L’11 settembre, la guerra infinita, gli Stati canaglia
La dottrina della guerra infinita e del “first strike” (primo colpo) nasce all’indomani dell’attacco alle torri gemelle. L’opinione pubblica mondiale è ancora scossa da quell’evento senza precedenti e in Europa si discute di come contrastare il terrorismo e di cosa significa “guerra al terrorismo”.
Il premier britannico Tony Blair il 17 settembre 2001, in un’intervista pubblicata su Repubblica, alla domanda “Lei ritiene che sia stata dichiarata una guerra vera e propria” risponde “quali che siano i risvolti tecnici e legali di questa vicenda il fatto è che siamo in guerra contro il terrorismo” senza parlare di “Stati canaglia” che appoggiano il terrorismo internazionale. Ma già il 15 ottobre all’Observer Blair presenterà l’altra argomentazione contro l’Iraq: “Non c’è dubbio alcuno che Saddam sta ancora cercando di acquistare armi in grado di consentire la distruzione di massa”.
Il segretario di Stato USA Colin Powell (che viene definito una “colomba” dell’Amministrazione Bush) dichiara alla Cbs che non vi sono prove di legami tra l’attacco alle torri e gli Stati canaglia, in particolare l’Iraq.
Solo pochi giorni dopo, il 25 settembre, sempre sulla Cbs, il segretario alla difesa USA Donald Rumsfeld contraddice il suo collega: “Non rivelerò le informazioni di intelligence di cui disponiamo. Quello che è certo è che esiste una lista di Stati terroristi e che tra questi c’è l’Iraq, così come la Siria, la Corea del Nord, Cuba e la Libia.” Ma ad una domanda più esplicita risponde che “il presidente sta valutando”.
Nella stessa intervista il giornalista della Cbs domanda a Rumsfeld della mancata collaborazione dell’Arabia saudita. Secondo informazioni di intelligence trapelate a più riprese, l’Arabia saudita avrebbe coperto, se non sostenuto, Bin Laden e la sua organizzazione (Bin Laden è uno sceicco saudita). Rumsfeld risponde: “Abbiamo avuto dall’Arabia saudita tutto quel che abbiamo richiesto… non c’è alcun dubbio che siano nostri amici”. Inoltre, nella stessa intervista, Rumsfeld dichiara: “Gli USA non hanno mai escluso l’uso di armi nucleari” contro i propri nemici scatenando una polemica poi ridimensionata dall’Amministrazione. Rumsfeld parla anche di “attacco asimmetrico” per definire l’11 settembre. La tesi dell’attacco asimmetrico è che i terroristi possono colpire con mezzi non convenzionali e inaspettatamente. Per questo occorre “prevenire” gli attacchi colpendo per primi (“first strike”).
Ad un mese dall’attacco alle torri Richard Perle (consigliere di Rumsfeld ed ex sottosegretario alla Difesa di Reagan) dichiara all’Espresso: “Fin quando esistono governi che lo sostengono o chiudono un occhio le organizzazioni terroristiche disporranno di un serbatoio inesauribile di terroristi al quale attingere… Le prove del coinvolgimento di altri paesi [oltre l’Afghanistan, ndr] ce l’abbiamo già. Siria, Iraq, Iran e Sudan sono impegnati a sostenere il terrorismo. Non dobbiamo mica discutere ulteriormente.” Quando il giornalista chiede se non sarebbe meglio adottare altre strategie diverse dalla guerra Perle non lascia spazi: “Preferisco che i terroristi operino sulla terra bruciata che vivere permanentemente con stati che forniscono rifugio ai terroristi”.
Nella stessa intervista Perle afferma che “non è necessario” usare armi nucleari, ma che se i terroristi lo facessero per primi “nessuno potrebbe escludere il ricorso alle testate nucleari”.
In sostanza si concentra subito l’attenzione su uno Stato, l’Iraq, su cui non esistono prove di connivenza con il terrorismo e si accredita come “amico” un altro su cui invece vi sono sospetti.
Contemporaneamente si gettano le basi per la giustificazione della guerra preventiva contro il terrorismo ma soprattutto contro gli Stati canaglia.
La scusa è quella del terrorismo, ma l’obiettivo è altro. Il dipartimento della Difesa (Rumsfeld) pubblica il 30 settembre 2001 il Quadriennial Defense Review (documento di revisione quadriennale della difesa) in cui si afferma che le Forze armate degli Stati Uniti hanno l’obiettivo di “difendere gli interessi americani ovunque nel mondo” che “gli Stati Uniti e i loro alleati e amici continueranno a dipendere dalle risorse energetiche del Medio Oriente… questi stati stanno sviluppando capacità nel settore dei missili balistici e stanno appoggiando il terrorismo internazionale”. Ma l’affermazione più sconcertante riguarda il modo di contrastare l’attacco agli interessi americani: “[Occorre] cambiare il regime di uno stato avversario od occupare un territorio straniero finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano realizzati”. Cioè esattamente quel che è successo in Iraq.
Sempre su Rumsfeld ecco una chicca: a metà degli anni ’80 il privato cittadino Donald Rumsfeld si recò in Iraq su mandato dell’Amministrazione Reagan ed incontrò a nome degli USA lo stesso Saddam per migliorare le relazioni tra i due paesi. Su Internet è facile trovare la foto dei due che si stringono la mano.
La congettura degli Stati canaglia è quindi la giustificazione principale della dottrina della guerra infinita e del first strike. Occorre però provare che l’Iraq sia legato alla rete terroristica di Bin Laden, che la finanzi o comunque la sostenga.
