L’inverno del nostro scontento»: l’espressione che Shakespeare mette in bocca al futuro re Riccardo III è stata usata molte volte come metafora di quella protesta sociale serpeggiante prende forma in certi periodi freddi. Una protesta che propende ad autoalimentarsi, nutrendosi di una diffusa insofferenza, intessuta di un malessere sordo. È una metafora che sembra tagliata su misura per la situazione che l’Italia vive in queste settimane e ha l’aspetto d’un malcontento generalizzato, che non sembra sanabile ricorrendo agli strumenti consueti. Come se uno stato di sfiducia, che si riproduce continuamente, fornisse l’impulso a manifestazioni che finiscono col travalicare l’ambito cui si riferiscono per investire una dimensione generalizzata, estesa un po’ a tutto.
Contratti di categoria rinnovati a termini scaduti
Le città hanno evitato all’ultimo momento di subire la fermata del trasporto locale che le avrebbe poste in difficoltà se si fosse attuato lo sciopero indetto per ieri. Ma l’intesa in extremis non ha spento del tutto la protesta dei sindacati non confederali, che si è espressa in riduzioni occasionali del servizio, com’è successo a Milano, dove ieri mattina la metropolitana funzionava in modo parziale. Lo sciopero Alitalia ha invece avuto effetto, mentre vi sono stati fenomeni di microconflittualità sui treni, con disagi sull’asse Torino-Milano. Tutti segni che, sommandosi ai fischi e ad altre proteste, non solo possono essere considerati come prova della disaffezione verso il governo, ma sono destinati ad accentuarla. Come non avvertire un senso di disillusione di fronte al fatto che certi contratti di categoria continuino a essere rinnovati quando i termini sono largamente scaduti e che, soprattutto, non vengano rivisti i criteri che regolano la prestazione di lavoro in alcuni comparti? È chiaro che più nessuno pensa che, chiuso un periodo di conflittualità, non se possa aprire un altro, magari quasi immediatamente.
La caduta degli standard e le promesse credibili
Nel campo delle infrastrutture, la discrasia fra le dichiarazioni di intenti e la realtà vissuta da numerosi cittadini-utenti dei servizi è massima. Da una parte, le cronache riportano di interminabili tavoli di progetto su grandi opere destinate - forse - ai nostri nipoti, mentre la caduta degli standard di efficienza e qualità in sistemi come i trasporti è verificabile quotidianamente e le cifre sui dissesti di gestione appaiono sempre più inquietanti e problematiche da rimediare. La via d’uscita dall’impasse attuale non sta nel preannunciare grandi misure d’intervento e progetti che per essere sviluppati hanno bisogno di un arco temporale medio-lungo. Ciò di cui necessita adesso il nostro sistema infrastrutturale è una vasta, meticolosa e puntuale opera di manutenzione dell’esistente, senza di cui nessuna prefigurazione di un soddisfacente futuro assetto risulta credibile. Un programma di manutenzione che non può essere fatto soltanto d’interventi sulle strutture materiali, prescindendo da un’azione condotta sulle relazioni di lavoro, con la capacità e l’intenzione di fare della contrattazione collettiva con le rappresentanze dei lavoratori uno strumento valido di regolazione, sia per quanto attiene l’efficienza organizzativa che le condizioni di lavoro. Senza questo passaggio, il malcontento non potrà che essere permanente.