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Occidente tra dubbi e paura
21 Maggio 2004
Articoli del 2002
Con questo titolo la Repubblica del 30 novembre ha pubblicato una lettera di Cesare Garboli e la replica di Bernardo Valli. “Lettere su passato e presente – Un critico letterario e un grande inviato si scambiano le loro opinioni sull’attualità e la storia, il modo come interpretarla alla luce di quanto accade”: così il giornale presenta i due testi. La domanda di Garboli è inquietante, ed è quella che molti di noi si fanno. Il giornale la presenta così: “Chi recita oggi il ruolo dello Stato che vuole possedere il mondo, assoggettarlo alle sue convinzioni?” Garboli la sviluppa con argomentata lucidità. Anche la risposta di Valli è inquietante “Vi sono aspetti sconcertanti nell´iperpotenza americana, ma la forza a volte è indispensabile”. Inquietante per ragioni diverse: perché è una risposta, e perché secondo molti questa volta non è quella forza ad essere indispensabile. Inserisco qui sotto entrambe le lettere.

CESARE GARBOLI

Si può leggere il presente con gli occhi del passato?

Caro Bernardo, per ragioni che non sto a dirti mi trovavo, qualche giorno fa, a La Rochelle. Era una giornata di tempo incerto, quindi, a suo modo, bellissima, intiepidita da dolcissimi colpi di sole in mezzo alla mobile e ventosa densità delle nuvole. Ho comprato da un tabaccaio l´unica copia di Repubblica, o la sola superstite, e ho visto che c´era un tuo articolo sulle sofferenze patite da Praga in questo secolo. Titolo: «I tradimenti dell´Occidente e la rivincita di Praga». Mi sono seduto in una brasserie davanti al vecchio porto e ho cominciato a leggere.

Argomento del tuo articolo era la possibile lettura simbolica del vertice dell´Alleanza Atlantica che si è tenuto a Praga. Un atto di riparazione, di risarcimento dei capi di Stato europei nei confronti di una città lasciata alla mercé di Hitler nel 1938, e dell´Armata rossa trent´anni dopo.

Ma il presupposto del tuo articolo era molto più problematico. Si può leggere il presente con gli occhi del passato? E´ un tema storiografico sul quale non ci dovrebbero essere più dubbi. Mi rivedo a lezione di uno dei più grandi storici italiani di questo secolo, Delio Cantimori, il quale non perdeva mai occasione di ricordare che non si possono applicare al presente i parametri coi quali interpretiamo gli avvenimenti del passato, pena una confusione che provoca soltanto distorsioni ed errori. La Storia non si ripete mai; essa contiene sempre un elemento di novità, di creatività, ed è questo l´elemento da decifrare, quello che si nasconde e che ha più importanza. Per una buona metà, le tue idee concordano con quelle della storiografia più autorevole; ma per l´altra metà, non vuoi rassegnarti. Non sai rinunciare al piacere che ti regala qualche appetitoso e saporito parallelismo tra ieri e oggi. E´ una «saggia abitudine», secondo te, «leggere il presente attraverso la lente del passato», mentre «una valutazione nuda e cruda dell´attualità non ha alcun sapore e spesso non ha neppure un senso».

E sta bene. Non è questo il passaggio del tuo articolo che mi ha fatto sollevare gli occhi dal giornale per posarli sulla vista del vecchio porto. Mi sono fermato a riflettere quando ho letto che il primo dei tradimenti dell´Occidente nei confronti di Praga si consumò «per placare la Germania nazista». Furono ceduti, anzi regalati a Hitler, nel 1938, da parte di Francia e Gran Bretagna, i territori dei Sudeti, nell´illusione di salvare la pace, ma in realtà spianando la via alla seconda guerra mondiale. Mio Dio, com´è proteiforme questo Occidente! Tradimento? Altro che tradimento, caro Bernardo. La Germania, nel 1938, era il cuore dell´Occidente. Quale cultura ha dominato il mondo occidentale, tra l´Otto e il Novecento, fino a diventare oggetto d´idolatria, se non quella tedesca? Si direbbe che il volto obliquo, debole, impaurito e irresoluto dell´Occidente ti faccia dimenticare, Bernardo, la vocazione aggressiva dell´Occidente, tanto più irrazionale e crudele quanto sempre esercitata, dai tedeschi ieri e dagli spagnoli e dai nordamericani in secoli un po´ più lontani, «a fin di bene», di progresso e di pace (non vorrai negarmi che il sogno di un mondo sano, puro, incontaminato, pacifico, ma da raggiungere con l´aggressione e la guerra, fosse l´obiettivo dichiarato e propagandato dalle svastiche e dai fasci littori).

