La questione Ravello non è un’altra occasione di pubblica inaugurazione, nella quale mostrare efficienza nell’uso delle risorse finanziarie. La questione Ravello non è un caso come un altro di contrasto tra pareri diversi su materie opinabili. La recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha giudicato irricevibile il ricorso promosso e vinto da Italia Nostra dinanzi al TAR Salerno, in quanto non notificato anche al Ministero dei Beni Culturali, è invece un ennesimo esempio dell’ipocrisia italiana, che attraverso la constatazione di una imperfezione del modus operandi esercita in realtà una sanzione sul fatto stesso di cui è causa, anche senza entrare nel merito. Si profila così una sostanziale iniquità del giudizio, aggravata dalla presenza di una sentenza netta, dettagliata e non equivoca del TAR, ma di senso opposto.
Ci saremmo perciò attesi che, invece delle dichiarazioni trionfalistiche rese al termine di oltre un anno di polemiche e di azioni giudiziarie, la sua amministrazione si fosse distinta per equanimità e senso degli interessi culturali compromessi, promuovendo un ripensamento del progetto, che conducesse ad una corretta ubicazione della struttura, secondo le direttive inequivoche del PUT Costiera Sorrentino - Amalfitana. Avremmo insomma auspicato che la Regione, quale ente gestore del PUT, non intendesse, sia pure con l’avallo del soprintendente pro-tempore, mettersi sotto i piedi le norme di uno strumento urbanistico faticosamente varato dopo oltre quindici anni di attesa, e innumerevoli abusi nel frattempo compiuti.
Invece, le dichiarazioni recentemente rese da lei e dall’assessore del ramo suonano offensive del senso giuridico comune, quello stesso che conferisce legittimità alle rappresentanze democratiche ed agli atti amministrativi (e giuridici) che da loro promanano.
In altre parole, dare corso alla realizzazione dell’Auditorium di Ravello, ignorando l’articolata sentenza contraria del TAR di Salerno, significa esercitare violenza sull’elementare senso del diritto. Non è facendo lo sgambetto agli avversari che si vincono le partite. Non è alleandosi di fatto con l’ipocrisia di un’obiezione procedurale – tra l’altro quanto mai pretestuosa – che la sostanza del problema potrà considerarsi superata. Il fatto grave che lei fa passare, in questo modo, è la vanificazione dell’unico piano urbanistico territoriale con valore paesistico che la Campania si sia dato, è l’avallo a qualunque altra operazione di incremento insediativo voglia essere realizzata in Costiera, purché ammantata da operazione culturale e convenientemente tutelata politicamente.
In queste condizioni, lei contribuisce ad avvilire le coscienze e la memoria di quanti hanno dedicato e dedicano i propri studi e la propria azione civile alla salvaguardia dei valori culturali autentici di questi luoghi, valori poi trasfusi in uno strumento normativo, nella fiducia – ma dovremmo dire nella certezza – che una volta approvati, altri li avrebbero condivisi e difesi.
Presidente Bassolino, quei valori e quell’azione culturale impongono una distinzione ed un equilibrio, nell’attività amministrativa, bene interpretati da un antico motto latino, che le raccomandiamo vivamente: Pacta quae turpem causam continent, non sunt servanda.
Quei valori e quell’azione culturale richiedono più che mai, nel caso di Ravello, che l’azione amministrativa si faccia più meritoria dell’applicazione pedissequa della formalità giuridica. Le chiediamo perciò di volere assumere in tempo utile, e prima che gli atti già avviati vengano condotti a più gravi conseguenze, ogni iniziativa che riconduca la vicenda entro la normativa e la regolarità giuridica degli strumenti vigenti, senza che la Regione si debba prestare a campanilismi di sorta, ma secondo una visione rigorosamente urbanistica e territoriale del problema.