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Il prof. Massimo Morisi ritiene che il resoconto sulla stampa del processo decisionale su Castelfalfi- Tui sia carente di notizie assunte in loco.

E' vero, il caso è stato all’inizio sottovalutato dagli organi d’informazione: ma questo è certo dipeso dal messaggio sottotono – e rassicurante – che è stato fatto passare. Oggetto: la riqualificazione di un vecchio borgo e non il progetto speculativo di una multinazionale determinata a fare quadrare molto rapidamente i costi dell’ investimento ( cosa che solo l’intrapresa edilizia consente).

Sì, il caso non è apparso immediatamente con il suo vero volto, e questo è il primo difetto della comunicazione.

Peccato, però, che non tutto quello che è stato pubblicato sia presente nel sito dp-castelfalfi.it.. Per esempio: della cronaca che ho scritto tempestivamente sulla presentazione del progetto di Tui ( sul n. 41 di Carta e poi su eddyburg.it ) non c'è tracccia, nonostante l’articolo sia stato tempestivamente inviato all’ ufficio del Garante della comunicazione, insieme al commento di Edoardo Salzano.

L’esordio della “buona” partecipazione. Io c'ero quella domenica 21 ottobre a Montaione e l'impressione negativa che ho ricavato è che ex mezzadri e intellettuali in platea, siano stati iniziati al dibattito da una illustrazione assai circospetta – con troppe omissioni – e a tratti forse anche faziosa, dato che la lettura del progetto è stata tutta di parte.

Si dirà che toccava a Tui illustrare la proposta, e ai suoi procuratori difenderla appassionatamente. Replico che in assenza diuna “accusa” – un’istruttoria rigorosa – che con un tempo pari a disposizione, proponga altre interpretazioni e altre ragioni, il messaggio che si veicola è asimmetrico, pende troppo da una parte. Nella fase delicata dell’avvio, questo è un deficit comunicativo di grave pregiudizio per il seguito del dibattito.

Si sapeva che la multinazionale avrebbe magnificato il suo progetto e che la sindaca avrebbe manifestato grande apprezzamento. Della parola dei sindaci i cittadini da queste parti ancora si fidano. Così la proposta di Tui è stata posta su un piano leggermente inclinato eliminando qualche curva nel percorso verso l’approvazione.

Chi avrebbe dovuto evitare questa partenza così squilibrata e mettere a disposizione un’altra diversa opinione ? Una opinione “contro” da proporre prima di aprire il dibattito, guarda caso costretto in un tempo assai breve ( si sapeva che alle 12,30 – concluso il tempo assegnato al prologo monocorde – il pubblico sarebbe piano piano svicolato verso il desco domenicale).

Nella presentazione alla quale ho assistito nessun accenno ai numeri ( perché?); e senza numeri non si spiega un progetto che prevede trasformazioni: così la comunicazione è stata deprivata di una cognizione indispensabile nella fase più delicata.

I numeri, superfici, volumi e quindi utenti e automobili, con po' d'impegno si possono desumere dal fascicolo (prodotto con risorse di Tui) nonostante il resoconto sfuggente.

Numeri da interpretare, però. In mezzo a disegni a pastello anch’essi evasivi e furovianti. E perché non simulazioni tridimensionali? Che, per quanto manchevoli della poetica neoimpressionista, avrebbero reso un servizio più adatto al caso? La comunicazione sarebbe risultata più efficace, senza le mediazioni dell’artista, che possono confondere le idee.

Non mi pare che questa prima fase, utile a formare le opinioni, sia stata condotta con sufficiente equilibrio e troppo volta all’interno.

Temo che il prof. Morisi non colga quanto sia imprudente una visione introversa del caso Castelfalfi. Non è un successo la partecipazione ristretta ai soli abitanti di Montaione, perchè Castelfalfi ci appartiene (sì, anche a noi che abitiamo lontano dalle colline del Val d'Elsa). Ecco, dei modi interscalari della partecipazione, non c’è alcuna traccia nel procedimento.

La proprietà é di Tui – ripete più volte il Garante.

E allora? Ci sono regole sulla tutela del paesaggio che si possono applicare pure in Toscana, con rigore alla proprietà di chicchesia, se solo non si traducesse il principio di sussidiarietà in una pericolosa serie di scorciatoie locali. Perchè interpretazioni locali per la tutela non dovrebbero intaccare la sostanza del principio.

Ma perché questa visione rassegnata ? La proprietà privata dei suoli non ci condanna a un futuro di villette a schiera, di villaggi Robinson, dappertutto..

Anche in Sardegna, uno dei posti più belli del mondo è di proprietà privata, nientemeno della famiglia Berlusconi.. Volevano farci un megavillaggio turistico, molte centinaia di migliaia di metri cubi, una grande speculazione edilizia come quella di Castelfalfi, d’accordo il Comune di Olbia. Eppure, regole meno circoscritte, frutto di un dibattito più ampio, transcalare appunto, hanno impedito quella orribile speculazione. Neppure una villetta a schiera in quell’area ribattezzata Costa Turchese.

Le regole per difendere il paesaggio ci sono e possono e devono prevalere. Solo Cetto Laqualunque è sicuro che “ in amore e in edilizia è vietato vietare”.

Nota: sul nodo partecipazione locale/trasformazioni terrioriali con specifico riguardo all'emblematico caso Castelfalfi, si vedano: le critiche al lavoro del garante, di Mauro Parigi, la risposta del garante Massimo Morisi, un intervento di Edoardo Salzano, e il contributo di Paolo Baldeschi ; a complemento di queste specificazioni, è certamente utile la lettura o rilettura dei testi di Alberto Magnaghi sulla Legge Toscana che regola le modalità partecipative (f.b.)

La lettera di Massimo Morisi e la replica di Edoardo Salzano pongono un interessante terreno di riflessione. Parlo solo dei punti 1-5 della lettera, perché il resto mi sembra inutilmente polemico, come sgradevole l’accenno agli “accoliti di Asor Rosa”, fra cui ho l’onore di annoverarmi.

A Castelfalfi il garante ha fatto bene il suo mestiere. Per rendersi conto di ciò basta leggersi i verbali delle assemblee e la loro sintesi nel rapporto. Nessuno può accusare Morisi di essere stato di parte o indulgente con la Tui o omissivo. Da questo punto di vista molte critiche suonano preconcette e “a prescindere”. Morisi ha ragione quando ribadisce la necessità di non confondere il ruolo del garante con un ruolo decisionale e che - piaccia o non piaccia - questa è partecipazione e su questo terreno occorre che movimenti e comitati si confrontino.

Confrontiamoci dunque. Molto meglio il dibattito pubblico di Castefalfi che analoghi episodi, più piccoli ma consistenti nel numero, che si producono in modo seminascosto, aggirando lo spirito della legge di governo del territorio e del PIT, quando non in aperta illegittimità. I casi di Serravalle Pistoiese, dove il sindaco procede spedito nell’approvazione (illegale) di un villaggio turistico sul Montalbano nonostante le assicurazioni contrarie dell’assessore all’Urbanistica della Regione Toscana, e di Casole d’Elsa, dove trionfa un cronico abuso di potere da parte dell’amministrazione comunale, insegnano fra i tanti.

Il dibattito pubblico di Castelfalfi assume però un significato politico e non episodico solo se si inserisce in un processo rappresentativo e decisionale interscalare. Ha perfettamente ragione Salzano a sottolineare che questo è il vero nocciolo della questione. Da un punto di vista strettamente istituzionale, si tratta innanzitutto di fare rispettare le raccomandazioni del garante. Ma questo non basta. Ci vuole anche una buona politica. Una politica che, a mio avviso, deve essere basata sul semplice principio che ogni trasformazione del territorio nel “patrimonio collinare toscano” (invariante del PIT) e ogni nuovo consumo di suolo deve conformarsi alle regole del paesaggio - strutturali e ambientali - e non pretendere di dettare le proprie. In parole semplici: è la Tui, se vuole operare in Toscana che non è un’isola caraibica, ad adattarsi al paesaggio e non viceversa. Solo in subordine vengono le logiche tecniche e finanziarie.

Cosa succede adesso? Una strada, la più probabile, è che Tui ridisegni e in qualche modo ridimensioni il proprio progetto e che da qui inizi una contrattazione con il Comune dove si vedrà se le raccomandazioni del garante avranno efficacia. Si tratta comunque di un giocare in difesa. Soprattutto, come ha notato Salzano, se l’alternativa prospettata è l’ennesimo ‘svillettamento’ delle colline toscane, un’ipotesi che nella lettera di Morisi suona come dichiarazione di sfiducia rispetto ai buoni propositi e alle salvaguardie del PIT.

L’altra strada è che le istituzioni facciano un coraggioso passo avanti, aprendo un altro e più importante tavolo di partecipazione, un tavolo interscalare che, a partire da una ricognizione del patrimonio ambientale e paesaggistico in cui si inserisce il progetto, definisca le regole del suo uso e delle possibili trasformazioni, perché no, migliorative. In sintesi, si tratta di definire un vero e proprio statuto del territorio dell’ambito di paesaggio (per usare il lessico del Codice) in cui si trova Castelfalfi. Il soggetto promotore che dovrebbe fungere da ponte fra diversi livelli istituzionali e cittadini può essere la competente Commissione regionale del paesaggio o la Regione stessa. Ma le dichiarazioni su Castelfalfi del presidente Martini, e quell’incauto(?) incipit del rapporto del garante “nella misura in cui si può sa da fare” (tutto si può, ahimè, nella regione Toscana, legittimamente o illegittimamente), lasciano non pochi dubbi sul ruolo di garanzia politica della Regione.

Vi ricordiamo che chiunque può usare o riprodurre le informazioni e i materiali originali contenuti nelle pagine di questo sito alla condizione, ove si tratti di materiali propri di eddyburg, alla citazione dell’autore così come compare nel sito e alla indicazione della fonte originaria in modo visibile e con la seguente dicitura: “tratto dal sito web eddyburg.it”.

Se si vuol discutere con qualcuno la prima cosa è ammettere la sua buona fede. Dò per scontata la buona fede e l’onestà intellettuale di Massimo Morisi, e perciò non dirò che è un “accolito” di Riccardo Conti (e mi piacerebbe che lui non parlasse di “Alberto Asor Rosa e dei suoi accoliti”). Dò per scontata anche l’intelligenza di Morisi e credo volentieri che egli abbia applicato correttamente, come non dice solo Luigi Bobbio, la tecnica della partecipazione locale.

Ciò detto, mi sembra che Morisi, nella sua autodifesa dalle critiche all’intervento di Castelfalfi presti il fianco ad alcuni ulteriori motivi di critica. Mi sembra utile proporli anche perché il tema della partecipazione è tornato oggi all’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto in relazione alla Toscana e alla legge in proposito, recentemente approvata dal Consiglio regionale.

Vorrei partire da un concetto, che è stato chiaramente espresso da Alberto Magnaghi (un appassionato apostolo della partecipazione locale): quello che egli definisce “interscalarità”. “Se si vuole attribuire ai processi partecipativi il ruolo di strumento di intervento della cittadinanza attiva sulla costruzione del proprio futuro – ha scritto su eddyburg Magnaghi - è chiaro che tematiche come la qualità dell’ambiente di vita, la produzione, il consumo, la qualità dell’alimentazione, la mobilità, il paesaggio, le strategie di sviluppo, ecc. richiedono una forte interscalarità degli attori interessati e delle istituzioni coinvolte, dai comuni ai circondari, alle province alla regione”. In altri termini, la partecipazione “richiede la realizzazione integrale del principio di sussidiarietà per affrontare i problemi alla loro giusta scala di risoluzione”.

Declinare il principio di sussidiarietà nel contesto italiano richiede di interrogarsi (se si vuole adoperare il termine “sussidiarietà” secondo il modello europeo di Jacques Delors e non secondo quello dialettale di Umberto Bossi) su quali siano i livelli di governo e di appartenenza, le “comunità”, cui sono affidati patrimoni materiali e morali del Paese. In particolare – visto che di questo si è soprattutto discusso a proposito di Castelfalfi – quel bene comune che è il paesaggio. La Costituzione del 1948, nei suoi immoodificati principi, è molto chiara in proposito: la tutela del paesaggio è compito solidale della Repubblica, cioè dello Stato, della Regione, della Provincia, del Comune, i quattro livelli nei quali la Repubblica italiana si articola.

Ogni livello di governo, ogni comunità (quella locale e comunale, e via via fino a quella nazionale) esprimono interessi meritevoli di rappresentazione e di considerazione: quelli più vicini e diretti, come quelli più lontani e generali. La domanda è: è giusto che a decidere sul destino di un tassello del meraviglioso mosaico del paesaggio italiano sia la sola comunità di Castelfalfi? Ed è giusto che l’unico interesse sovralocale rappresentato con energia nel processo partecipativo di Montaione sia quello espresso dai rappresentanti di una istituzione che hanno predicato e praticato il più smaccato mix tra centralismo regionale (in materia di infrastrutture e altri grandi opere) e delega piena ai comuni (in materia di gestione del territorio e del paesaggio)? I cittadini della Toscana, dell’Italia (e dell’Europa) avrebbero anch’essi il diritto di essere coinvolti con pienezza di rappresentanza in un processo partecipativo compiuto.

Chi, nel concreto, ha rappresentato gli altri cittadini, le comunità più ampie di quella locale, i livelli di governo sovraordinato nelle assemblee di Montaione? Avrebbe potuto e dovuto svolgere questo ruolo il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini. Egli infatti è stato presente ed è intervenuto nel dibattito. Ma basta leggere alcuni passi del suo intervento (nel rendiconto del Garante della partecipazione, che riportiamo qui sotto) per rendersi conto di come egli abbia saputo interpretare le ragioni degli altri.

“Il presidente ha sottolineato la valenza regionale della vicenda-Castelfalfi, perché ha a che vedere con lo sviluppo turistico della Toscana e perché può aiutare a decongestionare le città d’arte, creando alternative di qualità e puntando ad un turismo non mordi e fuggi”. Ciò che interessa, insomma, è “lo sviluppo del turismo”. Il prezzo che si paga in termini di snaturamento del paesaggio non conta.

“Martini – prosegue la sintesi ufficiale dell’intervento - ha polemizzato sia con l’isteria di tanti dibattiti politici, sia con chi vuole che si tolga l’urbanistica ai Comuni, centralizzando le decisioni. Si tratterebbe – ha precisato – di un drammatico passo indietro, anche perché nessuna Sovrintendenza o nessun ufficio ministeriale sarebbero in grado di organizzare e gestire un processo partecipativo come questo. E’ dunque bizzarra la posizione di chi chiede di abolire tutto ciò che sta tra i comitati locali e il livello statale”. Non risulta che nessuno abbia chiesto ciò. Ma attribuire all’avversario richieste palesemente assurde serve a screditarlo. Un artificio polemico adoperato nella “isteria di tanti dibattiti politici”, assolutamente impropria nell’intervento di chi dovrebbe esporre le ragioni dei “livelli sovraordinati”.

Allora una prima domanda a Massimo Morisi. È politicamente e culturalmente, corretto un processo di partecipazione in cui l’unico contrappeso all’espressione degli interessi locali, l’unica traccia di “interscalarità”, sia quello costituita dalle parole espresse dall’attuale presidente della Regione, il quale per di più ha affermato che gli unici oppositori all’intervento della multinazionale TUI sono “gli intellettuali proprietari di ville in Toscana”?

Una seconda domanda nasce da un’affermazione che Morisi esprime nella sua lettera di risposta alle critiche. Egli afferma: “Naturalmente, trovandoci anche noi, nell’infausta Toscana, entro quella ‘incresciosa’ situazione di un regime capitalista fondato sulla proprietà privata dei suoli, Tui potrebbe anche mandare tutti al diavolo, frammentare la vendita dell’area e affidarla a un incerto destino di villette a schiera (...anche perché sia i sindaci sia le opinioni sia gli strumenti urbanistici possono sempre cambiare)”.

Insomma, per il garante della partecipazione o a Castelfalfi avviene lo stravolgimento fisico e sociale che il progetto annuncia, oppure il suo futuro è di diventare come Monticchiello: “un incerto destino di villette a schiera”. E perché mai? Non è possibile immaginare un assetto urbanistico nel quale non diventi dominante ed esclusiva la monocultura turistica, non domini la privatizzazione d’ogni elemento del territorio, e in cui invece l’equilibrato rapporto tra le utilizzazioni del territorio e la sua forma diventi l’obiettivo primario? E in cui gli interventi edilizi privilegino il recupero, non lo stravolgimento, delle strutture storiche? E se oggi questo non fosse possibile, se le uniche convenienze economiche sono quelle delle multinazionali del turismo globale e non il tessuto delle economie locali, non sarebbe più saggio conservare quello che c’è in attesi di tempi migliori, praticando una intelligente politica di conservazione?

Certo, per farlo occorrerebbe che ogni istituzione svolgesse appieno il suo ruolo. Bisognerebbe che la Regione fosse consapevole di dover svolgere, in stretta intesa con lo Stato, un ruolo decisivo ai fini della tutela del paesaggio.

Bisognerebbe che le scelte della Regione Toscana fossero fedeli alla lettera e allo spirito del Codice del paesaggio. Bisognerebbe perciò che il Piano d’inquadramento territoriale (malamente camuffato in Toscana da piano paesaggistico) stabilisse precise invarianti territoriali: precise regole da rispettare da parte di tutti, anche da parte dei potenti, anche in una regione che si trova, per adoperare le parole di Morisi, “entro quella ‘incresciosa’ situazione di un regime capitalista fondato sulla proprietà privata dei suoli”. (Ma la privatizzazione dei beni pubblici, lo sfruttamento economico immediato, lo stravolgimento dei fattori naturali e antropici che caratterizzano il paesaggio, non sono stati e non sono praticati da tutti i capitalismi: sono un ‘privilegio’ del nostro, nel quale la rendita continua a essere la componente prevalente del reddito, e quella della quale gli interessi economici prevalenti si impadroniscono più volentieri).