Dire Occidente, come ben sai, è dare un nome alla contraddizione medesima. Contraddizione vuol dire dialettica, e la dialettica è il solo, vero valore dell´Occidente: la dialettica, ovvero la capacità di compiere orrori e di commettere ingiustizie, ma anche quella di criticarli e di sentirsene colpevoli. Ma un altro passaggio, forse più importante, mi faceva e mi fa ancora riflettere. Mi sembra che il tuo articolo, Bernardo, sia una di quelle gru che appaiono di lontano erette ma con una gamba alzata, e si vorrebbe tirargliela giù e piantargliela in terra. Se il presente si fa leggere e interpretare con le lenti del passato, se la memoria storica crea parallelismi pieni di sapore e di senso, quale senso e sapore dobbiamo dare al tradimento e al risarcimento nei confronti di Praga? Se la situazione di allora si sta ripetendo, chi sono gli attori di oggi? A chi spetta oggi il ruolo della Germania nazista? E a chi, quello dell´Occidente debole e impaurito? Nel tuo articolo, questo punto essenziale viene taciuto. Chi recita, oggi, il ruolo dello Stato che vuole possedere e conquistare il mondo, e assoggettarlo alle sue convinzioni? Non vorrei sbagliare, ma ho l´impressione che tutto il tuo articolo cammini lungo una strada che porta alla tesi, oggi sempre più vittoriosa, contraria alle opinioni di Gino Strada, secondo la quale si può salvare la pace solo con la forza, che vuol dire missili e bombe. E sia, ma chi sarebbe il nostro Hitler contemporaneo? Sei sicuro di averlo identificato? E che sia quello giusto?

Scusami, caro Bernardo, se ti rivolgo queste ingenue domande, me ne sento quasi colpevole. Ma ho qualche attenuante. Sono domande non retoriche, ma reali, anche se nate in un pomeriggio ozioso davanti al vecchio porto di una vecchia città. Ti leggevo guardando la linea dell´orizzonte, e lasciavo che l´immaginazione si sostituisse allo sguardo. Ogni volta che alzavo gli occhi, superavo la gelida distesa dell´Atlantico per fissare i contorni e le coste dell´America. No, non degli Stati Uniti d´America, secondo la fallace e impropria sinonimia per cui viene attribuita a uno Stato, da un po´ di tempo in qua, la titolarità di un continente. No, pensavo, figurati, al Canada, e di là m´inoltravo nel Montana, e ne scendevo giù, verso il Messico, e giù ancora, nell´America centrale dei Maya, e giù ancora, in Bolivia, in Nicaragua. Quante civiltà, quanti popoli ci sarebbero ancora se non fossero intervenuti i valori dell´Occidente, e senza le bandiere che li difendevano. Ma io continuo a intromettermi in questioni sulle quali tu hai tanta e tanta più competenza di me. Non volermene, e un saluto affettuoso dall´Italia, dove sono tornato e da dove ti scrivo. Un saluto da uno che ama, molto meno di te, i piatti saporiti che imbandisce la storia, e quasi preferisce il pugno di riso insipido e privo di senso, come dici tu, privo di condimento, povero, anzi poverissimo di senso, tanto che qualcuno ne potrebbe contare perfino i chicchi nella ciotola, in qualche parte del mondo.

BERNARDO VALLI I giudizi sull´Occidente alla luce della Storia

Se alzo gli occhi, mentre leggo la tua lettera, caro Cesare, vedo la facciata scolorita di una casa di rue Blanche, la strada che dalla Trinité sale verso Pigalle. La vedo di scorcio da una finestra di rue Chaptal, dove abito da più di vent´anni. Il quartiere è oggi più triste del solito. E´ velato da una nebbia leggera, da una pioggia fitta e sottile, come il getto di uno spruzzatore. Eri più fortunato tu a La Rochelle. Ma anche nei giorni grigi mi sento a mio agio, anzi mi considero un privilegiato, in questo decaduto quartiere di Parigi, un tempo chiamato Nouvelle Athènes.

