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Mostri a Sorrento e a Venezia, l’uno va l’altro viene
15 Agosto 2007
Articoli del 2006-2007
Da Sorrento l’ecomostro va via, con inquietanti risvolti di regime. A Venezia viene, si espande, aggredisce. Due articoli da il manifesto del 15 agosto 2007

Alimuri, dove lo Stato risarcisce gli abusivi

di Ilaria Urbani

Risarcire chi ha commesso un abuso. E' giunta all'epilogo più inaspettato la vexata quaestio su uno degli ecomostri che deturpano da oltre quarant'anni la costa della Campania. Il bestione di cemento armato costruito abusivamente dal 1964 nella conca di Alimuri a Vico Equense sarà abbattuto, così come previsto dall'accordo sottoscritto il 19 luglio tra il ministero dei Beni culturali e la Regione Campania, entro la fine di ottobre, con un intervento economico da parte del dicastero guidato da Rutelli per 300 mila euro e altrettanti da parte dell'ente regionale campano. Il costo totale dell'abbattimento ammonta a un milione e 100 mila euro e al suo posto gli attuali proprietari otterrebbero anche un'ulteriore concessione per costruire un nuovo albergo e la gestione di un lido sulla costa.

Ma se l'ecomostro ha procurato danni ambientali e da più quasi mezzo secolo non ha trovato una completa realizzazione per quale motivo più del 50% dei costi saranno a carico dello Stato e gli attuali proprietari potranno continuare a costruire? Sulla vicenda ci vuole vedere chiaro la procura di Torre Annunziata, che ha aperto un'inchiesta «per verificare se sussistano ipotesi di reato». I maligni infatti sospettano che le agevolazioni concesse alla società Sa.An., proprietaria della struttura, sarebbero state concesse perché ai suoi vertici comparirebbe anche Anna Normale, imprenditrice e moglie di Andrea Cozzolino, assessore alle attività produttive della Regione Campania e tra i candidati alla guida del Pd campano. Gli inquirenti torresi spiegano di «non poter far finta di non vedere» e intanto il procuratore Diego Marmo attende una dettagliata informativa dai carabinieri. L'inchiesta sull'ecomostro in realtà era già stata aperta tempo fa dal pm Sergio Raimondi nell'ambito delle indagini sull'abbattimento di oltre centocinquanta opere abusive.

