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Alberto Ziparo
Perché bisogna stare con i «cortili d'Italia»
13 Ottobre 2006
Articoli del 2006-2007
Una protesta sacrosanta, speriamo rumorosa ed efficace. Per aiutare Ragione e Lungimiranza a sedersi nei banchi del Governo. Da il manifesto del 13 ottobre 2006

La manifestazione di domani a Roma contro le Grandi opere, inutili e dannose, e per un nuovo piano generale dei trasporti che parta dal superamento della Legge Obiettivo, chiede anche una svolta nel governo sui temi della mobilità, dei trasporti, del paesaggio, dell'ambiente e dell'energia: in generale di quel grande bene comune, oggi in grave pericolo, che è il territorio del Belpaese.

Poche giorni fa era il decennale della morte di Antonio Cederna, l'antesignano della concezione, adesso assai diffusa, che lega l'urbanistica alla difesa del territorio e del paesaggio. Nelle appassionate denunce dell'ambientalista c'erano elementi che si sono rivelati drammaticamente evidenti negli anni più recenti, come l'incapacità di modernizzare il Paese in ossequio alle regole dettate dai caratteri di quei beni finiti e deperibili che sono il territorio, l'ambiente e il paesaggio. Con l'aggravante che spesso ciò - già di per sé inaccettabile - non avveniva di fronte a reali istanze di sviluppo emergenti dalla società italiana, ma per privilegiare gli interessi (e le disinvolte politiche gestionali, errori macroscopici compresi) delle lobby monopolistiche che dai centri di potere del sistema industriale e, adesso soprattutto, bancario, privato e pubblico, controllavano (come continuano a fare) alcuni settori chiave dell'economia, tra cui l'auto, l'energia, la chimica, la termomeccanica e principalmente le costruzioni.

Se guardiamo ai proponenti e ai gestori delle grandi opere previste dalla Legge Obiettivo di Berlusconi (attorno alla quale sono riproliferate anche le holding di progettisti, cui oggi neppure la mafia è estranea: «Per il ponte non c'è bisogno di aspettare appalti che forse non arriveranno mai», si diceva), o quelli che stanno dietro il Mose o gli impianti a gas, centrali e rigassificatori o i termovalorizzatori, troviamo questa tipologia di soggetti. Non meraviglia che Antonio Di Pietro, allorché si tratta delle opere pubbliche, metta da parte i Valori dell'Italia e sostenga che «fosse per lui, realizzerebbe tutto il programma del precedente governo» se solo gli «avessero lasciato qualche euro» (e meno male!): visto che tra l'altro continua ancora ad essere attorniato dagli stessi dirigenti promotori e titolari del «fantasmagorico» programma infrastrutturale di Lunardi. E tra l'altro nell'ambito di un governo in qualche modo costretto all'efficienza da problemi di budget, ma che sembra incapace di prospettare logiche diverse. Così, se il Ponte viene accantonato, ma solo come «non priorità», il Mose rallenta, ma non si ferma, perpetuando le spese per un progetto dai mille problemi irrisolti, le cui risorse potrebbero essere più utilmente destinate alle urgenze, per esempio dei Comuni o dell'Università. Neppure l'Alta velocità Torino-Lione viene ufficialmente bloccata, anche se la sua unica utilità acclarata sembra quella di far sfrecciare merci a trecento all'ora in Val Susa: si riesce, forse, al massimo a concedere la procedura integrale di Via. Ma per i problemi enormi di molte altre situazioni, dal nodo fiorentino del primo tronco dell'alta velocità agli stessi sfasci dei cantieri del Mugello, ai rigassificatori, agli inceneritori, cambia poco o nulla.

Ebbene, a Roma si manifesta per una svolta rispetto a tutto questo. I sindaci, i comitati, le associazioni ambientaliste e non, che arrivano dalla Val Susa e dalla Sicilia, da Venezia e da Brindisi, da Civitavecchia e dalla Brianza, chiedono che il governo colga, interpreti e finalmente assuma l'innovazione politica, sociale, culturale e scientifica che arriva dai territori del Belpaese. I quali denunciano che, nell'era dell'infotech e della sostenibilità, non si può tollerare oltre il saccheggio di quello che resta del territorio italiano ad ipotesi di sviluppo obsolete e speculative che propongono attrezzature spesso inutili, senza domanda sociale, insostenibili; e che alimentano, tra l'altro, un'urbanizzazione infinita, pervasiva, inarrestabile, che cancella ecologie, storia, natura, economie dei diversi «cortili d'Italia».

Si mettano da parte le infrastrutture della Legge Obiettivo e le altre opere dannose. Si proceda ad un nuovo piano dei trasporti, basato sulla reale domanda sociale di mobilità, partecipata e sostenibile.

Analogamente, Regioni, Province, Municipi disegnino dal basso i propri nuovi scenari territoriali e paesaggistici, energetici e trasportistici. Anche per promuovere uscite intelligenti dalla crisi economica, basate sulla tutela e valorizzazione dei beni comuni.

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