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Massimo Gianni; Scalia Mattioli
Mose e corridoio tirrenico, questioni da «mani pulite»
29 Giugno 2007
Articoli del 2006-2007
Su il manifesto del 29 giugno 2007 gli autori criticano le risposte balorde del minstro Di Pietro a questioni sostanziali. Con una postilla

Ci rivolgiamo al ministro delle infrastrutture, perché per noi Antonio Di Pietro resta l'uomo di «mani pulite», simbolo di una stagione che si caricò per tanti della speranza di comportamenti limpidi della pubblica amministrazione, della politica e chiedergli se, per qualche mese, può provare a rifare «mani pulite» nelle infrastrutture.

Prendiamo due esempi emblematici - il Mose e il corridoio Tirrenico - per osservare che le motivazioni addotte dal ministro non ci sembra che dovrebbero bastare per guardare dentro queste due «opache» vicende. Dice infatti Di Pietro per il Mose: «Io non sono un tecnico ed i tecnici del ministero (ma non solo) hanno fatto la loro scelta che io devo rispettare». Quanto all'autostrada che dovrebbe scorrere accanto alla Via Aurelia: «Per l'adozione di scelte che soddisfino l'interesse generale, nel rispetto della sicurezza e della salvaguardia ambientale, di questo si fa carico la Regione, formalmente competente». Queste serene risposte non ci paiono sufficienti.

Il Mose: che valutazione dà il ministro dei tecnici e dei rapporti predisposti per le sedi istituzionali attorno al «Modello predittivo dell'andamento della morfodinamica dei fondali in conseguenza dell'apertura e chiusura delle paratie mobili»? Cioè uno studio di importanza fondamentale per la sicurezza di Venezia, che non è stato mai effettuato, perché - fu detto - non c'erano le competenze appropriate nella commissione del Consiglio superiore dei LL.PP. che esaminò il progetto? Si comprenderà che lo studio è cruciale, perché valuta il rischio che l'opera possa risultare addirittura controproducente. Ne prende atto il governo Amato quando, il 15/3/2001, il ministro Nesi porta il Mose in consiglio dei ministri per passare al progetto esecutivo e il governo di allora, contrariamente a quanto si legge nella relazione predisposta per Di Pietro nel consiglio dei ministri il 10/11/2006, all'unanimità decide che bisognava procedere ad una fase di «approfondimento progettuale», in particolare sulla morfodinamica. Lo studio non è stato ancora effettuato e tuttavia, all'interrogazione dei parlamentari Bonelli e Zanella (22/3/2007), si risponde (a firma del ministro) che «gli ulteriori approfondimenti richiesti dal consiglio dei ministri del 15/3/2001 sono stati puntualmente programmati e svolti». Ma fonti del ministero fanno sapere che «la problematica della morfodinamica è stata affrontata per quanto riguarda gli effetti di tale fenomeno sulla progettazione delle paratie mobili, ma su questa complessa fenomenologia sono in corso studi scientifici, sulla base di programmi di ricerca internazionali finanziati dall'Unesco». Così il cantiere va avanti, e sempre in concessione al Consorzio Venezia Nuova, passato indenne attraverso la critica di mozioni parlamentari e di procedure di infrazione comunitarie: quando si dice i «poteri forti»! Così forti da aver messo in non cale le fondatissime critiche a tutti gli elementi deboli del progetto avanzate dai tecnici, dal comune, Cacciari in testa. Di fronte a questi fatti, la sicurezza di Venezia non richiede una robusta verifica?