La nuova struttura che nascerà nella conca di Alimuri sarà autorizzata da un accordo tra esecutivo ed enti locali e non sarà abusiva come lo scheletro di cemento che per oltre 40 anni ha sovrastato la costa dell'area, Ma ambientalisti e sinistra radicale sono scesi già sul piede di guerra. In prima linea c'è il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, che qualche settimana fa ha tuonato: «Non si può demolire un ecomostro in cambio di nuovo cemento». A fargli eco c' è Franco Cuomo, leader del circolo Vas (Verdi Ambiente Società), che ha così commentato la decisione del governo di «aiutare» i titolari della concessione per procedere all'abbattimento: «In nessun Paese del mondo lo Stato risarcisce chi ha commesso un abuso». Dal canto suo il senatore Tommaso Sodano di Rifondazione ha raccolto 33 firme, tra cui quelle di Russo Spena, Salvi, Villone,Menapace, per un'interpellanza parlamentare alla quale il governo dovrà rispondere entro settembre. «E' inconcepibile - ha commentato - l'offerta fatta ai proprietari dell'ecomostro di Alimuri di poter costruire un nuovo albergo in cambio dell'abbattimento del vecchio albergo abusivo. Le autorità pubbliche dovranno spiegare perché hanno deciso di cofinanziare l'abbattimento dei manufatto in questione e per quali motivi le stesse autorità provvederanno a compensare gli eventuali aumenti di costo dell'operazione di rimozione della struttura».Nell'interrogazione parlamentare il senatore del Prc chiama in causa direttamente ilministro Rutelli, al quale chiede di garantire che la nuova struttura non sorgerà in zone vincolate e non produrrà un impatto ambientale in zone di pregio dal punto di vista ambientale o agricolo, paragonabile a quello dell'enorme edificio abusivo. La storia dell'ecomostro di Alimuri, una baia incantevole tra Sorrento e Castellammare di Stabia, sembra interminabile. Tutto comincia nel 1964 quando viene rilasciata la licenza per costruire a ridosso della costa un albergo di cinque piani, autorizzazione rinnovata anche tre anni più tardi. Nel 1971 la Soprintendenza ordina la sospensione dei lavori e l'amministrazione comunale decide la demolizione della costruzione. Nel 1976 la Regione Campania annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma di fabbricazione, ma il Tar Campania nel 1979 e il Consiglio di Stato nel 1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. La telenovela prosegue e nel 1986 i lavori sono sospesi dal Comune di Vico Equense perché si rende necessario il consolidamento del costone roccioso retrostante. L'edificio inizia a versare in condizioni degradate e diviene una vera e propria discarica. Col tempo aumenta la pericolosità, con l'inizio della caduta di massi dal costone e della corrosione a causa delmare. A questo si aggiungono un lento crollo del solaio e la staticità dell'edificio sempre più precaria con il passare degli anni. Già nel 1985 la Capitaneria di Porto di Castellammare di Stabia aveva iniziato a vietare il transito e la sosta di persone e imbarcazioni nella parte di mare antistanti la struttura, entro una fascia di 150 metri dal piede del costone. Passano due anni e vengono approvati il Piano paesistico della penisola sorrentina e il successivo Put (Piano di utilizzazione territoriale) che individua l'area di Alimuri come zona di tutela ambientale di primo grado, con divieto assoluto di edificare e trasformare il suolo. Sull'area vige anche un vincolo idrogeologico e l'Autorità di bacino del Sarno inserisce il costone roccioso retrostante alla struttura tra le zone ad alto rischio. A partire dal 2003 inizia la serie infinita di incontri presso la Regione Campania per avviare un'azione complessiva di riqualificazione dell'area che comprende il consolidamento del costone, la delocalizzazione della struttura e la demolizione del manufatto. Durante la primavera di quest'anno arriva la svolta con l'intervento del ministro Rutelli, che il 4 aprile annuncia una campagna contro gli ecomostri: tra le priorità viene indicato proprio lo scheletro di Alimuri. La demolizione porterà all'eliminazione di una struttura che ha un volume di 18mila metri cubi su un'area di 2mila mq, alta 16 metri per un numero totale di 5 piani, compreso il pianterreno. La messa in sicurezza del costone che si trova alle spalle della struttura prevede l'intervento su una superficie lunga 170 metri e alta 90. Unfantasma di cemento armato che per oltre quarant'anni ha contribuito a deturpare una delle coste più belle del nostro paese e la cui sorte ora dipende anche dal lavoro della magistratura. A partire dalla fine di agosto, quando il fascicolo aperto dalla procura di Torre Annunziata inizierà a riempirsi di dettagli e finalmente si farà chiarezza anche sulla competenza ad indagare, ultimo grande intoppo dell'interminabile vicenda Alimuri. «Noi abbiamo aperto un fascicolo sulla scorta degli articoli di stampa, ma nel caso in cui emergano ipotesi di reato - ha spiegato il procuratore Marmo - c'è da decidere ora chi debba occuparsene. Tutto dipende da dove è stato siglato l'accordo, se a Roma, alla Regione o al comune di Vico Equense. Indagheremo

In vaporetto. Con vista sul Mose

di Roberto Ferrucci

Non appena il cielo si rannuvola, da queste parti, tutto il litorale, inteso come bagnanti provenienti da ogni angolo d'Europa, sale su una motonave e si cala a Venezia. Gente in vacanza sulle spiagge di Jesolo, Cavallino, Eraclea e dintorni, raggiunge Punta Sabbioni, sale a bordo di motonavi dell'Actv e queste, ogni mezzora, scaricano sull'approdo di Riva degli Schiavoni centinaia e centinaia di tizie e tizi in bermuda e infradito (e immaginate tutto il diffondersi di, ovvi, è chiaro, ah e oh e uh con le h necessariamente strascicate). Per arrivare fin lì si sono goduti quarantacinque minuti di rilassante navigazione attraverso la laguna veneziana. A seconda dell'intensità della velatura nuvolosa, degli spiragli di sole che, qui e là, riescono a spuntarla, le loro pupille hanno potuto impregnarsi delle sfumature più inattese di verde, di blu, di giallo. Cromatismi cangianti che il paesaggio lagunare sa offrirti di secondo in secondo.

