loader
menu
© 2024 Eddyburg
Adriana Polveroni
Archistar City
16 Agosto 2006
Articoli del 2006-2007
Architettura griffata come status symbol cittadino: qualche dubbio comincia a insinuarsi nell'omologante peana mediatico. Da L'espresso, n.32, agosto 2006 (m.p.g.)

Metropoli come Pechino e Amsterdam. Città come Salerno e Verona. Ovunque si trasforma il volto del tessuto urbano. E poter sfoggiare l'opera di un grande architetto è il nuovo status symbol.

Ci sono città che devono inventarsi un'altra vita. Altre che alla vita che già hanno ne devono aggiungere una nuova, sfarzosamente contemporanea. E altre ancora che in un palcoscenico di primedonne, occupato da Barcellona, Berlino, Londra e Amsterdam, devono sgomitare per ritagliarsi un quarto d'ora di celebrità. E la carta su cui puntare è l'architettura, che occupa i media. Gli Archistar, divenuti maître à penser, sono riusciti quasi a zittire gli stilisti e a dare la linea nella creatività contemporanea, grazie all'indiscutibile capacità simbolica degli edifici che disegnano e al sostegno di biennali, festival e mostre che vanno dal MoMa di New York al Museo Nazionale di Pechino. Una girandola di soliti noti: Renzo Piano, Santiago Calatrava, Domenique Perrault, Alvaro Siza, Massimiliano Fuksas, Norman Foster, David Chipperfield. Capaci di proiettare le città in quel circuito di infotainment che salda turismo e cultura. E fa entrare soldi nelle casse delle amministrazioni comunali.

In Italia, dopo anni di oscurantismo architettonico, a farsi belle sono molte città. Non solo le grandi come Roma, che cerca di replicare il successo dell'Auditorium di Renzo Piano con (quando vedranno la luce) il Maxxi di Zaha Hadid e il nuovo Macro di Odile Decq, mette in cantiere la Città dei Giovani di Rem Koolhaas e quella dello Sport di Calatrava, il nuovo Centro Congressi di Fuksas e la nuova Fiera di Tommaso Valle. O Milano, che scommette sul quartiere Santa Giulia firmato da Foster, la vecchia Ansaldo trasformata in polo culturale da Chipperfield e il completamento della nuova fiera di Fuksas con gli interventi di Perrault, Araassociati, Gino Valle e Cino Zucchi. Una bella addormentata come Firenze si risveglia all'idea della stazione per l'alta velocità disegnata da Foster, mentre un pool di giovani architetti, oltre a Gabetti e Isola, sta trasformando l'area di Novoli in una avveniristica zona residenziale e di servizi. Jean Nouvel è al lavoro in un'altra area ex Fiat, a viale Belfiore. Napoli, non contenta di aver dato una 'madre' (il Museo d'arte contemporanea di Alvaro Siza) al cuore antico della città, continua a incassare favori e polemiche con i progetti di Siza e Souto de Moura (risistemazione di piazza Municipio), di Domenique Perrault (stazione Garibaldi), la stazione della metropolitana affidata a Hanish Kapoor e quella per l'alta velocità a Zaha Hadid.

Dietro le grandi, tante piccole e medie città che non si sognano di diventare nuove Bilbao (modello ineguagliabile per l'ardimentosità del Guggenheim di Gehry e per il grintoso sostegno della città), ma si accontenterebbero di bissare il successo di Valencia, Graz e Basilea, benedette da seducenti architetture e promossse nello scenario mediatico. Attraversata da gran fermento architettonico è Trento, dove l'urbanista catalano Joan Busquets lavora per restituire il fiume alla città e ridurre il traffico privato, mentre Renzo Piano rifà l'area ex Michelin,Vittorio Gregotti quella nord e Mario Botta parte dell'Università. Operazione meno complessa di quella di Sesto San Giovanni, che rinascerà come città terziaria grazie alla matita di Piano, mentre a Bergamo Jean Nouvel allunga con un chilometro rosso fuoco il profilo dello stabilimento Brembo. A Verona il progetto di trasformazione dell'ex Arsenale in polo museale a firma di David Chipperfield soffre un po' di mancanza di fondi, ma va avanti. Reggio Emilia conta cinque interventi di Calatrava, tra cui il solito incapricciato ponte piazzato all'ingresso dell'autostrada che pare gridare: 'Guardatemi!'. A Maranello Fuksas trasforma in turbonuvola il Centro Ricerche Ferrari e chissà cosa farà del vecchio Museo Piaggio di Pontedera. Non che al Sud ci si giri i pollici: Salerno rilancia con la stazione marittima di Hadid e la cittadella della giustizia di Chipperfield, Benevento affida alla matita dell'italiana Carmen Andriani il suo secondo museo d'arte contemporanea, a Palermo Perrault disegna i ponti pedonali, a Nocera Inferiore aprirà un teatro firmato Souto de Moura.