L'autostrada. Da anni c'è chi vagheggia di stendere, a fianco dell'Aurelia altre sei corsie: non è sufficiente portare tutta l'Aurelia alla dimensione superstrada. Lo vuole l'Ue, bisogna dividere il traffico pesante da quello leggero, si farà nel rispetto del paesaggio, e non costerà soldi pubblici perché la concessionaria Sat lo farà ricorrendo al Project financing. Queste sono alcune delle motivazioni avanzate dalla regione Toscana, sostenitrice dell'autostrada. Ma il governo Amato sceglierà invece di inserire nel piano generale dei trasporti del marzo 2001 il potenziamento dell'Aurelia. Caduto Amato, lo zelo regionale spiana la strada a Lunardi nel rilancio dell'autostrada ed ora Di Pietro annuncia che il 4 luglio «per rispettare la volontà regionale» ci sarà l'accordo tra stato, regione e Sat.

Alla direzione generale trasporti della Ue, rispondono: «La rete stradale Ten (Trans Europe Network) - nella cui cartina è indicata la S.S.Aurelia - è composta di autostrade e di strade di elevato standard, esistenti, nuove o da adeguare e gli interventi possibili comprendono l'adeguamento di strade di elevato standard. Se le autorità italiane, per promuovere la costruzione di una nuova autostrada parallela alla S.S. esistente, si fondano sugli orientamenti Ten, ne fanno una lettura errata. I cofinanziamenti comunitari destinati alla rete stradale Ten non sono in alcun caso vincolati dalla necessità di realizzare un'infrastruttura autostradale a pedaggio». Va anzi osservato che il Consiglio europeo di Göteborg ha posto il riequilibrio fra i modi di trasporto al centro della strategia di sviluppo sostenibile: si tratta di trasferire verso modi alternativi una percentuale di merci pari al previsto tasso di crescita dei trasporti internazionali su strada; i cofinanziamenti comunitari dovranno essere riveduti e corretti per dare la priorità alla ferrovia e al trasporto marittimo e fluviale, in un quadro organico nel quale i trasporti stradali dovrebbero prevedere distanze di utenza più brevi.

Quanto al costo, è la stessa Sat a quantificare in quasi 2 miliardi di euro il maggior costo della realizzazione dell'autostrada rispetto all'ampliamento dell'Aurelia e la via del project financing è praticabile, per l'insufficiente volume di traffico, solo a condizione di forzarne le regole: garanzia di mezzo secolo per la durata della concessione, pedaggi abnormi, annualmente rivedibili.

C'è da chiedersi se vi sia solo danno ambientale o qualcosa non torni anche dal punto di vista dell'etica pubblica. Vuole Di Pietro andare a vedere coi suoi occhi a nome di tutti noi? E' un fatto che la legge finanziaria del '98 destinò qualche centinaio di miliardi alla Sat, a titolo di indennizzo per il parere negativo sul progetto di autostrada dato dal ministro dell'ambiente Giorgio Ruffolo nel '92. E' il sottosegretario dei LL.PP. Antonio Bargone a gestire la vicenda il quale, in modo assai poco british, è divenuto poi consulente della regione e ora presidente della Sat. Non siamo quei populisti che vedono dietro ogni opera pubblica il tintinnare di «mani pulite», ma chiediamo al ministro: vuol dirci, quali sono i veri motivi a favore di un'opera enormemente più costosa e che scempia quel paesaggio? E sappiamo che il ministro non ci ripeterà le fumisterie della regione, ma forse vorrà capire un po' meglio, anche lui, tutta la vicenda. Altrimenti, da chi dovremmo aspettarcelo?

Postilla

Molto ci sarebbe da aggiungere, sulle illegittimità del MoSE, a quanto accennano Mattioli e Scalia. Rinviamo all’amplissima documentazione raccolta nella cartella dedicata appunto al Mostro della Laguna di Venezia. Spendere montagne di soldi per opere inutili e dannose non sembra all’attuale governo (come a quelli che lo hanno preceduto) cosa indecente. Dire dei NO è diventato il peggiore degli errori, a prescindere dai contenuti e dalle ragioni. Da alcuni passaggio del discorso di Veltroni sembra che il nuovo partito che forse guiderà voglia essere l’alfiere di questa linea.

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