Ma i loro sguardi, per arrivare lontano, hanno dovuto dribblare ostacoli inattesi, gru, paranchi, argagni, chiatte, boe di segnalazione, ma forse nessuno di loro, di noi, possiede il completo glossario di tutti gli aggeggi che infestano questa zona d'acqua. Un paesaggio unico, ai cui colori naturali si è accostata da tre anni una deflagrazione di gialli, di rosa, di blu, di arancioni, di rossi nient'affatto naturali. Tutti i marchingegni necessari a mettere insieme quell'opera mastodontica (mostrodontica) che si chiama Mose e che dovrebbe, dovrà (e non farebbe, farà) salvare Venezia dalle acque alte. Tonnellate e tonnellate di cemento in profondità e in superficie. Sull' (in)utilità del Mose è già stato detto molto. Ma ogni volta che se ne parla, nell'immaginario prende forma qualcosa di astratto. E dato che, soprattutto in tv, se ne parla come qualcosa di magico, di miracoloso, astratto più magico mettono insieme qualcosa di ancor più inimmaginabile. Anche quando vogliono dirci della sua costosissima inutilità, il mostro, questo mostro, mostro diffuso, tentacolare, in gran parte invisibile, ce lo mostrano sempre dall'alto. Foto aeree dove vedi solo lo stato attuale dei lavori e devi allora fare uno sforzo di memoria, ammesso tu ne abbia viste altre, nel passato, di foto dall'alto della laguna veneziana, per ricordare com'era prima.

Servono dunque a poco, oggi, quelle foto. Non ti danno l'idea di ciò che sta avvenendo laggiù, sopra e sotto l'acqua della laguna. Fare altrimenti è semplice, basta fare come i turisti del litorale, prendere la motonave dell'Actv, sei euro di biglietto. Uno soltanto se siete possessori di Carta Venezia. Direzione Punta Sabbioni o Burano. Dalla motonave la puoi ammirare dall'alto, Venezia. E anche la striscia infinita del Lido. Poi, appena doppiata la punta dell'isola, con la torre di controllo biancorossa dell'aeroporto Nicelli, il panorama si apre e, al contempo, si deturpa. La linea dell'orizzonte è frastagliata da slanci geometrici che a noi, della generazione del Meccano, alla fine pure affascinano. Mano a mano che la motonave avanza, le piattaforme, a prua, prendono forma mentre qui, di lato, lungo la diga di San Nicolò, cantieri si manifestano per quello che sono, bulldozer gialli, gru color ruggine, tendoni bianchi, serbatoi grigi, sacchi di plastica verdi con dentro chissà che cosa, container privi di colore e montagne di sabbia e sassi e argagni ruggine, pure quelli.

Sono quei cumuli di massi, sassi e pietre, a inquietare di più, protetti dall'acqua da sgangherate paratie ferrose plissettate, dalle quali pendono vecchi pneumatici sfondati. Economici parabordi per le barche da dove sbarcano, quotidianamente, gli operai impegnati nell'opera. Di lato, a distanze varie, le piattaforme, ancorate al fondo, profonde. Una, due, forse tre sullo sfondo. Di varie dimensioni. Una chiatta, la G. Loris, blu, con a prua una gru bianca, le braccia rosse, è attraccata poco avanti. Quando la affianchiamo, inizio a scattare foto a raffica. A bordo, qualche tonnellata di massi. Il braccio della gru ha appeso una sorta di enorme tentacolo di metallo, di quelli che si aprono a tenaglia. Viene manovrato in modo da abbrancare il maggior numero possibile di pietroni, li solleva, si sposta di pochi gradi e splash, i pietroni finiscono in acqua, come facevamo da piccoli quando rovesciavamo nel secchiello, pieno di acqua, palate di sabbia. Ma era un gioco, il nostro. Guardo i pietroni finire in laguna e provo a immaginare di essere là sotto - ché, la sotto, qualcuno, qualcosa cui questi pietroni provocheranno danni irreversibili c'è - immagino di sentirmeli rotolare addosso, innaturali, invadenti, inutili, devastanti. Guardo, e i turisti a bordo fanno lo stesso, ma con una inclinazione degli occhi che capisci poco aderente al fatto. Non sanno o non capiscono. Lavori in corso, come in una qualunque via della loro città, si staranno dicendo. Guardo, e noto qualcosa che sarà conferma strada facendo. Guardo, faccio zoom e contro zoom, ma sopra e dentro a quei cosi non vedo anima viva. Si ha come l'impressione che questi mostri possano agire da soli, manovrati da un pensiero perverso che ha deciso che qui sì.