Bisognerebbe, infine, che in Toscana (e magari in tutte le regioni d’Italia) si comprendesse, da parte dei governanti e dei loro consiglieri, che “valorizzare” non significa sfruttare nell’immediato i patrimoni costruiti da una società che, nei secoli, ha applicato lavoro e cultura al territorio, ma restituire e mettere in evidenza il loro valore originario. Questo per la verità è difficile immaginarlo nel breve periodo, dato che si deve a Claudio Martini, attuale presidente della Regione, la proposta dell’infausta separazione tra “tutela” e “valorizzazione” introdotta nelle nefaste modifiche costituzionali del 2001.

Mi rendo conto che parlare di valorizzazione in termini diversi da quelli della riduzione d’ogni bene a merce e d’ogni valore a valore di scambio, alludere a un concetto di sviluppo che non coincide con l’accrescimento del PIL, parlare di autonomia della politica sull’economia, sostenere che può essere opportuno conservare per domani quello che oggi corre il rischio d’essere solo distrutto e degradato, significa parlare di un mondo che è diverso da quello attuale: un mondo che in gran parte deve essere costruito.

E il problema, se si va al fondo della questione, è proprio questo. L’attuale establishment toscano (e italiano) è convinto che tempi radicalmente diversi da quelli attuali non siano possibili. L’economia della globalizzazione è quella che comanda, ora e sempre e così sia. È l’economia che comanda sulla politica: quest’ultima può temperarla, ammortizzarne gli effetti più rischiosi, ammorbidirne gli impatti: non guidarla o trasformarla . E la politica costruisce il consenso, la sopravvivenza dei propri apparati, sollecitando gli interessi economici immediati: sono essi che devono prevalere su quelli più generali e strategici, di lungo periodo.

Non meraviglia troppo che anche in Toscana, anche nell’antica “regione rossa”, sia questa l’ideologia che si è affermata. So bene che una parte molto consistente degli abitanti della parte “avanzata” del pianeta è pervasivamente formate da un tendenziale “pensiero unico” che privilegia l’individuo sulla comunità, il privato sul pubblico, l’immediato sul remoto, il vicino sul lontano, l’eguale sul diverso. Che i dogmi di questo “pensiero unico”, di questa ideologia, prevalgano anche a Montaione non ci meraviglierebbe, e neppure ci meraviglierebbe troppo che essi fossero condivisi da Morisi. Ma in quest’ultimo caso dobbiamo dire che ci sarebbe piaciuto un “garante” più equilibrato – oppure, per adoperare il linguaggio corretto, “diversamente equilibrato”.

P.S. – Nella rassegna della stampa che correda la documentazione esibita dal Garante nel sito dedicato al processo partecipativo è assente, tra l’altro, un articolo nel quale, sulla rivista Carta, ho espresso le ragioni per cui sono contrario all’intervento di Castelfalfi. Si può leggerlo qui.

Qui la lettera di Massimo Morisi. E qui sotto è scaricabile l’intervento del Presidente della Toscana, Claudio Martini. L'mmagine è tratta dal sito www.montaione.de

Chiarissimo Prof. Salzano, mi piacerebbe poter pubblicare sulla Vostra rivista elettronica un mio intervento che prende spunto da una serie di contributi variamente critici sulla vicenda Castelfalfi e sul ruolo del garante. La ringrazio molto comunque. Con viva cordialità. mm.

Premessa. Fare partecipazione è altra cosa dal solo parlarne. “Farla” e non solo “reclamarla” implica molta onestà intellettuale. Se si è onesti quando si parla di partecipazione, occorre concordare su un fatto: o i cittadini contano e debbono contare per le loro opinioni quando si esprimono mediante un processo partecipativo organizzato per informarli e metterli in condizioni di confrontare argomenti e se del caso di cambiare visioni, giudizi e valutazioni, oppure c’è sempre qualcuno più saggio che deve decidere per loro, insegnare loro il buono e il cattivo, il bello e il brutto. Nella sua banalità, la distinzione sta tutta qui. “Fare” partecipazione. Oppure semplicemente “invocarla” per difendere pregiudizialmente le proprie tesi. Se si è onesti si accettano i risultati della partecipazione. Se non lo si è, si fa finta che essa non ci sia stata anche quando, come a Castelfalfi, essa rappresenta – come ha scritto Luigi Bobbio «un lavoro eccellente e pionieristico». Ciò premesso provo ad affrontare alcuni punti specifici.

1. La partecipazione presuppone che l’opinione dell’ultimo ex mezzadro di Castelfalfi valga quanto 10, 100, 1000 editoriali di Salvatore Settis o di Vittorio Emiliani. Non un grammo di meno. Ovvio che quella dell’ex mezzadro è e sarà un’opinione assai meno influente, anche perché non ha a sua disposizione (come diceva Carmelo Bene) gazzette e gazzettieri compiacenti. Ma chiediamoci: vale la pena attivare un qualunque processo partecipativo e addirittura, come in Toscana, farci una legge sopra (dalla 1 a quella specifica) se non riconosciamo appieno quel pari valore?

2. Ci si può domandare, a questo punto: ma i cittadini hanno sempre ragione? Certo che no. Non a caso ci teniamo ancora le nostre farraginosissime istituzioni rappresentative, nella speranza che sappiano esprimere quella visione più generale o profonda o consapevole che, come singoli cittadini, se non siamo vittime del delirio di onnipotenza tipica dell’intellettuale latino, dobbiamo ammettere di non avere mai in misura sufficiente. E proprio perché i cittadini non hanno sempre ragione la buona partecipazione è quella che integra il circuito istituzionale e che non pretende di rappresentare un’alternativa alle istituzioni democratiche ma un loro necessario complemento. La chiave del modello toscano sta tutta qui. E’ la chiave della democrazia deliberativa. Il resto è protesta, voglia di imporre veti: tutte cose più che legittime e necessarie per la vitalità culturale e civile di una democrazia. Ma non sono partecipazione, possono esserne il presupposto, lo sfondo o anche la conseguenza. Ma non è partecipazione. E’ democrazia tendenzialmente “referendaria”: che finisce a colpi di spada (il voto) non con la costruzione di una scelta collettiva condivisa, nata dal dialogo, dal confronto argomentativo. E i colpi di spada tagliano ma non risolvono.

3. Sto parlando d’altro? No. Parlo proprio di Castelfalfi. Perché il dibattito pubblico di Montaione sul progetto Tui è stato un classico caso di democrazia deliberativa. Come tale, esso ha deluso chi si aspettava una cittadinanza venduta alla multinazionale da un sindaco debole o corrotto o da un garante ciambellano. Invece i cittadini, mediante il lavoro del garante, hanno fatto valere le proprie ragioni, hanno imposto condizioni irrinunciabili, hanno detto: quel progetto lo vogliamo, nonostante l’opinione di Asor Rosae e i suoi accoliti perchè siamo noi, non lui, i padroni del nostro destino ma sappiamo anche che il nostro territorio non è solo roba nostra e che gli interessi da tutelare sono molti e altri, a cominciare dal suo valore per la Toscana: quindi diciamo sì, ma a serie, onerose e precise condizioni, a cominciare da un corposo, molto corposo, ridimensionamento del progetto. Tui accetterà? Vedremo. Ma quel territorio è purtroppo suo, e tuttavia non solo suo. E la partecipazione glielo ha fatto capire. Si leggano le ammissioni di Martin Schluter (amministratore di Castelfalfi S.p.A. in proposito.

4. Se si ha la pazienza di leggersi tutto il rapporto del garante, questo ne emerge. Poi c’è la sintesi: che comincia con quel «nella misura in cui si può, s’ha da fare» su cui si sono appuntate le critiche di chi sperava che i cittadini dicessero “...non passa lo straniero” (ancorché legittimo proprietario dell’area) ma che prosegue anche con le precise e gravose condizioni che stanno dentro a quella “misura in cui”. Eppure è scritto a chiare lettere: il rapporto va letto tutto, non solo nei titoli delle raccomandazioni! Tanto più che nessuno, ma proprio nessuno tra coloro che alzano oggi di più la voce sui media si è tolto la briga di venirci alle sei assemblee di Montaione per capire da dentro quali erano l’aria, le opinioni, gli argomenti, i giudizi. Perché Castelfalfi è il modello di riferimento della partecipazione toscana nel governo del territorio (l’opinione non è del sottoscritto, ma di Claudio Martini).

5. Infine, sempre se si legge quel rapporto nella sua interezza si comprende - come non si può non fare sempre che lo si voglia - che le raccomandazioni del garante non sono il risultato della sua opinione (vivaddio: la legge è chiara, il garante non dà pareri!) ma l’esito delle opinioni dei cittadini, si vede bene che quel rapporto è stato costruito in modo tale che un così imediato legame non può non risultare di tutta evidenza - e sfido chiunque a dimostrare il contrario carte alla mano. Perciò parlare di manipolazioni (come taluni hanno fatto) significa offendere semplicemente l’intelligenza di chi quel rapporto abbia letto. Altro che valutazione “ex ante” o “carenza di conoscenza” in cui si sarebbero mossi i cittadini. Proprio perché le informazioni ottenute dalla Tui su profili essenziali come le risorse idriche sono rimaste insoddisfatte è stata chiesta e ovviamente ottenuta una serie di perizie di parte pubblica. Per la stessa ragione Tui dovrà provvedere a una riprogettazione integrale dell’intervento sotto il profilo architettonico. E, a monte, dovrà adeguarsi a quelle che saranno le indicazioni che il Comune, forte del giudizio dei suoi cittadini, imporrà a Tui circa le dimensioni complessive e specifiche dell’intervento. Ma qualcuno tra i detrattori, prima di parlare, il rapporto lo ha letto davvero? Ha visto cosa dicono i cittadini? Ha avuto l’umiltà di rispettarne l’opinione?

6. Naturalmente, trovandoci anche noi, nell’infausta Toscana, entro quella “incresciosa” situazione di un regime capitalista fondato sulla proprietà privata dei suoli, Tui potrebbe anche mandare tutti al diavolo, frammentare la vendita dell’area e affidarla a un incerto destino di villette a schiera (...anche perché sia i sindaci sia le opinioni sia gli strumenti urbanistici possono sempre cambiare). Ciò non toglie che i cittadini di Montaione non si siano piegati al ricatto potenziale e si siano rifiutati di comprare a scatola chiusa. Ma resta il fatto che, per loro, è meglio andare avanti con quel progetto, purché lo si riveda e lo si ripensi in profondità, piuttosto che lasciare le cose come stanno. In tutto questo il garante non c’entra nulla. Registra e basta: nell’assoluta convinzione di aver fatto del suo meglio per mettere i cittadini nelle condizione di costruirsela quell’opinione, fornendo, in quanto disponibili, informazioni e potenziali alternative. Quando non c’è riuscito, per carenze o riluttanze delle fonti, lo ha puntualmente denunziato (il sito www.dp-castlfalfi.it è lì a dimostralo).

7. L’esperienza del dibattito pubblico in Toscana proseguirà. E costituirà uno dei segni salienti di questa legislatura regionale: sia nelle modalità della legge 1, sia con le integrazioni della nuova legge sulla partecipazione. Il garante regionale collaborerà in ogni modo con la nascitura autorità per la partecipazione perché una simile esperienza divenga una nuova e solida pratica democratica applicata all’area tematica di maggior conflitto culturale, economico e sociale: il governo del territorio. So bene che critiche (e qualche insulto calunnioso) non cesseranno perché la partecipazione fa paura a chi fino ad oggi l’ha solo propugnata a tutela delle proprie religiose convinzioni. E soprattutto perché la partecipazione è anche fatica. Bisogna scriverci sui webforum e alle assemblee bisogna venirci (Castelfalfi ha avuto centinaia di partecipanti tra i cittadini: ma ha visto non più di un esponente per Italia Nostra, 1 per wwf e 3, massimo 4 per Legambiente. Mentre c’è stato qualche giornalista che ha preferito lavorare sui comunicati stampa piuttosto che venirci: e sapete perchè? Perché Castelfalfi è lontana, ci è stato detto!). Ma occorre insistere: perché l’intelligenza della democrazia, come insegnava Charles Lindblom, sta proprio nel dar torto a chi pensa che il governo del territorio si riassuma in un comunicato stampa o nell’editto di una cattedra. Il territorio è in primo luogo i suoi cittadini, nell’intreccio dei loro diritti, dei loro interessi e delle loro responsabilità verso il futuro e verso chi sta al di là dei loro confini . Se a qualche professore o a qualche politico o a qualche movimento questi cittadini non piacciono: vuol dire che ciascuno di loro ha semplicemente perso il senso del reale. O, se preferite, della sua misura. (21 dicembre 2007)

Qui la replica di Edoardo Salzano

Il garante della comunicazione ha rimesso il proprio rapporto sull’anteprima del procedimento conseguente alla presentazione di un progetto di sviluppo di Castelfalfi che prevede nuove volumetrie pari a circa il 50% di quelle esistente, che sono oltre 200.000 mc., da parte di una società tedesca.

Il rapporto del garante, premesso che questi si premura di ricordare che il proprio lavoro non sostituisce il diritto – dovere di pianificare e decidere dell’Amministrazione Comunale, si conclude con otto raccomandazioni, di cui riportiamo i titoli:

1 - nella misura in cui si può, s’ha da fare;

2 - definire dimensionamenti sostenibili a prescindere dalle esigenze finanziarie dell’investitore;

3 - parsimonia ambientale e risorse idriche sicure e rinnovabili;

4 - perseguire l’eccellenza culturale e progettuale nella qualità architettonica, nella realizzazione edilizia e nella rimodellazione paesaggistica;

5 - qualificazione dell’offerta per uno sviluppo turistico a circuito aperto;

6 - rilancio non simbolico ma innovativo dell’azienda agricola;

7 - qualificazione della domanda occupazionale e dell’offerta di opportunità formative

8 - predisporre un puntuale monitoraggio;

Cose anche condivisibili nella sua generalità, ma rimane un dubbio, perché raccomandazioni e non piuttosto e più chiaramente elencazione di problemi e preoccupazioni espressi dalla partecipazione popolare da affrontare e risolvere preventivamente? Sarà forse una questione letteraria quella che si pone, la domanda potrà apparire retorica, ma non si sfugge alla sensazione, soprattutto per quella prima raccomandazione, ma non solo per quella, che più che rapporto di un garante si sia di fronte ad una valutazione ex ante.

D’altra parte che in questa vicenda qualche ambiguità sussista lo dimostra il Direttore del Il Tirreno che la scorsa settimana in un editoriale attendeva la risposta del garante come fosse presupposto perla realizzabilità dell’intervento. Oppure vale la pena di ripensare alla dichiarazione del presidente della regione Martini che a valle del rapporto del garante dichiara che scelte come questa sono occasione per ridurre la pressione turistica sui i centri d’arte, su Firenze, raccogliendo peraltro un ilare commento del cronista de Il Tirreno.

Certamente avremo capito male, ma la sensazione che si sia dato corso ad una pre approvazione cercando di evitare altre battaglie politiche e con le forse sociali, ambientaliste, della cultura, è forte. Peraltro, non si può non sottolineare e che il dibattito si è sviluppato in evidente carenza di conoscenza come dimostrano le perplessità dei cittadini sul fabbisogno di risorsa idrica dei nuovi insediamenti, sulla vaghezza dei numeri circa l’esistenza o la recuperabilità della risorsa, che nel rapporto del garante se ne da conto ma senza chiedere esplicitamente che questi dati vengano certificati, che il bilancio costi benefici sia esplicitato subito, perché, tanto per esemplificare, se non c’è l’acqua o ce ne è poca, prima viene l’agricoltura e quanto esiste nel territorio, poi i nuovi insediamenti che in situazione limite potrebbero non realizzarsi.

Per questo, e per altro che sarebbe troppo lungo riconsiderare, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad una valutazione ex ante, per questo insorge il dualismo garante – mallevadore. Ma, per evitare fraintendimenti, la nostra è l’espressione di un civile preoccupazione, che va oltre il contingente e le sue convenienze, che vuole contribuire a chiarire i contorni di una esperienza innovativa e positiva, il ruolo, del garante, cui sembra ancora si debba trovare una giusta collocazione perché in fondo sono in gioco le ragioni di un processo democratico, la legittimità, le prerogative e le responsabilità di chi governa.

Nota: ancora, per l’intera vicenda si faccia riferimento ai numerosissimi articoli presenti in SOS Toscana (f.b.)

Gli esiti per Castelfalfi? Erano scontati! Il mega village si farà e sostanzialmente sarà come TUI (la multinazionale turistica tedesca) lo vuole e lo ha sempre voluto! C’era qualcuno che forse si era illuso che, attraverso l’impianto della costosa macchina della PARTECIPAZIONE, “geniale” idea della Giunta Regionale che sta per tradursi in legge, ma qui già sperimentata come per un prototipo, potesse cambiare la sostanza della cosa?

Il mega village si farà e sarà mega (metro cubo in più o metro cubo in meno) perché il pensiero di TUI è lo stesso di Martini e di Conti, perché gli interessi di TUI coincidono esattamente con i princìpi di Martini e di Conti (e con la filosofia del “neutrale” consulente Morisi, intellettuale giustificatore e sistematore dell’ideologia urbanistica del reddito territoriale).

