Qualcosa si sta guastando nel motore nelle democrazie, anche nelle migliori. Non si tratta di raffreddori passeggeri, ma di malanni cronici che riguardano le strutture portanti: diffuso discredito dei politici, insoddisfazione verso i governi, scarsa partecipazione degli elettori alle elezioni e alle discussioni, invasività dei poteri economici, declino delle idee egualitarie, scarsa capacità del sistema politico di rappresentare settori sociali non tradizionali. Nello spirito del tempo ritorna qualche cosa che ricorda l´era pre-democratica, quando idee dirompenti con il marchio dell´uguaglianza, come il diritto di voto per tutti, dovevano ancora affacciarsi. La lista delle doléances è molto pesante.
Cominciamo da una moda: l´abbandono dell´egualitarismo come anticaglia. Il fatto che ci siano stati eccessi di segno opposto nel sindacalismo europeo degli anni Sessanta e Settanta non giustifica che lo Zeitgeist sposi l´idea che tutto quel che ha odore di uguaglianza sia da buttare. Ci voleva Paul Krugman, dalle colonne del New York Times e nel libro che raccoglie i suoi articoli (The Great Unravelling) per far presente che una società e una economia in cui una pattuglia di tredicimila famiglie raduni lo stesso reddito di venti milioni di famiglie povere è meno stabile e moderata di quella rooseveltiana con una forte classe media e manager meno inclini a falsificare i bilanci per giustificare i loro prelievi devastanti.
Proseguiamo con uno stile: il trasimachismo dei neoconservatori al governo a Washington. Trasimaco è rimasto famoso per il detto breve ma molto denso: giusto è quel che conviene al più forte. Fine del detto. Se la cosa funziona, va. Se ce la fai, è andata. Santificata dalla legge. Spiega Shadia Drury, politologa canadese, una specialista di neocons, autrice di Leo Strauss and the American Right, che per gli ideologi alla Wolfowitz la naturale condizione umana non è quella della libertà ma della subordinazione e che celebrare il diritto naturale significa rendere omaggio non alla parità ma alla dominazione.
Approfondiamo con una teoria: la bugia come dovere dell´élite. Ha spiegato Christopher Hitchens in un articolo di feroce critica alla Casa Bianca su Slate.com (Machiavelli in Mesopotamia): per gli straussiani verità e libertà non si addicono alle rozze masse, premesse e obiettivi di una scelta politica (come la guerra in Iraq) non possono essere pubblicamente confessati, l´arcano è indispensabile, niente perle ai porci, l´élite ha il dovere di proteggersi. E poi chi ha le posizioni di comando sulla base di una selezione "naturale" dei "migliori" tende a percepirsi perennemente come vittima di una persecuzione in agguato, deve proteggersi.
E veniamo alla sintesi di Colin Crouch, in Postdemocrazia (Laterza, pagg. 154, euro 14), un pamphlet destinato a provocare un check-up dei nostri sistemi politici e che vuole mettere uno stop agli assalti alla cultura da cui la democrazia è venuta fuori. Crouch è un sociologo inglese che ha studiato l´Europa e vede nel disprezzo per l´eguaglianza un segno dei tempi da prendere sul serio perché è un termometro del declino della democrazia. La parola stessa, postdemocrazia, contraddice l´idea corrente che le sorti della formula politica di maggior successo nel mondo siano magnifiche e progressive. È vero che continua a crescere il numero dei paesi nei quali si svolgono elezioni ragionevolmente libere, ma nei luoghi del pianeta dove la democrazia dovrebbe sfolgorare nella sua splendida maturità (Europa occidentale, Stati Uniti, Giappone) il suo tracciato storico assomiglia di meno a una linea ascendente e di più a una parabola la cui linea tocca due volte la stessa altezza, una volta in salire e una seconda volta in scendere. Ora si sta scendendo.
Che cos´è la postdemocrazia in cui stiamo per calarci? È un regime perforato e teleguidato da poteri esterni alla rappresentanza politica, da plotoni di specialisti delle transazioni al vertice che tendono a diventare inamovibili, mentre il dibattito elettorale diventa uno spettacolo saldamente controllato da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione. Questa scarsa circolazione e competizione delle élites più che il modello realistico schumpeteriano ricorda epoche pre-democratiche.
