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Marvi Maggio
Il diritto alla città e la pianificazione urbanistica. Proposte per Firenze, e non solo.
27 Luglio 2009
Tesi Ricerche Dissertazioni
Ricerca di applicazione al caso concreto di Firenze di alcuni principi dell’urbanistica, a partire da Henry Lefebvre

Il diritto alla città non è soltanto un diritto all’accesso di quanto già esiste, ma il diritto di cambiarlo. Noi dobbiamo essere certi di poter vivere con le nostre creazioni. Ma il diritto di ri - fare sé stessi attraverso la creazione di tipi qualitativamente differenti di socialità urbana è uno dei più preziosi diritti umani” (Harvey, 2003).

E' sempre più difficile trovare piani urbanistici che si propongano di dare espressione e collaborare a costruire il diritto alla città per tutti i gruppi sociali che ne sono sistematicamente esclusi. Gli obiettivi sembrano essere altrove.

In questo saggio propongo i primi elementi per costruire un piano urbanistico situato “in basso a sinistra” (come dicono gli zapatisti). Si tratta di una traccia e di proposte che sono l'inizio di un percorso da proseguire in modo autogestito e collettivo, un percorso in parte già iniziato da tutti i gruppi e i movimenti urbani che si oppongono alle trasformazioni urbane appiattite su una valorizzazione economica del territorio, a vantaggio di pochi e destinata a pochi.

La città da cui prendo le mosse è Firenze, città affascinante e difficile.

URBANISTICA: VALORE DI SCAMBIO O VALORE D'USO?

“… l’urbanistica degli imprenditori. Essi pensano e realizzano, senza nasconderlo, per il mercato, in vista di un profitto. La novità, il fatto più recente, è che essi non vendono più alloggi o immobili, ma urbanistica. Con o senza ideologia, l’urbanistica diventa valore di scambio” (Lefebvre, 1968)

Nel territorio del Comune di Firenze è in corso un processo di trasformazione, forse, senza precedenti. Dismissioni e riutilizzazioni, de-territorializzazione e ri-territorializzazione si succedono con celerità sempre maggiore. La sommatoria di interventi che saturano lo spazio rimasto libero insieme a quelli di grosse dimensioni, come quello dell’area di Castello o delle aree ferroviarie, ci restituiscono una situazione di grande cambiamento. Guardando dalle colline o arrivando da fuori quello che vediamo sono gru, tante gru Ma quale direzione sta prendendo questa grande trasformazione? Sta risolvendo la questione abitativa, nascosta per tanti anni dall’affermazione “siamo tutti proprietari”, per poi scoprire che sono 5.000 i nuclei abitativi che chiedono una casa di edilizia a prezzi sociali nel Comune di Firenze? E che tanti altri, come i 2.000 residenti nelle case occupate “abusivamente”, mostrano il loro bisogno in un altro modo e altri ancora, come gli studenti o più in generale i giovani, avrebbero di certo diritto ad ottenere una casa in affitto accessibile che consenta una autonomia dalla famiglia di origine.

Le aree urbane non edificate, comprese quelle destinate a servizi pubblici, la promessa non mantenuta, sono trasformate in aree edificabili[1]. E quello che si costruisce è presto detto: case in vendita, alberghi, centri commerciali, uffici e centri direzionali e in generale tutto quello che serve al turismo e che sfrutta la presenza dei nostri beni comuni: un eccezionale patrimonio storico, culturale e artistico. Il turismo è un settore che sta al primo posto in questa appropriazione privata di beni comuni ed è una delle ragioni dei prezzi così elevati di affitti e vendita dello spazio. Un ruolo i cui effetti sono aggravati dalle politiche promosse da tutti i livelli dell’amministrazione pubblica che, con la onnipresente ed onnivora motivazione dello sviluppo economico, si muovono per eliminare il poco redditizio “turismo dei poveri”, e per promuovere solo quello di lusso, senza verificare quale effetto abbiano i gusti dei ricchi sui beni culturali e ambientali da proteggere e senza considerare l’effetto sui prezzi di queste presenze. E dimenticando che la fruizione culturale dei beni comuni va garantita a tutti, è un diritto universale. Il rischio che Firenze si trasformi in una città di lusso, con negozi di lusso e residence di lusso è reale.