E’ la teoria dell’asse del male: Bin Laden, Saddam, il regime iraniano, la Siria sono tutti pezzi di un unico disegno volto a distruggere gli Stati Uniti e si suoi interessi nel mondo (l’amministrazione americana non ha remore nel fare equivalere gli interessi degli USA con quelli del mondo).
Quel che bisogna immediatamente provare, quindi, è il legame tra Bin Laden e Saddam Hussein. A dire il vero non è che l’Amministrazione americana abbia le idee chiare: il sottosegretario alla difesa Wolfowitz il 9 gennaio 2002 afferma che gli USA hanno “il mirino puntato sulla Somalia” dove si annida Al Quaeda. E in quelle settimane l’Amministrazione americana è sotto accusa: Condoleeza Rice finisce nel mirino dei media americani perché Fbi e Cia le avevano fornito, prima dell’11 settembre, informazioni riguardo un possibile attacco portato al cuore dell’America con degli aerei dirottati da terroristi. Perché tale informazione è stata sottovalutata?
Ma è comunque l’Iraq il “next target”, il prossimo obiettivo, dopo l’Afghanistan dove Bin Laden non si trova e il Mullah Omar è fuggito in moto senza che gli americani se ne accorgessero.
Ad un anno dall’11 settembre Condoleeza Rice annuncia: “Abbiamo le prove del patto tra Iraq e Al Quaeda”. Sono i giorni in cui si sta discutendo della risoluzione dell’Onu contro Saddam.
Rumsfeld qualche giorno prima, alla riunione Nato di Vienna aveva detto “Se la domanda è se ci sono legami tra Al Quaeda e l’Iraq, la risposta è sicuramente sì”.
La Rice va molto oltre e dice al NewsHour: “Noi sappiamo con certezza che in passato ci sono stati contatti tra alti responsabili iracheni e membri di Al Quaeda. Sappiamo anche che parecchi membri di Al Quaeda attualmente prigionieri hanno detto che l’Iraq ha fornito ad Al Quaeda informazioni per la messa a punto di armi chimiche. Ci sono uomini di Al Quaeda che hanno trovato riparo a Baghdad”.
E’ il settembre 2002. L’amministrazione Bush presenta la “National Security Strategy” che prevede la prevenzione, attraverso il first strike, del pericolo del terrorismo per gli USA e “i loro amici”. Oramai Bush è consapevole dell’opposizione franco-tedesca alla guerra all’Iraq e sposta il baricentro dalla coalizione antiterrorismo che si era creata per l’Afghanistan ad un gruppo più ristretto di “amici” degli Stati Uniti, tra cui l’Italia. La Rice aveva detto nel luglio 2002 alla Stampa: “L’Italia ha fatto ogni cosa che avremmo potuto chiedere. Siete stati molto attivi sul fronte investigativo”. Vedremo poi l’efficienza del Sismi in due occasioni successive (l’individuazione degli obiettivi da colpire in Iraq e il dossier sull’uranio del Niger). La Rice poi conclude le lodi all’Italia complimentandosi per la gestione del G8 di Genova. E qui ci sarebbe molto, molto, da dire.
Ma torniamo all’amicizia Bin Laden – Saddam. In pochi ci hanno creduto. Bin Laden è un fondamentalista islamico, Saddam un laico. Hussein fu sostenuto e finanziato nella guerra contro l’Iran dagli Stati Uniti proprio per questo motivo (e Bin Laden in funzione anti-sovietica). Troppo diversi i loro obiettivi e la loro cultura. Bin Laden aveva in passato criticato l’Iraq perché era uno stato laico. Tutte cose che all’inizio del 2003 portano gli 007 inglesi ad affermare che “Non ci sono legami tra Saddam e Bin Laden”. Il 5 febbraio 2003 la BBC inglese rivela, a poche ore dalla presentazione del rapporto Powell sulle armi di distruzione di massa, che i servizi segreti di Sua Maestà hanno fornito al governo inglese un rapporto in cui si afferma che, sebbene in passato vi fossero stati contatti, non solo quel collegamento non esiste più, ma che Saddam e Osama sono divisi da ideologie incompatibili ed entrambi diffidano a vicenda. Jack Straw, Ministro degli Esteri britannico, è costretto ad ammette che la consistenza del rapporto Iraq-Al Quaeda non è chiara.
Andrei Gilligan, corrispondente della Bbc, rivela che l’intelligence britannica è irritata per le pressioni del governo tese ad ottenere tesi più favorevoli. Non è un caso forse che la rivelazione sull’inconsistenza del legame tra i due nemici numero uno degli USA avvengano proprio alla vigilia del famoso dossier di Colin Powell sulla “pistola fumante” irachena”.
Qualche giorno dopo Powell annuncia un messaggio di Bin Laden che prova il legame con Saddam. Il 10 febbraio la tv satellitare Al Jazeera diffonde un messaggio solo audio di Osama che incita alla guerra santa a fianco del popolo musulmano dell’Iraq ma se la prende con il governo iracheno. “La guerra” – sostiene lo sceicco – “deve essere solo nel nome di Dio, non per cercare la vittoria di governi ignoranti che governano in tutti i paesi arabi, compreso l’Iraq”. Ma per l’Amministrazione Bush il messaggio dimostra i legami tra Saddam e Bin Laden. L’episodio è di per sé inquietante: Powell annuncia un messaggio di Bin Laden pochi giorni dopo le rivelazioni dei servizi inglesi. Il messaggio è stranamente solo audio (e non anche video come i precedenti). E comunque non dimostra nulla riguardo all’amicizia tra i due avversari di Bush.