So che qui, in rue Chaptal, dove adesso c´è il Museo della Vie Romantique, nell´800 si incontravano Georges Sand, Alphonse Lamartine, Turgeniev, e tanti altri, persino l´imperatrice Sissi che veniva a posare per un pittore alla moda. So che più in là, all´angolo di rue Blanche, in quella che adesso è Rue Ballu, viveva Emile Zola ai tempi dell´Affare Dreyfus; che Baudelaire ha abitato in rue Pigalle; che Balzac ha ambientato tanti suoi romanzi in rue Taitbout, in Place Saint Georges.... So che i brutti edifici sono dovuti alle distruzioni durante la Comune e alle cattive ricostruzioni sui giardini e i cortili di un tempo. Se non ricordassi la sua storia, se lo guardassi nudo e crudo, cosi com´è, privo di condimento, come tu guardi i chicchi in una povera ciotola, il IX arrondissement di Parigi mi sarebbe apparso e mi apparirebbe piuttosto squallido.

Caro Cesare, so che non si possono applicare al presente i parametri coi quali interpretiamo gli avvenimenti del passato. So che la Storia non si ripete mai. Ma resto convinto che l´attualità cruda e nuda non abbia alcun sapore e neppure un senso, se non la collochi nella Storia dei luoghi in cui si svolge, così come non ha un´anima il quartiere, la città, il paese in cui vivi, se non tieni conto di quel che vi è accaduto nel passato prossimo e remoto. Ho amato l´Algeria, il Viet Nam anche perché seguivo i loro drammi del momento ricordando quelli del loro passato. Cosi ho creduto di capire molti comportamenti. Come seguire la vicenda mediorientale senza la lente della Storia? Là c´è un popolo ritornato dopo duemila anni nella terra che fu sua. Vi è ritornato sferzato da tragedie secolari. Tragedie che si ripercuotono su un altro popolo, innocente, che su quelle terre è trattato adesso, tragicamente, come se fosse di troppo. Il passato l´ho incollato addosso, quando faccio il mio mestiere. Quando vedo la cerimonia nel castello di Praga rivado con la memoria al '68 cui ho assistito. E per riflesso condizionato vado più in là: al '48, al '38. L´immagine del pugno di riso insipido e privo di senso, che tu preferisci ai piatti saporiti imbanditi dalla Storia, è molto bella. Te la invidio. Come invidio l´elegante leggerezza della tua lettera. Potrebbe in effetti essere una liberazione non avere più i pregiudizi, i condizionamenti, le ambiguità, le passioni dettate dal passato. Ma rischierei allora di vedere anche la bruttezza nuda e cruda dell´angolo del IX arrondissement in cui vivo. La tua bella immagine è un lusso che non posso permettermi. Penso che a te piaccia anche esteticamente.

Caro Cesare, provo un certo imbarazzo nel rivolgermi a te con questo tono. A te di cui conosco bene l´erudizione, la profondità della conoscenza storica e letteraria, a te curatore di un´edizione a me cara della Divina Commedia, opera ricca, traboccante di memoria storica. Scusami, è la sfacciataggine del mestiere. Ma tu, con la tua leggerezza, mi hai gettato tra le braccia dei macigni. Non arriverò comunque al punto di rispolverare, rivolgendomi a te, i «valori» che si sottintendono quando si parla di Occidente. Non arriverò a tanto. Del resto tu stesso fai una sintesi che mi sembra esemplare, quando scrivi che dire Occidente è dare un nome alla contraddizione medesima, la quale significa dialettica, ovvero capacità di compiere errori e di commettere ingiustizie, ma anche quella di criticarli e di sentirsene colpevoli. Ti pare poco, Cesare? Dove non c´è quella contraddizione non c´è Occidente. Là gli errori vengono sepolti sotto il silenzio e le idee si infrangono contro i dogmi. L´Occidente fu espulso dalla Germania, che ne era stata il cuore, quando prevalse il nazismo. Né era più nella Praga del '48, o in quella «normalizzata» con l´invasione sovietica, dopo la breve Primavera politica del '68.

