C'è tutta una tiritera, sul mondo connesso in rete, che prevede ansiose considerazioni sui pericoli del virtuale, sul gioco delle doppie identità, sulla dipendenza da video, sugli equivoci sentimentali e le trappole erotiche che la fibrillante ubiquità della parola elettronica porta con sé. Tutto vero, o quasi. Ma tutto molto "nostro", molto occidentale, cioè lussuoso e lussurioso, aggiuntivo e magari bulimico.
E difatti, quando Charlie mi chiese, come primissima cosa, dov'era l'Internet Point pù vicino, e se riuscivo a procurarle un computer usato, mi domandai perché diavolo un'immigrata cingalese in Italia, con evidenti problemi economici e logistici, fosse così interessata a qualcosa che nella mia testa a parte l'ovvia funzione professionale: comunico per mestiere, e comunicare in fretta mi avvantaggia molto non è certo incasellata tra le priorità assolute. Diciamo che formulai, istintivamente, un pensiero del genere: ma perché mai Charlie pensa al companatico prima ancora di pensare al pane?
Avrete già capito, al volo, la grossolanità del mio errore di valutazione. Per Charlie e per i suoi amici, sradicati dal loro mondo, dalle abitudini quotidiane, dagli affetti, la posta elettronica è perfino più necessaria e desiderabile del pane. Il rapporto tra reale e virtuale, per loro, è significativamente capovolto: immaginatevi in una vita rovesciata, tolti da voi stessi e dalla vostra realtà di nascita e scaraventati in un altro mondo. Le strade di una piccola città ligure (dove Charlie lavora) vi parranno virtualissime, così come la lingua, i volti, i cibi, gli abiti. E l'appiglio con la realtà sta dentro il computer, nei soffici clic con i quali Charlie, quasi ogni giorno, riaccede alla famiglia e agli amici, ai vecchi genitori.
E riga dopo riga ricostruisce il quadro sbiadito della memoria domestica, si informa sui cambiamenti, le malattie, gli amori, i dettagli quotidiani della sua realtà d'origine.
Fate il confronto tra questo partire, nell'evo della comunicazione in tempo reale, e a basso costo, e il partire dei nostri emigranti, un secolo o mezzo secolo fa. Con le lettere che viaggiavano in piroscafo, le vite e le morti raccontate sempre in differita, rassegnati a una precarietà quasi totale dei contatti, a una perdita così radicale delle proprie origini che quasi sempre, per sopravvivere psicologicamente, si preferiva spaesarsi per sempre, dimenticare, abbracciare definitivamente la nuova vita e accendere un piccolo lume malinconico davanti al simulacro sbiadito di quella vecchia. La patria, per quegli espatriati, diventava una religione, un culto dell'altrove, e la vita materiale era un'altra, si sovrapponeva all'identità di partenza con inesorabile brutalità.
Charlie, invece, rimpatria di continuo, per pochi spiccioli, e riesce a sostenere lo spaesamento compensandolo, ogni volta che le serve, con la rassicurazione del contatto in tempo reale con la patria, cioè con se stessa.
Se vi ho raccontato di Charlie, del suo digitare quotidiano, l'ho fatto perché credo che il dibattito sulle nuove tecnologie sia, spesso, pochissimo tecnologico, cioè tenda e prescindere dai vantaggi strutturali e pratici, e si concentri sugli effetti sovrastrutturali o anche solo collaterali. Una definizione apparentemente ingenua, e però risolutiva, di posta elettronica, è "lettere che viaggiano molto più rapidamente". Lettere, dunque, cioè scrittura, racconto, emozioni e linguaggio. Il cattivo uso dello strumentoscrittura, e della comunicazione in genere, prescinde ampiamente dalla natura del mezzo. I grafomani e gli ossessivi e i rompicoglioni esistevano anche prima, perfino ai tempi della penna d'oca, e così i mentitori, i simulatori verbali, i ricattatori e gli anonimi, che potevano distillare i loro veleni al riparo di una identità falsa, o di una non identità, esattamente come i viaggiatori in rete sotto pseudonimo. Oh, certo, il cambio di velocità, con l'elettronica, è stato così clamoroso da non potere non avere effetti anche sulla qualità della comunicazione. Ci sono scambi epistolari, via Email, così intensi e furenti, e concentrati in pochi minuti, da non permettere, per esempio, quella digestione delle parole, quella decantazione delle emozioni, che aiuterebbero a essere meno impulsivi, meno in balia delle circostanze. Il video chiama alla risposta immediata, al corpo a corpo istintivo. Ma si tratta, con ogni evidenza, solo di impadronirsi meglio di un nuovo uso evitando di farsene usare, di sperimentare un linguaggio riuscendo a rimanerne padroni. Di caduti sul campo ce ne sono e ce ne saranno, ovvio, così come a una circolazione automobilitica intensa corrisponde una triste percentuale di incidenti.
Il solipsista nevrotico che si abbandona al video e chiude porte e finestre di casa è una figura reale, ognuno di noi ne conosce qualcuno, e in molte case ci si parla di meno, tra abitanti, perché si è individualmente affacciati, ognuno nella sua stanza, sul mondo della comunicazione elettronica. Ma gli svantaggi di una iperconnessione non possono cancellare i vantaggi della velocità e dell'economicità con le quali si può accedere al lontano e al negato, riformulando di continuo nozioni ed emozioni quotidiane. Chi non ha certezze, o ha poca pratica di sé e degli altri, potrà anche esserne travolto. La maggioranza delle persone non si confonderà, imparerà presto a frugare nella sua casella postale esattamente come accade nell'androne di casa, buttando via con un gesto sicuro la montagna di pubblicità invasiva e di fregnacce commerciali, i messaggi importuni, le pressioni invadenti o insolenti, e salvando solo le parole utili e attese, quelle che portano agli affetti, agli interessi personali, al lavoro, al ristoro della conversazione.
Per ogni vittima della ciancia elettronica ininterrotta, c'è una Charlie che chiama casa, come un ET che non vuole perdere il suo mondo, e trova sempre risposta. Il gioco vale la candela.