Infine il 21 luglio l’Amministrazione Bush commette un clamoroso autogol: viene diffuso un rapporto precedente la guerra (il ‘National Intelligence Estimate’) in cui la CIA afferma che Saddam sarebbe più pericolo se deposto piuttosto che al potere. La CIA sostiene infatti che “in caso di pericolo Saddam potrebbe essere molto più propenso a stringere legami con il gruppo terroristico [Al Quaeda] di quanto farebbe da capo del governo iracheno”. Come dire: Saddam per ora non si è alleato con Bin Laden, ma potrebbe farlo se costretto, quindi meglio non disturbare il can che dorme.
La BBC è una fonte di notizie inesauribili. 7 novembre 2001. Newsnight , programma della rete inglese, racconta che all’FBI fu ordinato di “mollare” ogni indagine sul fratello di Osama, Abdullah Bin Laden, legato all’ “Associazione mondiale della gioventù musulmana (WAMY) finanziata dall’Arabia saudita”, prima dell’11 settembre. Una fonte di intelligence altolocata sostiene che fu detto alla polizia federale di lasciare perdere ogni investigazione che coinvolgesse altri membri della famiglia Bin Laden, membri della famiglia reale saudita e possibili collegamenti sauditi per l’acquisizione di armi nucleari da parte del Pakistan.
Ma la rivelazione più inquietante riguarda la commistione di interessi tra i Bush e i Bin Laden. Bush padre è socio del gruppo Carlyle, così come i Bin Laden. Ex Presidente della società è Frank Carlucci, segretario alla Difesa nel governo Reagan ed ex direttore della Cia; consigliere anziano è James Baker III, segretario di stato sotto la presidenza di Bush padre.
Alla testa della Carlyle Europe c’è John Major, ex premier conservatore britannico, e dal 2001 siede nell’Advisory board Letizia Moratti, ministro dell’Istruzione nel governo Berlusconi. Per il gruppo ha lavorato anche Colin Powell. George Bush figlio dal 1990 al 1992 fu membro del cda della compagnia aerea Caterair, una delle partecipate del gruppo.
Dopo l’11 settembre i Bin Laden si ritirano dalla società. C’è chi ironizza sul conflitto di interessi dello sceicco che guadagna grazie agli appalti del governo statunitense alle società del gruppo Carlyle che si occupano di difesa. In altre parole Bin Laden organizza gli attentati, per reazione gli USA si armano anche grazie a Carlyle, e Bin Laden ci guadagna.
Il mondo si chiede se l’amico di Osama sia Saddam oppure George W. Bush. Michel Moore, premio Oscar per “Bowling a Colombine”, gira un nuovo film sulla vicenda: “Fahrenheit 911”.
E, qualche mese fa, Carlyle acquista (70%), insieme a Finmeccanica (30%), la Fiat Avio. Fiat Avio produce componenti di motori per aerei, oltre ad occuparsi di aereospazio. Se si pensa all’arma dell’11 settembre … una coincidenza certo, ma piuttosto incredibile.
Ma gli interessi di Carlyle in Italia vanno oltre. Il 3 marzo 2003 l’agenzia di stampa AGI rende noto che il Ministero dell’Economia guidato da Giulio Tremonti ha ceduto 36 immobili al gruppo statunitense attraverso la sua società “Patrimonio S.p.A.”.
Oltre ai legami con Al Quaeda, l’altra accusa rivolta al regime iracheno concerneva il possesso delle armi di distruzione di massa. Testate nucleari, chimiche, batteriologice, proibite dai trattati internazionali.
Anche su questo aspetto le prove non sono mai state convincenti. Anzi, dalla fine della guerra ad oggi tutte le prove portate da Bush e Blair si sono rivelate infondate.
I due documenti principali sono il rapporto di Colin Powell al consiglio di sicurezza dell’ONU e quello del governo Blair (pomposamente annunciato nei giorni precedenti la sua presentazione come la “prova definitiva”).
I punti principali del rapporto di Colin Powell furono anticipati già da Bush nel discorso sullo stato dell’Unione del 28 gennaio 2003: “Il dittatore dell’Iraq non disarma, ma, al contrario, continua i suoi inganni … l’intelligence degli Stati Uniti segnala che Saddam Hussein possiede inoltre più di 30 mila testate capaci di veicolare agenti chimici … da tre fuoriusciti iracheni abbiamo saputo che l’Iraq, alla fine degli anni Novanta, possedeva diversi laboratori mobili per le armi biologiche … fonti della nostra intelligence ci dicono che ha cercato di acquistare tubi d’alluminio rinforzato adatti alla costruzione di armi nucleari”. In realtà la storia dei tubi di alluminio fu tirata fuori l’8 settembre 2002. Condoleeza Rice dichiarava alla CNN: “Questi tubi possono servire solo per armi nucleari”. Ma non era così. Il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohamed El Baradei,afferma il 9 gennaio che gli ispettori Onu impegnati in Iraq sono giunti alla conclusione che i tubi possono piuttosto servire alla produzione di razzi, come denunciato da Baghdad, e non di uranio arricchito per armi nucleari o atomiche. Successivamente si apprese che nel luglio precedente uno di questi tubi entrò in possesso degli americani che avevano intercettato una nave diretta verso il golfo. Ma il tubo era ricoperto di sostanze chimiche che lo rendevano inutilizzabile per le centrifughe che si impiegano per arricchire l’uranio.
I giorni precedenti e successivi il rapporto sono quelli in cui si discute se prorogare o meno i lavori degli ispettori. Da un lato Francia e Germania chiedono altre settimane o mesi, dall’altro Bush e Blair premono per una risoluzione più determinata della precedente (la 1441) che autorizzi l’uso della forza anche se per gli americani essa “non è indispensabile”.