Il mega village si fa perché, nell’ottica di Conti & C., è così che il territorio dà reddito, ovvero lo si snatura, però producendo monete d’oro su monete d’oro, dando il via ad un vero nuovo torrente di monete al posto dell’acqua che mancherà; è così che dove c’era equilibrio per 300 vengono in15.000, in bus, a portare tutti gli idiomi del mondo, con tutti i bermuda del mondo, con tutti i colori del mondo. …

Ma Castelfalfi è solo un assaggio…… Presto assisteremo ad una nuova recita per l’immenso centro commerciale Ikea a Migliarino e poi altro ancora….Si prepareranno altri megafoni della “partecipazione” a glorificare lo spirito democratico delle Amministrazioni.

D’altronde l’Assessore Conti è stato molto, molto esplicito nella conferenza alla stampa straniera indetta a Roma proprio il 31 luglio scorso, subito dopo l’approvazione del PIT. Questa conferenza, infatti, è stato un esplicito invito/ spot al capitale straniero (a tutto il capitale straniero, ovunque e comunque, senza disdegnare nemmeno quello italiano, si intende) a venire ad investire fortemente in Toscana perché con il nuovo PIT e con la nuova legge sulla partecipazione questi investimenti (abitativi, turistici, commerciali, produttivi…) sarebbero stati non solo possibili per le nuove norme urbanistiche sviluppiste appena approvate, ma anche resi certi e senza ritardo alcuno per l’imbrigliamento del dissenso tramite la legge sulla “democrazia preventiva” e sulla “paritetica partecipazione”.

Povera Toscana, quella fatta ed armonizzata dai Padri, alla cui classe politica attuale non viene in mente altro che venderla come si fa con un patrimonio di famiglia in una fase di decadenza, perché ha scoperto che il territorio, che tutte le parti del territorio (principalmente quelle più preziose) possono produrre reddito, anzi che esistono solo se sono capaci di produrre reddito.

(Lucca, 18.12.07)

Condividiamo le sue preoccupazioni. Nel merito, nessuno sembra mettere in dubbio la “positività” di un completo stravolgimento del carattere, della funzione economica e sociale, degli abitatori e fruitori di luoghi così sensibili e delicati, e rilevantissimi come testimonianza di un rapporto tra uomo e ambiente che ha fatto quei paesaggi. Nessuno mette in dubbio la privatizzazione totale di una cellula viva dell’armatura urbana storica della Toscana, e anzi la sottolineatura che i governanti (attuali) della Toscana hanno fatto dell’evento rivela il ruolo che essi assegnano alle grandi multinazionali, nuovo potere sovrano del Mondo (altro che ONU).

Questa sono invece le cose che ci preoccupano di più, al di là della maggiore o minore bruttezza del progetto, della maggiore o minore difformità ruspetto alla disciplina urbanistica, alla maggiore o minore quantità di nuovi metricubi immessi nel paesaggio.

Ma non basta. Per di più, tutto questo viene spacciato per un caso esemplare di quello slogan perverso e mistificante (“reddito non rendita”) che è diventato l’ingrediente forte della cucina ideologica dei governanti (attuali) della Toscana. Tutto rivela come la rendita, in Toscana, non sia solo una delle componenti del reddito, come l’economia ci insegna, ma quella principale, che più si coltiva e si titilla.

Ahimè, caro Mannocci, mala tempora currunt . Terribile dover rincorrere le cose sbagliate per correggerle e tentar d’arrestarle, anziché potersi impegnare a proporre, promuovere, sostenere, diffondere quelle positive.

Premessa

Ci siamo occupati più volte del borgo sulle colline toscane che ha il buffo nome di Castelfalfi. Siamo stati tra i primi, insieme alla rivista Valori, a riportare un articolo di Paola Baiocchi che denunciava con preoccupazione, il 9 settembre scorso, la notizia di un intero borgo sottoposto a una totale trasformazione ad “altro da sé” (cioè, in senso proprio, “alienato”). Abbiamo ripreso l’argomento il 12 novembre, inserendo un articolo de il Tirreno dove Paolo Santini e Lucia Alterini informavano ampiamente del dibattito in corso. Il 17 novembre il settimanale Carta ha pubblicato una corrispondenza sull’argomento di Sandro Roggio e un intervento di Edoardo Salzano, che troverete entrambi in questo sito. Ma delle questioni che stanno a fianco e dietro quella di Castelfalfi troverete abbondante testimonianza nella cartella dedicata alla Toscana, e non solo in quella.

Pubblichiamo perciò molto volentieri l’appello che segue (e che è scaricabile anche in formato .pdf). Un appello educato ma fermo, che apprezza ciò che c’è di positivo nell’episodio ma critica con la necessaria durezza ciò che c’è di perverso, che denuncia ma al tempo stesso propone. Naturalmente invitiamo i frequentatori di eddyburg ad aderire all’appello (primi firmatari Mariarita Signorini e Paolo Baldeschi), inviando una e-mail di adesione all’indirizzo
m.r.signorini@virgilio.it

Appello per Castelfalfi

Siamo dunque giunti al termine del Dibattito Pubblico sul progetto “Toscana Resort Castelfalfi”dopo un percorso di partecipazione avviato, dobbiamo darne atto, per la prima volta.

Un processo partecipato e senza dubbio interessante, in cui tutti gli attori sociali interessati dalla proposta della TUI, hanno potuto esprimere in piena libertà le proprie convinzioni e valutazioni. Come associazioni ambientaliste, tuttavia, non possiamo esimerci dal ribadire con forza le nostre perplessità e le nostre preoccupazioni, che permangono intatte sull’intera operazione e che si sostanziano sinteticamente nell’articolato appello sottostante. Un appello che rivolgiamo a tutti quei soggetti (privati e collettivi) che hanno a cuore i destini del paesaggio italiano, affinché il progetto della TUI sia radicalmente modificato.

Della dimensione dell’intervento. La tanto sbandierata “riqualificazione della Tenuta” per complessivi 390.000 mc allo stato di progetto, corrispondenti ad un aumento del 77% delle cubature attualmente disponibili (leggi: 220.000 mc) è per noi inaccettabile. La soglia (anche simbolica) dei 220.000 non è superabile né negoziabile. Si tratta semplicemente di essere coerenti al recente e originale contributo concertativo, che ha portato all’approvazione del Piano d’Indirizzo Territoriale della Regione Toscana. Nella stessa Disciplina di Piano del PIT si vietano infatti (nelle more degli adeguamenti dei Piani Strutturali) e al fine d’impedire usi contrari all’enorme valore del patrimonio collinare toscano, interventi che non siano limitati al restauro, al risanamento conservativo e alla ristrutturazione edilizia (senza peraltro mutamenti di destinazione d’uso) degli edifici ivi insistentiné parcellizzazioni delle unità immobiliari in grado di configurare comunque tali mutamenti sul piano sostanziale. Si recuperi quindi, si riqualifichi, si abbattano e si sostituiscano pure i capannoni ormai ruderizzati e di scarso valore architettonico ancora esistenti nella Tenuta, ma non si tocchino assolutamente i siti collinari intonsi. Su questo punto, la battaglia politica sarà per noi ambientalisti paradigmatica ed intransigente. Tesa com’è a dimostrare l’irreversibilità e l’irresponsabilità di un intervento che depaupera di fatto quell’irripetibile intreccio di natura, cultura e lavoro umano che si dice invece di voler promuovere.

Della qualità dell’intervento. Assistiamo ad una sostanziale e completa riprogettazione del “genius loci” di Castelfalfi. La TUI declina i suoi intenti metaprogettuali interpretando liberamente antropologia, storia e stilemi compositivi della collina toscana. Persino cercando di “ribattezzare” in modo arbitrario luoghi e toponimi (Castelfalfi Resort?, Robinson Club?, Lake Course?, Mountain Course?). Ora, tale progetto (ci spiace dirlo con questa franchezza) si configura come una gigantesca opera di falsificazione del tessuto culturale e paesaggistico del sito di Castelfalfi. Ebbene, non c’è niente di più pretenzioso (ce lo ha insegnato con impareggiabile maestria Cesare Brandi) di qualcosa che vuol scimmiottare l’antico e il bello, senza prima denunciare genuinità, temporalità e limiti dell’intervento stesso. Non “com’era dove era”, dunque. Ma forse, in questo caso: “come avrebbe potuto essere dove la TUI avrebbe voluto che fosse”. Ripetiamo senza tema di smentita: un’operazione arbitraria e assai pericolosa per gli equilibri del paesaggio toscano. Che, è vero: non è selvaggio, ma modellato dal lavoro paziente degli uomini nel corso dei secoli per l’appunto, con continui e minuti aggiustamenti, fino a renderlo il capolavoro che è, degno perciò di tutela come ogni più prezioso bene. Un’opera fatta a misura con parsimonia e senso delle proporzioni. Senza scarti improvvisi e titaniche reinterpretazioni!

Dell’impatto sugli ecosistemi. La TUI, anche nella copiosa documentazione illustrata nel corso del Dibattito Pubblico, ha ripetutamente dichiarato di avere calcolato bene i consumi idrici ed energetici connessi all’intervento. In realtà, quanto emerso ad oggi concerne essenzialmente i fabbisogni di Tui, mentre nulla in pratica è stato detto degli impatti che sull’ambiente nel suo complesso, sugli ecosistemi locali e sullo stesso tessuto socioeconomico questa struttura avrà, coi suoi consumi d’acqua, i suoi carichi di rifiuti, i suoi flussi di traffico, etc. Non abbiamo dubbi sul fatto che in qualche modo Tui troverà il modo di soddisfare i suoi fabbisogni, ma cosa accadrà a tutto il resto? Cosa succederà alla falda idrica sottoposta agli inusitati prelievi necessari al campo da golf? Quello che Tui dovrebbe presentare e ad oggi non ha presentato è un vero e proprio Bilancio Ambientale del progetto proposto. Un bilancio scientifico serio, tramite il quale asseverare senza la benché minima ombra di dubbio che i conti dell’ecosistema Castelfalfi tornino davvero. Quando si fossero chiariti in modo inequivocabile i due punti per noi dirimenti della pagina precedente, precedente e nello stesso tempo il progetto venisse commisurato ad un impatto davvero sostenibile per il territorio locale, noi ambientalisti saremmo anche disposti a parlare serenamente di risparmio idrico ed energetico, di efficienza e innovazione, di pannelli solari e fitodepurazione. Nessuna preclusione dunque al dialogo con TUI intorno alla minimizzazione degli impatti dell’intervento, ma entro un contesto relazionale chiaro, che è quello già ampiamente descritto, ed entro l’ottica di un progetto realmente proporzionato alle capacità di carico dell’ecosistema locale.

Reddito non rendita! Questo è quanto la Regione Toscana (nel Piano di Indirizzo Territoriale) afferma esplicitamente di voler perseguire nelle sue politiche territoriali, insieme alla stringente tutela del paesaggio nel suo complesso e del patrimonio collinare in particolare. Ebbene: questa è una straordinaria occasione di veder concretamente realizzato uno slogan che molti di noi condividono. Si passi dal dire al fare, dunque! La TUI dice, infatti, di dover rientrare dagli enormi stanziamenti finanziari serviti all'acquisto della Tenuta. Bene, ci rendiamo conto del fatto che l’operazione, alla fine del percorso metaprogettuale, debba essere sostenibile anche a livello economico. Sappiamo anche che il Piano Strutturale di Montaione prevede per la Tenuta una prioritaria funzionalità turistico/ricettiva. Ciò che proponiamo adesso ci pare sensato e ragionevole. Si convertano parte delle attività previste nel progetto (basate di fatto sulla rendita immobiliare e su una ricettività da “enclave di lusso”) in grande agricoltura da filiera corta. Biologica, tipica, d’altissima qualità, che occupi prioritariamente lavoratori montaionesi. Un grande, ambizioso progetto di ruralità locale basato su un possibile patto. Un patto coraggioso tra Amministrazione Comunale, Circondario, Regione Toscana, Sindacati, agricoltori e ambientalisti. Quello che proponiamo, in ultima analisi, è di non chiudere il confronto, ma semmai, proprio adesso, al termine del Dibattito Pubblico, di riaprirlo! Attraverso il rigoroso vaglio delle valutazioni tecniche (Bilancio Ambientale ed Energetico in primis) e una costante e capillare osmosi comunicativa verso le comunità locali. Nella piena consapevolezza e nella speranza che nessuno di noi senta l’altro come nemico, bensì come semplice e degno interlocutore.

Hanno aderito finora (14 dicembre 2007, ore 20):

Marcello Buiatti, Presidente Nazionale di Ambiente e Lavoro; Vittorio Cogliati Dezza, Presidente Nazionale di Legambiente; Giovanni Losavio, Presidente Nazionale di Italia Nostra; Fulco Pratesi, Presidente Onorario WWF Italia; Enzo Venini, Presidente Nazionale WWF Italia; Edoardo Zanchini, Segreteria Nazionale di Legambiente; Antonello Alici, Segretario Generale di Italia Nostra; Vittorio Emiliani, Comitato per la bellezza; Carlo Ripa di Meana, Presidente Comitato Nazionale per il Paesaggio; Edoardo Salzano, Urbanista (eddyburg.it); Piero Baronti, Presidente di Legambiente Toscana; Nicola Caracciolo, Presidente Regionale di Italia Nostra; Renato Cecchi, Direttivo di Ambiente e Lavoro Toscana; Fausto Ferruzza, Direttore Legambiente Toscana; Leonardo Rombai, Presidente Italia Nostra Firenze; Guido Scoccianti, Presidente Sezione Toscana WWF; Maria Rita Signorini, Consigliera Nazionale di Italia Nostra; Enrico Falqui, Comitato Scientifico di Legambiente; Paolo Baldeschi, Urbanista (Università di Firenze); Massimo Desanti, Rete Toscana Comitati; Alberto Magnaghi, Urbanista (Università di Firenze); Cosimo Mazzoni, Avvocato, Rete Toscana Comitati; Giorgio Pizziolo, Urbanista (Università di Firenze); Marco Boldrini, Presidente Legambiente Empolese Valdelsa; Alessio Papini, Responsabile Sezione WWF Firenze; Cristina Raugei, Responsabile gruppo attivo WWF Empoli Valdarno; Beppe Pandolfi, Paesaggista, Legambiente il Passignano; Fabrizio Bottini, urbanista (Politecnico di Milano); Vezio De Lucia, Urbanista; Lucilla Tozzi, Presidente di Italia Nostra Siena; Teresa Liguori, Consigliera nazionale di Italia Nostra; Liliane Buffaut Mungo, Sezione di Italia Nostra Valdichiana; Lorenzo de Luca, Agronomo; Marco Massa, Urbanista (Università di Firenze); Mauro Agnoletti, Professore, Dip.Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali (Università Firenze); Antonio Mancuso, Italia Nostra Sezione Cirò; Alberto Asor Rosa; Alberto Ziparo, Dip. Urbanistica e Urbanistica e Pianificazione del Territorio (Università di Firenze); Daniela Poli, Urbanista (Università di Firenze); Sandro Roggio, Italia Nostra Sassari

CASTELFALFI, ultimo atto. Il progetto di Tui Ag si può fare ma con alcuni accorgimenti. «Da questo processo emergono otto raccomandazioni la prima della quali dice che nella misura in cui si può, il progetto s’ha da fare. A patto che, ed è questa la seconda ma non meno importante, la calibratura delle sue dimensioni sia a livello compatibile con il contesto in cui si inserisce. Da cittadini e associazioni viene insomma un invito alla parsimonia ambientale e al deciso ridimensionamento del progetto».

Così il garante della comunicazione della Toscana Massimo Morisi ha sintetizzato il lavoro svolto durante il dibattito pubblico, istituito ad hoc da Comune e Regione per promuovere la partecipazione attiva dei cittadini su opere che possono cambiare il volto di un territorio. Nel teatro Scipione Ammirato di Montaione (che conta in tutto 3600 abitanti) c’erano più di 300 persone, tra abitanti del luogo e molti curiosi che sono venuti da tutta la zona del Circondario Empolese Valdelsa. Al dibattito conclusivo hanno partecipato il presidente della regione Claudio Martini, l’assessore al territorio Riccardo Conti e il sindaco di Montaione Paola Rosseti.

«Non abbiamo paura di dialogare con Tui - ha detto il sindaco concludendo il suo discorso – perché possediamo gli strumenti e la cultura per farlo. Chiediamo loro un ridimensionamento, la massima attenzione alla qualità paesaggistica e un piano industriale vero, capace di mostrare le ricadute sull’economia locale».Paola Rossetti ha annunciato inoltre che lo studio sulle risorse idriche affidato ad Acque S.p.A. è in via di completamento e che l’intera questione verrà presto sottoposta all’attenzione del Consiglio comunale di Montaione, sottolineando che ogni cittadino dovrà avere la possibilità di seguire tutte le fasi dello sviluppo del progetto. Tra le prime file del teatro c’erano ovviamente anche i dirigenti di Tui Ag, la multinazionale tedesca che ha acquistato l’antico borgo di Castelfalfi dichiarando di volerlo trasformare in un centro turistico di qualità. Dal fact totum del progetto Castelfalfi Resort, Martin Schlüter, è però sfuggita una sostanziale scetticità verso il ridimensionamento prospettato dal sindaco: «Abbiamo già detto 2 mesi fa che eravamo vicini al limite, non possiamo ridurre ancora il nostro progetto. C’è - continua Schlüter - un punto di sostenibilità per tutelare l’investimento, comunque discuteremo tutto apertamente con l’amministrazione». Non è però emerso dal dirigente fino a che punto questo sarà possibile e a quali condizioni. Durante il dibattito, rivolgendosi ai rappresentanti della Tui, Claudio Martini ha detto che se a Castelfalfi saranno in grado di proporre un progetto di qualità, diventeranno interlocutori più credibili anche per ulteriori operazioni di recupero possibili in altre zone della Toscana. «Fare un lavoro fatto bene qui, - ha detto Martini - non un’operazione qualunque, dà a Tui una carta di credito per diventare un interlocutore importante anche della dimensione pisana e fiorentina».

