La mappa del voto a Nord, in particolare in Veneto, rivela il peso di alcuni processi sociali nel successo leghista alle politiche. Da sempre il Carroccio si radica nella fascia pedemontana e nei piccoli centri, mentre trova maggiori ostacoli nelle città.
Non solo a Venezia e Padova, ma anche a Vicenza e a Treviso, cuore del leghismo, il Pd è il primo partito. La difficoltà del Carroccio nei centri urbani, così come la sua tendenza a dilagare con percentuali bulgare al di fuori, mette in luce anche l´impatto locale dei flussi globali. Fuori dalle città, luoghi di relazioni economiche e sociali complesse, di circolazione di saperi connessi al mondo, l´effetto negativo di tali flussi è percepito con maggiore intensità.
Fenomeni diversi ma riconducibili allo spettro della globalizzazione ingovernata, come l´insicurezza economica e fisica o l´immigrazione, spaventano interi pezzi di società. Lo spaesamento indotto dalla presa d´atto che gli effetti globali sono ormai divenuti glocali è dirompente per questi segmenti sociali. Il Carroccio ha dato voce a queste paure, alimentandole a sua volta e facendosene imprenditore politico. Invocando soluzioni non certo all´altezza dei problemi ma, e questo in politica conta sempre, colmando un vuoto. Ha rotto, infatti, l´afasia che sull´argomento ha mostrato la sinistra. Guardata da quegli stessi pezzi di società impaurita, come espressione, se non di uno schieramento favorevole, certo non critico verso la globalizzazione. Percezione semplificatoria, facilitata dal fatto che, qui come altrove, la sinistra è ormai in larga parte schieramento di ceti medi con stili di vita cosmopoliti, mentre il "popolo" volge il suo sguardo a destra. Alla ricerca di protezione.
Il consenso alla Lega non è arrivato solo dalla protesta contro la pressione fiscale e la burocrazia; o dall´adesione a un progetto di federalismo vissuto come fine dei trasferimenti di risorse allo stato centrale e alle regioni meridionali. Lo sfondamento oltre il tradizionale zoccolo duro verde è avvenuto sull´offerta di protezione. Quella protezione che la sinistra, impegnata in questi anni a definire il contenitore più che il contenuto e a colmare i suoi storici ritardi nei confronti dei settori più produttivi, non ha fornito. Né sul piano sociale né su quello della sicurezza. Trascurando oltre che l´ormai retorico e ingombrante discorso "sul popolo" anche "il popolo".
Un simile gap non si recupera in pochi mesi. Anche perché dietro a questo umore popolare emerge non solo una dura critica politica ma anche un sordo rancore sociale: verso chi, per risorse o status, è in gradodi accedere a diversi scenari, locali e globali. Contrariamente a quanti, come gli "impauriti", devono vivere, per necessità, ancorati a un territorio trasformato dai flussi globali e da una sorta di nuovo fordismo sociale.
Di fronte a questa fetta di società impaurita, popolata da anziani, casalinghe, giovani decisi a "fare qualcosa", lavoratori a bassi salari, la Lega si è posta come attore territoriale della protezione. La cui funzione è essenzialmente trattenere, disciplinare, dare forma politica, relazionale prima ancora che istituzionale, a un territorio destinato, nelle intenzioni, a aprirsi e chiudersi selettivamente agli effetti della globalizzazione. E che ha la funzione simbolica di ricostituire la "comunità impossibile", di rifondare un legame sociale identitario che prescinda da quella che un tempo era la collocazione di classe. Da qui il richiamo leghista all´interclassismo e al rifiuto di autodefinirsi, a prescindere dal tratto dominante del proprio elettorato, di destra o sinistra.
Non è un caso che abbiano votato per il Carroccio molti operai. Non solo quelli non sindacalizzati delle piccolissime imprese che sognano di mettersi in proprio; ma anche iscritti alla Fiom, che non teorizzano alcuna "soggettività di classe" e guardano il mondo con gli occhi difensivi della comunità della paura che si ricostituisce oltre il cancello della fabbrica. In questa visione il "popolo" condivide, più che immaginari miti padani, l´idea leghista di una nuova «rivoluzioneconservatrice», che ha nel tremontismo il garante dell´alleanza, mai del tutto organica, con il populismo berlusconiano.
Una capacità di penetrazione, quella leghista, dovuta a un metodico lavoro sul territorio. Il Carroccio è ormai l´unico veroerede dei partiti di massa di un tempo: del Pci, nella struttura di partito e nel rapporto con i ceti popolari; della Dc, nel coltivare, attraverso il diffuso "municipalismo padano", i microinteressi locali usati come rinforzo dei vincoli di solidarietà, anche elettorale. Per contrastare la Lega, il cui bacino elettorale non è del tutto fidelizzato ed è destinato a soffrire le tensioni legate al ruolo di "partito di lotta e di governo" intrinseco a una simile formazione, non basta al Pd candidare noti imprenditori. Un serio approccio riformista implica anche saper rispondere, in maniera non imitativa, alla domanda di protezione che viene dai ceti più deboli. Inoltre il Pd deve apparire meno "romanocentrico", dandosi una forma che, mescolando i tratti del partito leggero con quello pesante, gli permetta di comprendere davvero quanto accade a Nord. Un passaggio, concettuale e organizzativo, che necessita di una vera e propria rivoluzione culturale. In assenza della quale non ci sarà partita per tempo inenarrabile.