La trasformazione degli spazi a servizio pubblico (standard) in aree edificabili, è anche un indicatore del cambiamento di politica: dall’impegno nella predisposizione di elementi di “stato sociale”, seppur minimo in Italia rispetto ad altri paesi europei, alla creazione di nuovi mercati in quelli che erano servizi pubblici: acqua, istruzione, sanità, trasporti. Una classica politica neo-liberista.

Ma per capire cosa fare, vanno interpretati i meccanismi che determinano queste trasformazioni: sono meccanismi macro, la globalizzazione non meglio definita, oppure incontrovertibili meccanismi quasi naturali di “mercato”, contro cui non c’è molto da fare, e che ruolo ha l’amministrazione pubblica e lo stato, sono un osservatore privo di funzione o un attore attivo?

Come mai quel ruolo di promotore di valori d’uso e di risposta ai bisogni sociali, che nel dopoguerra qualche amministrazione pubblica ha assunto, oggi invece lo ricoprono privati cittadini riuniti in comitati oppure movimenti urbani di vario genere?

Il ruolo dello stato e della pubblica amministrazione di garantire servizi sociali ed attutire squilibri territoriali e problemi sociali derivanti dallo sviluppo, noto come “compromesso keynesiano”, ha progressivamente lasciato il posto ad altre politiche. Ora come allora si tratta di politiche molto attive: costruire le condizioni per profitti in cui la componente di rendita è sempre più elevata.

Molta della pianificazione urbanistica a cui ci hanno abituati le giunte di Firenze, si riduce alla registrazione da parte dell’amministrazione pubblica, delle proposte delle imprese immobiliari e di costruzione private: Baldassini - Tognozzi - Pontello, Consorzio Etruria, Spagnoli, Fratini, Margheri, Fondiaria, Astaldi, Giudici Costruzioni per citarne alcune[2]. Ma sarebbe erroneo pensare che manchi un disegno complessivo.

La prima impressione guardando ai vari piani in essere nel Comune di Firenze (innumerevoli varianti al PRG del 1998, Piano strutturale adottato e riadottato, piano strategico) è che ci si trovi di fronte ad un laissez faire unito ad un sostegno attivo ed aperto all’accumulazione da espropriazione, quel tipo di accumulazione del capitale che si ottiene espropriando beni comuni, in questo caso addirittura la città.

Il laissez faire non si muove mai al di fuori di regole, certo quelle di oggi sono molto sbilanciate a favore del diritto di edificare da parte del proprietario delle aree e del promotore immobiliare. Quando si parla di deregolamentazione urbanistica non bisogna dimenticare che bastano il regime dei suoli, cioè le norme che regolano e soprattutto garantiscono il diritto di proprietà, a determinare chi avrà la meglio.

Il regime dei suoli è garantito dalle istituzioni: sulla definizione e sulle prerogative dei diritti della proprietà fondiaria, in Italia pesano e hanno pesato il potere del “blocco edilizio”, la lunga durata dell’accezione di proprietà privata dei suoli assoluta ereditata dal diritto romano, le interpretazioni contro la “riforma urbanistica” di numerose sentenze Corte Costituzionale, l’ambivalenza interpretativa della nostra Costituzione che mentre garantisce il diritto di proprietà ne sancisce la limitazione sulla base dell’interesse generale, le leggi sul governo del territorio, il codice civile.

Stato e mercato sono cresciuti insieme, la forma della regolazione (regolazione = insieme delle leggi e delle norme finalizzate a perpetuare il sistema economico e sociale esistente) cambia, ma non la sua onnipresenza e necessità. La rendita urbana lungi dall’essere un beneficio connaturato al bene, necessario e meccanico, è una costruzione sociale, che è resa possibile in primo luogo attraverso la stipula da parte del governo di accordi riguardanti i diritti ed i privilegi fra i partecipanti al mercato, basti pensare ad esempio alla ratifica di atti, affitti, contratti di vendita e quindi alla garanzia legale ed istituzionale della loro osservanza. Senza la regolazione statale del mercato, non si verificherebbero scambi.

