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Ida Dominijanni
Antigone, ancora
11 Dicembre 2005
Scritti 2004
Non c'è due senza tre. Si è parlato di Antigone: in un eddytoriale, poi in una lettera di Maria Pia Guermandi nella “posta ricevuta” (in cui si accenna a un rispecchiarsi, nel conflitto mitico tra Creonte e Antigone, di quello attualissimo tra Occidente e Oriente). Il tema è sviluppato in un bel saggio di Ida Dominijanni, su il manifesto dell’11 giugno 2004.

Due libri tornano a interrogare il mito della figlia di Edipo per leggere in termini radicali la crisi della politica: «Antigone e la philìa. Le passioni fra etica e politica» di Francesca Brezzi e «La rivendicazione di Antigone. La parentela fra la vita e la morte» di Judith Butler. Antigone come figura della relazione, di un possibile intreccio fra etica e politica, di un individuo non più scisso fra ragione e passione. Antigone come figura della crisi dell'ordine patriarcale nella parentela come nella polis, e di un desiderio post-edipico che apre a una nuova antropologia del presente

«Ad alcune tragedie si torna, ma altre, come Antigone, sembrano tornare. Non per essere scavate e rivelare nuovi sensi, ma come allusive, rivissute. Quanto l'Antigone ricorrente nei nostri anni ci parla dell'Antigone sofoclea, e quanto invece di noi?». Così Rossana Rossanda quindici anni fa, introducendo la sua rilettura della tragedia di Sofocle (traduzione di Luisa Biondetti, Feltrinelli , 1987), pensata per un ciclo di seminari del Centro culturale Virginia Woolf di Roma sull'onda di due spinte: la stagione di conflittualità radicale che in tutta Europa aveva scosso lo stato negli anni 70, e la fioritura, nello stesso decennio, dell'interrogazione femminista sull'eroina greca. Solo nove anni prima Kluge e Schloendorff avevano filmato, in Germania d'autunno, i funerali che il sindaco di Stoccarda aveva concesso ai detenuti del gruppo terrorista Baader-Meinhof uccisi nel carcere di Stammheim, funerali che altre città avevano rifiutato replicando a distanza di 2400 anni il divieto di Creonte sulla sepoltura di Polinice. E solo dodici anni prima Luce Irigaray aveva riletto Antigone in uno dei libri inaugurali del femminismo della differenza, Speculum, facendone una figura dell'esclusione femminile dal linguaggio e dalla polis e del ritrovamento della genealogia materna. L'una e l'altra spinta autorizzavano a ripensare il mito portandosi oltre il sedimento, pure molto spesso, di alcuni secoli di precedenti e autorevolissime interpretazioni. E oggi? Antigone non smette di tornare, come ha dimostrato di recente un convegno ad essa dedicato tenutosi nelle università di Cagliari e di Roma Tre. Ma perché, e da dove continuiamo, o riprendiamo, a interrogare il mito della figlia di Edipo murata viva dal tiranno di Tebe Creonte per aver dato sepoltura al fratello Polinice, morto in battaglia, reo di avere cercato di spodestare il tiranno e perciò condannato a non ricevere l'onore delle esequie? Lo scenario si è spostato. Non si tratta più di leggere attraverso Antigone il conflitto fra uno stato autoritario da una parte e i tentativi di sovvertirlo dall'altra, e nemmeno quello fra uno stato patriarcale e l'esclusione femminile dall'altra. Entrambe queste dicotomie si sono complicate. La maschera autoritaria, anzi ormai dichiaratamente guerrafondaia e poliziesca, della macchina statale, se per un verso dà luogo a forme micidiali di controllo biopolitico sul corpo individuale e sociale, per l'altro verso non riesce a nascondere le rughe profonde che solcano il volto del Leviatano, la sua crisi di legalità, legittimità e consenso, la sua incapacità di garantire il funzionamento dei cardini basilari del contratto sociale moderno. Il fronte della sovversione e della resistenza si è a sua volta ri-formato su scala sovranazionale, come nel caso del movimento no-global, o de-formato, come nel caso del terrorismo suicida. Quanto ai dispositivi di esclusione dalla polis, si sono fatti più feroci nei confronti degli «stranieri», migranti legali e illegali che forzano i confini materiali degli stati e quelli giuridici della cittadinanza, ma si sono viceversa capovolti in dispositivi di inclusione forzata verso le donne di casa nostra, dividendo le stesse strategie politiche femminili nei confronti dello stato: a più di trent'anni dalla rivoluzione femminista nulla ci autorizza a disegnare un conflitto lineare fra le donne e la polis, di fronte a un panorama complesso abitato dall'estraneità ma anche dall'assimilazione femminile, dalle Antigoni che tuttora sfidano lo Stato ma anche dalle torturatrici arruolate - a correzione della celebre lettura hegeliana del testo di Sofocle - al fianco dei fratelli nella militarizzazione dello Stato.