Nota: sia per quanto riguarda la (già piuttosto intricata) questione specifica di Castelfalfi, che sul tema generale della trasformazione del territorio e del paesaggio, rurale e non, della Toscana, eddyburg.it ha aperto da tempo una apposita cartella, in cui è possibile sia formarsi un'opinione critica, sia ricostruire almeno in parte il dibattito generale e le principali posizioni, inclusa quella della redazione del sito (f.b.)

Il "Dibattito Pubblico" attorno al destino di Castelfalfi è giunto alla fine. Stasera alle 21, presso il Teatro Scipione Ammirato di Montaione, verrà infatti discusso il rapporto conclusivo a cura del Garante della comunicazione regionale Massimo Morisi. Due giorni fa, sul sito internet contenente tutta la documentazione relativa al dibattito, è stato infatti reso pubblico il rapporto conclusivo sul processo partecipativo che il Garante si era impegnato a produrre al termine delle assemblee previste. A questo punto l’amministrazione comunale di Montaione dovrà esprimere un giudizio in merito al lavoro fatto fino ad ora e, eventualmente, potrà chiedere che vengano apportati al documento conclusivo sia dei correttivi che delle integrazioni se saranno ritenute necessarie.

Dal documento redatto dal Garante, emergono 8 raccomandazioni che paiono rispecchiare le richieste fatte fino ad oggi dai cittadini e dalle associazioni ambientaliste. Al punto 2 infatti si legge chiaramente che si dovranno«definire dimensionamenti sostenibili a prescindere dalle esigenze finanziarie dell’investitore ». Insomma, un modo per dire che le cubature sembrano eccessive e che, per impedire una vera e propria colata di cemento, dovranno essere fatte delle scelte decisamente importanti.

Anche le paure relative all’approvvigionamento idrico trovano riscontro nella sintesi del Garante che, al punto 3, raccomanda che l’analisi affidata ad Acque S.p.A. dal comune di Montaione, possa finalmente rimuovere «la fragilità dell’ipotesi progettuale » di TUIAG su un tema così importante. La cittadella della multinazionale tedesca non ha delle ricadute soltanto sull’aspetto del paesaggio, ma anche sull’intero ecosistema circostante e, in particolare, proprio sulla disponibilità idrica che, nella zona di Montaione, è già decisamente carente.

Purtroppo il "decalogo della sostenibilità" prodotto dalla Regione Toscana non è di buon auspicio. Infatti, si parla di un «aumento del carico urbano compensato da una adeguata disponibilità di acqua», un probabile eufemismo per dire che non si fa nessuna verifica preliminare delle risorse disponibili nei luoghi interessati da un addensamento urbanistico e che, una eventuale mancanza d’acqua può essere compensata a posteriori, magari trasportandocela attraverso i metodi più disparati. Al dibattito di stasera saranno presenti, oltre al Garante Massimo Morisi, anche l’Assessore regionale all’ambiente Riccardo Conti e il Presidente della Regione Toscana Claudio Martini.

Si veda anche qui, l'appello e le premesse

IN GERGO burocratico si chiama variante AP8.

Detto così non significa granché. In realtà è un capannone di 6.200 mq che sta per sbucare non nella solita anonima periferia industriale, ma nel cuore del Chianti (vedi foto), a ridosso delle colline lungo il torrente Borro di Uzzano che finisce nel fiume Greve.

Insomma, siamo nel Comune di Greve in Chianti. È qui che alcuni cittadini hanno dato vita al comitato di Uzzano, con alleati di grido come Legambiente, il circolo il Passignano e l’Associazione San Casciano per la tutela dell’ambiente. Insieme stanno cercando di convincere il sindaco Marco Hagge a rivedere quelle che loro definiscono «le politiche di cementificazione selvaggia». Naturalmente, chi ha le redini del Comune non sarà dello stesso avviso. ma ultimamente a Greve in Chianti si discute molto di urbanistica e si decide anche. Solo sul Burt del 7 novembre scorso sono state pubblicate le varianti al piano strutturale denominate Variante del Pian di Fazio, Spineto e la AP8 nella zona Montecalvi San Pietro. I comitati però puntano i piedi: secondo loro «questi provvedimenti non tengono alcun conto del patrimonio paesaggistico ». La denuncia è molto forte. L’esempio più clamoroso, sarebbe appunto, questo mega capannone di oltre 6 mila mq, (per la lavorazione di insaccati), che dovrebbe nascere su un ampio lembo di terreno, catalogato ad alto rischio idrogeologico dalla stessa Provincia di Firenze. Lungo i tornanti della strada regionale 222, a ridosso di cascinali e ai piedi del Castello di Uzzano, è stato progettato questo insediamento industriale, un vero e proprio outlet della carne, in una zona a vincolo paesaggistico.

Il nuovo centro di lavorazione e commercializzazione di salumi e prosciutti, sarà lungo 160 mt ed avrà una profondità di 34 metri, l’altezza prevista è di 7 metri, in gran parte interrata, facendo comunque vedere la facciata che avrà una superficie di 1120 mq. Interrare significa sbancare la collina fino a 34 metri di profondità, in una zona a rischio idrogeologico.

Non sarà un’altra vicenda tipo Monticchiello, non ci sono appartamenti da costruire, ma anche questo è un caso che chi amministra dovrebbe prendere con le molle.

È la bella Toscana, a chiederlo.

Nota: inutile forse sottolineare come quanto appare abbastanza evidente in un ambiente delicato e fortunatamente ancora abbastanza “povero” di casi del genere, sia l’ignorata normalità in altri casi, dove uno “sviluppo” semplicemente idiota e non governato continua a consumare territorio prezioso. Forse l’esempio più vistoso è quello dell’ insediamento a nastro centrale padano, ma non mancano sicuramente altri casi, che invitiamo i lettori a segnalarci e documentare (f.b.)

Della Toscana porto sempre nella memoria e nel cuore le immagini del borgo di Castelfalfi nei pressi di Montaione. A lungo ho creduto che questo luogo – fortunatamente marginale ai grandi flussi turistici – avrebbe resistito, conservando il senso della sua storia, restio a svendersi. Magari riacquistando una comunità di abitanti legati al paesaggio fruttifero ( dieci chilometri quadrati di vigne, ulivi, bosco).

D’altra parte si avverte la stratificazione di luogo conteso; si sa delle incursioni per prenderselo Castrum Faolfi, degli sfregi subiti ( dalla chiesa di San Floriano per mano dei soldati di Pietro Strozzi nel Cinquecento). Però ho sempre pensato di ritrovarli intatti Castelfalfi e i profili dei colli circostanti. Difficile immaginare di togliere o aggiungere qualcosa a un posto come questo, come alle linee dei palazzi nei canali veneziani o al tessuto monumentale di Roma.

Qualche timore dopo le prime notizie di passaggi di proprietà della tenuta. Visto il secondario interesse degli acquirenti per il suo passato legato alla campagna e le indiscrezioni sull’obiettivo di trasformarlo in un albergone. Nello sfondo il proposito di liberarlo dai residenti nelle case quattrocentesche tra il castello e la villa , da trasferire nel borgo nuovo, nel crinale che guarda le balze di Montaione. Buon pretesto. L’argomento degli abitanti da sistemare serve per far passare incrementi di volume senza tante storie.

Vicissitudini varie, dovute alla scarsa solidità delle imprese , hanno rallentato l’operazione. Il borgo è oggi deserto. Tutto è disanimato, in quel clima sospeso che si registra nei luoghi in attesa da anni di più redditizie condizioni. C’e però un campo da golf tra le colline,interferenza fastidiosa nello sguardo che si allunga verso Volterra. Del borgo nuovo un abbozzo, due blocchi edilizi che ammiccano all’architettura del borgo storico, tavoli e sedie bianche in pvc in ogni terrazzo. Di recente l’annuncio: si riparte in grande a cura del supergruppo tedesco TUI che ha rilevato quasi tutto; e i segni di nuova efficienza si intravedono, un edificio è stato rilevato nei dettagli, una ditta di pulizie sgombera i piani terra dell’albergo, di fronte una vetrina spolverata che espone prodotti della fattoria. Spicca un edificio nuovo, all’ingresso un plastico, cinque metri quadri inscatolati in plexiglass per spiegare il masterplan “ Toscana Resort Castelfalfi”, maBstab 1:2000.

foto di Sandro Roggio

La presentazione del progetto è fissata per domenica 21 ottobre, a Montaione con il patrocinio del Comune. Ci sarebbe da aspettarsi una presenza vasta di estranei (azzardo: della stampa estera, data l’importanza translocale dell’oggetto). Invece l’atmosfera è quella intirizzita e sonnolenta, da strapaese in attesa dell’ ora di pranzo. C’è il Garante della Comunicazione della Regione, che autocertifica l’imparzialità del messaggio che per cominciare manda sullo schermo: un lungo spot su Castelfalfi- TUI, molto apprezzato dall’imprenditore che si complimenta. Poi preambolo della sindaca, la presentazione del progetto, ancora la sindaca e infine un commento del Garante che tira fino a mezzogiorno, quando si capisce – dai profumi d’arrosto – che non si potrà contare a lungo sull’attenzione della platea. L’ illustrazione è neutrale (?), si sottolinea continuamente. Però si omettono le informazioni sulle quantità di volume in progetto ( e sul numero di abitanti previsti) su cui neppure il depliant, a spese dell’impresa, fa chiarezza. Si dice che il progetto mira – potrebbe essere altrimenti ? – a produrre vantaggi alla comunità locale impoverita (?) per cui occorre opporsi al degrado ( al degrado?) del paesaggio dato che qui l’agricoltura langue (langue?). E si descrive il vecchio borgo e tutto il patrimonio edilizio dell’ appoderamento, come se TUI avesse in carico un cumulo di macerie e non un capolavoro.

Nel depliant disegni acquerellati impastano il nuovo ( quattro villaggi e un “Robinson club”) con il vecchio “da salvare”. Ma, a pagina 20, compare inopinatamente la foto del casale Poggiali da demolire – gulp! – per non impicciare la piazza di uno dei villaggi in progetto.

Per rimediare al “degrado diffuso” non basta un cauto recupero dell’esistente e il potenziamento dell’azienda agricola , ma è indispensabile un disinvolto investimento edilizio. La cura per rinvigorire la civitas e l’urbs di Castelfalfi consiste insomma nel raddoppio della volumetria che passerebbe da 230mila ad almeno 400mila metri cubi, anche case da vendere parrebbe (ma non si dice quante in rapporto alle attrezzature ricettive ). Un insediamento da 5-6000 utenti (?). Infrastrutture e parcheggi per un migliaio (?) di auto e bus, e il raddoppio del campo da golf , 160 ettari, che così com’è – dice l’ impresa – è inadeguato alla bisogna. “Saremo attenti a fonti energetiche e risorse idriche!” (ma silenzio sulla circostanza che i campi da golf di acqua ne consumano uno sproposito).

In tutto si spenderanno, ecco il dato sbandierato, 300milioni di euro ( due terzi in edilizia). Il Comune ha deliberato l’assenso in linea con le generiche indicazioni del Piano strutturale ( che consente un incremento di volume non superiore al 10% dell’esistente), dando per scontata l’approvazione di una variante al Regolamento urbanistico, pure in presenza di un vincolo idrogeologico nelle aree di espansione. Ma neppure un accenno a vincoli superiori a presidio del paesaggio introdotti dal Codice Urbani.

Sembra di non essere nella Toscana che dava esempi di buon governo del territorio, con quell’eredità che si ritrova nella cura dei luoghi, esemplarmente praticata e nelle teorie illustri (dagli affreschi di Ambrogio Lorenzetti alle lezioni di Edoardo Detti).

Colpisce la sottovalutazione di un’operazione che intaccherà e falsificherà profondamente il paesaggio di Castelfalfi, perché non c’è precauzione che valga per evitare la botta di oltre centomila mc in quel delicato contesto. Il buon affare lo farà TUI, questa è la sola certezza: ci vuole poco a capire che non c’è convenienza pubblica ad omologare un luogo autentico agli standard dell’industria delle vacanze, come sanno i turisti che scelgono la Toscana.

Stupisce che questa delicata fase informativa di avvio, da cui dipendono le successive, sia di parte e sfuggente, e la sola preoccupazione manifestata con nettezza quella di rendere agevole il percorso. Bisognerebbe invece dire alla platea che questi modi di trasformazione trovano molte opposizioni, ormai anche nei luoghi del sottosviluppo (per molto ma molto meno, a Monticchiello, non lontano da qui, è intervenuto il ministro Rutelli). Un processo partecipato non può che configurarsi come un dibattimento: se non proprio un’accusa e una difesa a confronto, almeno la presentazione degli svantaggi senza sottovalutazioni. Che dirà la Regione di tutto questo ? Non dovrebbe avere difficoltà a spiegare, tempestivamente, che specialmente da queste parti lo sviluppo è assicurato dalla tutela dei luoghi. Ma nei successivi incontri, secondo uno svolgimento prevedibile, solo Italia Nostra, Wwf e Legambiente avanzano forti riserve.

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Vedi anche Difesa del paesaggio o monocultura turistica?, sul medesimo numero di Carta

I toscani son fumantini e facilmente la polemica con loro volge in aceto. Se ne è accorto Vittorio Emiliani, il quale, dopo una brillante carriera giornalistica, ha dedicato la seconda parte della sua esistenza all’ambientalismo e alla difesa della bellezza, dando vita, appunto, ad un comitato che si richiama espressamente a questo nobile fine. E, come poteva, partendo da questo assunto, non scontrarsi con alcune brutture inflitte alla più bella delle regioni italiane? La sua denuncia non è, però, piaciuta agli amministratori fiorentini, così come non era piaciuta quella del professor Asor Rosa quando aveva protestato per la sconcia lottizzazione di Monticchiello e per l’allargamento di una fabbrica di laterizi nel bel mezzo di una zona protetta dall’Unesco.

Peraltro Emiliani ha parlato nel quadro di un convegno sulle devastazioni territoriali avvenute in tutta Italia nell’ultimo quindicennio durante il quale sono stati "divorati" altri 3 milioni 663 mila ettari di verde, una superficie pari al Lazio e all’Abruzzo uniti, con un consumo del territorio senza eguali in Europa. Vi sono ormai regioni, come il Veneto e la Liguria, quasi interamente ricoperte di cemento e asfalto. Colpisce, inoltre, che, nel contempo, la crescita esponenziale (+ 21%) dell’edilizia privata sia correlata al crollo dell’edilizia pubblica e sociale. Quindi si "consuma" il suolo a solo vantaggio della rendita mentre restano con la fame di casa giovani coppie, immigrati, anziani impoveriti. Anche questo è un primato negativo del nostro Paese che ha il 4% di alloggi sociali sul totale delle abitazioni nei confronti del 31% del Regno Unito, del 38% della Francia, del 39% di Austria e Svezia e di ben il 55% della Germania. Inoltre in questi paesi una apposita legislazione obbliga e/o incentiva per le nuove costruzioni l’utilizzazione delle cosiddette brown field (ex aree industriali, strutture edilizie degradate, ecc.). In Inghilterra una legge nazionale impone addirittura di allocarvi il 70% di ogni nuova costruzione (il sindaco di Londra sta arrivando al 100%).

Vorrei, però, tornare al discorso sulla Toscana la quale, essendo una delle regioni più belle del mondo, suscita sensibilità più vigili che per altre, come argomenta Emiliani indicando ad esempio negativo – dopo Monticchiello, l’Argentario, Pienza - altri casi come la gigantesca cantina alle porte di Capalbio e il maxi parcheggio che incombe sul borgo medievale, le lottizzazioni di Poggio del Leccio e di Casole d’Elsa, ecc. Ma quel che suscita allarme, ben oltre i singoli casi, è la delega affidata in ultima istanza ai Comuni in merito alla difesa del paesaggio. Così, con una risibile interpretazione della «democrazia partecipativa», si è non solo abrogato l’art.9 della Costituzione secondo cui «la Repubblica tutela il paesaggio» (non certo i comuni), ma si è innescato un diffuso conflitto d’interessi: gli enti locali, sempre a corto di mezzi, sono invogliati a introiti aggiuntivi, attraverso concessioni edilizie, spese di urbanizzazione, ecc. tanto più che hanno ottenuto di usarli come spesa corrente, cosa che la vecchia legge Bucalossi vietava. Una pratica che può invogliare in qualche caso anche a finanziamenti illeciti, di partito o personali.

Purtroppo a Firenze ci si è inalberati per la denuncia. «Non capisco questo accanimento contro la Toscana», ha scritto sull’Unità l’assessore regionale al Territorio, Riccardo Conti, contestando i dati Istat riportati da Emiliani. In conclusione, però, affronta meritoriamente quello che a suo avviso (e anche a mio) è il punto politico centrale: «Vogliamo una conservazione attiva (attenzione all’aggettivo, ndr) del nostro territorio. Quello che non vogliamo è che si affermi una idea della Toscana come un’arcadica regione residuale. buona solo per i fini settimana di ospiti illustri. Siamo una complessa moderna regione europea». Affermazione che rivela un pernicioso errore ideologico derivante dalla ottocentesca «religione del Progresso industriale». Oggi in Europa l’icona delle ciminiere e degli opifici è, invece, resa sbiadita dalla globalizzazione. Le fabbriche del mondo saranno sempre più in Cina, in India, in Indonesia, in Brasile. In Occidente subentrerà, per chi saprà raccogliere la sfida, l’impresa immateriale, tecnologica, informatizzata. In questo quadro l’Italia possiede un solo bene insostituibile, non scalfibile dalla concorrenza, il territorio. Ogni ettaro distrutto è una picconata contro noi stessi. Chi non lo capisce si comporta come i talebani che fecero saltare i Buddha di Bamyan in nome dell’islamismo puro e duro.