Il 5 febbraio Powell presenta il dossier al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e mostra quanto anticipato da Bush: la foto un tubo di alluminio, un disegno (sì, proprio un disegno!) di un camion attrezzato come laboratorio mobile corroborato dalla voce di un colonnello che dice “abbiamo questo camion modificato”, foto satellitari di presunte basi irachene dove, a detta del segretario di Stato, si muoverebbero diversi camion. Powell presenta delle “slide” composte al computer e si parla di “show multimediale”. Vi sono anche intercettazioni e un aereo che vola per oltre 550 kilometri senza rifornimenti. Ma subito si capisce che di “smoking gun” (pistola fumante) non vi è traccia.
Tra l’altro, qualche ora prima, gli USA annunciano che non tutte le prove potranno essere presentate, in quanto riservate, per non dare un aiuto indiretto a Saddam.
Powell parla anche di campi di addestramento di Al Quaeda in Iraq. Sono però nel nord del paese e quindi fuori dal controllo di Saddam. Ma ecco le reazioni di Blix presentate nel suo controrapporto del 14 febbraio.
I camion: “In molte occasioni abbiamo sentito dire dagli Usa che gli iracheni dispongono di unità mobili per la produzione di armi biologiche. Noi abbiamo ispezionato alcune di queste unità ma abbiamo accertato che non servono alla produzione di armi biologiche… i due laboratori mobili in possesso del Paese sono utilizzati per l'analisi e i controlli sui generi alimentari importati in base al programma "Cibo contro petrolio"”.
Trasferimento di materiali proibiti da un posto all'altro per nasconderli alle ricerche degli ispettori dell'Onu: “Non abbiamo prove che siano realmente avvenuti da alcun sito.. non credo che ciò sia vero”. Quelli mostrati da Powell “potrebbe esser stata un'attivita' di routine”.
Saddam spiava gli ispettori: "in nessun caso abbiamo avuto prove convincenti che l'Iraq sapesse in anticipo che gli ispettori stavano arrivando in qualche sito".
All’udire i detti di Blix, riferiscono fonti dell’ONU, Powell si sarebbe “accigliato”.
Nessuno crede più al suo rapporto, ma nonostante questo la preparazione della guerra va avanti. Il 7 marzo il Consiglio si riunisce nuovamente ma non viene presa alcuna decisione.
L’altro documento importante è il rapporto del governo inglese presentato poco prima di quello Powell. Se possibile la storia è ancora più imbarazzante. L’inglese e progressista «Guardian» cita alcuni esperti secondo cui almeno dieci delle 19 pagine del documento «Iraq: la sua infrastruttura di occultamento, menzogne e intimidazioni» sarebbero state copiate da alcuni documenti di provenienza accademica tra cui l'articolo di Ibrahim al-Marashi, un dottorando di 29 anni, pubblicato nel settembre 2002 sulla rivista «Middle east review of international affairs», in cui si parlava dell'Iraq prima del '90 e che prende spunto da un suo lavoro di dieci anni prima. «Ci sono persino gli stessi errori di grammatica», sostenne con il «Daily Telegraph» al-Marashi.
L’imbarazzo di Downing Street è enorme. Il governo arriva addirittura a scusarsi per non aver “citato le fonti” del rapporto. Il 25 giugno 2003, di fronte alla Commissione Esteri della Camera dei Comuni, torchiato in diretta televisiva, il portavoce di Tony Blair, Alastair Campbell, si è detto ''rammaricato per il falso dossier'' sulle armi di distruzione di massa irachene e ha scritto una lettera di scuse ai servizi segreti.
23 settembre 2002. La Gran Bretagna presenta un dossier intitolato “Iraq’s weapons of mass destruction”. Oltre alle solite affermazioni sulle armi irachene, la non collaborazione, le connivenze con Al Quaeda, il governo di Tony Blair afferma: “alcune delle più pericolose armi potrebbero essere utilizzate entro soli 45 minuti dall’ordine dei comandi militari iracheni”.
Ma il 29 maggio 2003 il giornalista Andrew Gilligan della BBC riferisce di aver saputo da autorevoli fonti dei servizi segreti che Downing Street, nella persona del capo della comunicazione Alastair Campbell, aveva, forzando la volontà degli 007, enfatizzato nel dossier diffuso a settembre del 2002 l'affermazione che gli iracheni avrebbero potuto attivare in 45 minuti le loro armi chimiche e batteriologiche.
E non è tutto: il primo rapporto sull'Iraq del coordinamento dei servizi segreti britannici (Jce), fu presentato a Downing street nel marzo del 2002. Secondo il Sunday Times tornò al mittente perché non riusciva a provare che la minaccia rappresentata dalle armi di Saddam era aumentata dalla guerra del 1991. Anche il secondo rapporto del Jce non piacque all'ufficio del primo ministro, ma lo spionaggio rifiutava di appesantirlo e Downing street operò qualche aggiustamento. In settembre il premier disse al parlamento che Saddam "ha piani militari operativi per l'uso di armi chimiche e biologiche... che potrebbero essere attivate in 45 minuti". Il premier lasciò intendere che quella era la conclusione dei servizi segreti (deriva "per buona parte" dai rapporti del Jce), ma in realtà era solo una ipotesi basata su una talpa senza ulteriori riscontri.
E delle attrezzature ingombranti per lanciare i missili non si è trovata lacuna traccia.
Anche su questo Campbell è stato sottoposto ad un lungo interrogatorio da parte della Commissione inglese, addossandosi le responsabilità dell’errore, ma i Comuni se la sono presa con il primo ministro, affermando che in particolare il dossier–bufala copiato dalla tesi dello studente iracheno offriva un quadro ingannevole al parlamento.