Reinterroghiamo Antigone, insomma, a partire da stati tanto più tentati da strette autoritarie quanto più diventano obsolescenti, da campi di detenzione come quello di Guantanamo che al corpo del nemico non negano la sepoltura bensì lo statuto dell'umano, da migrazioni che fanno saltare i confini della cittadinanza, da un femminismo diviso che in parte è diventato di stato e in parte rilancia viceversa la sua sfida originaria allo stato. Ma a maggior ragione torniamo a interrogarla, perché tutto questo panorama ci parla di una crisi radicale della politica, che dunque alle radici della politica ci riporta: su quel bordo fra antropologia della comunità e organizzazione della polis su cui la tragedia di Sofocle si colloca e si snoda.

E' da questo spirito di radicale interrogazione sulla crisi della politica che prendono le mosse due recenti letture dell'Antigone, l'una della filosofa italiana Francesca Brezzi ( Antigone e la philìa. Le passioni fra etica e politica,Franco Angeli), l'altra della filosofa californiana Judith Butler ( La rivendicazione di Antigone. La parentela fra la vita e la morte, Bollati; di Butler avremo presto occasione di tornare a parlare, perché Meltemi sta per mandare in stampa Vite precarie, un testo che raccoglie le sue analisi politiche successive all'11 settembre, mentre Sansoni ha da poco pubblicato il suo testo più classico, Gender Trouble, col titolo - opinabile - Scambi di genere). Entrambe dichiaratamente collocate nel solco delle interpretazioni femministe della tragedia, la leggono tuttavia diversamente, pur condividendo in partenza l'intenzione di superarne le tradizionali interpretazioni in chiave dicotomica o essenzialista: quelle che oppongono troppo semplicisticamente la polis al ghenos, il diritto al sangue, la sovranità alla trasgressione, l'uomo alla donna.

Per Francesca Brezzi - il cui libro ha fra l'altro il pregio di ripassare in rassegna tutte le principali letture della tragedia, da Hegel a Goethe, Heidegger, Brecht, Lacan, da Maria Zambrano a Marguerite Yourcenar, Luce Irigaray, Rossanda, Martha Nussbaum, Adriana Cavarero - si può trovare nell'Antigone una chiave per reinventare la politica facendola incontrare con l'etica, per uscire dai paradossi odierni di democrazie incerte fra l'universalismo e il comunitarismo, per disegnare i lineamenti di una nuova cittadinanza. Figura non di un ghenos prepolitico, bensì dell'irruzione sotto il segno della philìa nella polis in guerra sotto il criterio dell'amico-nemico, Antigone apre a una politica della relazione, in cui etica e politica non si scontrano ma si intrecciano. Figura non della separazione fra diritto e morale e fra pubblico e privato, bensì della sua denuncia, Antigone apre a un «divenire cittadini» non più diviso fra ragione di stato e passione personale. Figura non dell'esclusione femminile dalla sfera pubblica, bensì del tentativo femminile di proclamare il diritto d'esistenza nella sfera pubblica di leggi altre da quelle della sovranità, Antigone apre a un ripensamento dell'individuo sessuato, incarnato, fonte sorgiva di diritto e di un «universalismo contestuale», contro la concezione moderna dell'universalismo astratto incardinata sull'individuo neutro. Donna, combattuta ma non scissa fra due leggi e due lingue antinomiche, quella della polis e quella del sangue, Antigone diventa la figura dell'antropologia sessuata di una nuova politica possibile, non più fallogocentrica e non più imprigionata nelle sue tradizionali antinomie, ragione o passione, testa o corpo, diritto positivo o morale, amico o nemico. E la philia, espunta dallo statuto moderno della politica ma non assente nello scenario greco delle sue origini, torna in soccorso della politica morente nelle nostre democrazie di inizio millennio.