I rapporti di potere fra le classi sono cruciali nel determinare l’entità della rendita (ciò che il proprietario fondiario ottiene per il solo fatto di possedere il terreno) ed il tipo di limitazioni e tassazioni cui è sottoposta.

Non esiste quindi "un effetto univoco e predeterminato del mercato immobiliare sull’organizzazione della città, perché esso dipende in sostanza dal 'potere' che a tale mercato si concede, sapendo che una città che non sia espressione di una intenzionalità pubblica e collettiva finisce con l’essere preda di interessi parziali e particolari depotenziandone qualità fisica, sociale e culturale” (Indovina, 1995).

La terra è un bene che non viene prodotto come le altre merci, ma esiste in natura. I luoghi hanno un contenuto naturale e un contenuto di valore prodotto dal lavoro e dai conflitti sociali nel corso del tempo.

Il sostegno attivo al mercato è fatto di finanziamenti pubblici, sostegno in caso di aumenti dei costi e assunzione del rischio di impresa da parte dello stato, come è avvenuto per l’Alta Velocità o da parte dell’amministrazione come avviene per il project financing.

Le privatizzazioni di beni pubblici, edifici e terreni di stato, regioni, province, comuni, enti, comportano un ampliamento di quanto si muove secondo la logica di mercato. Tra l’altro si tratta di aree che come quelle delle ferrovie erano state assegnate a costo zero o poco più per la realizzazione di infrastrutture pubbliche e ora vengono riversate sul mercato delle aree a prezzi accresciuti dalle destinazioni edificabili.

Ma esiste un disegno, una visione del futuro a cui tendere da parte delle nostra “classe dirigente”?

Nel libro pubblicato nel 1992, La città occasionale, Francesco Indovina sottolinea:

“ A Firenze gli interventi Fiat e Fondiaria (ndr Novoli e Castello), pur ridimensionati (soprattutto quello della Fondiaria), costituiscono il nucleo forte di un ridisegno della città. La rilocalizzazione di funzioni pubbliche (dal tribunale a parti di università) riqualifica (forse), congestiona e valorizza (sicuramente) pezzi di periferia, mentre per il centro della città non resterà che un destino di definitiva specializzazione turistica. La variante, in sostanza si indirizza verso quelle aree e quei progetti che hanno tenuto in scacco la dinamica della città e fornisce un quadro di compromesso tra proprietari e amministratori, o, per meglio dire, tra grandi progetti e l’avversione che essi hanno sollecitato” (Indovina, 1992, pag.28).

Nelle sue considerazioni sul Piano strutturale di Firenze (Coordinamento Comitati Cittadini Area fiorentina, 2008, pag.9) Giorgio Pizziolo parla di

“disegno nascosto”: “l’asse portante di questo disegno è costituito dalla Fortezza da Basso, come baricentro di tutte le iniziative di marketing della speculazione finanziaria del ‘capitale Firenze’, arricchita dalla Stazione di SMN, tendenzialmente appetibile per il capitale immobiliare in vista della realizzazione del Sottoattraversamento e della nuova stazione TAV, oltre a tutte le aree di pregio circostanti. Questo che è il nocciolo duro di tutto lo ‘sviluppo’, prosegue da un lato sull’asse Macelli, Novoli, Castello e dall’altro sul pacchetto del Centro storico, ridotto ad appendice di pregio e ornamentale del baricentro stesso”.

Il più temibile disegno è quello che pone lo sviluppo economico al primo posto, prima della risposta al bisogno di una casa, prima del rispetto della natura e dell’ambiente, prima della nostra felicità. L’aggettivo “sostenibile” è solo fumo negli occhi, il fulcro di tutto è la salvaguardia di rendite e profitti. I posti di lavoro sono una giustificazione che non affronta il tema di cosa, per chi e quanto produrre e quali servizi collettivi predisporre.

