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Giulio Pane
Paesaggio italiano e falsi problemi
24 Marzo 2004
Ravello
Giulio Pane, docente della Facoltà di architettura di Napoli, mi invia il 25 gennaio 2004 questo scritto che sarà pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno.

In un momento in cui si discute con gran fervore dei prossimi, possibili guasti ambientali, l’episodio dell’auditorium di Ravello, divenuto ormai emblematico di una crisi di pensiero, ha finalmente messo in luce alcuni tra i falsi argomenti con i quali s’intrattiene la cultura locale e italiana in merito a questioni - come quella del paesaggio - che richiederebbero quanto meno l’abbandono definitivo di posizioni antistoriche e falsamente avanguardistiche.

In questi giorni abbiamo appreso, infatti:

1.Che Ravello è dei ravellesi, e quindi ogni decisione deve essere presa esclusivamente dai loro amministratori; corollario: state zitti e lasciateci lavorare.

2. Che un’opera d’arte, ancorché tutelata, può richiedere ed ottenere una modifica alle norme che non la consentirebbero; corollario: volete realizzare un’opera in un contesto ambientale tutelato ? Affidate il progetto ad un architetto dello star system, perché troverete modo di realizzarla e farla difendere da almeno 160 intellettuali.

3. Che una piccola costruzione (un edificio alto solo l’equivalente di sette piani), purché moderna, può contravvenire alle norme urbanistiche, ancorché sovraordinanti.

4. Che il paesaggio è opera di natura ed artificio, ma nell’imbarazzo della scelta la priorità spetta all’artificio.

5. Che il paesaggio di Ravello e Costiera è – così come si trova – una realtà di eccezionale bellezza, compresi i megalberghi sulle spiagge e le innumerevoli villette ad archetti e colonnine.

6. Che una moderna opera di architettura consente di contrastare l’abusivismo edilizio; corollario: fateci costruire l’auditorium, poi affronteremo gli abusi edilizi.

7. Che in un luogo in cui tanti sono stati e sono gli abusi, è ridicolo sostenere che l’opera di un celebre architetto possa costituire un abuso (anche se contravviene alle norme); corollario: protestate piuttosto contro i tanti abusi privati (autorizzati).

8.Che la Soprintendenza è l’organo che decide in merito alla qualità architettonica, anche se essa si manifesta contro il disposto delle leggi; corollario: architettura di mimesi quotidiana, e gestualità eccezionale per riscattare l’architettura.

9. Che gli studenti di architettura possono smetterla di baloccarsi con ricerche visive, prospettive di verifica ambientale, studi di fattibilità, apprendimento di norme urbanistiche, master e quant’altro, perché l’accordo di programma consente all’occorrenza di spazzare via tutto questo ciarpame burocratico, per affermare la volontà politica; corollario: studiate, ragazzi, ma ricordatevi che il potere è un’altra cosa.

10. Che un abuso edilizio può anche essere bello; corollario: un’opera bella può anche essere abusiva;

11. Che il problema della tutela paesistica non ha a che vedere con la qualità dell’architettura, perché l’architettura di qualità detta i termini stessi della tutela; corollario: facciamola finita con l’urbanistica e con l’architettura del paesaggio;

12. Che è sufficiente rivolgersi ad un noto architetto contemporaneo, che risponderà a tutte le istanze, con un’architettura certamente moderna. Senza però valutare che non si tratta più, parafrasando Zevi, di fare un’architettura moderna, dato che essa lo sarà comunque per definizione, ma piuttosto di dare spazio ad una moderna architettura, consapevole delle nuove istanze e della nuova partecipazione civile, e non più ostaggio di ben organizzate conventicole professionali.

Alle osservazioni di chi menziona i casi di Wright (1953) e di Le Corbusier a Venezia, quali occasioni mancate per altrettante opere di architettura moderna, mi limiterò a ricordare quanta acqua è passata sotto i ponti, e quanto distanti siano dovute diventare le posizioni culturali, avendo noi fatto esperienza - divenuta di senso comune - dei guasti perpetrati da almeno due generazioni di tecnici, nei confronti del paesaggio italiano. E come in questione non sia più, ormai, la legittimità dell’architettura moderna (problema ormai superato in senso positivo, e già a rischio di tautologia), quanto da un lato, la necessità di rifondare il metodo stesso dell’insegnamento dell’architettura, quasi tutto rivistaiolo e mediatico, e dall’altro quella di fare un passo indietro, nei confronti di una natura che tra poco non costituirà più il contrappunto equilibrato dell’artificio, perché sarà semplicemente scomparsa, per fare posto alle tante iniziative determinate da sacrosante esigenze di crescita, sviluppo, adeguamento funzionale, aggiornamento tecnologico, omologazione economica, velleitarismo campanilistico e quant’altro; e tutto questo in nome del più provinciale e bieco ‘perché no?’. E non abbiamo parlato ancora del progetto di Niemeyer…

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