Dissimulazione onesta, ipocrisia, menzogna, falsificazione... Questi sono panni che la politica ha sempre vestito, e i realisti da sempre dicono che non può dismetterli. E la verità? Scriveva Hegel che «la verità non è moneta in corso che è possibile riscuotere in quanto tale». Ma si può ammettere che la regola democratica non contempli l´obbligo di dire il vero?
La democrazia non è soltanto governo "del popolo", ma anche governo "in pubblico". Per questo la democrazia deve essere il regime della verità, nel senso della piena possibilità della conoscenza dei fatti da parte di tutti. Perché solo così i cittadini sono messi in condizione di controllare e giudicare i loro rappresentanti, e di partecipare al governo della cosa pubblica. Perché qui si colloca una delle sostanziali differenze tra la democrazia e gli altri regimi politici, quelli totalitari in particolare, dove l´oscurità avvolge l´intera vita politica e sono i governi a definire quale sia la verità. Nascono in questo modo le verità "ufficiali", che sono lo strumento per distorcere o occultare le rappresentazioni reali di quel che accade. Per questo i regimi totalitari non amano le scienze sociali, non conoscono la stampa libera, arrivano persino a ritenere pericoloso uno strumento di conoscenza come l´elenco telefonico.
Ma può la democrazia essere identificata con l´assoluta trasparenza, con l´obbligo di dire la verità in ogni caso e ad ogni costo? Kant poneva il divieto di mentire dei governanti come un imperativo. Ma anche i regimi democratici conoscono casi in cui il segreto è ammissibile, anzi può essere considerato necessario e doveroso.
Qual è, allora, il tasso di segretezza, e di insincerità, che un sistema democratico può sopportare senza mutare la propria natura?
Segretezza e menzogna non sono la stessa cosa. Segreto, dicono i dizionari, è il «fatto, realtà, notizia che non si vuole o non si deve rivelare a nessuno». Menzogna è «affermazione contraria a ciò che è o si crede corrispondente a verità, pronunciata con l´intenzione di ingannare». Così le cose sembrerebbero chiare: il segreto è non dire, che è cosa assai diversa dall´ingannare. Ma quando gli arcana imperii, i segreti che avvolgono l´azione del sovrano o anche dei governanti democratici, coprono troppe materie o questioni essenziali per la vita pubblica, la distinzione tra il non sapere e l´essere ingannati può diventare sottilissima. Non sapendo, i cittadini non sono in grado di controllare le scelte dei governanti, brancolano nel buio. La conoscenza diventa appannaggio di un gruppo ristretto, e la forma di governo può trasformarsi da democratica in oligarchica.
Due situazioni, diverse e per certi versi estreme, aiutano ad individuare i limiti possibili del segreto in una società democratica. Nella legge del 1977 sul segreto di Stato, che lo ammette a difesa della libertà degli organi costituzionali e per ragioni di difesa e politica estera, tuttavia si dice che «in nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato i fatti eversivi dell´ordine costituzionale». Le norme sulla privacy consentono ad ogni cittadino di rivolgersi al Garante per chiedergli di accertare se i servizi segreti abbia raccolto illegittimamente informazioni sul suo conto, e al Garante non può essere opposto il segreto di Stato. Vi è dunque un punto oltre il quale l´ordine dello Stato e quello intimo delle persone esigono garanzie che nessuna pretesa di segretezza pubblica può mettere in discussione.
L´obbligo di verità da parte delle istituzioni diviene diritto d´informazione sul versante dei cittadini. Nell´articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo dell´Onu si afferma che «ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguarda a frontiere». Questo diritto individuale alla ricerca della verità attraverso le informazioni chiarisce bene quale sia il significato della verità nelle società democratiche, che si presenta come il risultato di un processo aperto di conoscenza, che lo allontana radicalmente da quella produzione di verità ufficiali tipica dell´assolutismo politico, che vuole proprio escludere la discussione, il confronto, l´espressione di opinioni divergenti, le posizioni minoritarie.
La pienezza della conoscenza per tutti fonda la verità "democratica". «Conoscere per deliberare» ? diceva Luigi Einaudi. Ed è certo pessima per l´interesse generale una deliberazione fondata su informazioni ingannevoli o false. Si deve aggiungere che la conoscenza è necessaria anche per progettare e controllare, dunque per consentire la partecipazione dei cittadini all´intero processo democratico.
Questo diritto alla verità attraverso le informazioni non può essere affidato soltanto all´iniziativa ed alle forze individuali. Esige "istituzioni della verità". I parlamenti non sono stati concepiti solo come strumenti per l´approvazione delle leggi, ma come luoghi di confronto e di controllo, dove far emergere la realtà delle situazioni. Il sistema dell´informazione e della comunicazione adempie ad una funzione essenziale di fornire ai cittadini conoscenze altrimenti inaccessibili. Il diritto di cercare, ottenere e diffondere informazioni è divenuto una possibilità concreta per un numero sempre crescente di persone grazie ad Internet. La verità in democrazia, quindi, esige forza dei parlamenti, libertà dei sistemi informativi da condizionamenti economici e da censure, assenza di controlli generalizzati agli utenti di Internet.
La democrazia si presenta così come un regime di verità "molteplici", non di verità "rivelate". E di verità rese accessibili a tutti. Non dimentichiamo che, inquisendo Galileo, il cardinal Bellarmino gli rimproverava non tanto di aver scoperto verità scientifiche, ma di averle comunicate a tutti scrivendo in italiano, e non in quel latino che le avrebbe rese accessibili a pochi e quindi politicamente e socialmente meno esplosive.
In democrazia, la verità è figlia della trasparenza. Un grande giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, ha scritto che «la luce del sole è il miglior disinfettante». Di conseguenza, ogni impresa di lotta alla corruzione, ogni azione volta a rendere possibile il controllo di legalità delle azioni individuali e collettive, esige come condizione preliminare la creazione di un ambiente all´interno del quale non esistano barriere protettive al riparo delle quali la possibilità della segretezza generi la frode.
Ma fino a che punto l´irrinunciabile trasparenza sul versante pubblico può trasformarsi per qualsiasi cittadino in un obbligo assoluto di verità, nel dovere di denudarsi in pubblico? Qui le risposte sono diverse a seconda dei ruoli sociali, e siamo di fronte a nuovi intrecci, come quelli tra verità e fiducia. Le menzogne sulla vita sessuale di John Profumo e Gary Hart sono state considerate segno di inaffidabilità politica ed hanno portato all´esclusione dall´attività politica. Un sottofondo puritano ha fatto concludere che mentire su alcune abitudini private sia indice di propensione a mentire anche nella sfera pubblica. Ma la vicenda, pur pesantissima, di Bill Clinton ed il fastidio destato dai tentativi di attaccare John Kerry per le sue relazioni private fanno pensare che anche in quei paesi si sia alla ricerca di nuovi equilibri tra riservatezza e trasparenza.
Né "la salvezza della Repubblica" può produrre l´obbligo della verità ad ogni costo e con ogni mezzo. L´imputato ha diritto di mentire per difendersi, la tortura e le schedature di massa confliggono con la logica della democrazia anche se usate per cercare la verità. Vi è una violenza della verità che la democrazia ha sempre cercato di addomesticare, per evitare che travolga le stesse libertà democratiche fondamentali.