IL DIRITTO ALLA CITTÀ

Gli obiettivi del nostro piano urbanistico: rompere la logica della valorizzazione immobiliare

Nella trasformazione urbana uno dei conflitti più importanti e decisivi è quello tra i valori d’uso del suolo ed i valori di scambio, in altre parole fra chi considera la città un luogo della vita quotidiana, all’interno del quale rispondere ai propri bisogni e desideri, e chi invece la interpreta come una proprietà privata da cui trarre una rendita e un settore di investimento di capitali da cui trarre profitto. I processi di urbanizzazione guidati dalle logiche di valorizzazione immobiliare, sono responsabili della produzione di gran parte dei problemi urbani che ci troviamo ad affrontare: la segregazione funzionale, la perenne questione abitativa, la progressiva scomparsa dello spazio pubblico, la mancanza di luoghi non mercificati per la socializzazione, l’elaborazione culturale e l’espressione artistica. Il mercato produce solo per chi può pagare, gli altri sono esclusi e con loro tutte le attività difficilmente mercificabili. Se la rendita urbana è il fine della trasformazione urbana, non verranno mai costruite case a canoni accessibili o luoghi di socializzazione esterni alla logica di mercato o spazi pubblici per l’incontro e lo scambio sociale. A meno che non sia un periodo di crisi del mercato e allora sono un buon affare anche le case popolari, meglio se ad affitto “calmierato”, pagate dallo stato attraverso finanziamenti o scambi ineguali. La questione abitativa ha un peso cruciale sulla produzione di rendita: il permanere di un bisogno assoluto ed irrinunciabile come quello abitativo determina la possibilità da parte dei proprietari di prelevare da ognuno tutto quanto può dare, non un centesimo di meno (una sorta di odioso ricatto). Il mercato funziona meglio, dal punto di vista dell’offerta, quando c’è scarsità cioè quando vasta parte della domanda resta senza risposta. Questo vantaggio è probabilmente il motivo per cui i fondi Gescal (contributi prelevati fino al 1999 dai redditi da lavoro dipendente per creare offerta di edilizia economica e popolare) non sono stati utilizzati tutti e sono stati spesi per varie altre emergenze.

La pianificazione urbanistica è nata per razionalizzare l’uso dello spazio, prioritariamente dal punto di vista del mercato. Tuttavia i conflitti e le istanze sociali l’hanno influenzata e modificata, basti pensare al periodo della tentata “riforma urbanistica”. Non è nata per costruire la città come luogo collettivo di cui oggi abbiamo bisogno, ma può essere utilizzata per contribuire a realizzarla.

Il piano regolatore ha il potere di influenzare i prezzi del mercato fondiario ed immobiliare attraverso l’attribuzione di diritti edificatori, l’individuazione delle destinazioni, la realizzazione di opere pubbliche, infrastrutture e urbanizzazioni primarie e secondarie, e di modificare le regole in base alle quali il mercato agisce. Tuttavia, parallelamente, mercato e regime dei suoli appaiono come le condizioni all’interno delle quali il piano è costruito e si trova ad agire. Se il piano incide sul regime dei suoli ed il mercato immobiliare (fondiario ed edilizio), è ovviamente vero anche il contrario.

Cosa possiamo fare? L’unica strada è rompere la logica della valorizzazione immobiliare rispondendo a quei bisogni, tantissimi, che non trovano risposta nella città di oggi… ricordando che elementi del futuro sono già negli usi, nelle contraddizioni e nei conflitti di oggi…

Invece di promuovere una (ghettizzante) soluzione per ogni segmento della domanda sociale, se ne deve trovare una capace di liberare spazio per i (differenti) valori d’uso per i (diversi) abitanti.