Nota: per capire meglio alcune affermazioni e risposte di Mario Pirani, si vedano almeno gliinterventi a cui direttamente si riferisce, ovvero quelli dell'assessore toscano Riccardo Conti, e di Vittorio Emiliani, entrambi disponibili qui su Eddyburg (f.b.)

Continuo a non capire un certo accanimento contro la Toscana portato avanti anche da Vittorio Emiliani. In questi giorni si è tenuto banco con la divulgazione di dati Istat, ci pare non sempre correttamente interpretati, sul consumo di suolo in Italia, con una particolare enfasi nella nostra regione. Dati che poi, con qualche variazione contingente, vengono replicati su interventi, comunicati e siti web. In quei dati la Toscana risulta al dodicesimo posto nella classifica nazionale. Non è una posizione che dovrebbe far gridare allo scandalo.

Capisco però ancora meno quell’accanimento alla luce dei dati che abbiamo a disposizione sul reale uso del suolo nel nostro paese. E questi di più corretta interpretazione.

C’è un programma di rilevamento satellitare infatti, si chiama Corine, che trasforma in statistiche ragionate i dati forniti dal satellite riguardo l’uso del suolo.

Sono così difformi e incommensurabili rispetto a quelli dei comitati e di Vittorio Emiliani, da averci indotto a fare diverse verifiche prima di uscire con questo commento.

La rilevazione satellitare compiuta sulla Toscana nel 1990 e nel 2000 (altre più recenti non se ne danno: è imminente quella di aggiornamento alla situazione attuale) ci dice che il «consumo di suolo» tra il ’90 e il 2000 è stato di 8135 ettari. Che sono tutto meno che pochi: ma non sono i 150 mila denunziati da Emiliani. Una discrasia enorme. Che il satellite sia passato per sbaglio da un’altra parte? Ma ci dice anche che il peso dell’urbanizzato in Toscana è pari al 4.1% dell’intero territorio regionale molto al di sotto della Lombardia (10.4%) e del Veneto (7.7%) solo per prendere due regioni di un certo rilievo nel Nord.

L’uso del suolo al 2000 vede infatti una Toscana con 2 milioni e 298 mila ettari di superficie, 1 milione e 37mila ettari di territori agricoli, 1 milione e152 mila ettari di territori boscati, 8.297 ettari di corpi idrici, 6.017 ettari di zone umide, e finalmente i famigerati spazi, suoli e terreni destinati all’edificazione: cioè 93.657 ettari di territori «edificati» a vario titolo (case, villette, certo, ma anche centri commerciali, zone industriali, reti di comunicazione, zone estrattive, discariche e cantieri cosi come tutto il verde urbano) che corrispondono al 4% del totale del territorio toscano.

Ciò detto, nulla toglie al fatto che anche la Toscana sia stata coinvolta, tra il 2000 e il 2005, nel boom edilizio che ha caratterizzato l’economia italiana in questi anni: ma con una incidenza che non ha mai comunque superato il 5% dell’intera edificazione nazionale. Inoltre, fatto 100 lo stock di edificato esistente in Italia, la Toscana vi contribuisce per il 6,6% (analisi dei dati Istat sui permessi a costruire). Fatto 100, invece, lo stock di nuova edificazione, la Toscana vi contribuisce per meno del 5%. Questo vuol dire che la Toscana non registra una particolare accelerazione negli ultimi cinque anni rispetto al resto d’Italia, anzi evidenzia il contrario.

E confermerebbe invece certe critiche che ci vengono rivolte dall’Ance Toscana che accusa il Piano di indirizzo territoriale regionale (Pit) approvato a luglio, di troppo conservazionismo. La critica non ci pare fondata. Infatti di un Piano approvato a luglio non si vede come già a settembre si possano registrare effetti sulla congiuntura edilzia! Ma, a parte le critiche di chi vorrebbe edificare troppo a ruota libera, ci viene fatto presente anche da alcuni investitori importanti, non solo toscani, che la nostra troppa attenzione al territorio allunga qualsiasi procedura rispetto ad altre regioni. Allora dico a tutti che la linea di pianificazione certamente non va abbandonata ma semplificata, all’insegna di un criterio, mutuato dal mio amico Pierluigi Bersani che potremmo riassumere in «quando, dove, come si può, si fa», che poi altro non è una sintesi del concetto di moderno sviluppo sostenibile.

Apro una parentesi. Mi pare ingeneroso e basato su dati non corrispondenti alla realtà, l’attacco rivolto alla mia amica sindaco di Montaione Paola Rossetti, alla quale va riconosciuto il merito di aver spalancato porte e finestre prima di decidere sulle proposte avanzate da un investitore importante e potente. E di aver sottoposto queste a un processo di partecipazione aprendo il fascicolo coram populo. Peraltro non c’è al momento nessun progetto approvato, ma solo una organizzata, partecipata, impegnata discussione pubblica. Vorrei tranquillizzare: i piccoli Comuni toscani non sono affatto lì pronti a farsi mangiare dai moderni colossi nazionali o internazionali. Lo sviluppo territoriale della Toscana non lo decidono i fondi di investimento né i grandi investitori, ben accolti quando ci aiutano a sviluppare progetti che abbiano i contenuti illustrati nella programmazione e concertazione regionale. Quei contenuti non dicono «vade retro» investitori ma dicono che si fa quando, dove e come si può. Assicuro i lettori dell’Unità che nessuno è più affezionato al territorio toscano di una classe di amministratori, uomini e donne impegnati.

Non sto qui a fare l’apologia del Pit. I buoni intendimenti ci vengono riconosciuti anche dai più critici. Sottolineo solo che l’incremento edilizio, in ragione della particolarità del territorio toscano e di un obiettivo toscano di sviluppo tipo «Agenda di Lisbona», ci ha portato a affermare che non può esserci uno sviluppo spostato sull’edilizia (modello anni Cinquanta), bensì bisogna orientare le spinte in altre direzioni. Quindi attuando la tutela delle colline, controllando il pregresso, evitando i trascinamenti di piano, mettendo in atto tutte le salvaguardie. Ripeto, con noi stessi siamo più critici dei nostri critici, per questo guardiamo dentro le tendenze. E vediamo che i dati ci dicono che c’è una rincorsa della Grande distribuzione, e un incremento del residenziale in questi anni.

Non solo. Il consumo di suolo è un significativo e fondamentale indicatore del governo del territorio, ma non l’unico. Propongo di recuperare in chiave di governo del territorio il concetto antico di carico urbanistico, la ricerca di adeguate dotazioni territoriali in funzione di una nuova buona urbanistica. Questa impostazione non può limitarsi al consumo di suolo e non può non riguardare le politiche di recupero e riqualificazione. Una falegnameria che si trasforma in un complesso di 60 miniappartamenti o un piano di recupero possono non implicare nuovo consumo di suolo ma produrre egualmente impatti importanti sulle risorse comuni. Per questo, con gli strumenti che ci siamo dati, stiamo controllando anche i processi di riqualificazione con criteri che tengono ben fermo il parametro del consumo di suolo, ma vanno ben oltre il suo significato perché puntano ai concetti di qualità e di dinamismo, alla architettura degli interventi, alla forma degli insediamenti, cioè alla buona urbanistica.

Con il che non intendiamo neppure criminalizzare l’edilizia con una critica indistinta e generica, come fosse un comparto abusivo o marginale del nostro sistema economico.

Anche in quel campo vogliamo interlocutori innovativi che non si mangino, in nome della rendita, il territorio e lo sviluppo ma che facciano della qualità, della sicurezza sul lavoro e della sostenibilità ambientale e paesaggistica nella progettazione i criteri della propria offerta.

Il tema ci ha appassionato talmente che nelle prossime settimane organizzeremo un seminario per discutere questi dati con esperti, studiosi e amministratori. Spero che in quel caso vogliano essere presenti anche i nostri critici. La lettura di questo articolo mi auguro che voglia chiarire che in fondo siamo più critici verso noi stessi dei nostri critici. E tuttavia non si sfugge da un’impressione. Che il problema non attenga allo sviluppo edilizio e a una discussione sul territorio toscano, quanto a un punto politico. Per quanto ci riguarda, vogliamo più qualità e innovazione nella nostra regione. Vogliamo mettere in atto una politica di conservazione attiva del nostro territorio anche puntando sull’attuazione del Codice del paesaggio in linea con quel documento fondamentale che è la Convenzione europea del paesaggio, non a caso firmata a Firenze nel 2000. Quello che non vogliano (ecco il punto politico) è che si affermi un’idea della Toscana come un’arcadica regione residuale, stretta tra esplosive questioni settentrionali, meridionali, centralità di politiche per Roma capitale, una regione buona solo per i fine settimana di ospiti illustri. Siamo una complessa moderna regione europea.

E come tali vogliamo essere apprezzati e magari criticati.

PS. Siamo talmente convinti dell’opportunità di proposte sul risparmio di suolo quali quella di Rogers o di Angela Merkel, che ne abbiamo fatto una norma generale della nostra pianificazione e l’abbiamo adottata come criterio di monitoraggio. I dati che abbiamo a disposizione mostrano che la Toscana è molto vicina ai parametri inglesi e tedeschi.

[ Riccardo Conti è Assessore al territorio della Regione Toscana]

Il grandioso progetto Toscana Resort Castelfalfi miete anche consensi. Se all’inizio la colata di cemento aveva fatto solo paura, ora in paese aumenta il partito dei favorevoli. E, durante l’ultima assemblea pubblica dell’altra sera, la quarta, si è costituito un comitato pro sviluppo turistico di Castelfalfi.

Tui Ag, la società tedesca quotata in borsa proprietaria della Tenuta di Castelfalfi, ancor prima di convincere l’amministrazione comunale sembra aver già convinto i montaionesi che, del resto, già da venti anni vivono in un’economia turistica.

Fuori dal coro di assensi, durante l’affollatissima assemblea dell’altra sera, sono rimasti però le associazioni ambientaliste, Legambiente, Wwf e Italia nostra, sempre più convinte che si tratti di una colossale cementificazione di colline, tra l’altro tra le più belle in Toscana. E decise a dare battaglia a tutti i costi cercando di creare un clamore nazionale su Castelfalfi sull’onda della “edilizia drogata” che sta facendo nascere una rete di comitati in tutta la Toscana contro gli interventi particolarmente lesivi del paesaggio.

I paladini del Resort. L’altra sera fuori dal teatro dove si svolgeva la riunione c’è stata una raccolta di firme per costituire il “Comitato a favore dello sviluppo di Castelfalfi”. Un centinaio le adesioni. Nel documento diffuso dal gruppo si legge che «è vero, i numeri del progetto Castelfalfi sono grandi, ma non dobbiamo lasciarci impressionare. Più volte la discussione pubblica si è incentrata sulla questione delle nuove volumetrie. E’ giusto valutarle attentamente, ma dopo averle valutate dobbiamo andare avanti senza lasciarci spaventare da niente e da nessuno: il compito dell’amministrazione è quello di pensare non solo all’oggi ma anche al domani». Nel documento del gruppo di cittadini si confeziona un lasciapassare alla multinazionale: «Oggi l’amministrazione comunale ha di fronte a sé un soggetto che ci può far guardare al futuro con speranza - si spiega - Tui è un interlocutore serio, cha dà ampie garanzie. Pertanto, il sindaco e la giunta non devono perdere l’occasione offerta da Tui di far ripartire “il motore Castelfalfi”. Che avrà ricadute positive sull’economia locale e sulla vita di noi montaionesi: se il progetto decollerà Montaione e il suo indotto ne trarranno beneficio. Ne siamo convinti».

I numeri. Nel continuo valzer di cifre, che sono cambiate più volte, ne rimane una fissa, invariata, ed è la più eloquente. Sono oltre 140mila metri cubi in più di nuova edificazione sui 391mila complessivi a disposizione del nuovo complesso. Il totale dei posti letto sarà 1452. Attualmente i posti letto erano 443. Quindi sarebbero creati con l’operazione 1009 posti in più. Da Tui rassicurano preventivamente: la presenza massima stimata è di 955 visitatori al giorno per il mese di luglio, mentre per il periodo di minima affluenza, in gennaio, sono previsti 16 visitatori al giorno. Gli arrivi complessivi sarebbero 15mila e 982 per un totale di 179mila e 205 pernottamenti. Tutto questo tra Iberhotel, previsto accanto all’attuale hotel “Medici”, Robinson club, accanto alla ex scuola, casali e quattro villaggi in campagna.

«Siamo in linea con il piano strutturale - spiega Martin Schluter, responsabile del progetto Tui - il Comune ha previsto 430 nuovi posti letto in più oltre 40 alloggi per altri 160 posti. Poi abbiamo altri 80 posti letto dai circa 20 casali (sui 30 di proprietà) che vogliamo restaurare. E infine abbiamo vecchi capannoni agricoli abbandonati che vogliamo riutilizzare per altri 300 posti letto. Ecco che arriviamo ai mille previsti».

«Noi vogliamo presentare un programma di sviluppo sostenibile - ha affermato l’architetto Wolf Uwe Rilke, uno dei progettisti Tui - piuttosto che un programma di sviluppo immobiliare. Il nostro obiettivo è salvaguardare la qualità del paesaggio e delle caratteristiche architettoniche del borgo. Quando si parla di volumi non dobbiamo guardare soltanto ai dati, alle volumetrie, ma alla qualità degli interventi che si vanno a fare».

Golf. Il nuovo campo da golf si sviluppa su 170 ettari rispetto agli attuali 70. L’aumento è di 100. «Ma per realizzare le 18 buche in aggiunta sarebbero serviti solo 60 ettari - spiega Schluter - sul resto avremo boschi e alberi da frutto». Per l’irrigazione Tui confida nel riciclo delle acque di scarico e nel rastrellamento dell’acqua piovana anche con un sistema di pompe in grado di convogliare l’acqua nei laghi principali. In più verranno usati terra e semi in grado di trattenere l’umidità. «Così come sarà importante posizionare i getti dell’acqua in modo da ottenere il massimo risparmio», aggiunge Schluter.

Piscine e giardini. Ancora non è stato quantificato il numero di piscine che potrebbero essere decine e decine. «Stiamo lavorando per prevedere quelle con un minor impatto», spiega Schluter. E così consistente sarà anche la superficie ricoperta dal verde annesso ai villaggi e ai casali.

Agricoltura. Al momento la Tenuta di Castelfalfi utilizza solo 10 ettari di viti. «Il progetto prevede l’aggiunta di circa 10 ettari su cui verranno impiantate viti nuove - spiega Schluter - vogliamo fare un prodotto di qualità. Abbiamo l’intenzione di incrementare la coltivazione di olive e destinare complessivamente 220 ettari a seminativo». Un ettaro, infine, servirà per un orto biologico.

La vendita dei casali. Rispetto alla vendita dei casali, il responsabile Tui ha spiegato che «ancora non è stato ceduto niente. Abbiamo fatto una prima valutazione dell’interesse che poteva esserci sugli acquisti e abbiamo scoperto che qualcuno vorrebbe comprare anche per stabilire qui la propria residenza». «In ogni caso - aggiunge Schluter - venderemo solo una volta avuti i permessi dal Comune e la gestione dei casali sarà comunque unitaria e gestita da Tui».

Le conclusioni. L’assemblea è stata chiusa dal sindaco Paola Rossetti che ha espresso una serie di caute riflessioni. «L’amministrazione comunale - ha puntualizzato - desidera approfondire tutti gli aspetti pubblicamente. I numeri delle volumetrie saranno valutati in maniera attenta ed anche per quanto riguarda la risorsa idrica e le eventuali ripercussioni sulla falda acquifera derivanti dalla trivellazione di nuovi pozzi valuteremo in maniera puntuale. L’acqua è una risorsa di tutti».

I prossimi appuntamenti. Domenica 18 è prevista un’altra assemblea che non sarà l’ultima. Ne è stata aggiunta un’altra per la domenica successiva, 25, dove ci saranno le conclusioni del professor Massimo Morisi, garante per la comunicazione della Regione.

«Troppo suolo consumato»

Aspre critiche di Wwf, Italia nostra e Legambiente

MONTAIONE. Il consumo del suolo per cementificare e il problema idrico. Questi sono i due punti su cui attaccano Legambiente, Italia Nostra, e Wwf. «Vorremmo conoscere - ha esordito Guido Scoccianti del Wwf durante l’assemblea - l’entità attuale e quella futura del prelievo d’acqua dalla falda attraverso i pozzi esistenti. In più sarebbe opportuno che l’amministrazione comunale stessa con periti propri provvedesse a far effettuare uno studio sulle possibili conseguenze del prelievo dalla falda». «Non abbiamo dubbi sul fatto che Tui Ag riesca a reperire l’acqua necessaria per il Toscana Resort Castelfalfi - ha continuato Scoccianti - ma tutto intorno cosa accadrà? Per ora, nessuno lo ha detto». Polemica anche la posizione espressa da Margherita Signorini di Italia Nostra la quale ha sottolineato «la mancanza di serietà nella comunicazione a causa del continuo balletto di cifre proposte».