Della vicenda dei 45 minuti Blix dirà il 17 luglio 2003: “Non so come i servizi britannici abbiano calcolato questo tempo di 45 minuti nel loro dossier di Settembre. Ma mi sembra una stima molto lontana dalla verità”.
Abbiamo già detto del messaggio in cui Osama critica Saddam. Ma a novembre del 2002 era stato diffuso un altro nastro in cui, tra l’altro, Bin Laden cita l’Italia e loda gli attentati nelle Filippine. Era il primo intervento di Bin Laden dopo 11 mesi di silenzio in cui non si sapeva che fine avesse fatto. Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, dichiarò che "a giudizio degli esperti dell'intelligence il nastro è genuino". E Bush disse: "Mentre Osama loda questi attacchi ecco i ceceni entrare in azione. È chiaro che c'è un interesse di Al Qaeda" dando indirettamente credito all’autenticità del nastro. Erano i giorni in cui i terroristi ceceni tenevano in ostaggio 700 persone in un teatro di Mosca. In realtà il nastro probabilmente era un falso. Il centro svizzero l'Idiap (Institute for perceptual artificial intelligence) ha inventato un sistema per verificare l'autenticità delle voci. Gli esperti analizzarono tre ore di discorsi dello sceicco maledetto. Dopo aver verificato che le loro macchine identificavano correttamente il 97% dei campioni utilizzati, i ricercatori esaminarono la registrazione diffusa da al Jazeera. Conclusero che la voce non era di Bin Laden.
Racconta inoltre Guido Rampolli su Repubblica: “Un altro minaccioso nastro di Bin Laden fu trasmesso da Al Jazeera tre mesi dopo. Secondo l'emittente, era arrivato attraverso lo stesso canale del precedente: se dunque il primo era falso, probabilmente lo era anche il secondo. Sarebbe stato interessante conoscere il verdetto dell'Idiap, ma nel frattempo doveva essere accaduto qualcosa perché il direttore dell'istituto rifiutò di esaminare il nastro, malgrado la committenza non mancasse. Comunque la riapparizione della voce probabilmente contribuì al prodigio attestato da un sondaggio della tv Abc: al momento dell'invasione la metà degli americani era convinta che gli attentatori delle Twin Towers fossero iracheni (non uno in realtà).”
Torniamo al 28 gennaio, allo “State of the Union Address” di George W. Bush. E leggiamo: “The British government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa” (“Il governo britannico ha saputo che Saddam Hussein recentemente tentava di procurarsi una notevole quantità di uranio dall’Africa”). Sedici parole che costeranno caro a Bush e, come vedremo, anche all’Italia.
Da dove proveniva quell’affermazione? Dall’ennesimo dossier britannico che raccontava di un presunto traffico tra il Niger e l’Iraq. Traffico riguardante uranio “yellowcake”.
Non che fosse qualcosa di particolarmente sconvolgente. L’8 settembre 2002 il Sunday Express, citando fonti americane, racconta di un potenziale distruttivo di Saddam Hussein enorme. Il dittatore dell'Iraq avrebbe a sua disposizione 4.000 tonnellate di materiale ad alto rischio da utilizzare nelle testate dei suoi missili.
Le riserve includerebbero sostanze chimiche e batteriologiche a cui si affiancherebbe la capacità nucleare di Baghdad derivata da scorte di materiale fornito dalla Corea del Nord. Secondo i rapporti riservati degli gli Stati Uniti, l'Iraq sarebbe in possesso di oltre 30.000 litri di tossine botuliniche, sei tonnellate di gas nervino e 6.000 litri di spore di antrace. L'Iraq avrebbe a disposizione una quantità di sarin sufficiente ad armare le testate di 400 missili e grosse scorte di sostanze chimiche come il tabun.
A coordinare i lavori nelle centrali nucleari del Paese Saddam Hussein avrebbe chiamato alcuni scienziati dell'ex Unione Sovietica e della Corea del Nord: il regime sarebbe in possesso di 18 tonnellate di uranio arricchito e l'impianto principale si troverebbe nella citta' di Tuwaitha, a Sud di Baghdad.
Ma torniamo al traffico Niger-Iraq. 7 marzo 2003: il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohammed El Baradei, smentisce le accuse secondo cui l'Iraq avrebbe acquistato uranio dal Niger e dice al Consiglio di sicurezza dell’Onu che i documenti su cui Usa e Gran Bretagna fondavano questo sospetto "sulla base di analisi approfondite, sono in effetti non autentici".
Ma i britannici hanno fatto tutto da soli? No, per nulla. Sono loro stessi ad ammettere la collaborazione con servizi stranieri. Tra giugno e luglio negli USA impazza la polemica sulle “16 parole” di Bush riguardo l’uranio africano. Il Presidente dice che aveva fatto leggere il discorso alla Cia che lo aveva approvato. Insomma, la colpa è di Tenet, il capo dell’intelligence degli USA, che viene sottoposto al torchio della commissione di inchiesta del senato. Ma forse non è così: il 7 ottobre 2002 Bush è in Ohio per un discorso. La Cia suggerisce alla Casa Bianca di eliminare il riferimento all’uranio nigerino ed insistere sulle foto satellitari e sui tubi. Ma allora perché a gennaio la questione dell’uranio ricompare nel discorso di Bush?
Non finisce qui. Il giornale americano New Yorker avanza l’ipotesi che il dossier sull’uranio fosse pervenuto agli inglesi dal Sismi, il servizio segreto militare italiano. L’Italia è coinvolta nella fabbricazione di false prove? Prima di proseguire, facciamo un passo indietro e vediamo il ruolo dell’Italia nella seconda guerra del golfo.