I problemi e le proposte

I problemi macro da affrontare:

1. la questione dell’accesso alla casa (è legata anche al pendolarismo e alla segregazione spaziale e funzionale);

2. l’inquinamento dell’aria (per il superamento dei limite di legge, gli amministratori dei comuni dell'area metropolitana e della regione sono stati rinviati a giudizio);

3. il traffico e la congestione (i pendolari verso il comune di Firenze sono pari al numero di residenti);

4. rinnovato bisogno di servizi socio culturali e di spazio pubblico e collettivo, di luoghi connettivi e di relazione.

Obiettivi conseguenti, volti a risolvere i problemi suddetti:

a.. ridurre la rendita (e i prezzi di affitto) per liberare spazio ai valori d’uso;

b. rendere più equa possibile la ripartizione della qualità urbana e territoriale in termini di attività, servizi, attrezzature, accessibilità con particolare attenzione ai mezzi pubblici, piste ciclabili e percorsi pedonali;

c. aumento delle aree a bosco, prato, parco, conservazione di tutti gli alberi e le aree verdi presenti nel comune, anche attraverso il riuso di aree dimesse (costruzione di nuove relazioni con la “natura non umana”);

d. sviluppo del trasporto pubblico in sostituzione, efficace ed efficiente, del trasporto privato. Deve quindi essere equamente ripartito sul territorio e non privilegiare pochi assi (come invece fa la tranvia di Firenze). La predisposizione di infrastrutture di trasporto pubblico deve avvenire adattandosi al contesto. E’ necessario garantire percorsi ciclabili e percorsi pedonali (protetti e piacevoli, non accanto ai flussi di auto).

Invariante strutturale: la permanenza di abitanti nel centro storico e in tutte le aree di pregio senza discriminazioni in base al reddito; la popolazione con redditi bassi, redditi intermittenti, senza reddito, con reddito da lavoro dipendente deve poter risiedere nelle aree di pregio della città: centro e colline. Questo è un obiettivo strategico.

Garantire la fruizione pubblica e collettiva dello spazio urbano. Non ridurre lo spazio urbano a luogo della vendita ma ricondurlo a luogo della cultura e dello scambio sociale.

Metodo:

- utilizzo delle conoscenze e delle proposte elaborate da tutti quei gruppi che (a differenza di Confindustria, Confcommercio, Associazione Nazionale Costruttori Edili e loro rappresentanti politici) non sono mossi da interessi di parte ed economici ma da una reale volontà di migliorare la situazione per la collettività. Antesignani del valore d’uso e non di quello di scambio, della razionalità sociale in luogo di quella economica (comitati dei cittadini, movimenti, non associazioni e agenzie che lucrano sui problemi sociali per ottenere il proprio reddito). Sostegno anche delle pratiche che mettono in atto.

- lasciare spazi aperti alle funzioni non predeterminate, spazio alla libertà, alle possibilità e all’autogestione, evitando solo usi impropri: la privatizzazione sia attraverso l’uso commerciale che attraverso l’esclusione di particolari soggetti (deboli? o non prepotenti?).

ridurre la rendita urbana: non abbassando la qualità ma aumentando gli usi e le funzioni sociali.

Più si realizzano edifici con destinazioni che producono rendita, più i prezzi aumentano. Più si nutre il mostro, più il mostro è forte. Basta vedere come si produce la rendita, per sapere come si riduce: non abbassando la qualità ma aumentando gli usi e le funzioni sociali.

La qualità produce rendita solo se il territorio cui si riferisce entra in una logica speculativa. Basti pensare alle aree a parco pubblico o a servizio pubblico dove non è consentita l’edificazione privata o attività finalizzate al profitto: sono “fuori mercato”.

I prezzi spropositati degli immobili e quindi la rendita fondiaria, si combatte realizzando e promuovendo:

1. usi sociali: valore d’uso e non di scambio, razionalità sociale e non di mercato;

2. qualità diffusa (sia in termine ambientali che di servizi ed infrastrutture) anche usando integrazione fra usi del suolo e trasporti;

3. proprietà collettiva e pubblica usata per fini sociali;

4. legge sugli affitti che calcoli i prezzi in base ai caratteri degli alloggi (ai costi di costruzione) e non in base alla localizzazione (affitto come spese di manutenzione o percentuale del reddito, forme di equo canone).

