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Alessandro Dal Piaz
Perché l’auditorium non si può fare
24 Marzo 2004
Ravello
Dal Piaz è uno degli autori (con Luigi Piccinato e Roberto Pane) del Piano urbanistico territoriale della Penisola, approvato con legge regionale. Particolarmente utile quindi il suo parere, pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno il gennaio 2004.

Il dibattito sulla stampa circa la realizzazione di un auditorium a Ravello si sta sviluppando in forme referendarie (sei a favore o contro il progetto?) che non giovano affatto alla riflessione su un problema con tutta evidenza delicato e complesso. Vorrei provarmi a contribuire qui in termini pacati, sulla base di dati.

Il Comune di Ravello, per realizzare uno spazio in cui svolgere anche in inverno i concerti, famosi d’estate per l’utilizzazione di stupendi giardini antichi, non essendo ancora dotato di piano regolatore, ha convocato una conferenza dei servizi per approvare con procedura straordinaria il progetto di un auditorium redatto dal grande architetto brasiliano Oscar Niemeyer, sul presupposto della sua conformità con il PUT, Piano Urbanistico Territoriale (legge regionale 35/87) approvato secondo la “legge Galasso” e quindi con valore anche di piano paesistico. I proprietari del suolo individuato hanno proposto ricorso al TAR sostenendo l’assenza di conformità. Il Comune ha promosso una campagna di appoggio al progetto, in rapporto alla quale il mondo ambientalista si è diviso, mentre oltre 150 intellettuali di varia formazione e competenza hanno sottoscritto un “manifesto” pro-auditorium (ma ora circola anche un appello di segno opposto).

Il PUT, redatto negli anni ’70 da un gruppo di lavoro presieduto da Luigi Piccinato e Roberto Pane (del quale facevo parte), individua nella Costiera amalfitana due tipi di insediamenti antichi, entrambi da tutelare per la loro straordinaria importanza storica e paesaggistica, quelli accentrati (zona 2) e quelli sparsi o per nuclei integrati con l’organizzazione agricola del territorio terrazzato (zona 3). Il progetto dell’auditorium ricade nell’ambito di una zona 3. Per le necessità sociali degli abitanti, il PUT ammette in tali zone la realizzazione di nuovi edifici per attrezzature pubbliche, quelle specificamente previste dal PUT stesso e quelle indispensabili fra le attrezzature che, nel linguaggio tecnico, si chiamano “di quartiere” in quanto è obbligatorio renderle disponibili in ciascun quartiere urbano o comune anche piccolo (ad esempio, scuole materne e dell’obbligo, ambulatori e sedi per il culto, giardini pubblici e impianti per lo sport, parcheggi). Avvertivamo infatti la preoccupazione che potessero determinarsi contraccolpi negativi sui preziosi tessuti storici, costituiti dall’intreccio di edifici e sistemazioni agricole, a causa dell’impatto inevitabilmente polarizzante e congestionante di attrezzature di livello sovracomunale (un ospedale, per esempio). Nelle stesse zone 3, in considerazione sia dei loro caratteri ed estensione sia delle esigenze delle comunità locali, il PUT ammette anche la realizzabilità di limitatissimi, indispensabili, interventi edilizi per residenze o attività terziarie. Ma perché tutti i nuovi interventi non compromettano un contesto paesaggistico e ambientale di così straordinario valore il PUT definisce ben precise procedure: i piani regolatori comunali, con progettazioni di dettaglio (planimetrie in scala 1:500, planovolumetrici, profili, fotomontaggi, analisi e norme dettagliate) devono dimostrarne, oltre che la necessità, anche la compatibilità ambientale e paesaggistica.

Il PUT non esclude quindi la presenza di architetture moderne negli insediamenti storici, ma obbliga a definirne la progettazione – già in fase urbanistica – attraverso una documentazione di piano tecnicamente molto più approfondita ed esauriente del solito, in modo da rendere più consapevole e completa la valutazione finale, affidata a fattori inevitabilmente soggettivi, per quanto “educati”, di sensibilità e di gusto.

Il TAR nei prossimi giorni dovrà pronunciarsi, non su una questione estetico-culturale (sì o no al progetto di Niemeyer) che esula dalla sua competenza, e su cui quindi non può esser influenzato da appelli o manifesti, bensì su una questione giuridica oggettiva: riscontrare se, nei contenuti e nelle procedure, l’intervento che si vuole porre in esecuzione corrisponda alle disposizioni del PUT.

In merito, ritengo di poter evidenziare due circostanze ostative: che il Comune di Ravello è ancora privo di un piano regolatore che dimostri sia l’indispensabilità sia la compatibilità paesaggistica e ambientale di nuove edificazioni nella zona 3; e che, in ogni caso, il PUT non prevede direttamente nessun nuovo auditorium a Ravello né, d’altro canto, un auditorium può considerarsi un’attrezzatura pubblica “di quartiere”.

A prescindere dai riconoscimenti alla bravura di Niemeyer (che non ne ha bisogno) e alle buone finalità del Comune di Ravello (anche di queste non dubito), c’è da far valere il rispetto delle “regole”: nessun entusiasmo culturale può farci smarrire il senso della preminenza, oggi in Italia, della legalità delle procedure. Ed essa deve valere innanzitutto per le pubbliche iniziative, se vogliamo, come è necessario, pretenderla anche per quelle private. (Alessandro Dal Piaz)

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