La storia del New Labour è descritta da Crouch come una tipica manifestazione di postdemocrazia imminente. Con la base operaia costretta a un ruolo difensivo, il partito di Blair ha dovuto distaccarsene cercando di affermarsi "nel vuoto", diventando una forza fresca e vincente con il riavvicinarsi all´economia. Il grande, esemplare enigma dei laburisti era quello di trovare una base sociale sostitutiva. Le contraddizioni della postdemocrazia sono dannatamente difficili da domare. Accade così che le sinistre che si spingono meno in là di Blair – come i Ds italiani, i socialdemocratici belgi, francesi e tedeschi – non lo fanno perché abbiano trovato il modo di rappresentare gli interessi della nuova popolazione dei lavoratori subordinati postindustriali (il terzo inferiore della popolazione attiva, il mercato dei "flessibili"), ma perché continuano a dover fare più compromessi con i vecchi sindacati e gli altri rappresentanti della società industriale. Queste sfuggenti e scivolose contraddizioni spiegano perché, nel deficit di rappresentanza, prenda piede in vari settori sociali l´unica identità disponibile: quella nazionale di fronte alle minoranze etniche in arrivo con l´immigrazione. Fenomeni alla Fortuyn, Haider, Le Pen, Bossi rispondono più che a spinte autenticamente razziste al bisogno di avere politici rivolti ai bisogni della gente al di fuori del quadro delle élites consolidate.
Che cosa diventeranno i partiti nel XXI secolo? Se nel partito di massa del XX il gruppo dirigente era un piccolo cerchietto intorno al quale c´erano i circoli più larghi dei funzionari, dei militanti, degli elettori fedeli, nel partito postdemocratico al centro ci sarà una ellissi, risultante dall´abbraccio permanente tra i dirigenti, i consulenti professionali, i lobbisti. Il cerchio si stira in direzione del denaro, scavalcando i ranghi intermedi del partito. Ma d´altro canto il contributo degli esperti di opinione è indispensabile perché, nelle nuove condizioni, molto più utile dell´entusiasmo dilettantesco dei militanti, che nel partito di massa era funzionale alla costruzione del consenso.
Se dunque la democrazia non è più un destino garantito come la freccia del tempo che non torna mai indietro, se corriamo il rischio di confermare le teorie dei cicli con i loro corsi e ricorsi, che cosa possiamo tentare per contenere le tendenze postdemocratiche? Crouch prende a prestito vari suggerimenti in circolazione che spingono in tre direzioni: la prima, politiche che taglino le unghie alle élites economiche più aggressive e invadenti; la seconda, politiche che riformino la prassi politica stessa; la terza, iniziative rivolte direttamente ai cittadini. In sostanza si tratta di mantenere i benefici della dinamica del capitalismo senza consegnargli tutte le chiavi della politica. Va escogitato un compromesso, geniale come fu quello escogitato da Keynes e Beveridge, e questa volta bisogna scendere a patti non più con il capitalismo industriale ma con quello finanziario globalizzato. Servono dunque nuove regole per prevenire o contenere i flussi di denaro tra partiti, gruppi di consulenti e lobbies. Sul finanziamento legale dei partiti, Crouch appoggia la proposta di Philippe Schmitter: una somma fissa sul reddito di ciascun cittadino viene assegnata al partito politico scelto ogni anno dal cittadino stesso (il che vale anche per finanziare associazioni e gruppi di interesse). Un´altra proposta si ispira alla cultura "deliberativa", vale a dire alle teorie che valorizzano la discussione pubblica tra i cittadini: istituzione di un´assemblea, da mettere in carica per un mese, di persone estratte a sorte per esaminare un piccolo numero di disegni di legge loro sottoposti da una minoranza (un terzo) del Parlamento. L´assemblea avrebbe il diritto di approvare o respingere la legge.
Ma la premessa di ogni azione di contenimento della postdemocrazia è che si rimettano sobriamente in valore le idee egualitarie e liberali che portarono a inventare il diritto di voto per tutti e che si concordi un minimo denominatore di decenza per cui se un governo inganna i cittadini con bugie questa non è una raffinatezza ma una mascalzonata. E così via ridisegnando meglio i confini tra realismo e utopia.