Liberare la trasformazione urbana dalla logica della rendita serve per rendere accessibile la casa ma anche per accrescere quanto è disponibile fuori dal mercato, infatti abitare la città non può significare solo la “funzione abitare” propria dell’alloggio privato, né i servizi possono ridursi a quello che rimane dello stato sociale e a quelli offerti dal mercato. Si tratta di accrescere la disponibilità di quanto esiste oltre e malgrado il mercato, di luoghi e servizi pubblici autogestiti: la città in comune, da costruire insieme.

Per questo la progettazione e la realizzazione collettiva e pubblica riveste un ruolo cruciale. Il piano urbanistico non deve e non può dire tutto, ma può contribuire a liberare spazio.

E’ necessaria una vera pianificazione e progettazione comune, una chiamata di tutti (non proprio tutti, non Confindustria, non ANCE, non le classi dirigenti, quelli hanno inciso e hanno anche troppa voce) per decidere insieme. Non è la partecipazione di facciata, che o avviene su fatti irrilevanti o è solo consultiva, perché poi decide chi è stato eletto, in base ad una visione un po’ riduttiva della democrazia.

Iniziative da prendere subito:

- uso temporaneo di strutture che si sa che saranno vuote per anni e loro assegnazione per usi abitativi o centri di attività socio-culturali autogestiti;

- utilizzo di cinema in dismissione, per scopi culturali (cinema, teatro, musica, feste, autoformazione, lezioni, formazione permanente) , in modo tale da conservare una funziona urbana che caratterizza la città (impedendo i cambi di destinazione).

1. Politiche e norme che hanno effetti diretti sugli usi del suolo e sulle funzioni:

- smettere di finanziare la casa in proprietà e le imprese costruttrici attraverso gli aiuti per pagare prezzi abnormi di vendita e di affitto di mercato e la concessione di volumetrie eccessive e funzioni utili solo per i promotori ma non per la città; bloccare ogni ipotesi di costruzione di case in affitto più o meno calmierato da parte di privati che in cambio ottengono lauti finanziamenti, affitti di poco inferiori a quelli di mercato e altre volumetrie per case in vendita sul mercato (lo scambio ineguale);.

- aumento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria a carico di tutti gli interventi di trasformazione urbana: i parametri sono decisi dalla Regione e possono essere modulati in relazione alla situazione delle diverse aree urbane. I Comuni devono evitare di non farli pagare o di permettere che le imprese gonfino i costi sostenuti per realizzare direttamente le opere;

- gli aumenti di valore immobiliare conseguenti a scelte dell’amministrazione devono essere totalmente prelevati per finanziare servizi e infrastrutture e la loro gestione collettiva: la rendita prodotta da tutti è di tutti e non dei proprietari fondiari (studiare specifiche tasse sui luoghi di lusso esistenti);

- predisporre una regolamentazione degli affitti e farla rispettare (affitto come spese di manutenzione o percentuale del reddito); regolare gli affitti (tutti) e imporre che non superino un tetto dipendente dalla qualità dell’alloggio (che dipende dal costo di produzione dell’alloggio) e non dalla localizzazione il cui prezzo dipende da una qualità prodotta (e pagata) collettivamente e non dal costruttore;

- sanzionare gli affitti al nero fino al sequestro e/o esproprio del bene; tassazione degli alloggi sfitti tale da renderli molto onerosi; le 15.000 case ufficialmente sfitte a Firenze, se effettivamente vuote vanno assegnate in affitto, se sono affittate illegalmente vanno requisite e affittate;

- modificare le regole di accesso all’edilizia a canone sociale, elevando il livello massimo di reddito consentito e ammettendo a pieno titolo anche i singoli, i giovani, gli anziani, le coppie senza figli e altri tipi di convivenza anche in gruppo (quindi non dando priorità solo al numero di figli);

- esproprio di beni immobili in caso di inerzia dei proprietari nel recuperare condizioni di degrado edilizio o urbano (vedi L:457/78) e loro utilizzo pubblico (recupero e affitto).