Qui nella laguna veneziana, era possibile sperimentare prima e mettere in atto poi uno scempio utile solo a chi lo fa, nel senso di milioni e milioni e milioni di euro. Non bastava Porto Marghera. Bisognava accerchiarla di bruttezza, Venezia. E via col Mose. Dighe mobili che verranno utilizzate, se mai lo verranno, una volta ogni due tre anni, quando cioè Venezia è vittima - ogni due tre anni, appunto - di maree superiori ai 130 cm. Sotto, dicono i progettisti stessi, il Mose è inutile.Ma brutto, devastante e costoso. Per questo era necessario costruirlo.

Più avanti passiamo accanto a un'altra chiatta quasi uguale alla precedente - è per questo che si chiama Zemello II, mi dico - alle prese con l'identica operazione, tenaglia, pietroni, splash. La motonave vira, si avvicina lenta verso Punta Sabbioni. E qui incrocia la piattaforma -ma forse si tratta di un pontone - più variopinto. Più luna park, messo su con i pezzi più colorati del nostro Meccano. Forse, in questo caso, i turisti guardano meglio. Chi potrebbe mai aspettarsela un'autogru, di quelle con i cingoli, colorata di rosa? Anche il container degli attrezzi ha la stessa tonalità di rosa. E rosa sono pure i cavi. Dietro, degli alti e sottili serbatoi, bianchi e rossi come le maglie dei gondolieri. Di fronte, un'autogru gemella però arancione. La motonave ci gira quasi attorno, la sfiora, e con lo zoom puoi entrarci dentro, al pontone. Ganci, pulegge, bombole, e un sacco di altre cose di cui non so il nome. Sembra tutto messo lì alla rinfusa, non fosse che, c'è da esserne certi, ogni ingranaggio funziona perfettamente, integrato e connesso al contesto. Sul lato della piattaforma, color verde, c'è scritto Cidonio in bianco e uno stemma, sfondo blu, con una stella e, in senso orario la sigla Pci. Che vada letta in successione diversa lo dice l'insegna, su uno dei bracci delle gru. Impresa Pietro Cidonio.

Più tardi, a casa, andrò sul sito della ditta e leggerò: «L'intervento prevede la realizzazione della diga in scogliera di perimetrazione di un'isola artificiale con quota di sommità +3,50m s.l.m.m. per tre dei quattro lati che la compongono e a +1,80m s.l.m.m. sul retrostante lato laguna e dei filtri sulle scarpate interne della stessa per l'idoneo contenimento del refluimento dei materiali di dragaggio delle zone di escavo limitrofe. In corrispondenza del lato interno dell'isola è prevista l'esecuzione di una banchina a gravità con massi di calcestruzzo sovrapposti necessaria all'operatività dei mezzi marittimi che verranno impiegati nel corso della realizzazione del Progetto Mose. Dragaggi: 69.800 mc, materiali lapidei: 250.000 ton, getti in cls per esecuzione massi artificiali di banchina: 1.780 mc».

Ecco cosa stanno facendo. Se ci avete capito qualcosa. Ma questa piattaforma con l'autogru rosa ha un suo perché, c'è poco da fare e quando, al ritorno, la motonave diretta a Venezia ci passerà ancora più vicino, scoprirò finalmente tracce di vita, là sopra. In un angolo, sotto una tettoia credo in lamiera, sono appese due paia di pantaloni, ad asciugare, rosa e bianchi. Appartengono ai manovratori dell'autogru rosa, c'è da scommetterci. Si lavora in tinta, da queste parti. Poi, appena virato l'angolo, la scenetta più inattesa. Accanto al container rosa, due signori in maniche di camicia osservano divertiti un terzo, alle prese, piegato sulle ginocchia, con una pentola scolapasta appoggiata sopra un piano metallico, verde, sul bordo dell'imbarcazione. Ride, il cuoco improvvisato e io mi immagino che loro, l'acqua, la facciano bollire lì, sopra a quel coso probabilmente incandescente. La motonave doppia il Lido. C'è molto altro da vedere e da raccontare di questo scempio.Mala gita ora spetta a voi. E adesso, mentre la motonave vira in Bacino San Marco, non sai più cosa ti stia provocando questa stretta al cuore, se lo scempio dietro le spalle, o quell'accenno di tramonto là davanti, sul cielo sopra Venezia.

www.robertoferrucci.com

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