"Sono una guida religiosa, le prigioniere mi riconobbero. Il resto fu pianto, mio e loro"
«Era notte - racconta Abdul - quando i soldati americani vennero a casa a mia. Cercavano non so cosa, armi, esplosivo forse. Urlavano parole incomprensibili. Rovistarono in ogni angolo buttando tutto all´aria senza rispetto per nessuno, i vecchi, le donne, i bambini. Non trovarono nulla perché non c´era nulla. Le mie sole armi sono le parole. Quelle stesse, durissime che avevo pronunciato nella mia ultima predica del venerdì. Avevo detto che bisognava cacciare l´invasore con ogni mezzo, riprenderci la nostra vita, determinare il nostro futuro senza padroni né tutori. Quella era la mia colpa. La stessa di milioni di iracheni come me, sunniti, sciiti, cristiani che vorrebbero che le truppe di occupazione se ne tornassero a casa. Di questo mi ero macchiato, ma non avevo alcun tipo di contatto con la guerriglia di Falluja o Bagdad».
«Arrivammo ad Abu Ghraib che era l´alba. Mi misero in una cella insieme ad una ventina di altri disgraziati come me, accusati anche loro di non so cosa.
Gli americani con noi non ci vanno troppo per il sottile. Parlano di democrazia, ma a loro basta un sospetto, anche il più piccolo, per sbatterci dentro e trattarci come il più feroce dei criminali. La mia presenza sembrò confortare i miei compagni di cella. Provai a rincuorarli, pregammo insieme.
Ma durò poco perché dopo due giorni dopo fui messo in isolamento e affidato alle cure di soldatesse. Feci l´errore di pensare che essendo donne potessero avere più cuore. Mi sbagliavo e di grosso. Erano peggiori degli uomini. Arrivò il giorno dell´interrogatorio. Fui portato in una stanzetta. Erano in tre più un´interprete. Mi ordinarono di spogliarmi. Rimasi in mutande ma mi urlarono di togliere anche quelle. Non capisco perché, protestai. Ma quella che sembrava la capa mi zittì con un: "Qui le domande le faccio solo io". Rimasi nudo, dunque. Mi vergognavo mentre quelle non facevano che ridere godendo del mio imbarazzo. Istintivamente ero portato con le mani a coprirmi il basso ventre. E fu allora che una delle mie aguzzine tirò fuori da una borsa un indumento rosso. Un ridottissimo slip, da donna. "Copriti con questo, se ti vergogni". Avevo capito cosa volevano. Quando si è nudi, abituati oltre tutto come noi iracheni a vivere in una società dove il pudore è una componente essenziale, si è assai più fragili. Più disponibili a parlare, a collaborare, a tradire, pensavano loro. Ma io non avevo segreti da svelare. Non avevo complici da coprire, non sapevo nulla, non conoscevo i nomi dei capi della guerriglia, non potevo quindi fornire informazioni che non avevo. Indossai quello slip sentendomi ridicolo come mai in vita mia. E loro sghignazzavano dicendo cose che non capivo ma di cui intuivo il senso. Poi arrivarono le domande, sempre le stesse. Tu non puoi non sapere chi nel tuo quartiere, nella tua zona nasconde armi, esplosivo. Chi sta preparando attentati. Se parli, puoi rivestirti, altrimenti è peggio per te. Non riuscivo a immaginare cosa fosse peggio di quello stare in piedi nudo davanti a delle donne che mi mancavano di rispetto come uomo e come religioso».
«Ripetei fino alla nausea che non sapevo nulla, che dovevano credermi. Mi lasciarono solo per un´ora, forse due. Pensavo di averle convinte, di aver finalmente fatto breccia nei loro cuori. Pregai con tutte le mie forze che fosse così. Ma ritornarono e mi portarono nudo come ero nel settore delle donne. Non capivo cosa volessero. Poi aprirono una cella e mi spinsero dentro. C´erano sedici detenute. Giovani e meno giovani. Madri, mogli, figlie o sorelle di uomini sospettati di non si sa bene cosa. Fu terribile, per noi la stanza delle donne è sacra è inviolabile. Alcune di quelle poverette mi riconobbero e abbassarono gli occhi rendendosi conto della mia vergogna che non era inferiore alla loro. Non possono farci anche questo, fu l´unica cosa che sentii dire. Perché tutto il resto fu soltanto un interminabile pianto. Il mio ed il loro. Tre ore dopo, che mi sembrarono lunghe una vita, tornai nella mia cella. Mi restituirono i vestiti. Due giorni dopo ero fuori da Abu Ghraib».