2. gli usi del suolo consentiti devono garantire la diffusione su tutto il territorio, in modo equo, di qualità ambientale e di sevizi e delle attività culturali.

Funzioni da evitare:

- bloccare qualsiasi variazione di destinazione e nuova previsione che preveda alberghi, abitazioni di lusso o comunque in vendita, centri commerciali, cinema multiplex;

- impedire la variazione di destinazione d’uso dei cinema esistenti (frequente la sostituzione con edifici con abitazioni in vendita o supermercati);

- bloccare cambi di destinazioni di beni pubblici, finalizzati alla vendita sul mercato;

- impedire la realizzazione delle infrastrutture inquinanti e comunque evitare la concentrazione in luoghi già troppo oberati (segregazione funzionale);

- strutture condonate una volta terminato l’uso in essere devono essere abbattute (il degrado viene spesso utilizzato come motivazione per abbatterle e ricostruire la volumetria con altra destinazione).

Funzioni da promuovere: abitazioni accessibili, servizi e spazio pubblico:

- bloccare la vendita di alloggi e locali di proprietà del Comune e della Regione (e di enti pubblici) e loro assegnazione in affitto (canone sociale: prezzi che coprano la sola manutenzione, oppure come percentuale del reddito);

- realizzazione di case in affitto a canoni sociali e che rimangano di proprietà pubblica in quantità sufficiente a risolvere la domanda (sfruttando le aree di proprietà pubblica e destinando a questo uso le aree di privati);

- l’abitare è una attività non riducibile all’alloggio privato e necessita di luoghi intermedi fra pubblico e privato: quelli prevedibili e quelli imprevedibili (organizzazione collettiva degli spazi residenziali);

- negli interventi di recupero e, solo per fare un esempio, nel centro storico, garantire con opportune norme non negoziabili, la permanenza dei residenti a basso reddito (per le eventuali imprese private che propongono i progetti deve essere chiaro: o prendere o lasciare);

- predisposizione e cura dei percorsi pedonali e ciclabili (effettivamente accessibili);

- verifica dell’esistenza reale degli standard: il DM 1444/1968 prevede 18 mq., (ma quasi tutte le regioni prevedono un minimo fra i 25 e i 30 mq.) per abitante per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie. Una volta accertato il rispetto della norma, le quantità vanno maggiorate rispetto ai minimi in modo tale da rispondere anche alla domanda di altri servizi e spazi pubblici come condizione per assentire gli interventi;

- spazi per la creatività collettiva e la socialità collettiva: le nuove cattedrali laiche della cultura, della comunicazione, dello spettacolo, totalmente pubbliche. Imparare, insegnare, comunicare, discutere, decidere, progettare, assistere a spettacoli e guardare mostre, incontrare gli altri, leggere in luoghi collettivi. Lasciare spazi aperti alle possibilità e all’autogestione;

- le scuole per tutti: le scuole possono essere pluri-funzionali, ed essere utilizzate anche per l’istruzione permanente, e le palestre, e le sale riunioni potrebbero essere utilizzate anche di sera (sta succedendo in questi giorni grazie alla lotta di studenti, genitori ed insegnati nelle scuole di ogni ordine e grado);

- centri sociali e case delle donne come spazi pubblici gestiti dai fruitori;

- case per anziani con lavoratori contrattualizzati: abitazioni con spazi comuni e servizio sanitario, per fornire un’alternativa all’assistenza nelle case con badanti assunti privatamente: servizio condiviso per gli anziani e quindi accessibile anche a chi non può pagare un badante; per i lavoratori orari di lavoro definiti e con tutti i diritti fondamentali da statuto dei lavoratori. Luoghi di cura e di incontro per gli anziani nel mezzo degli insediamenti urbani per favorire l’incontro con gli altri di tutte le età: mai più soli.