«Il quadro di quello che è il progetto Tui a Castelfalfi comincia a diventare più chiaro e, purtroppo, sempre più allarmante - spiegano Signorini e Scoccianti - un aumento di oltre 2 volte e mezza della superficie coperta da strutture e opere connesse; 260 metri cubi per ogni posto letto di nuova costruzione (pari a circa 86 mq, se si considerano volumi di 3 metri di altezza); 650 metri cubi per ogni nuovo alloggio (pari a 216 mq); un albergo da 240 posti letto e un villaggio vacanze di lusso da oltre 400 posti letto; la creazione di veri e propri nuovi piccoli borghi dove oggi c’è un casale isolato; un cambio di destinazione d’uso per 224.900 metri cubi di volumetrie, con i carichi urbanistici che una tale operazione; la perdita di 91 ha di seminativo e di 38 ha di arbusteto che è il luogo principe per la difesa della biodiversità poiché succedaneo del bosco in zone di creta come queste; la costruzione di parcheggi per 673 auto e per 5 autobus e la creazione di una nuova “circonvallazione” in luogo della panoramica strada provinciale “Delle colline”». «Un progetto di espansione urbanistica che va ad incidere su un’Anpil (Area Protetta di Interesse Locale) di recente costituzione - continuano - si tratta di snaturare Castelfalfi, un borgo medievale di origini antichissime. 233.000 metri cubi di volumetrie esistenti consentono operazioni turistiche di grande rilievo senza ulteriori consumi di territorio, di paesaggio e di risorse ambientali. All’amministrazione e a Tui chiediamo di riformulare in questa ottica il progetto». Forti critiche anche da Fausto Ferruzza, direttore regionale di Legambiente. «Legambiente - ha affermato - da giugno sta ricevendo telefonate dai più importanti network televisivi svizzeri, inglesi ed americani che richiedono di esprimere una posizione sulla vicenda della costruzione del Toscana Resort Castelfalfi. A Castelfalfi si gioca una partita delicatissima, non solo per noi, bensì per i futuri scenari del governo del territorio in Toscana». E prosegue: «Si vuole perpetrare un enorme falso storico urbanistico. Quel che si evoca qui è esattamente l’opposto dei fini di salvaguardia del piano strutturale vigente e di tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale di livello regionale come il Pit. Per noi è imprescindibile una totale revisione del progetto e un ridimensionamento quantitativo molto consistente».

Sull’iniziativa immobiliare di Castelfalfi eddyburg è stato tra i primi a intervenire, con una corrispondenza di Paola Baiocchi del 9 settembre scorso. In settimana inseriremo il servizio di Sandro Roggio e il commento di Edoardo Salzano, in corso di pubblicazione sul n. 41 del settimanale Carta, in edicola da sabato prossimo.

ROMA — Alberto Asor Rosa la chiama «crisi di un sistema ». Cioè della catena economico- elettorale che per decenni ha saldato, nella Toscana guidata dalla sinistra, i vertici politici alla base nel nome dello sviluppo del territorio. Ora si è aperta una frattura. Sempre Asor Rosa: «C'erano le scelte degli amministratori. E intorno a quei progetti si coagulavano inevitabilmente molti interessi. Ma si garantiva una certa vivibilità. Ora c'è la nuova economia. Che ha un prezzo inaccettabile, un territorio non più salvaguardato com'era tradizione». Insomma la Toscana Infelix, l'ha definita tempo fa lo stesso Asor Rosa.

Ed ecco la frattura. Da una parte le giunte di centrosinistra, da quella regionale fino alle tante comunali, impegnate in uno «sviluppo» senza precedenti visto come motore di nuova occupazione. Dall'altra la «Rete toscana dei comitati per la difesa del territorio » che domani, sabato, si riunirà a Firenze alle 10 al teatro dell'Affratellamento in via Gian Paolo Orsini. Presiederà Asor Rosa, paladino della battaglia per la salvaguardia di Monticchiello, e che ora pilota una galassia di 162 comitati. Si difende di tutto: dalle piazze storiche in pericolo (Fucecchio, Prato, Fiesole) al territorio interessato dall'ampliamento dell'aeroporto di Ampugnano passando alla lotta contro gli insediamenti da 12.000 metri cubi a Casole D'Elsa per arrivare a chi si oppone alla trasformazione dell'antico borgo di Castelfafi in un resort di lusso da parte di una multinazionale tedesca. Qualcuno ha già tirato in ballo un parallelo con i Girotondi.

Vento di destra? Paolo Baldeschi, docente di Urbanistica a Firenze, relatore del documento politico, sorride: «Sono e resterò un uomo di sinistra. Ma la regione Toscana non fa quel che dice. Qui siamo pieni di buone intenzioni: la legge di governo del territorio, il piano di indirizzo territoriale... ma mancano i controlli e così molti comuni agiscono nella piena illegalità. L'unica via è il ricorso al Tar o alla Procura. E questo è tragico. Gli oneri di urbanizzazione possono essere impiegati anche nella spesa corrente. E così i comuni diventano "drogati di edilizia". Massacrando un territorio irripetibile, come quello toscano, un patrimonio dell'umanità ».

Claudio Greppi, architetto e urbanista, docente di Geografia a Siena realizza la mappa delle emergenze: «Ho sempre navigato nei mari della sinistra, il Pci non mi tesserò perché ero "eretico"... Ma qui l'ideologia non c'entra. Se a San Casciano Val Di Pesa il Comune pensa di concedere il permesso di edificazione di un megacapannone coperto di ben tre ettari per la costruzione di camper, significa che il calo di cultura di gestione del territorio è drammatico. La legge regionale del 1995 concesse piena autonomia ai Comuni. Che ora agiscono senza controlli». Della vicenda di Casole Val D'Elsa ( www.casolenostra.org), un complesso da 12.000 metri cubi per 16 palazzine bloccato dalla procura di Siena cinque mesi fa dopo l'emissione di 17 avvisi di garanzia, si occupa il fisico Roberto D'Autilia, ex elettore Pci e ora Ds: «Hanno anche disboscato un ettaro di terreno, la Forestale ha spedito una multa da 100 mila euro. Le giunte Ds della cittadina hanno permesso un insediamento mostruoso. Un tempo la sinistra regalava alla politica i Ranuccio Bianchi Bandinelli che mai avrebbe messo mano al territorio. Oggi genera solo piccoli politici, facili prede di pescicani e speculatori». Nel gruppone c'è anche un ex consigliere comunale Pci di Fiesole, Cosimo Mazzoni, avvocato e docente di Diritto civile a Siena. Che ora presiede il Comitato per Fiesole (www.comitatoperfiesole. org), ostile al parcheggio sotterraneo a piazza Mercatale voluto dalla giunta di centrosinistra «e ai sei cantieri spalancati nel centro storico. Nel nostro fascicolo lo abbiamo chiamato "lo sviluppo insostenibile"».

Insomma, altro che vento di destra. Infatti lo «scisma» allarma la sinistra toscana al governo. Molti Comitati si sono trasformati in liste civiche alle elezioni amministrative. Come ha raccontato Violante Pallavicino, coordinatrice delle politiche dell'informazione dei Comitati, in un articolo sul sito http://eddyburg.it i risultati sono stati sorprendenti: «13% alla lista di Pistoia, 27% a Monterotondo Marittimo, 20% a Rignano sull'Arno, 6% a Regello ». Il fenomeno è in espansione. I Comitati toscani hanno già dato vita all'appello «Salviamo l'Italia» (firmato da Andrea Zanzotto, Andrea Camilleri, Mario Rigoni Stern). Un modo per far compiere un «salto nazionale» all'iniziativa » La Toscana, insomma, fa scuola. Infatti anche le Marche si stanno organizzando con una rete analoga (col supporto dell'attivissimo Comitato per la Bellezza di Vittorio Emiliani) e tra gli animatori ci sarebbe l'ex presidente della Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca. Il presidente della regione Toscana, il ds Claudio Martini, ha assicurato ad Asor Rosa una replica al documento politico che verrà votato sabato. Lo scisma rientrerà davanti a un tavolo di consultazione sul territorio toscano?

Bagno a Ripoli «taglia» le case in collina, riducendo le previsioni di nuove costruzioni a Villamagna e Osteria Nuova, contestate dai sei comitati sorti in questi anni e in parte bocciate dal Tar. Il Comune ingrana la retromarcia su decisioni che risalgono a meno di dieci anni. E´ l´inizio di un percorso amministrativo a ritroso, un «rientro dall´errore» inevitabile, secondo i comitati, dopo i verdetti della magistratura. Oggettivo, però, un risultato politico: dopo lo strappo che si era consumato nella passata legislatura proprio su questi temi, la verde Beatrice Bensi ha votato assieme a Ds, Margherita, Comunisti italiani e Rifondazione comunista una variante attraverso la quale - come afferma una nota del municipio - «l´amministrazione comunale proverà a ricollocare in parte o totalmente alcune delle previsioni insediative, che l´attuale piano strutturale localizzava nei centri collinari di Villamagna e Osteria Nuova in altri contesti urbani ambientalmente e paesaggisticamente meno problematici». Nulla di definito, insomma, ma un primo passo.

Cinquantotto nuovi alloggi a Osteria Nuova, 28 a Villamagna. Le previsioni urbanistiche di nuove costruzioni in collina, deliberate dalle passate amministrazioni e che dovrebbero essere realizzate dalle cooperative, avevano scatenato l´opposizione dei comitati. Che nel 2004 vincono un´importante battaglia. Il Tar annulla il progetto Osteria Nuova perché le nuove edificazioni sono previste in «area fragile». L´amministrazione comunale, alla cui guida è intanto subentrato il sindaco Luciano Bartolini, da una parte annuncia ricorso al Consiglio di Stato ma dall´altra inizia il confronto con le parti sociali, politiche e con i costruttori per arrivare ad una soluzione condivisa della querelle. Dapprima ottiene una riduzione dei volumi, adesso incassa in chiave amministrativa i risultati della mediazione. All´atto di riperimetrare i centri abitati, il Comune ha infatti sospeso le relative delibere non solo su Villamagna e Osteria Nuova, ma anche sul capoluogo Bagno a Ripoli, su Antella e Capannuccia. Bartolini tratta infatti con le proprietà dei terreni lo spostamento nelle altre zone di parte di quanto doveva essere costruito a Villamagna e Osteria. In novanta giorni la soluzione, che - secondo indiscrezioni - dovrebbe concretizzarsi nella riduzione ad un terzo delle case da costruire a Villamagna e di oltre la metà a Osteria Nuova.

Nella stessa seduta il consiglio comunale ha approvato una seconda variante che - si legge in una nota del Comune - «produrrà l´arresto della proliferazione di residenze legato ai cambi di destinazione d´uso degli edifici esistenti (agricoli e non)». Nuovi vincoli, insomma, per ostacolare la speculazione fondiaria e immobiliare e sostenere le attività economiche.

Siamo persuasi che nel corso dell’ultimo decennio la distruzione del territorio e del paesaggio e l’attacco all’ambiente sono in Italia dilagati con effetti devastanti. Responsabilità di una legislazione troppo permissiva e delle carenze e debolezze delle strutture di controllo dello Stato; ma soprattutto degli orientamenti espressi dal ceto politico, anche da quello di centro-sinistra, il quale, - in misura crescente anche nelle zone del paese considerate un tempo santuari dell’arte e della cultura, come la Toscana, - ha imboccato, a quanto pare senza sentire ragioni, la strada dell’investimento immobiliare speculativo e delle Grandi opere a ogni costo.

La Rete Toscana dei Comitati per la difesa del territorio, forte dell’adesione ormai di ben centossessantadue Comitati, ritiene che non solo in Toscana ma anche altrove sia necessario estendere, rafforzare, sistematizzare una lotta che parta dal basso, resti solidamente ancorata alle radici e alle economie locali e pure s’estenda secondo il modello della rete e, progressivamente, Comune per Comune, Regione per Regione, fino ad abbracciare l’intero territorio nazionale.

Sommando l’una all’altra le emergenze territoriali, di cui esiste ormai un’ampia documentazione, - migliaia di casi, che riguardano le grandi città e le campagne, le coste e il territorio collinare, i beni culturali e quelli paesistici, il problema dei rifiuti e quello dell’energia, - viene fuori, infatti, il quadro di una vera e propria emergenza nazionale, forse in questo momento della vera emergenza nazionale.

Non si tratta, del resto, di un impegno solo difensivo. E’ nostra convinzione, infatti, che territorio, ambiente e paesaggio possano essere alla base di un diverso modello di sviluppo, produttore di una ricchezza durevole, e in grado di consegnare alle generazioni future una migliore qualità e una maggiore quantità di risorse.

Salvare il territorio italiano e il suo patrimonio storico, paesaggistico e culturale, difendere l’ambiente e il territorio, che è un bene comune, da speculazioni e interessi privati e dall’intreccio di affari, politica e istituzioni, che caratterizza pesantemente questa fase della vita pubblica italiana, è un compito gigantesco, che va affrontato subito, perché non sia troppo tardi...

Coloro che sottoscrivono questa dichiarazione fanno appello a quei cittadini, che ovunque si organizzano in Italia localmente nelle forme dei Comitati spontanei e volontari e delle Associazioni, perché uniscano le loro forze e le organizzino nelle Reti dei Comitati locali e regionali, che a loro volta si uniscano e si organizzino in una Rete delle Reti, capace d’essere interlocutore autorevole dei poteri locali e centrali in tutti i punti della carta geografica italiana.

Solo ripartendo dal basso, solo difendendo il territorio in tutti i suoi punti, solo unificando tutte le forze disponibili, sociali e intellettuali, si può pensare di affrontare e vincere questa battaglia di cittadinanza e di democrazia.

Primi firmatari:Alberto Asor Rosa, Mario Torelli, Alvise Serego Alighieri, Vezio De Lucia, Carlo Ripa di Meana, Paolo Baldeschi, Vieri Quilici, Alberto Pizzati, Bernardo Rossi Doria, Gaia Pallottino, Paolo Berdini, Benedetta Origo, Valentino Podestà, Nino Criscenti, Ornella De Zordo, Giorgio Pizziolo, Cosimo Marco Mazzoni, Francesco Vallerani, Gianfranco Di Pietro, Claudio Greppi, Cinzia Mammolotti , Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, Bruno Toscano, Gianluigi Colalucci, Bruno Zanardi, Daniela Bartoletti, Pino Guzzonato, Edoardo Salzano.

Inviare le sottoscrizioni a: toscanacomitati@libero.it

Dopo un anno di battaglieri dibattiti e polemiche in punta di penna Alberto Asor Rosa vince la guerra di Monticchiello. Il ministero dei Beni culturali ha imposto un vincolo definitivo non solo sul centro storico del borgo della Val d'Orcia ma anche sulla zona della contestata lottizzazione di Aia del Popolo. Risultato: niente più villette, come chiedevano i comitati ambientalisti. Il sindaco di Pienza Marco Del Ciondolo ha già convocato un´assemblea pubblica martedì prossimo per spiegare ai cittadini cosa comporta il decreto di Rutelli. «Dal punto di vista dell'incidenza sul territorio aperto», dice, «il vincolo ministeriale è alla fine meno restrittivo di quanto previsto dal nostro piano strutturale ma si irrigidisce nella parte che riguarda la zona di espansione di Monticchiello». Del Ciondolo non nasconde il suo sconforto: «Pur essendo state accolte alcune osservazioni presentate dall'amministrazione comunale, che consentiranno la costruzione di locali tecnici, cisterne e interventi di categoria edilizia fino alla ristrutturazione», aggiunge, «il vincolo resta irremovibile sulla possibilità di edificare nuovi volumi e dunque colpisce indiscriminatamente anche i cittadini di Monticchiello». Al contrario del sindaco Asor Rosa è decisamente soddisfatto: «La decisione del ministero è il riconoscimento della bontà della denuncia che facemmo a suo tempo», commenta ricordando il suo primo articolo apparso su Repubblica nell'agosto del 2006. «Certo, il vincolo è parziale, nel senso che riduce il danno di circa il 25 per cento ma credo che si debba considerare come una vittoria e un successo del fronte ambientalista contro la disinvoltura delle amministrazioni locali e, a volte, delle sovrintendenze». Gioisce con lui anche Legambiente: «Ci auguriamo che i sindaci della Val d'Orcia si rendano conto che il muro contro muro attuato fino a oggi non porta da nessuna parte», dice il presidente nazionale Roberto Della Seta.

Prima che si diffondesse la notizia del decreto del governo, ieri l'assessore regionale all'Urbanistica Riccardo Conti si era lasciato scappare una battutina velenosa nei confronti di Asor Rosa, a proposito dei dubbi sollevati su un altro progetto turistico-edilizio in discussione, quello della tenuta di Castelfalfi a Montaione: «L'operazione è tutta dentro il recinto comunale ma poiché ci è stato chiesto un supporto noi lo daremo. Non è però il momento di mettere subito mano alla pistola come qualcuno ha già fatto, qualcuno che ormai il pistolero letterato lo fa un po' di mestiere...».

L’annuncio dell’agenzia immobiliare (se mai fosse stato fatto) sarebbe stato grosso modo così: «Vendesi borgo toscano di charme. Il pacchetto comprende: castello del 1300, villa, 35 abitazioni civili con annessi agricoli, 1200 ettari di terreno collinare coltivato, con 8000 olivi e 30 ettari di vigna, campo da golf 18 buche, 3 piscine. Trattative riservate in agenzia».

Stiamo parlando di Castelfalfi minuscolo villaggio nel comune di Montaione in Val d’Elsa, a poca distanza da Siena, Firenze e Pisa che, proprio per questa strategica posizione, ha visto nei secoli passati le tre città darsi botte da orbi per possederlo.

