L'infamia delle torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib aveva testimoniato la continuità fra regimi torturatori - quello del tiranno Saddam Hussein e quello del democratico George Bush - accomunati dal disprezzo dei diritti delle persone, della loro dignità, della loro vita. Oggi, l'infamia giuridica della sentenza di una corte d'appello britannica - e l'esaltazione che il ministro degli interni David Blankett ne ha fatto - allarga il cerchio della complicità fra regimi torturatori. La sentenza della corte britannica ha legittimato la tortura come procedura giuridica per la raccolta di prove non solo contro le persone torturate, ma anche contro altri soggetti formalmente innocenti. Quella sentenza legittima gli orrori di Guantánamo, se ne rende moralmente e giuridicamente corresponsabile. Il governo laburista britannico si era già reso responsabile di una lunga serie di violazioni del diritto internazionale e di crimini contro il diritto umanitario. Basti ricordare le atrocità commesse dal contingente britannico nel carcere di Mazar-i-Sharif, in Afghanistan, atrocità che nessuna assise penale internazionale è intervenuta e mai interverrà a indagare e a sanzionare. Da questo punto di vista, la notizia di ieri potrebbe non sorprendere. Ma la sua estrema gravità sta nel fatto che la legittimazione della tortura viene ora dalla sentenza di una corte.
E' un'intera tradizione giuridica che viene brutalmente cancellata nei suoi valori più alti e nelle sue pratiche più consolidate. E' la tradizione britannica del rule of law, una tradizione che è all'origine della dottrina delle libertà fondamentali e dei diritti dell'uomo. Che è la base dell'intera esperienza dello «stato di diritto» euro-continentale. La tradizione del rule of law si è affermata proprio grazie alle corti ordinarie che hanno strenuamente difeso le «libertà degli inglesi» contro ogni possibile attentato sia del potere esecutivo sia del Parlamento. La gloriosa tradizione dell' habeas corpus - la scrupolosa tutela dei diritti dell'imputato e della sua presunzione di innocenza - è nata in Inghilterra, grazie a questa tradizione giudiziaria profondamente radicata nella «costituzione» non scritta condivisa da un popolo intero. Ora tutto questo sembra tramontato. Ora dei giudici britannici ignorano che la tortura è una pena inflitta a una persona innocente, contro il principio giuridico nulla poena sine judicio. Ignorano che in Europa, grazie alla rivoluzione penale illuministica, l'imputato non può essere costretto a dire la verità, che l'imputato non ha il dovere di confessare, come pretendeva la giustizia torturatrice dell'Inquisizione. Ignorano quello che Cesare Beccaria, in Dei delitti e delle pene, aveva lucidamente segnalato: la tortura non offre alcuna prova attendibile, perché le sevizie inflitte a una persona conducono a risultati diversissimi in funzione di una infinità di circostanze, inclusa l'incapacità del torturato di sopportare il dolore o, al contrario, la sua estrema determinazione morale che lo può portare a sfidare la sofferenza e la morte.
I giudici britannici sono dunque testimoni di un processo che a partire dall'11 settembre si è fatto sempre più allarmante: l'Occidente nega se stesso, si congeda dagli elementi più nobili della sua identità giuridica e politica, sfregia la sua immagine. Forse si potrebbe dire meglio: l'Occidente nega le sue radici europee, nega l'Europa. L'Occidente coincide in questo senso con la sua propaggine estrema - l'emisfero dominato dagli Stati Uniti - e l'Europa non è che un'illustre tradizione che non riesce a incarnarsi in un soggetto politico autonomo.