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Vittorio Emiliani
Il prefetto di fuoco
31 Agosto 2007
Articoli del 2006-2007
D’incendi e d’incendiari, di sacrosanti poteri sostitutivi e di istituzioni che non funzionano. Da l’Unità del 31 agosto 2007

Ci sono voluti anni di roghi boschivi, c’è voluta un’ultima estate disastrosa con le superfici andate a fuoco aumentate del 330 per cento, e, finalmente, si è individuato il punto debole della (buona) legge del 2000: la mancata attuazione del catasto delle zone incendiate da parte dei Comuni, per gran parte inadempienti, specie al Sud. Il potere torna dunque, per decreto governativo, allo Stato tramite i prefetti per fare «questo benedetto catasto che altrimenti non si fa», ha spiegato il ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Ci sarà qualche prefica del decentramento ad ogni costo che verserà lacrime o che protesterà.

Ma la democrazia vera è questa: se l'organismo elettivo locale o regionale o per trascuratezza o per pressioni di gruppi e di lobbies non dà corso ad una buona legge preventiva e repressiva, qualcuno ci deve pensare. In questo e in altri casi lo Stato. Walter Veltroni lo ha proposto anche, gli appalti edilizi al di sopra dei 100mila euro in Comuni particolarmente inquinati dalla malavita. Non è questione di filosofia politica. È questione di sano pragmatismo, di efficienza politico-amministrativa, di senso dell'interesse generale. Si tratta di togliere, applicando la legge, ai malintenzionati, a volte manovali della malavita impegnata nell'edilizia più speculativa, il cerino dalle mani, di rendere quel loro gesto del tutto inutile. Poi qualche psicolabile, qualche pastore retrogrado ci sarà sempre, e però il plotone degli incendiari (per favore, non chiamiamoli più piromani) si assottiglierà di molto non avendo più interesse a bruciare alcunché. Confidiamo che le prefetture faranno in breve tempo ciò che i Comuni non hanno fatto (in sette anni!) per contrastare il passo a quanti vogliono costruire sulle aree bruciate, oppure cambiarne la destinazione d'uso, cacciare o pascolare bestiame sulle medesime (e pure procurarsi lavori stagionali di rimboschimento). Ve n'è gran bisogno, visto che il numero dei roghi si è accresciuto del 70 per cento rispetto al 2006, soprattutto in regioni quali la Sicilia e la Calabria che da sole totalizzano buona parte degli incendi boschivi. Ma, nel contempo, occorre potenziare e razionalizzare il servizio di avvistamento, da terra e dal cielo. Torri di avvistamento ben collocate e visibili scoraggiano gli incendiari. Così come la flotta di piccoli aerei che, nei mesi caldi, la Francia fa alzare in volo quotidianamente - come ha spiegato sull'Unità, Roberto De Marco, già capo del Servizio sismico nazionale - in modo di individuare all'origine i primi focolai ed orientarvi rapidamente canadair, elicotteri e forze di terra. Non quando i roghi si sono già diffusi, potenziati dal vento.

C'è però un altro potere dello Stato, la magistratura, che deve fare la sua parte applicando con la giusta severità le norme esistenti, evitando il rilascio troppo facile degli arrestati e dando anche una adeguata pubblicità a processi e condanne. Ogni anno si arrestano 250-300 persone per reati connessi agli incendi: quante vengono poi processate e condannate? Quest'anno un patrimonio boschivo straordinario - magari all'interno di parchi nazionali come il Pollino o di parchi regionali di grande valore archeologico come quello romano di Veio - è stato incenerito dal fuoco assai spesso doloso. Questo è davvero un caso da "tolleranza zero", nell'interesse di tutti. Una collina a vegetazione spontanea, quando va a fuoco, impiega 9-10 anni a riprendersi. Inoltre quei terreni si «cuociono» e, alle prime piogge battenti, smottano facilmente, sommando danno a danno.

In conclusione: smettiamola di nutrirci di luoghi comuni su decentramento e accentramento. L'Italia delle Regioni esiste da quasi un quarantennio (la Regione Sicilia da sessant'anni ormai), purtroppo con esiti alterni, a volte desolatamente negativi. Si veda l'ambito paesaggistico per il quale alcune Regioni, vedi la Toscana, hanno sub-delegato alla tutela i Comuni. I quali hanno invece interesse, in tempi di tagli ai trasferimenti erariali, ad incassare quanto più possono dagli oneri concessorii e dall'Ici. Il Codice per il paesaggio dice che, entro il maggio 2008, le Regioni «possono» elaborare quei piani paesaggistici che già la bella legge Galasso prescriveva nell'ormai lontano 1985 lasciando tante e importanti Regioni indifferenti. Anche in questo caso, dobbiamo assistere alla cementificazione e asfaltatura integrale del Bel Paese per ridare allo Stato, cioè ai Ministeri dei Beni culturali e della Tutela dell'Ambiente poteri reali di intervento sostitutivo per piani rigorosi e prescrittivi? O vogliamo fare le anime belle del decentramento tanto democratico e chiudere gli occhi sul disastro paesaggistico in corso, dall'alta montagna alla costiera amalfitana, alle coste siciliane e calabresi?

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