Tutto per rimettersi in pari nella competizione internazionale, ritardi permettendo. Dando il proprio contributo al fenomeno del 'turismo del nuovo' (riferimento, ancora Bilbao), per cui a Roma non si va solo per vedere il Colosseo, ma anche l'Auditorium. Rispetto all'anno precedente, nel 2005 il Parco della musica di Renzo Piano conta il 22 per cento in più degli spettatori, un incremento del 72 per cento delle sponsorizzazioni e del 20 per cento degli incassi. "Numeri che lo collocano al primo posto in Europa e secondo nel mondo solo al Lincoln Center di New York", dice l'amministratore delegato Carlo Fuortes: "Bisognava dare un simbolo visibile della città che cambiava. Ma per avere più turisti (7 per cento in più all'anno) non bastava aprire un nuovo spazio, bisognava confezionare un'offerta capace di aggiungere all'immenso patrimonio storico che abbiamo un'attrattiva contemporanea".

Che l'architettura richiami pubblico e soldi l'hanno capito bene anche a Torino, che doveva reinventarsi nel dopo Fiat (12 milioni di metri quadrati l'area dismessa dalle fabbriche). Le Olimpiadi invernali sono state un prezioso investimento, ma il successo continua. "Oggi mentre organizziamo gruppi di turisti per mostrargli il palaIsozaki e l'Oval dello studio Zoppini, stiamo anche decidendo le loro nuove destinazioni: la creatura di Isozaki sarà il contenitore dei grandi eventi e spettacoli, l'Oval ospiterà le fiere. Ma solo nel 2011, quando sarà completato l'interramento del passante ferroviario, liberando una superficie che ospiterà la nuova Biblioteca di Mario Baldini, il grattacielo per la San Paolo progettato da Piano, forse la nuova sede della Regione di Fuksas e 11 grandi opere d'arte, l'operazione potrà dirsi conclusa", spiega Anna Martina, direttore della Comunicazione, Immagine e Olimpiadi di Torino.

Tutto bene, tranne un fatto. Che la presenza dei bei nomi dell'architettura fosse necessaria per dare una spallata, è fuor di dubbio. Insistere sempre e solo su questi, magari con concorsi a chiamata, pare poco coraggioso. Ma anche qui le cose si stanno muovendo e forse è per questo che la Biennale d'Architettura (a Venezia dal 10 settembre) per la prima volta nella sua storia ospiterà una mostra dedicata all'architettura contemporanea nazionale, 'Italia-y-2026, Invito a Verma'. A fronte di una generazione di architetti italiani, oggi sessantenni, pensionata anticipatamente, una nuova leva di professionisti è sul piede di guerra. Lo studio 5+ 1AA di Genova è riuscito ad aggiudicarsi il concorso per il nuovo Palacinema di Venezia, Marco Casamonti (40 anni) e lo studio Archea sono arrivati ex aequo con l'americano Michael Maltzan per l'area Bicocca di Pirelli Re. Pietro Carlo Pellegrini sta ridisegnando quella splendida città che è Lucca, mentre Luca Cuzzolin è al lavoro per il Design Center di San Donà del Piave. Lo studio Garofalo Miura progetta la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Roma e Mario Cucinella la sede unica del Comune di Bologna.

Non basta. "Se tra vent'anni ci ritrovassimo con 20 nuovi Calatrava, Foster, Meier o Hadid, non staremmo poi tanto meglio di ora: il Rinascimento ci insegna che non è questa la strada. Tornare a investire nell'architettura dovrebbe portare a una qualità minima diffusa più alta", afferma Alfonso Femia, 39 anni, uno dei fondatori di 5+1AA, che vanta progetti dall'Italia (un Centro Espositivo ricavato dall'ex Palazzo del Ghiaccio di Milano, il Centro commerciale di Assago, un'area nella romana Città dello Sport) alla Cina (master plan di Guangzhou).. “Va bene chiamare le archistar, ma per farle lavorare insieme ai nostri ingegneri, politici, amministratori. Per creare un nuovo percorso culturale. Spesso non sono le grandi opere a correggere il maltrattato territorio italiano, ma le piccole e medie: le scuole, gli uffici, le case".

Ecco il cuore del problema. Quanto bisogno c'è di landmark? A che serve la 'Superarchitettura', come la chiamano gli olandesi? A mettere in mostra la città o a ridefinire il paesaggio attraverso segni meno vistosi ma più sostenibili? "Davanti a un'operazione come quella del ponte di Calatrava all'ingresso della mia città, mi chiedo quanto questo segno, pur bellissimo, possa riqualificarla", afferma Giovanni Catellani, assessore alla Cultura di Reggio Emilia: "Operazioni simili sono grandi occasioni di richiamo e di investimento per la committenza pubblica, ma se non agiscono nel tessuto della città, correggendone l'eccesso di sviluppo quantitativo - come è stato a Reggio Emilia - rischiano di essere simboli estranei. Che sul lungo periodo possono rivelarsi addirittura dannosi".

Le ricostruzioni sono appena iniziate. Le polemiche pure.

ARTICOLI CORRELATI
16 Agosto 2009

© 2024 Eddyburg