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Fabio Bordignon
Gli italiani,un popolo di pacifisti
21 Maggio 2004
Articoli del 2003
Un servizio di Fabio Bordignon su Repubblica del 23 febbraio 2003 – “Sondaggio Eurisko la Repubblica sul ‘movimento’che si oppone al possibile conflitto in Iraq Il no a Washington è solo ‘politico’ e non riguarda la cultura e i costumi Il Papa e la Chiesa sono il punto di riferimento più importante Ma in pochi sperano che scendere in piazza possa fermare l’azione degli eserciti Cresce il risentimento verso la Casa Bianca accusata di agire in maniera unilaterale Secondo una grande maggioranza l’uso della forza è sempre sbagliato”

E’un movimento ampio, quello formatosi, nelle ultime settimane, in opposizione alla guerra in Iraq. Coinvolge, nel nostro Paese, circa otto persone su dieci. Una su dieci in modo attivo, attraverso la partecipazione a manifestazioni per la pace. Un fenomeno che riflette l’atteggiamento verso il possibile conflitto, segnato da una netta (e crescente) contrarietà. Cresce, allo stesso tempo, il risentimento verso gli Stati Uniti, accusati di unilateralismo nell’attuazione della propria politica estera e considerati responsabili della povertà nel mondo. E’quanto emerge da un sondaggio realizzato da Eurisko, per Repubblica, su un campione rappresentativo della popolazione italiana. Circa otto persone su dieci (87-88%) si dicono, oggi, contrarie all’intervento militare statunitense in Iraq. Poco meno di sette su dieci (68%) non sarebbero d’accordo neanche in presenza di un pronunciamento favorevole del Palazzo di vetro. "Perché la guerra è sempre sbagliata": è questa, tra quelle fornite dagli intervistati, la motivazione più ricorrente (81%). Perché, secondo molti, ci sono modi più efficaci di affrontare la minaccia rappresentata dal regime di Saddam Hussein (46%). Ma anche perché la guerra fa paura, mette a repentaglio la nostra sicurezza, rischia di intaccare il nostro benessere economico (20%). Per queste ragioni, i cittadini manifestano una crescente disponibilità alla mobilitazione. Secondo modalità più o meno intense. Il 15% ha esposto al proprio balcone la bandiera con i colori dell’arcobaleno. Il 10% ha partecipato ad iniziative di natura pacifista, ed un altro 35% intende farlo nel corso delle prossime settimane.

Ma il consenso cresciuto attorno ai movimenti per la pace appare ancora più esteso se allarghiamo lo sguardo a chi, pur non partecipando direttamente, dichiara la propria vicinanza ai manifestanti. Complessivamente, il 55%, più di una persona su due, sposa le ragioni della moltitudine che, sabato 15 febbraio, ha riempito le strade della capitale. Il 26%, pur non condividendo tutte le idee espresse dalla manifestazione, pensa che le motivazioni siano comunque giuste. Senza considerare, quindi, una quota (esigua) di persone che non si esprimono, è il residuo 15% a mostrasi critico: il 9% si limita a considerare le manifestazioni legittime; mentre il 6% si dice totalmente contrario. Tuttavia, l’avvio delle operazioni belliche appare, ormai, imminente, e pochi sperano che le manifestazioni possano allontanarne la minaccia (37%). Una quota leggermente superiore pensa che la spinta dell’opinione pubblica e le iniziative di queste giorni possano, invece, ridefinire la rotta delle politiche governative (45%).

Le emozioni suscitate dal possibile conflitto contribuiscono, peraltro, a ridefinire il clima d’opinione nei confronti di alcuni tra i soggetti coinvolti dalla crisi irachena. L’apprezzamento dei cittadini si rivolge, soprattutto, alle posizioni tenute, in questi mesi, dal Vaticano. La Chiesa si propone, infatti, quale primo riferimento agli occhi dei cittadini (60%), e quasi il 30% afferma di provare una crescente fiducia nei suoi confronti. Si registra, per converso, un deterioramento dell’immagine del Governo e, soprattutto, degli Usa. Il 32% degli italiani ha, oggi, alla luce delle iniziative assunte in relazione alla guerra, meno fiducia nell’esecutivo. Allo stesso modo, il 39% dice di guardare con maggiore diffidenza verso gli Stati Uniti.

A questo proposito, sembra già molto lontano l’11 settembre 2001, quando, all’indomani degli attentati di New York, ben il 67% della popolazione percepiva una maggiore vicinanza tra le due sponde dell’Atlantico. La critica agli Usa sembra rivolgersi, in modo specifico, al ruolo della superpotenza sul piano internazionale: alla sua politica estera, colpevole, secondo la maggioranza del campione (55%), di non considerare gli interessi degli altri Paesi (mentre una porzione ben più bassa di intervistati, il 34%, la vede come una garanzia per la sicurezza mondiale); alla sua economia e alle sue imprese, considerate responsabili delle asimmetrie tra paesi ricchi e paesi poveri (59%). Appare contenuta, invece, l’opposizione alla cultura e ai costumi americani: solo il 32% vede nella loro diffusione un rischio per le nostre tradizioni. Si rilevano, infine, alcuni segnali di apprezzamento: il 36% considera gli Usa un esempio per la libertà e l’idea di democrazia; ben il 57% ammira il modello di sviluppo tecnologico ed economico.

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