Usi del suolo, alcune idee: area di Castello: parco; Fortezza: una volta svuotata dell’uso commerciale, luogo per cultura, arte, spettacoli, scambio culturale ed artistico; aree verdi urbane rimangono verdi e se sono degradate vanno recuperate; aree dimesse utilizzate per rispondere ai bisogni sociali (casa, servizi, spazio collettivo e pubblico). Fare tesoro delle proposte dei comitati dei cittadini.

Lo scenario a cui tendere è una economia al cui centro si trovino la cura delle persone, della natura “non umana”, i beni culturali, la formazione e la ricerca, i trasporti pubblici e la difesa del suolo. C’è bisogno di lavoro finalizzato al miglioramento della qualità della vita.

Il lavoro riproduttivo, di cura delle persone, deve diventare centrale, ma deve essere retribuito in modo diretto o indiretto: reddito di esistenza per tutti, in modo tale da liberare tempo per il lavoro sociale e di cura, ma anche culturale ed artistico senza sottostare alle logiche elitarie e segreganti del mercato capitalistico.

Non solo produzione ma anche riproduzione, non tanto produzione di oggetti ma produzione di relazioni e di cultura, e perché no, di felicità.

3. Riscoprire forme di proprietà della terra pubbliche e collettive, bisogna promuovere forme pubbliche e collettive di proprietà della terra e di gestione della cosa pubblica (la città in comune)….

lo spazio alla creatività sociale

La città è il luogo dove ricostruire le relazioni sociali e le relazioni ambientali che sono state spezzate: che tipo di persone vogliamo essere?

La politica della fiducia (di poter costruire relazioni sociali più giuste) contrapposta alla politica della paura.

Alcuni elementi: i luoghi non hanno un’unica identità; i luoghi non sono fermi nel tempo ma sono dei processi spazio temporali; i luoghi non sono conclusi (chiusi) con un interno ed un esterno.

Praticare il diritto di produrre lo spazio promuovendo la creatività di tutti…

Bibliografia

Coordinamento Comitati Cittadini Area fiorentina, (2008), Attenti al piano strutturale!!!, Quaderno n.5, gennaio.

Harvey, D., (2003), “The right to the city”, International Journal of Urban and Regional Research, Volume 27 Issue 4, pages 930-941.

Indovina, F., (1992), La città occasionale, Milano, Franco Angeli.

Indovina, F., (1995), ”Economia urbana e residenza. Implicazione del negozio fondiario nell’ordinamento urbano”, in Cartas Urbanas, n.4 marzo.

Henri Lefebvre, (1968), Le droit à la ville.

Maggio, M., (2005), “Movimenti urbani e partecipazione”, Archivio di Studi Urbani e Regionali, n.82.

Maggio, M., (2005), “Movimenti urbani a Firenze: una mappa sociale dello spazio conteso”, Archivio di Studi Urbani e Regionali, n.83, pagg.131-140.

Maggio, M., (2006), “La questione abitativa a Firenze. Case in affitto: a che prezzo? Soggetti deboli e soggetti forti: per quanto ancora?”, http://eddyburg.it/article/articleview/6661/0/204/

Maggio, M., (2008), “Il programma “20.000 case in affitto” come modello? Un rischio da sventare e ben altre politiche urbane da promuovere”, http://eddyburg.it/article/articleview/8058/1/150.

Vedi anche: http://eddyburg.it/article/author/view/1466

[1]Vedi come esempio il caso narrato in Maggio, Marvi, (2006), “La questione abitativa a Firenze. Case in affitto: a che prezzo? Soggetti deboli e soggetti forti: per quanto ancora?”, http://eddyburg.it/article/articleview/6661/0/204/. Vedi anche http://eddyburg.it/article/articleview/8058/1/150.

[2] Questa tendenza era già stata messa in evidenza nel testo: Indovina, F., (1992), La città occasionale, Milano, Franco Angeli.

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