Non basta però la Donna a Judith Butler per riedificare la politica; perché notoriamente, per la filosofa californiana, anche «la Donna» è una costruzione del discorso fallogocentrico con cui l'ordine politico è imparentato; e perché prima di essere riedificata, la politica occidentale abbisogna ancora di essere decostruita, disossata, smontata nelle sue strutture primarie e nelle sue segrete complicità con le strutture dell'ordine simbolico. Perciò Butler, grande maestra nel corpo-a-corpo del pensiero femminista con la tradizione filosofica, si muove con agilità corsara fra la lettura della tragedia di Hegel e quella di Lacan; ma non per contrapporre la psicoanalisi alla politica, il dramma del desiderio singolare al dramma della comunità, bensì per reinsediare la questione del desiderio nel cuore della polis. E rilegge a sua volta Antigone con l'intenzione di mettere a tema i rapporti che intercorrono fra l'ordine simbolico e l'ordine sociale, fra l'ordine della parentela e l'ordine della polis, fra l'ordine fallocentrico della sessualità incentrato sul tabù dell'incesto e l'ordine della legge e della normatività.

Non è dunque «la donna», Antigone riletta da Butler, perché essa, come dimostra la contaminazione del suo linguaggio con quello di Creonte, non incarna l'identità di genere bensì la sua dislocazione nella recita dei ruoli sessuali; né incarna le ragioni della parentela contro la ragion di stato. Figlia dell'amore incestuoso fra Edipo e Giocasta, e a sua volta soggetto di due amori incestuosi, verso Edipo e verso Polinice, rappresenta piuttosto la crisi della parentela, il punto in cui il tabù dell'incesto vacilla; e contemporaneamente la crisi dell'ordine politico, che all'ordine simbolico fondato sul tabù dell'incesto è legato da nessi strutturali. E il problema di Antigone non è di entrare in quell'ordine, bensì di rivelarne i divieti costitutivi e i limiti invalicabili, che la lasciano sospesa, né dentro né fuori la polis, né morta viva, destinata a un'esistenza senza luogo, senza rappresentanza e senza rappresentazione possibile.

La rivendicazione di Antigone si intitola il libro di Butler, e non è difficile scorgere quale sia la rivendicazione di Judith che emerge dalla sua rilettura del mito. Contro il femminismo di stato, che dallo stato chiede protezione, legittimazione e riconoscimento, Butler rilancia la sfida antiistituzionale originaria del femminismo. Contro la ragion di stato, rilancia le ragioni di coloro che ne sono esclusi o dannati. Contro la teoria e la vulgata lacaniana dell'ordine simbolico come ordine astorico e immutabile, ripropone il problema - cruciale nel femminismo italiano - del rapporto fra ordine simbolico e ordine sociale. Contro la teoria strutturalista della parentela incardinata sull'Edipo, ma anche contro i movimenti identitari femministi e gay che spesso finiscono con l'uniformarvisi al di là di ostentate trasgressioni, rilancia la sfida di parentele eterodosse e mobili, e di una sessualità non anti-edipica ma post-edipica, in cui il desiderio non sia vincolato alla norma sociale e simbolica dominante.

Siamo sulla West Coast americana, dove la radicalità politica fa tutt'uno con la radicalità sociale, e Butler si sente autorizzata a lanciare la sua sfida dalle nuove configurazioni sociali che la parentela assume nelle famiglie allargate, nelle madri single, nelle coppie gay, nelle famiglie smembrate dei migranti; e dalla «malinconia» che avvolge, nella sfera pubblica, queste figure di «irregolari», insieme ad altre - detenuti, clandestini e quant'altri - ancor più tragicamente marchiate dalla normatività biopolitica e a sospese a loro volta in una condizione fra l'umano e il non umano. Ma noi possiamo rilanciare ancora altrimenti e diversamente la sua sfida, inoltrandoci ulteriormente sul terreno della crisi della politica. Scrive Butler che Antigone non segnala la questione del deficit della rappresentanza, bensì «la possibilità politica che si apre quando si palesano i limiti della rappresentanza e della rappresentazione». E' un tema noto alla critica della politica portata avanti dal femminismo italiano e dalle sue pratiche; critica e pratiche, per restare al gioco, a loro volta tenute dall'ordine del discorso dominante in una condizione sospesa, né politica né impolitica, destinate - come Antigone- a restare senza rappresentanza e senza rappresentazione dentro lo statuto tradizionale, convenzionale, normativo della politica. Condizione qualche volta malinconica, ma tutt'altro che infelice. Viviamo nell'epoca in cui, scrive Butler, «la politica è entrata nella catacresi»: non ha più nome proprio, è uscita dai suoi confini, è - in tutti i sensi - «fuori di sé». Il desiderio di politica che muove la politica oltre i suoi confini deputati, il desiderio femminile di politica che ha già spostato e modificato quei confini, è un desiderio tombale, come quello di Antigone secondo Lacan, o è piuttosto generativo di una nuova nascita della politica? Perciò interroghiamo ancora quel mito. Con e contro Lacan: Antigone, encore.

Si veda anche Antigone e l'alba del diritto, di Gustavo Zagrebelsky

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