Oggi invece il suo passaggio di proprietà - per una cifra sconosciuta – al gruppo tedesco Tui, uno dei più importanti touroperator mondiali, suscita poche reazioni, almeno in Italia dove ha ricevuto qualche attenzione solo sulla stampa locale e in un articolo uscito sul Venerdì di Repubblica. Diversamente da quello che è successo nel resto d’Europa: della vendita di Castelfalfi hanno parlato The Guardian, Le Monde, Die Welt, Rheinische Post, Irish Times, chi con un tono di rimpianto preoccupato, chi con un tono di evidente presa in giro per un altro pezzo del “patrimonio” italiano che cambia nazionalità, senza nemmeno una protesta né da parte di uno degli ormai 155 comitati toscani di difesa del territorio, né da parte del Ministero per i beni culturali.

Eppure Castelfalfi è un borgo di straordinaria bellezza cha ha fatto anche da scenario per il Pinocchio di Benigni: da uno sperone di roccia si affaccia sulla Val d’Elsa e sulle sue colline, belle come quelle più famose di Montalcino. Sembra sia stato fondato intorno al 700 d. C. dal longobardo Faolfi, in una zona già abitata dagli etruschi ed è in un contesto storico straordinario fatto di castellari, borghi e pievi, molto apprezzato dai turisti stranieri – tedeschi e svizzeri soprattutto - ma poco frequentato dagli italiani che al Tuscany dream preferiscono il mare.

Perché non fa notizia la sua vendita? Il sindaco di Montaione, Paola Rossetti liste civiche di centrosinistra, dà questa spiegazione: «Perché non si tratta di un intero borgo, le vie sono pubbliche, è su una provinciale, molte delle case del paese sono state ricomprate anche da locali e comunque era una proprietà privata da più di un secolo».

Dalla fine dell’Ottocento Castelfalfi e la fattoria erano di un unico proprietario e, attraverso altri passaggi di proprietà, era stato infine venduto ad una società milanese, che lo aveva gestito senza molto successo e senza riuscire a trattenere i suoi abitanti, ridotti ormai a solo quattro residenti.

Certo che se Castelfalfi non fosse servito da una strada provinciale, dall’elettricità e dall’acquedotto sarebbe molto meno interessante, anche per un gigante come il gruppo Tui, Touristik Union International, giro di affari 19,6 miliardi di euro (di cui 14,1 relativi al settore turistico), 63.000 impiegati nel mondo (di cui 50.500 nel turismo), che conta di investire qui 250 milioni di euro per ospitare fino a 3200 persone contemporaneamente e portare a 3 il numero dei campi da golf, per poter accedere alle competizioni internazionali.

Anche dal punto di vista occupazionale Tui punta in alto e promette 200/300 posti di lavoro, ma qui il sindaco di Montatone va con i piedi di piombo: «Stiamo stimando il loro piano con molta attenzione, perché sappiamo che nel turismo i posti di lavoro possono essere solo stagionali. Dal punto di vista complessivo vigileremo perché siano rispettate le nostre norme sul paesaggio, in un percorso di valutazione partecipativo».

Ma sulla vicenda vale la pena di porsi delle domande: è giusto considerare privato un borgo storico a cui nei secoli la collettività e i singoli hanno dato il loro contributo per configurarlo e caratterizzarlo o non è, invece, più giusto considerarlo un bene comune?

In casi simili, il pubblico dovrebbe poter esercitare un diritto di prelazione, magari rifacendosi alla legge Giolitti che per gli espropri stabiliva di valutare il bene in base al valore dichiarato dai proprietari ai fini fiscali.

Anche perché se di un luogo si considerano importanti solo le sue pietre e non il suo contesto e la sua funzione chi potrebbe impedire ad un privato di smontare il bene acquistato e portarlo via?

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«Gli scempi aumentano con progressione geometrica, la situazione è uscita da qualsiasi controllo e accentua la divaricazione tra amministratori e amministrati». Gli ultimi due casi, il progetto di villaggio turistico ai piedi del borgo medievale di Campiglia Marittima e il piano di ampliamento dell’aeroporto senese di Ampugnano, spingono Alberto Asor Rosa ad una nuova, durissima, presa di posizione. E’ un attacco frontale alle amministrazioni locali, accompagnato da richieste precise. Al ministero del beni culturali, Asor Rosa - che parla a nome della Rete toscana dei comitati per la difesa del territorio - chiede di porre il vincolo come è stato fatto per Monticchiello in modo da scongiurare la «villettopoli» di Campiglia Marittima. Alla Regione e alla Provincia di Siena, il leader dei comitati chiede di intervenire per evitare «lo scempio dell’inutile aeroporto di Ampugnano».

Fanno impressione i toni forti dell’intervento, che mostrano allarme da ultima spiaggia e rabbia da promesse tradite. «Gli scempi territoriali e urbanistici aumentano in Toscana con progressione geometrica, producendo effetti devastanti» esordisce lo scritto del leader del movimento. «Non si tratta più di casi isolati, come fino a qualche mese fa ci si era proposti di far credere, allo scopo di circoscrivere la protesta. Si tratta invece di una catena quasi ininterrotta di eventi, testimonianza di un’aggressione spietata, che non trova ostacoli, anzi spesso collusioni e appoggi, nelle amministrazioni locali». Ciò che ha fatto sobbalzare sulla sedia il professore, sono «gli ultimi due casi emersi in questi giorni». Quello di Campiglia Marittima e l’altro di Ampugnano, appunto, che per il professore sono «scempi» progettati che vanno assolutamente evitati.

Il primo caso, quello di Campiglia Marittima - ricostruisce Asor Rosa - appartiene alla classe dei fenomeni degenerativi, che il ministro dei beni culturali, Francesco Rutelli, ha recentemente definito "villettopoli". Si tratta infatti di un progetto per la realizzazione di 51 mini appartamenti in grado di occupare, con i servizi, ben più di 25.000 metri quadrati del tutto visibili dall’antica Rocca di Campiglia, il quale rappresenterebbe un intollerabile lesione di un territorio assolutamente prezioso e da conservare totalmente; anche per la sovrastante presenza dell’altra Rocca di San Silvestro». Il leader dei comitati boccia anche il progetto di ampliamento dell’aeroporto di Siena. «Il caso dell’aeroporto di Ampugnano - afferma infatti Asor Rosa - appartiene al novero delle così dette grandi opere d’interesse pubblico il cui effetto in realtà è di apportare benefici nulli e di provocare inauditi disastri ambientali. La vicenda genera legittime preoccupazioni nella popolazione locale che rischia di subire passivamente la mercificazione del proprio territorio in nome di interessi non condivisi».

Giudizi lapidari sui due progetti, ai quali Asor Rosa fa seguire una allarmata riflessione generale. «Di fronte al moltiplicarsi di fenomeni di tale natura - scrive il professore - lecita è la valutazione che siamo di fronte ad una situazione uscita da qualsiasi controllo. In tal modo si accentua la divaricazione ormai endemica tra amministratori e amministrati e fra politiche di bassa cucina e interessi strategici autentici dell’ambiente toscano e nazionale». Quindi, a nome della Rete toscana dei comitati, Asor Rosa chiede «il pronto intervento del ministero dei beni culturali, perché, come accadde opportunamente a Monticchiello, sia apposto il vincolo tale da impedire tempestivamente la creazione di una nuova "villettopoli"». E invoca «il pronto intervento della Regione Toscana e della Provincia di Siena, perché, tornando sugli orientamenti in qualsiasi modo già espressi, evitino lo scempio dell’inutile aeroporto di Ampugnano». Infine una promessa: «La Rete toscana è comunque impegnata a fare anche di questi due casi emblematici delle vere e proprie bandiere nazionali, da sostenere con i mezzi più efficaci dell’informazione e dell’agitazione».

Da qualche tempo il magnifico paesaggio toscano è oggetto di conflitto tra gli abitanti che, organizzati in comitati, ne difendono integrità e valori, e imprese, quasi sempre d'accordo con le istituzioni locali e regionale, che propongono trasformazioni sempre più impegnative in nome «delle esigenze dello sviluppo» turistico e commerciale. Da più parti si è segnalato che la Regione Toscana, pure dotata di una normativa avanzata di governo del territorio, presentava al contrario strumenti di tutela e affermazione dei valori paesaggistici piuttosto inefficaci, spesso vani rispetto alle dinamiche socioterritoriali attuali a forte consumo di suolo e ambiente. Non sorprende allora il proliferare dei vari casi Monticchiello, Val di Chiana, etc. che ha costretto le cittadinanze di oltre un centinaio di comuni toscani a formare un coordinamento per la tutela, che vede tra i suoi promotori Alberto Asor Rosa, insieme a tecnici, studiosi, ambientalisti, intellettuali e attori locali.

Un'ostinata difesa delle prerogative dei sindaci, trasformati in «governatorini» che devono assolutamente mantenere un fortissimo quanto discrezionale potere sull'intero territorio comunale e non possono tollerare aree di incertezza, pure dovute alle leggi di tutela del paesaggio. Le quali invece - appunto ex costitutione - prevedono competenza statale, unica per determinati aspetti e condivisa per altri con le Regioni. La Toscana ha di fatto contestato questo. Con l'aggravante che troppo spesso quei sindaci che storicamente rivendicavano la propria autonomia con il rappresentare le istanze della comunità oggi sono «troppo prossimi» ad interessi imprenditoriali che poco o punto hanno a che vedere con le domande sociali dei contesti.

La materia è stata oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale, che nel maggio 2006 aveva addirittura annullato la parte di legge urbanistica toscana riguardante il paesaggio. Fornendo consistenza e spessore giuridico alle critiche che da più parti arrivavano rispetto all'ostinazione della Regione a non voler redigere un vero piano paesaggistico regionale - o almeno, come previsto dalla norma in subordine, un piano territoriale paesaggistico in cui quest'ultima valenza sia «individuabile, marcata e determinante». Si sono allargati invece disinvoltamente al paesaggio contenuti e competenze della pianificazione ordinaria, provinciale e comunale; anche con problematici tentativi di interpretazione di elementi specifici della ricerca scientifica e disciplinare che ne risultavano banalizzati e spesso strumentalizzati a destinazioni affatto diverse da quelle per cui erano stati formulati.

Di recente la Regione ha operato un parziale aggiustamento delle conseguenze della sentenza costituzionale attraverso un'intesa con il governo e, per esso, con il ministero dei Beni culturali. In questo quadro, pur mantenendo la singolarità toscana dell'attribuzione ai piani ordinari delle valenze paesaggistiche, si dichiara di voler rispettare le direttive dei codici tramite meccanismi di adeguamento e integrazione dei contenuti negli apparati tecnici e metodologici degli strumenti territoriali.

Un gruppo di urbanisti di Firenze, coordinati da Alberto Magnaghi e Paolo Baldeschi, hanno a questo proposito avanzato osservazioni al Piano di indirizzo territoriale regionale, da cui dipendono tutte le strategie di governo del territorio ed evidentemente i progetti di livello più basso. Gli studiosi hanno sottolineato l'importanza di individuare le varianti strutturali, da tutelare e valorizzare secondo criteri e regole dettati da statuti del territorio elaborati in maniera consistente. Tenendo distinto tale patrimonio, contrassegnato da presenza di valori «intrinseci o verticali», dalle parti di territorio a più alta densità trasformativi da strategie di sviluppo socioeconomico.

Le buone intenzioni contenute nel Protocollo Governo-Regione e negli stessi rilievi degli urbanisti fiorentini rischiano però di essere vanificate dalle carenza dello strumento programmatico attorno a cui dovrebbe ruotare tutto. Il citato Pit è infatti poco più che uno schema di piano strategico, ovvero di ipotesi di consolidamento territoriale di una serie di comparti dell'economia regionale; praticamente mancante delle dotazioni iconografiche e rappresentazionali indispensabili per individuare, interpretare e gestire le particolarità del patrimonio culturale ed ambientale. Gli Ambiti di paesaggio, la cui determinazione è fondamentale per le politiche di tutela e valorizzazione, sembrano tratti da testi di geografia elementare e corrispondono praticamente ai contesti toscani descritti da qualsiasi guida turistica, con i relativi quadri conoscitivi ridotti a poche decine di righe.

Il mantenimento delle competenze paesaggistiche integrato alla strumentazione territoriale, ovvero un vero piano almeno a valenza paesaggistica, in primis a livello regionale, presupporrebbe un impegno innovativo nella costruzione della relativa documentazione, da cui oggi in Toscana si è lontanissimi. Il quadro resta allora assai carente e contraddittorio. E le uniche garanzie per la tutela e valorizzazione del patrimonio possono giungere dal consolidarsi della partecipazione, anche conflittuale.

Per l’autostrada tirrenica sono possibili nuove revisioni progettuali. Con il Pit, il Piano d’indirizzo territoriale appena approvato, non ci saranno più casi Monticchiello. L’assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti parla però anche del Piano strutturale di Firenze adottato due giorni fa. E lo fa in modo critico.

Assessore Conti, il ministro Rutelli vi sta bloccando la tirrenica.

«Non mi pare che Rutelli sostenga questo, il suo documento ha il sapore opposto: dare il via libera di massima per portare il progetto al Cipe e concludere così la fase preliminare».

Il ministro dei beni culturali parla però di revisione progettuale.

«Si tratta di verificare le prescrizioni della Valutazione d’impatto ambientale sul progetto. Per quale motivo dovremmo escluderle? Lancio una sfida: mandiamo subito il progetto al Cipe e si configuri poi un’autostrada ambientalizzata come chiede la Regione».

«Autostrada ambientalizzata», un neologismo "contiano"?

«Riguarda la tecnica di progettazione: evitare le opere d’arte, limitare i viadotti, aderire alla morfologia del terreno, mitigazioni».

Ma il Pit cosa dice dell’autostrada tirrenica?

«La inquadra tra le priorità generali e il Pit apre una nuova fase».

Assessore, pensa davvero che il Pit eviterà altri casi Monticchiello?

«Non considero Monticchiello un caso di valenza straordinaria. Il Pit è il frutto di un lungo dibattito ma è anche un punto di partenza: lo integreremo adesso con il codice del paesaggio».

Ma a Campi Bisenzio il Pit non è naufragato?

«No, ha dimostrato la sua forza. Il Comune ha adottato un nuovo regolamento urbanistico che contiene previsioni diverse rispetto a quelle che hanno provocato la crisi. Rilevo una vitalità di un sistema che ha saputo reagire in 3 mesi: dai 70mila abitanti si è passati a 45mila. E rilevo anche che alla fine si è cambiato un sindaco».

Campi dimostra anche che se un Comune sballa le previsioni non esistono controlli o anticorpi.

«Gli anticorpi invece a Campi ci sono stati. Alla fine quello che decide tutto sono i meccanismi di consapevolezza urbanistica e culturale. Il punto non è riempire la Toscana di sceriffi ma di come affermare meccanismi virtuosi sotto il profilo urbanistico».

Ma come può un piccolo Comune senza soldi dire di no a chi offre oneri di urbanizzazione in cambio di una licenza edilizia?

«E’ un grande tema nazionale che riguarda il federalismo fiscale e i Comuni. Il territorio non può essere messo in vendita».

Il Pit può fermare un Comune che si lancia in speculazioni?

«Il Pit fissa delle regole che non spingono in questa direzione. Del resto i costruttori protestano contro le nuove norme. Dobbiamo favorire i buoni investimenti, volti al reddito e non alla rendita».

L’insediamento Laika di San Casciano è un buon investimento?

«E’ reddito, un investimento complesso con punti d’avanguardia».

La Toscana è però terra appetibile per gli speculatori.

«C’è un articolo di "Le Monde" che parla delle nostre norme in termini molto lusinghieri. E questo ci pone un dilemma: chi interviene in Toscana non deve trovarsi di fronte una regione rassegnata. Deve sapere di essere condannato alla qualità, di avere di fronte una regione intenzionata ad investimenti d’avanguardia. E’ questo il vero antidoto alle speculazioni».

Il Pit blocca le vecchie previsioni urbanistiche, perché?

«Abbiamo avuto un ciclo economico sfavorevole che ripiegava sugli investimenti edilizi. E dobbiamo ora contenere questa tendenza. L’effetto politico è che si formano, com’è accaduto a Campi, blocchi per la crescita edilizia, banche comprese. Si tratta di fare politiche orientate alla qualità, formare blocchi per la qualità e lo sviluppo, fondati su cultura, lavoro e impresa. Del resto, a ben vedere, è questa la sfida ultima del Pit. Che può essere letto come un manifesto dei moderni produttori toscani».

Cosa pensa del Piano strutturale di Firenze?

«Il Pit è stato approvato quasi in contemporanea con il Piano della città capoluogo. Penso che il contributo di Firenze possa essere ancora più ambizioso e innovativo del Piano strutturale adottato. Dico questo sapendo che è condiviso anche dall’assessore comunale Gianni Biagi. Tant’è vero che si è convenuto di collaborare per migliorare il Piano prima dell’approvazione definitiva. Come del resto il Comune ha fatto con il Pit».

Il Pit nasce in modo bulgaro, con l’opposizione fuori dall’aula.

«C’è stata la convergenza dell’Unione: un buon programma trova la convergenza tra riformisti e resto del centrosinistra. Devo ringraziare il presidente della commissione ambiente Erasmo D’Angelis».

Postilla

Rivelatore l’escamotage di “ambientalizzare” l’autostrada tirrenica per renderla digeribile agli oppositori. È la stessa concezione secondo la quale nei luoghi protetti di potevano costruire ville purchè i tetti fossero di tegole verdi. L’estro innovatore dei governanti della Toscana approda al vetusto modello della mascheratura, del camuffamento, degli “schermi arborei”. Aspettiamo la proposta di circondare le case di Monticchiello da alcuni filari di cipressi, o magari di tuie, e di risolvere lo scandalo delle collusioni tra amministratori e speculatori (la prevalenza della rendita a qualunque altro valore) con una manciata di pater ave gloria. Quell’autostrada è stata ed è criticata per motivi molto più consistenti e strutturali: dal punto di vista del territorio, dell’economicità, dei tempi di adeguamento della viabilità tirrenica. A chi altri giova quell’autostrada se non agli interessi di chi incamera i pedaggi. Si vedano in proposito i numerosi documenti raccolti nella cartella SOS Maremma.