Il governo italiano ha sempre mostrato di condividere le tesi americane. L’Italia è stata in prima fila, insieme alla Spagna, nella coalizione dei volenterosi (willings). Ricostruiamo i passaggi fondamentali.
28 gennaio 2003, viene annunciato, il giorno stesso del discorso di Bush al Congresso, che Berlusconi sarà a Washington il giovedì successivo. La Casa Bianca scrive: “L'Italia è un solido alleato nel quadro della lotta contro il terrorismo”
29 gennaio, Silvio Berlusconi: “Oggi è in gioco la collocazione ferma del nostro paese nella coalizione mondiale per le libertà e contro il terrorismo” e poi la conferma: il Governo italiano, "ha già dato il diritto di sorvolo" per gli aerei americani sul territorio nazionale, "e ha comunicato al Parlamento che sarà consentito agli Stati Uniti di far scalo sulle basi italiane, anche per lo spostamento dei loro addetti. Questo è già avvenuto e lo abbiamo già comunicato". Lo stesso giorno Powell dichiara che l’Italia sarebbe “benvenuta” nella coalizione contro l’Iraq e che Berlusconi e Bush “parleranno di questo”. Berlusconi va da Blair e alla fine dell’incontro dichiara: “ci saranno prove inoppugnabili” sulle armi in Iraq. Abbiamo visto che non è così, ma il capo del governo italiano crede alle anticipazioni di Blair.
Berlusconi è attivissimo. Firma insieme ad altri premier europei un documento di sostegno agli USA che chiede all’UE di essere a fianco degli States. Per gli 8 capi di governo (Italia, Spagna, Portogallo, GB, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Danimarca) “il regime iracheno e le sue armi di distruzione di massa rappresentano una chiara minaccia alla sicurezza mondiale”. Nessun dubbio quindi. Il “capolavoro” diplomatico di Aznar, Berlusconi e Blair è notevole: si schierano con Bush e spaccano in gruppo fondatore dell’Unione Europea (di cui fa parte l’Italia), acquisendo inoltre il consenso di alcuni importanti Stati che entreranno presto nell’Europa a 25. L’Amministrazione Bush è soddisfatta e fa sapere che il documento dimostra che solo una minoranza dell’Europa è contro la guerra. Per Rumsfeld “solo uno o due” paesi europei sono contrari al conflitto. Il segretario alla difesa fu anche protagonista di un incidente diplomatico: il 22 gennaio, incontrando la stampa estera affermò: “Francia e Germania sono rappresentativi della vecchia Nato” e che la loro posizione non è quella della “Nuova Europa” cioè degli stati ex comunisti. Shroeder e Chirac sono furenti, la frase riecheggerà e inasprirà i rapporti nel consiglio di sicurezza.
Notevole la tempistica: Rumsfeld parla di “Nuova Europa” e pochi giorni dopo diversi stati dell’Est firmano il documento. Il tutto mentre Berlusconi incontra Blair, Aznar e Bush.
Il 30 il premier italiano è a Washington e vede il presidente, Powell e Condy Rice. Berlusconi si scatena: “Temiamo che dopo la serie di attacchi terroristici, culminati con l'11 settembre, ci sia l'intenzione dei terroristi di giungere ad una terribile strage. E per fare ciò essi hanno bisogno di avere disponibili le armi biologiche e chimiche che noi sappiamo essere nelle mani di Saddam Hussein”. “Noi sappiamo…”.
Berlusconi parla un linguaggio che è simile a quello di Bush. Non dice di essere alleato dell’America ma di più: “Sono qui oggi per aiutare il mio amico, il presidente Bush...”. “My friend”, come Bush parla oramai di “our friends” “i nostri amici”.
Il giorno dopo il presidente del consiglio torna sulla vicenda: “Saddam Hussein ha dichiarato di avere armi pericolosissime. Spetta a lui dare l'onere della prova dell'avvenuto disarmo oppure può scegliere la strada dell'esilio”. Sull’esilio poi Berlusconi dirà che in parlamento l’Italia è attiva su questo fronte. Ma per l’intanto sposa la tesi USA dell’onere della prova a carico di Saddam.
5 febbraio, Powell presenta il rapporto all’Onu. Berlusconi esprime "apprezzamento" per il discorso di segretario di stato USA al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. "Powell ha dimostrato che il regime iracheno ha ripetutamente ostacolato il lavoro della missione Onu ed ha continuato ad intrattenere rapporti con il terrorismo internazionale. La palese e reiterata violazione irachena delle risoluzioni Onu oggi ulteriormente dimostrata di fronte al Consiglio di Sicurezza, conferma la necessità di un atteggiamento risoluto della comunità internazionale". Il giorno dopo in parlamento il premier affermerà: “Il popolo iracheno e la comunità internazionale sono di fronte alla sfida di un regime -testimoniata con tragica eloquenza da dieci anni di storia, dalle relazioni plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto Powell di ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e per il mondo”. Secondo Berlusconi bisogna “convincere il dittatore iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa”. Certezze granitiche quindi.
Ma non sempre è stato così. Il 15 ottobre 2002 Berlusconi era andato dall’ “amico Putin” a Mosca. Alla fine del colloquio afferma: “Bagdad non ha più armi di distruzione di massa", perché c'è stato tempo per la loro eliminazione o riallocazione”. L’imbarazzo è forte ma le precisazioni alimentano nuove polemiche. “Era un opinione personale” dice dopo qualche ora. Ma il serata nuova correzione “E’ una ipotesi di Vladimir Putin”. A Berlusconi era scappata la verità, ma ha dovuto fare marcia indietro.
