«Al di là della meritoria fornitura di dati e servizi, quale sarà l’utilizzo politico-amministrativo che la Regione e gli istituti correlati intenderanno fare di questa risorsa? Il quesito è d’obbligo per diverse ragioni». 15 luglio 2015
Salvo minori aggiustamenti e test di affidabilità, la Regione del Veneto ha concluso l’aggiornamento della Banca Dati della Copertura del Suolo regionale al 2012 (CCS_2012). E’ significativamente migliorato il dispositivo geometrico e tematico della versione del 2007, ma sono soprattutto aumentate le possibilità di aggiornamento ‘aperto’ e a costi unitari inferiori. Non va sottovalutata la possibilità d’uso di dati ancillari in grado di qualificare i ‘poligoni di copertura’ e la prevedibile stesura di regole tecniche utili anche per altre Amministrazioni Regionali. CCS opera alla scala 1:10.000 con classificazione del territorio in 174 classi, in linea con la nomenclatura del progetto europeo ‘Land Cover’ (CORINE). Alla legenda di Classe 1 (urbanizzato) sono state aggiunte ulteriori 27 classi con miglioramento del dettaglio tematico, mentre le classi relative all’uso del suolo agricolo non registrano novità significative. Questo divario fra classificazione dell’urbanizzato e del non urbanizzato viene considerato un limite dagli stessi responsabili regionali, limite che dovrebbe essere superato in futuro acquisendo informazioni sulle modalità di copertura e sugli usi del suolo agricolo. L’aggiornamento è avvenuto con approfondimento tematico della CCS_2007 in riferimento ai ‘territori modellati artificialmente’ e con l’interpretazione a video delle ortofoto digitali a colori AGEA (2012). Si tratta di una risorsa preziosa e bisogna riconoscere il lavoro svolto negli ultimi 2 anni dalla Direzione della Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia. Ma al di là della meritoria fornitura di dati e servizi, quale sarà l’utilizzo politico-amministrativo che la Regione e gli istituti correlati intenderanno fare di questa risorsa? Il quesito è d’obbligo per diverse ragioni. Ne commentiamo alcune.
La prima riguarda le trasformazioni dello spazio fisico monitorabili a partire dalla copertura. Una serie temporale consente l’aggiornamento del quadro conoscitivo sulle morfologie di copertura urbane, rurali e miste tenendo conto della geografia regionale. Questo aggiornamento può aiutare a capire come i pattern di copertura derivino da diversi modelli di consumo di suolo e come questi reagiscano a fenomeni congiunturali e strutturali. Sono queste reazioni che determinano i cosiddetti ‘cicli territoriali’ utili per la pianificazione d’area vasta (come il Ptrc e sue varianti), ma anche a fini di programmazione della spesa regionale, nazionale e comunitaria. Uno stesso pattern di copertura può ‘nascondere’ infatti diversi modelli di uso del suolo, orientati alla integrazione di funzioni, alla riqualificazione del dismesso in zone ‘urbanizzate’ oppure alla ‘dismissione’ agricola mediante colture specializzate ed ‘energivore’, che trasformano la campagna in ‘residuo’ o in una vera e propria pattumiera. Com’è noto, questi modelli sono influenzati da comportamenti finanziari, economici, sociali e amministrativi di tipo locale e non locale che condizionano le analisi a loro favore. Se così non fosse, le inefficaci rappresentazioni degli ambienti insediativi o della SAU verrebbero abbandonate, così come l’utilizzo di termini come gerarchia urbana, policentrismo, gradiente fra compatto e diffuso e così via. La strumentalizzazione delle analisi condiziona il quadro di riferimento non solo della pianificazione d’area vasta, ma anche di quella locale. Il tema può essere approfondito spostandosi verso il consumo di suolo.
Se la copertura va interpretata tenendo conto della affidabilità ‘statistica’ dei poligoni di copertura (ovvero sulla base della loro capacità di ‘avvicinarsi’ ad una realtà percepibile, accogliendo anche informazioni spaziali ancillari, fornite da altre fonti), il passo successivo non può che riguardare la configurazione dei modelli di uso del suolo. Sono questi che danno senso alle analisi sul consumo di suolo, altrimenti prive di riferimento e vittime designate di indicatori semplicistici e fuorvianti tipo ‘ettari di SAU consumata pro-capite’ o ‘variazione in ettari di superficie ad urbanizzazione diffusa pro-capite’. Molti indicatori rappresentano ‘relazioni spurie’, ovvero attribuiscono un effetto parzialmente attribuibile (al numeratore) ad una causa (non esclusiva) al denominatore. Indicatori di questo tipo, oltre ad essere parzialmente consistenti, nascondono con la loro formulazione aggregata responsabilità, diseguaglianze e ingiustizie distributive. Non solo. I dati consentono di testare ipotesi più impegnative e raccogliere evidenze. Ne basti una in proposito.
Qualche anno fa, in una ricerca affidata dalla Regione del Veneto all’Università Iuav di Venezia, si è cercato di verificare se, quanto e dove la pianificazione urbanistica, quindi i piani approvati dai Comuni, contribuissero all’edificazione del suolo e al suo consumo irreversibile. I risultati furono sconfortanti, pur essendo agli inizi del regime della Legge 11/2004. Ma se l’indagine venisse riproposta oggi, utilizzando CCS_2012 emergerebbero evidenze e responsabilità ancor più gravi: un consumo di suolo sempre più selettivo (agisce sui terreni di maggior valore) e aggressivo nonostante le dichiarazioni di principio; una sostanziale indipendenza dell’attività edilizia rispetto alle dinamiche demografiche (queste misurate sulle famiglie piuttosto che sugli individui); una sua concentrazione in aree sensibili e un allungamento dei tempi di recovery delle esposizioni finanziarie. Quest’ultimo aspetto ha contribuito a ridurre il ruolo anticiclico del Piano casa nelle sue varie edizioni. Ma l’aspetto più drammatico è dovuto alla separazione fra pianificazione strutturale e operativa, in particolare a quello che potremmo chiamare ‘paradosso valutativo’.
Considerazione a parte merita la mobilità. E’ interessante notare come le variazioni di copertura registrate nel periodo 2007-12 abbiano intensificato il grafo stradale, migliorando l‘accessibilità nelle nuove aree servite, ma scaricando i flussi delle nuove partizioni sul sistema principale. I grandi progetti infrastrutturali (Pedemontana Veneta, prolungamento della PiRuBi verso sud e probabilmente anche verso il Trentino, circonvallazione di Mestre, gasdotti, ecc.) rispondono solo in parte al problema in quanto ostili a queste considerazioni territoriali.
Va detto che un grafo stradale aggiornato, descritto secondo le indicazioni del Codice della Strada e opportunamente caricato con i dati sui flussi ottenuti con le nuove tecnologie di osservazione della terra, consente di valutare le variazioni d’accesso ai luoghi, fenomeni di congestione dovute alle nuove funzioni o ai grandi progetti infrastrutturali, la stessa variazione delle geografie localizzative che tanto interessano il mercato immobiliare. Un esercizio interessante potrebbe riguardare la valutazione di una o più ipotesi ‘logistiche’ in termini di accessibilità ai cluster produttivi, con la creazione di punti di interscambio ferro-gomma di rango variabile.
Gli esempi potrebbero continuare, ma è evidente che la nuova Banca Dati proprio perché aumenta il potenziale conoscitivo e pianificatorio rischia di allargare il divario fra tecnica e politica e rendere più gravi le responsabilità politiche in materia di pianificazione e gestione del territorio.