emerso: il lavoro compiuto dalla Camere del lavoro della CGIL. Cominceremo a farlo con gli atti del convegno, che Chiloiro si è impegnato a pubblicare tempestivamente (non appena tutti avranno mandato il testo del loro intervento). Del resto è un modo per raggiungere l’obiettivo che lui stesso proponeva. “fare della CGIL un luogo di riflessione, verifica, critica, proposta per uscire dal neoliberismo, luogo positivo per vivere la cittadinanza in tutte le sue dimensioni”.

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