L’on. Fiorentino Sullo, ministro dei Lavori pubblici nel primo governo di centro-sinistra, diretto dall’on. Fanfani, ha raccolto nel volume Lo Scandalo Urbanistico (Firenze, Vallecchi 1964) la documentazione del sorgere e del tramontare in seno alla DC delle illusioni riformatrici nel campo dell’urbanistica. È una parabola che inizia dal congresso di Napoli e dalla successiva formazione del governo Fanfani, che ha il suo corso più rapido e ascendente durante l’estate del 1962, raggiunge il punto più elevato alla fine di settembre, al Congresso ideologico della Democrazia cristiana a San Pellegrino e, subito dopo, inverte la propria direzione e precipita miseramente insieme, del resto, a tutto il castello programmatico del primo governo di centrosinistra.
Il 30 settembre 1962 l’on. Sullo, parlando a San Pellegrino non lesinava l’audacia delle sue affermazioni: “La legge urbanistica sarebbe più rivoluzionaria, non dirò della legge di nazionalizzazione dell’industria elettrica, che è proprio nulla rispetto a una seria legge urbanistica, ma persino della legge di riforma agraria”, ed individuando possibile una prossima soluzione aggiungeva: “Sarebbe veramente una grande vittoria per la Democrazia cristiana se non aspettasse altre legislature per porre a fuoco questo problema sotto la pressione di altre forze politiche”.
Non sappiamo fino a che punto l’on. Sullo, pronunciando queste parole, si cullasse nelle sue generose illusioni, ovvero intendesse, così, di esercitare una pressione sulle potenti forze che già si erano messe in movimento (e lui lo sapeva) per insabbiare lo schema di una nuova legge urbanistica che, durante l’estate, era stato approntato dalla Commissione di studio da lui stesso nominata. Questo schema costituiva allora, senza dubbio, il punto più avanzato cui era giunta l’elaborazione della cultura urbanistica, partita alla fine del ’60, dalla impostazione del “Codice dell’Urbanistica” del X Congresso dell’INU. Nel quadro dell’ordinamento regionale e integrata con la programmazione economica, la nuova disciplina dello sviluppo urbano era fondata su tre punti essenziali, annunziatori di una vera e propria riforma dell’assetto proprietario del suolo urbano: l’esproprio generalizzato, l’agganciamento delle indennità di espropriazione al prezzo dei terreni agricoli, l’introduzione del diritto di superficie. Sembra probabile che Sullo – le sue parole di San Pellegrino lo indicano – pensasse di giungere attraverso l’instaurazione del regime pubblicistico del suolo urbano e di un titolo di possesso precario di esso, ad una sorta di nazionalizzazione del settore. Dalla lettura attenta della sua prefazione e dal riscontro dei documenti raccolti nel volume risulta però in modo inoppugnabile che, mentre egli pronunciava le parole che abbiamo sopra riportate, aveva già rinunciato a parte del suo programma ed aveva avuto anche numerose occasioni di registrare segni non equivoci di resistenza ed opposizioni insuperabili. Anzitutto Moro, allora segretario della DC, si era opposto all’introduzione del diritto di superficie. Sullo, sia pure riluttante, aveva accettato di rinunziarvi. Ma ciò non era bastato. Come si sa, lo schema di legge non fu mai discusso dal Consiglio dei ministri: Fanfani si diceva d’accordo con il testo studiato e infatti le osservazioni tecniche della presidenza del Consiglio, riportate nel volume, non riguardano che minori questioni di dettaglio, senza toccare la struttura dello schema. Fanfani, a quel che dice Sullo, fece sempre riferimento ad una opposizione più generale di Moro, che funzionò come un vero e proprio veto e che colse come risultato il dirottamento dello schema di legge al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, dove esso doveva rimanere definitivamente insabbiato.
“ Invero – scrive Sullo a p. 15 della prefazione – nell’ottobre 1962 avevo ancora qualche illusione sull’iter della legge. Mi sembrava che convenisse al governo Fanfani almeno approvare in Consiglio dei ministri il disegno di legge. Certo, il Parlamento non avrebbe avuto il tempo per discutere il testo. E la legge sarebbe stata rinviata alla ventura legislatura. Nondimeno in sede governativa, si sarebbe potuto precisare sul piano politico il punto di vista del governo”.