Dirai che è comodo espellere, meglio sospendere via via dall´Occidente i vari paesi quando massacrano sei milioni di ebrei, quando compiono stragi coloniali o quando si impongono con l´arroganza o la violenza a popoli più deboli. E poi riammetterli quando si sono tolti il sangue dalle mani e ricominciano a predicare la libertà. E´ la contraddizione di cui parli.

Posso ritornare con poche righe a Praga? Nel '75 la polizia perquisisce l´appartamento del filosofo marxista Karel Kosic, giudicato un dissidente, e gli sequestra un´opera costata dieci anni di lavoro. Con l´amico Milan Kundera, quel giorno Kosic scende da Hradcany, dove abita, verso la penisola di Kampa, e attraversa la Moldava, sul ponte Manes. Lui e Kundera pensano di rivolgersi a una personalità di indiscussa autorità intellettuale in grado di costringere le autorità a restituire l´opera al suo autore. Ma in quella Praga non esistono personalità del genere. Non ne possono esistere. Raggiungendo la piazza della Città Vecchia, dove abita Kundera, lo scrittore e il filosofo si sentono prigionieri di un´immensa solitudine, di un vuoto angosciante, del vuoto in cui avevano cercato invano un nome cui ricorrere. E quel vuoto era per loro dovuto, diranno poi, all´assenza dell´Occidente. Alla fine Kosik decise di far avere una lettera a Jean Paul Sartre. Kundera rimproverava al filosofo francese di avere creato, con la sua concezione dell´ «impegno», la base teorica di un´abdicazione della cultura come forza autonoma, specifica e irriducibile. Ma riconobbe che Sartre era il solo ricorso in quel momento. Ed infatti Karel Kosic riebbe, dopo circa un anno, il suo manoscritto. Penso che in quell´occasione Sartre rappresentasse l´Occidente, del quale era uno dei più severi critici. Senza l´Occidente Sartre non sarebbe esistito.

Tu mi chiedi a un certo punto, caro Cesare, chi recita oggi il ruolo dello Stato che vuole possedere e conquistare il mondo, e imporre le sue convinzioni. Vi sono molti aspetti sconcertanti nell´iperpotenza, in particolare da quando George W. Bush è alla Casa Bianca. Nessun altro impero ha esercitato tanto potere in tutti i campi. Un potere che si estende al nostro futuro; che, anche grazie al progredire della scienza, della tecnica, di cui ha il quasi monopolio, estende la sua influenza a tutto il pianeta; e che, adesso, ritiene di poter applicare il principio della guerra preventiva. No, caro Cesare, non mi sfiora neppure l´idea che si possa salvare la pace solo con la forza. Ma non sono un pacifista radicale come il mio amico Tiziano Terzani. Tu stesso, parlando della Germania nazista e dell´Europa debole che la lasciò fare, riconosci che la forza a volte è indispensabile. Obbligatoria. Ma non deve certo decidere come e quando usarla, unilateralmente, una superpotenza che ritiene di incarnare, da sola, la giustizia universale.

Come credere nell´Occidente, se quello che oggi è il centro del´impero occidentale suscita tante perplessità? Gli Stati Uniti non sono un´entità monolitica. Al loro interno è forte la dialettica di cui tu parli. Dialettica alla quale diamo abitualmente il nome di democrazia, se vuoi di democrazia occidentale, per fissarne la specificità e i limiti. Nella coscienza di questi limiti risiede, penso, il principale pregio dell´Occidente. Ed è questa consapevolezza a far sì che esso senta la necessità, perlomeno in questa fase «borghese» della sua storia, di studiare, immaginare un sistema alternativo a se stesso. Quasi che questo fosse indispensabile al suo equilibrio. Da quando la grande alternativa emersa nel secolo scorso è svanita, è fallita in quella versione, si è creato un vuoto. Un vuoto nel quale molti si muovono nevroticamente. Annaspano. Cercano nuovi sostegni. Anche perché il dinamismo della dialettica rischia col tempo di annegare nel pensiero unico. Al quale l´Occidente è allergico. Capisco chi soffre e se mi consenti, caro Cesare, mi sembra di notare qualche sintomo, di quel malessere, anche nella tua elegante lettera, che mi ha obbligato a tanta pesantezza.

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