Il 14 febbraio 2003 l’Italia concede agli USA, su loro richiesta, l’uso delle infrastrutture del paese: strade, autostrade, porti, ferrovie. I pacifisti contrastano con forza il trasporto di materiale bellico bloccando le stazioni e facendo fermare i treni, nei porti i lavoratori della CGIL manifestano contro la guerra e annunciano che non caricheranno armi. Per l’opposizione “siamo in guerra senza la pronuncia del parlamento”.
Il sostegno alla guerra in Iraq vede anche l’Italia impegnata nel sostituire gli angloamericani in Afghanistan. USA e GB hanno bisogno di disimpegnarsi dal paese liberato l’anno prima. L’Italia manda i suoi alpini ad ottobre del 2002 quando i preparativi della guerra all’Iraq erano già a buon punto.
Non è solo Berlusconi ad essere zelante. Il nostro servizio segreto militare non è da meno. Repubblica rivela il 24 aprile 2003 che il Sismi si è infiltrato per 22 giorni in Iraq nelle aree metropolitane di Bassora, Baghdad e Kirkuk per condurre operazioni di intelligence in appoggio alle forze militari angloamericane. Secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro le operazioni sono state "coordinate con il Comando alleato, cui veniva indirizzato il flusso di informazioni raccolte". Si tratta di "tre divisioni del Sismi e una rete di 'fonti dirette' che si è andata infittendo nelle settimane predecenti il conflitto. Con il 'reclutamento' di alti ufficiali dell'esercito iracheno e del partito Baath persuasi dal Sismi alla diserzione". Secondo Repubblica "la guerra del nostro servizio segreto in Iraq è cominciata nelle ultime settimane del dicembre scorso. Nicolò Pollari, direttore del Sismi, ha ricevuto allora dal governo il via libera ad avviare in Iraq la più imponente operazione di intelligence e coinvolgimento militare sul terreno che il servizio abbia conosciuto nella sua storia recente".
Perché il servizio segreto di un paese “non belligerante” era in Iraq? Palazzo Chigi parla di operazioni solo di intelligence. Ma il problema resta tutto intero: l’Italia ha dato una mano agli USA sul terreno iracheno prima della guerra. E dopo, con l’invio dei carabinieri sotto il comando angloamericano. L’ONU ha dichiarato USA e GB paesi “occupanti”. L’Italia è lì alle loro dipendenze, anche se formalmente per fornire aiuti umanitari.
Il Sismi torna protagonista tra giugno e luglio. Il New Yorker e altri giordani statunitensi tornano sul dossier dell’uranio nigerino di cui parlò Bush il 28 gennaio, pronunciando le “16 parole” incriminate. La stampa statunitense parla di un coinvolgimento italiano. Sarebbe stato i Sismi a consegnare ai servizi inglesi (il famoso MI6) le carte false. Negli USA è già polemica, l’Amministrazione tenta di scaricare sulla Cia le responsabilità dell’errore e il capo del servizio Tenet si addossa le colpe di tutto. Ma arriva il colpo di scena: l'ex ambasciatore Joseph Wilson, in un'intervista al Washington Post il 6 luglio, accusa pubblicamente l'amministrazione Bush di aver esagerato il materiale di intelligence per giustificare l'attacco all'Iraq.
“Alla fine si è trattato di questo: un governo che distorce i fatti su una questione fondamentale per decidere l'ingresso in guerra”, dichiara Wilson che era l’estensore del rapporto della Cia. La Casa Bianca ammette l’errore: “c'erano altre notizie che suggerivano che l'Iraq stava cercando di ottenere uranio in Africa” - recita il comunicato – “comunque l'informazione non è dettagliata o abbastanza specifica da renderci certi che questi tentativi furono effettivamente fatti”. E’ scandalo. Londra conferma la bontà del suo rapporto: “c’erano anche altri elementi” ma poi lo stesso Straw in una lettera alla Camera dei Comuni asserisce di aver ignorato gli avvertimenti della Cia sul dossier-Niger.
Il 12 luglio parte un’altra bordata: "Non ci sono piani significativi (che lascino intendere) che vi fosse una cooperazione nell'attività terroristica tra l'Iraq e al Qaida", a parlare è l'ex funzionario dell'intelligence Usa, Greg Thielmann, che aveva lasciato lo scorso settembre l'Ufficio intelligence e ricerca del Dipartimento di Stato. I democratici, con Ted Kennedy, ventileranno l’ipotesi di un impeachment del Presidente. Negli States dire una bugia di fronte al Congresso e alla Nazione non passa inosservato.
A Londra il ministro degli esteri britannico Jack Straw commette quella che ottimisticamente potrebbe essere definita una gaffe. Alla BBC Straw dice che Saddam stava per costruire la bomba nucleare. E’ vero, ma i fatti risalgono al ’91. Straw cita “documenti tecnici e componenti di una centrifuga per l’arricchimento dell’uranio” forniti da uno scienziato iracheno. Lo scienziato è Mahdi Obeidi che sotterrò quei materiali 12 anni fa.
Nel frattempo caso “uraniumgate” arriva anche in Italia: il 13 luglio, domenica, Palazzo Chigi smentisce che il Sismi abbia mai dato il dossier agli inglesi.