Curiosa e patetica confessione. Dunque erano bastati pochi giorni dal convegno di San Pellegrino (30 settembre) perché Sullo fosse costretto ad abbandonare l’illusione che “ la Democrazia cristiana non aspettasse altre legislature per porre a fuoco il problema”. Ciò malgrado, egli si illudeva ancora che lo schema innovatore di legge urbanistica potesse diventare elemento qualificante del programma del governo e della politica di centro-sinistra, anche, è evidente, in viste delle elezioni ormai prossime.
Al Consiglio nazionale della DC, il 12 novembre 1962, Sullo aveva cercato di contrastare l’attacco doroteo condotto da Rumor, Colombo e Piccoli, diretto a bloccare il programma del governo relativo all’approvazione delle leggi per l’ordinamento regionale. Non mancò anche di fare un cenno alla legge urbanistica: “ Vi è sul tappeto una proposta di legge urbanistica. La DC la accetta? La rigetta? La emenda? Se manca la nostra iniziativa, gli altri colmeranno il vuoto” (dal resoconto del Popolo, 12 dicembre 1962).
Nessuna risposta ebbero questi angosciosi interrogativi. L’anno e mezzo trascorso da allora ci permette, stando nella favorevole posizione di chi non ha che da ricapitolare avvenimenti recenti, di constatare come le speranze dell’on. Sullo fossero completamente ingiustificate e potessero essere formulate solo perché egli non si rendeva conto di essere del tutto isolato all’interno del suo partito.
Egli non aveva ancora avvertito che il colpo d’arresto alla politica e “avanzata” del centro-sinistra, era stato già deciso e veniva solo consacrato in quel Consiglio nazionale per condurre alla liquidazione del programma del governo nel gennaio 1963 e ad una campagna elettorale nella quale la politica del centro-sinistra era ormai ridotta ad un nome vano. Era dunque fatale che, durante quella campagna elettorale, la DC nella fretta di sbarazzarsi di zavorra progressista, per ritrovare la grande massa dei suoi elettori di destra, gettasse a mare il ministro dei Lavori pubblici, per darlo in pasto agli squali della speculazione edilizia, schierati con il partito liberale. Raramente è capitato di vedere un caso come questo, di spregiudicato, meglio sarebbe dire cinico linciaggio di un uomo politico. Obbediente alle direttive di Moro, Sullo, nella seduta della Camera dei deputati del 23 ottobre 1962, aveva pur chiarito che il diritto di superficie “ poteva essere omesso” dalla legge. Ma ciò non bastò, perché la DC e il suo segretario Moro sentissero se non il dovere, almeno il bisogno di difendere e sostenere il ministro dei Lavori pubblici del governo in carica di fronte all’attacco furioso e demagogico della speculazione. Al contrario, egli fu pubblicamente sconfessato. Non si può fare a meno di fare un confronto con la condotta seguita dalla DC nei confronti di altri suoi esponenti, da Togni a Colombo a Jervolino, coinvolti e corresponsabili in gravissimi episodi di disordine amministrativo e tuttavia strenuamente difesi, e mantenuti a galla, costi quel che costi.