Ma il telegiornale dell’ABC, grande network televisivo USA, e poi il quotidiano La Repubblica rivelano che il dossier era stato prodotto a fine 2001 da un funzionario dell’ambasciata nigerina in Italia e venduto al Sismi, per poche migliaia di dollari, il Sismi lo avrebbe dato al MI6 inglese e quest’ultimo alla Cia. Il sottosegretario Letta smentisce le rivelazioni al Comitato parlamentare di controllo sui servizi e si oppone alla consegna dei documenti. Ma il giallo rimane. Tant’è che la Procura di Roma apre un’inchiesta. E’ bufera anche in Italia con il governo che smentisce, l’opposizione che chiede le carte, la stampa che accusa.
Nei giorni successivi si accavallano le ricostruzioni. L’ambasciata americana a Roma sostiene di aver avuto i documenti da un “fonte privata”. Tale fonte si scopre essere una giornalista di “Panorama”. Ma da chi e come Panorama ha ottenuto le lettere contraffatte sul traffico di uranio? E perché non le ha consegnate alle autorità italiane? E ancora, perché Bush parlò di “governo britannico” in merito alle fonti di informazione sul presunto commercio tra Niger e Iraq? Qualcosa non torna.
Scrive il deputato Pietro Folena dei DS, presentatore di una proposta di legge per una Commissione di inchiesta sulla guerra e le responsabilità del governo: “Il vero dubbio quindi è che non ci sia stata una semplice sequenza dei Bugiardi (prima Bush, poi Blair, poi Berlusconi) ma che le menzogne siano state preparate, dopo l’11 settembre, da una sequenza che ha visto, su indicazione statunitense, i servizi italiani e quelli inglesi attivamente impegnati nella fabbricazione della Grande Bugia del 28 gennaio 2003. Non è vera questa tesi? E’ nell’interesse allora non solo della grande maggioranza di italiani che subito aveva capito di essere di fronte a bugie e a bugiardi, ma anche di chi a quelle bugie ha creduto in buona fede, pretendere ora la verità. Per questo ci vuole la commissione parlamentare di inchiesta. Non vorremmo infatti che una Bugia negli USA, che potrebbe perfino costare la poltrona a Bush, diventasse una verità in Italia solo perché detta da un professionista della menzogna.”
Il giallo dell’uranio si aggrava venerdì 18 luglio quando viene scoperto a Londra, vicino a casa sua, il corpo di David Kelly, scienziato e consulente della Difesa britannica. Kelly è la “talpa” che forniva informazioni alla rete televisiva BBC riguardo le menzogne sulle armi irachene, permettendo gli scoop che tante grane hanno procurato a Blair e al suo portavoce. Microbiologo ed esperto di armi di distruzione di massa, Kelly ha visitato più volte l'Iraq prima della guerra. Nel 1994 era stato nominato consulente
sulla guerra biologica dalle Nazioni Unite, incarico che mantenne
fino al 1999, e tra il 1991 e il 1998 partecipò alle ispezioni
dell'Onu in Iraq. Secondo le indagini sarebbe morto per dissanguamento. Suidicio? Tony Blair è nella bufera dei sospetti e delle polemiche.
Da tutto ciò si può trarre qualche logica conclusione. USA e GB non hanno mai avuto in mano prove convincenti dell’esistenza o della preparazione di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq. Certo, l’Iraq ha posseduto arsenali di questo tipo, la l’ex capo degli ispettori dell’ONU, Scott Ritter, cacciato da Saddam nel ’98 con l’accusa di essere una spia, ha sempre sostenuto che l’Iraq aveva distrutto il suo arsenale.
L’Iraq non ha usato armi proibite durante il conflitto e nessuna arma è stata trovata in Iraq a tre mesi dalla fine della guerra (tranne qualche bidone di diserbante che qualcuno ha tentato di spacciare per agente chimico di uso bellico). Nessuno è stato in grado di spiegare il perché. Bush in persona è arrivato a sostenere che Saddam se ne è disfatto prima della guerra. Ma perché lo avrebbe fatto? Non gli sarebbe convenuto usarlo durante la guerra? E comunque come si fa a distruggere un arsenale di migliaia di bombe chimiche e atomiche in pochi giorni o settimane?
In realtà quasi tutte le prove portate dagli angloamericani si sono rivelate delle bufale e quel poco che rimane è talmente insignificante da non costituire alcun elemento minimamente probante.
Non è stato mai provato alcun rapporto tra Al Quaeda e il regime iracheno, ma anzi vi sono elementi per ritenere Hussein e Bin Laden due avversari (almeno prima della guerra).
Vi sono fondati sospetti (e in alcuni casi oramai delle certezze) di fabbricazione fraudolenta di prove a sostegno delle tesi di Bush e Blair.
Insomma, USA e GB avevano deciso di attaccare l’Iraq e hanno mentito al mondo. Bush e Blair hanno mentito ai loro parlamenti. Forse ingannati dai servizi segreti, ma più probabilmente è il contrario e cioè sono stati i governi a forzare i rapporti degli 007. Chi è sospettato di aver spifferato tutto ai mezzi di informazione ci ha rimesso la pelle.
E all’origine di una parte importante dell’intrigo potrebbe esserci l’Italia con il suo servizio segreto militare. Sicuramente il nostro paese è stato parte della grande menzogna, forse inconsapevolmente. Forse no se si scoprisse una qualche responsabilità nella vicenda del dossier sull’uranio nigerino. Quel che si sa è che il governo italiano ha sostenuto sempre con forza le ragioni della guerra.
Certo è che una nazione democratica, libera e civile non può rimanere nel dubbio.
Questo documento è stato chiuso il 21 luglio 2003. Ogni informazione riportata è stata tratta da agenzie di stampa, comunicati, articoli comparsi su giornali italiani e stranieri.
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Si ringrazia l’agenzia Graffiti e Carlo Baroncini per la foto di copertina.