Ma Sullo, nel 1962, agli occhi del segretario dc, era colpevole di ben altro: leader di una corrente della sinistra dc, aveva avuto il torto di credere ingenuamente al contenuto rinnovatore del Congresso di Napoli e del programma del governo Fanfani; aveva voluto realizzare nel settore urbanistico una riforma al cui confronto, la stessa nazionalizzazione dell’energia elettrica sarebbe apparsa “proprio nulla” e ciò proprio nel momento in cui le forze moderate, neocentriste della DC, erano già passate al contrattacco, lanciando lo slogan “mai più nazionalizzazioni”. Sullo, sorpreso in contropiede, non poteva che finire in fuorigioco. Ciò era inevitabile, soprattutto per il modo con cui egli era giunto a farsi assertore della riforma urbanistica. La DC, come partito di governo del paese e della maggioranza dei comuni, aveva sempre dimostrato la più completa e opaca sordità di fronte ai problemi dello sviluppo urbano. Al contrario, più volte era apparsa direttamente compromessa, o addirittura protagonista degli scandali clamorosi della speculazione. Esemplare, il caso del comune di Roma. Tutta l’azione per la riforma urbanistica era stata condotta, per un decennio, dalle sinistre, comunisti in prima fila. Fu soltanto nel 1961 che l’on. Zaccagnini, ministro dei Lavori pubblici nel governo Fanfani “delle convergenze”, iniziò per la prima volta lo studio della riforma urbanistica. Ma tale studio si concluse con la redazione di un progetto di legge che era un passo indietro rispetto allo schema presentato alla fine del 1960 al congresso dell’INU. Esso fu seppellito senza cerimonie nella primavera del 1962, quando l’on. Fanfani presentò al Parlamento il programma del governo di centro-sinistra. A questo punto entrava in scena Sullo, neofita ed entusiasta di fronte ai problemi urbanistici. L’errore, il vero, grave errore di Sullo consisté, e consiste, nell’aver creduto di poter varare la riforma solo grazie all’aiuto di una commissione di saggi, di tecnici, di illuminati. Abbiamo già dato un giudizio positivo sul lavoro di quella commissione. Ma come poteva sperare Sullo che una riforma così complessa, che investiva il rinnovamento della struttura statale attraverso l’attuazione delle regioni; che presupponeva il varo della programmazione; che colpiva frontalmente gli interessi parassitari della proprietà fondiaria urbana – così intimamente collegata con certi gruppi dirigenti del partito dc e, soprattutto, con l’amministrazione di potenti istituti religiosi e della stessa S. Sede - , come poteva Sullo illudersi che una riforma simile sarebbe passata senza una dura lotta politica nel seno stesso del suo partito e del governo; senza una inevitabile scelta delle forze politiche capaci di sostenerla, prima ancora che nel Parlamento, nel pese!
Nelle 500 pagine del volume si cercherebbe invano un solo indizio che un barlume di tale consapevolezza abbia mai fugacemente illuminato i ragionamenti e l’azione politica dell’on. Sullo. Per questo, nell’autunno del 1962, egli non riusciva a capire le “ obiezioni teoretiche” di Moro e le esitazioni di Fanfani: per questo, nella campagna elettorale del 1963, lo sfrenato attacco scatenato contro di lui dalle “ grandi immobiliari” gli appare come una “ allucinazione generale”, che gli fa vivere la vita di ogni giorno in un “ tragico clima pirandelliano”.
In realtà egli, ingenuo apprenti sorcier, non poteva che divenire il capro espiatorio nel momento del riflusso centrista che scuoteva la DC. Con gelido cinismo, Moro, che pure aveva già ottenuto da lui la rinuncia al famigerato diritto di superficie, disponeva la pubblica dissociazione delle responsabilità della DC da quelle del suo ministro dei Lavori pubblici. Dopo il 26 aprile, a conclusione della vicenda, lo stesso Moro, nel compromesso della Camilluccia, proponeva a Nenni (che accettava) l’abbandono delle velleità riformatrici di Sullo e la rinuncia ad ogni azione innovatrice nel settore urbanistico.
La vicenda che risulta dalla documentazione raccolta da Sullo e dalla prefazione che la precede, in quanto espressione degli orientamenti politici prevalenti del gruppo dirigente della DC, alla luce degli avvenimenti che hanno portato alla costituzione del governo Moro-Nenni e all’esperienza dei cinque mesi, da allora trascorsi, non può che portare a preoccupanti considerazioni circa gli sbocchi della crisi attualmente in corso. Sintomatico e sconcertante in vista del Congresso della DC deve essere considerato l’ingresso dello stesso Sullo nella corrente unificata moro-dorotea, dove sono raccolti tutti i più convinti avversari della riforma urbanistica, cui si sono contemporaneamente associati uomini come Pella e Andreotti. Con questo passo si direbbe che Sullo abbia tratto dalla amara esperienza degli anni 1962-1963 la lezione peggiore, quella che toglie valore di protesta morale e politica alla sua denuncia e tende a ridurla a un mero espediente tattico nella lotta per il potere all’interno della DC.
Ciò segna anche l’inizio del suo tramonto come capo politico, forte di un certo margine di autonoma determinazione, e lo incammina sulla melanconica strada di quei notabili, di cui è così ricca la provincia democristiana.