Rivelatrice anche l’affermazione secondo la quale il PIT dovrà essere integrato con il codice del paesaggio. Significa che aveva ed ha ragione chi sostiene, come puntualmente eddyburg ha documentato (si vedano, ad esempio, l'articolo di Luigi Scano e l'eddytoriale n. 100), che il PIT è oggi del tutto difforme da quello che, a norma di legge, dovrebbe essere un piano paesaggistico.

Intanto, nuove Monticchiello nascono nelle aree protette, come ha raccontato su questo sito Paolo Baldeschi.. Intanto, alle osservazioni che propongono ragionevoli misure di tutela del paesaggio si risponde (per quanto se ne sappia) con un sostanziale fin de non recevoir .

1. La politica del territorio e del paesaggio proposta dal PIT

Il PIT della Regione Toscana adottato il 4 aprile 2007 costituisce un efficace strumento di pianificazione e governo del territorio regionale secondo le competenze istituzionali oppure si tratta di un manuale di buoni consigli?

Esaminando gli elaborati e, specificatamente, la “Disciplina del Piano”, non si ritrova una sola prescrizione, una norma, un precetto, che impediscano situazioni di crisi, la previsione e la realizzazione di “ecomostri”, di “schifi” anche recentemente denunciati, alcuni riconosciuti da autorevoli esponenti della stessa Regione Toscana.

La Regione Toscana rinuncia volutamente a precise scelte, disposizioni, prescrizioni nel proprio strumento di pianificazione. La scelta politica non sembra tanto quella di demandare sostanzialmente ai soli Comuni la tutela del paesaggio, quanto quella di rinunciare alle proprie specifiche competenze di pianificazione territoriale stabilite dal quadro istituzionale e dalla legislazione e dalla normativa nazionali.

Se lo consideriamo dal punto di vista astrattamente disciplinare e accademico, il PIT si presenta, nel suo complesso (dal Quadro Conoscitivo, al Documento di Piano, alla parte normativa), assai ricco, stimolante, culturalmente aggiornato: basta scorrere gli indici ed esaminare i testi e l’articolato per rendersi conto della impostazione interdisciplinare delle argomentazioni.

Diversa è la valutazione del PIT se lo si considera dal punto di vista dell’efficacia e dell’incidenza concreta nella pianificazione e nel governo del territorio regionale, sotto il profilo della salvaguardia attiva e di un coerente sviluppo realmente (e non solo verbalmente) sostenibile.

Il PIT stabilisce che la Regione provvede alla implementazione progressiva della disciplina paesaggistica anche attraverso accordi di pianificazione con le Amministrazioni interessate e mediante la successiva acquisizione delle determinazioni dei Ministeri per i BB. CC. e dell’Ambiente.

Altro impegno quindi rispetto all’intesa di cui all’art. 143 del “Codice del paesaggio” che richiede che, in tale intesa, sia “stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano (paesaggistico).

Così operando, la Regione Toscana testimonia di voler continuare ad operare all’interno della propria politica già avviata per dare attuazione alla Legge Galasso: quella di non procedere alla formazione di una specifica disciplina per il paesaggio. Ma così operando la Regione non soddisfa un preciso obbligo di legge.

A oltre due anni dall’entrata in vigore del “Codice Urbani” si è forse persa un’occasione per integrare organicamente lo strumento di pianificazione territoriale con il piano paesaggistico. Questa mancata integrazione pone ancora una volta problemi di efficacia rispetto ai contenuti dei due strumenti, ai tempi e ai modi di attuazione. Inoltre, nel PIT viene consolidata, anzi esaltata, la pratica toscana della collaborazione, dei patti tra Regione ed Enti Locali che si manifesta nella ricerca della convergenza verso comuni obiettivi. Anche l’interesse regionale – comprensivo di quello in materia di paesaggio – è esercitato nel quadro di questa cooperazione, limitandosi ad essere un momento della filiera delle responsabilità inter-istituzionali.

Eppure questo modello ha mostrato segni evidenti di mancata efficacia nel governare uno sviluppo sostenibile, le trasformazioni urbanistiche e territoriali; in particolare quelle che vengono ad interessare aree paesaggisticamente rilevanti quali sono quelle agricole che connotano significativamente l’identità della Toscana.

Questa carenza è implicitamente riconosciuta dal ‘Documento di Piano’, dove trattando del patrimonio collinare ( ma non solo, anche delle realtà rurali di pianura e di valle) segnala che questo patrimonio, oggi, è a forte rischio di erosione in quanto assistiamo ad una pervicace e diffusa aggressione di questi territori da parte della rendita immobiliare che agisce indifferente ai luoghi alterando così le caratteristiche strutturali dei luoghi stessi.

A questa corretta analisi non corrisponde però nel PIT l’individuazione di scelte conseguenti che abbiano efficacia nella riduzione del rischio. Sostanzialmente ci si limita a fornire buoni consigli, ad esortare l’adozione di linee di intervento più attente alle specificità dei luoghi….e ad auspicare che, dove necessario, gli strumenti di governo del territorio (e cioè Piani Strutturali e Regolamenti Urbanistici comunali e, per quanto di competenza, i PTC provinciali) ridefiniscano, in coerenza con l’indirizzo regionale, le proprie acquisite opzioni pianificatorie. In questo auspicio c’è il rischio, reale, che il nuovo PIT si riveli del tutto ininfluente a modificare al meglio – sia nelle quantità che nelle localizzazioni – le previsioni contenute negli strumenti di governo del territorio vigenti e in quelli futuri. Non solo, ma questa ininfluenza si può manifestare anche sulla formazione dei Regolamenti Urbanistici comunali da definirsi in attuazione di Piani Strutturali vigenti e sulle molteplici varianti ad essi.

Esaminando il “Documento di Piano” si riscontra una concezione del territorio e del paesaggio molto letteraria e poco “materiale”, una sorta di lunga premessa a quello che avrebbe potuto essere il Piano, premessa comunque caratterizzata da un taglio sostanzialmente economicistico, quasi espressione di una volontà di modernismo a tutti i costi.

Con la “rappresentazione del patrimonio comune”, con le “agenzie statutarie”, con lo “statuto del territorio toscano”, con una “agenda programmatica”, con le “scelte di indirizzo, condizioni, strumenti e procedure, metaobiettivi”, in sostanza con un insieme formalmente articolato, elegante, di buoni consigli….. riteniamo non sia possibile governare efficacemente il territorio, né a livello regionale, né a livello provinciale, né a livello comunale. Il governo viene lasciato sostanzialmente alla “capacità politica” dei politici amministratori ai vari livelli istituzionali. E’ immaginabile la forza che potranno avere i “buoni consigli” di fronte al potere economico grande e piccolo: dai grandi gruppi economici ai piccoli speculatori immobiliari locali?

Nel PIT non si riscontrano, anzi si rifiutano nettamente, le definizioni di quantità, di localizzazione, di perimetrazione, definite sprezzantemente “zonizzazioni” e sostituite da “sistemi territoriali funzionali”. Il concetto di “sistema territoriale funzionale” ben esprime la complessità dei diversi ambiti, ma la pianificazione e il governo del territorio rischiano di diventare concetti evanescenti di fronte alla pressione dei poteri più o meno forti. “Innovazione, sussidiarietà e autonomie locali, patto fra i diversi livelli di governo, governance”, costituiscono anch’essi concetti e lessico che percorrono tutto il documento nelle diverse fasi di messa a punto dello stesso fino all’adozione.

Perfino la definizione di “obiettivi del piano” sembra essere troppo “vincolante”, pertanto vengono indicati “metaobiettivi” con l’evidente scopo di proporre un piano non rigido, duttile, elastico, che non “ingessi” il territorio, per usare un’espressione cara ai settori economico-politici che aborrono i “lacci e lacciuoli” di una politica di programmazionepianificazione.

Dove va a finire quel “senso del limite” giustamente affermato e conclamato?

Lo spettro dell’ “urbanistica contrattata” degli anni ’80 non appare certamente rielaborato e superato: gli si fornisce solamente un quadro meno brutale e più elegante. Rispetto poi alle misure di salvaguardia che dovrebbero scattare all’approvazione del PIT, consideriamo che, nella definizione dei regolamenti urbanistici in attuazione dei piani strutturali vigenti, è facoltativa l’applicazione delle disposizioni contenute nel PIT e comunque è lasciata alla singola Amministrazione comunale la verifica della congruità delle proprie previsioni alle prescrizioni del PIT.

Le correzioni accolte e apportate al testo originario in sede di Commissione Consigliare (in particolare quella sulle tipologie insediative collinari e quella sulla rivisitazione dei piani attuativi non "in opera") sono sicuramente migliorative dello strumento, ma solo in alcune sue parti e non non ne intaccano l'impianto del tutto carente di contenuti precettivi. Non è rispondente al vero sostenere che il problema degli "ecomostri" è conseguenza solo delle normative previgenti alle innovazioni apportate dalle leggi Urbanistiche regionali N° 5/1995 e N° 1/2005. Non è così, gli "ecomostri" sono nati e stanno nascendo anche a seguito di queste normative.

Nella normativa del PIT emerge una concezione che vede il territorio e il paesaggio essenzialmente come fattori costitutivi del sistema economico: il territorio inteso come patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale è presente, ma sembra essere quasi un corollario del sistema economico.

E le aree economicamente deboli e in cui scarsa è l’attività edilizia sono trascurate dal documento regionale: si consideri che nella struttura del territorio toscano non è compresa la montagna che presenta proprie peculiarità sociali, territoriali e paesaggistiche e pertanto non può essere semplicisticamente ricondotta all’interno della schematica dizione del lemma di “universo rurale della Toscana”. Si consideri il significativo ruolo che hanno le Alpi Apuane, la Dorsale Appenninica e l’Amiata nel connotare l’identità toscana e che in questo contesto sono localizzati due Parchi nazionali (Appennino Tosco-Emiliano e delle Foreste Casentinesi) e uno regionale (Alpi Apuane).

La “moderna Toscana rurale” che costituisce il corpo del paesaggio e dell’ambiente toscano sembra essere un mero complemento delle “città della toscana”. Le “invarianti strutturali” sono indicate e descritte in una elencazione e catalogazione che ne evidenzia tanto la complessità quanto il rifiuto di scelte definite, con la conseguente difficoltà di gestione concreta e vincolante da parte della pubblica amministrazione.

Un esempio: fra le invarianti strutturali rientrano anche i siti UNESCO e le ANPIL. Il “caso Monticchiello” e le decine di altre “villettopoli” ed “ecomostri” che sono diventati concreti anche se sorgevano in territori indicati come invarianti strutturali. Se poi si considera che il territorio attorno al centro storico di Monticchiello, e tanti altri, è anche collinare ..... e le colline sono anch’esse indicate nel PIT come “’invarianti strutturali”, allora qualcosa non torna in tutta questa catena di riconoscimenti di valore, di tutela e di presunti controlli.

Altro esempio: le risorse del territorio rurale come possono essere definite anch’esse fra le “invarianti strutturali” a fronte delle devastazioni del territorio rurale maremmano da Grosseto a Civitavecchia che sarebbero prodotte dall’autostrada tirrenica tutta in variante rispetto alla Statale Aurelia, voluta dalla Regione Toscana? E, sempre rispetto allo stesso esempio, se la realizzazione di nuove infrastrutture è consentita quando le alternative di utilizzo o riorganizzazione non siano sufficienti e previa valutazione integrata degli effetti, dove sono la valutazione integrata e l’analisi costi-benefici applicate ai progetti presentati a partire dal 2000: il progetto ANAS di messa in sicurezza dell’Aurelia raffrontato a quello autostradale proposto dalla SAT?

Anche l’art. 36, tanto evidenziato in quanto efficace e innovativo, si limita a riformulare quanto già previsto dalla legislazione nazionale e dalla giurisprudenza, vale a dire che i diritti acquisiti da parte dei privati operatori in termini di edificabilità sono riferibili unicamente alle concessioni edilizie rilasciate e alle convenzioni già stipulate in attuazione di piani attuativi.

Si rileva che nel PIT non si riscontrano né azioni, né efficaci disposizioni, né l’individuazione di strumenti e/o di procedimenti finalizzati a contrastare – al di là delle eleganti affermazioni – la crescita edilizia diffusa e dispersa nei mille rivoli che portano alla rozza occupazione di significativi paesaggi toscani.

Un ulteriore problema di fondo già sottolineato dalla nostra Associazione: la sostanziale carenza normativa di qualunque criterio di dimensionamento dei piani comunali, già evidenziata rispetto alla LR 1/2005, permette di fatto la redazione di piani sovradimensionati con l’evidente conseguenza di “cattiva urbanistica”. Questo in particolare si manifesta per quegli ambiti dove il fenomeno della diffusione urbana e della dispersione insediativa si manifesta con maggiore intensità: nel sistema policentrico della Toscana (Firenze-Prato-Pistoia-Lucca e Firenze-Empoli-Pontedera-Pisa) e nel sistema della costa nelle sue diverse articolazioni. Manca una chiara, precisa ed esplicita scelta che persegua la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali proprie di questi vasti territori. Si ritiene invece che la disciplina del PIT debba contenere una precisa ed efficace disposizione – che produca effetti anche in regime di salvaguardia – che esplicitamente richieda, per questi territori, l’individuazione delle discontinuità di valenza territoriale e di quelle insediative e una disciplina volta al loro mantenimento al fine di garantire la qualità ambientale dei contesti considerati.

2. Osservazioni e richieste di ordine generale

A seguito di quanto sopra premesso, osserviamo e richiediamo:

- che la normativa regionale in materia paesaggistica e del territorio e in particolare la L.R. 1/2005 (assieme alla strumentazione conseguente e in particolare la L.R. 26/2006) sia integralmente e legittimamente adeguata a quanto prescrive il Codice del Beni Culturali e del Paesaggio (D. lgs. 42/2004 e succ. modifiche) sia per quanto concerne la sub-delega ai Comuni che l’aspetto particolare della composizione delle Commissioni di Programmazione e quelle di Controllo

- che la scelta regionale di inserire il Piano Paesaggistico all’interno dello strumento del PIT non debba avvenire a scapito della cogenza, dell’efficacia e della dettagliata normazione della tutela paesaggistica perché, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata “il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”

- che il PIT manca tuttora dei contenuti e, soprattutto, delle efficacie che il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” richiede alla disciplina paesaggistica regionale comunque questa venga denominata; pertanto la disciplina paesaggistica del PIT al momento adottata potrebbe correttamente configurarsi come documento contenente le ‘linee guida’ regionali per poi procedere alla elaborazione del piano paesaggistico (comunque lo si voglia denominare) attraverso le collaborazioni e le intese di cui all’art. 143, comma 3, del Dlgs 42/2004. Ma questo dovrebbe essere esplicitato con chiarezza negli elaborati

- che il PIT deve contenere una precisa disposizione che con chiarezza garantisca la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali del sistema policentrico della Toscana centrale e del sistema della costa anche attraverso il mantenimento delle discontinuità territoriali ed insediative presenti in questi contesti

- che il PIT deve contenere reali misure di salvaguardia attraverso prescrizioni aventi diretta efficacia oltre che per la realizzazione di interventi puntuali anche sulla formazione sia degli strumenti urbanistici attuativi che dei Regolamenti Urbanistici da definirsi in attuazione di Piani Strutturali adottati precedentemente all’entrata in vigore della nuova disciplina. L’accertamento comunale della verifica di coerenza con le direttive e le prescrizioni del PIT dovrebbe essere equiparato, in regime di salvaguardia, agli atti urbanistici e come tale da sottoporre a pubblicazione e poter essere oggetto di osservazioni

- che nel PIT manca la montagna quale elemento fondante e strutturale del territorio e del paesaggio toscano

- si ritiene inoltre che quanto contenuto nella pur complessa articolazione del PIT (sia per quello che concerne il Documento di Piano, il variegato Quadro Conoscitivo e soprattutto la Disciplina di Piano) ci sembra ben lontano dai caratteri di una precisa normativa quale quella prescritta dal Codice

- ribadiamo che la tutela paesaggistica non può essere gestita unicamente alla scala comunale, e che scempi come quelli, emblematici, in realtà sparsi in tutto il territorio regionale, sono il frutto di autorizzazioni comunali e delle Soprintendenze locali e che se vogliamo evitare per il futuro questi pessimi risultati è indispensabile e urgente una precisa e sovraordinata assunzione di responsabilità alla scala regionale

- in ogni caso è auspicabile che le disposizioni del PIT, soprattutto relativamente alle normative di merito che si vorranno rendere prescrittive, siano estremamente approfondite e integrate in materia di tutela del paesaggio in tempi certi e ragionevoli anche in attuazione dell’accordo preliminare con il Ministero per i beni e le attività culturali, al fine di giungere ad una normativa concordata con il Ministero stesso.

Il documento di Italia nostra prosegue con un nutrito elenco di proposte di modifica e integrazione al piano adottato. Si veda in allegato il testo integrale in formato .pdf

La regione più bella d’Italia è sulle pagine della stampa da parecchi mesi. I lettori hanno imparato a conoscere siti come quello di Monticchiello, la Val D’Orcia, Montegrossi, la Val di Magra, Fiesole, Capalbio, Bagno a Ripoli, san Macario, Lucca, più per gli interventi urbanistici in fase di attuazione in contrasto con la tutela del paesaggio che per la loro storia millenaria.

Il fenomeno sia ben chiaro è assai più ridotto di quello che si riscontra ormai in tutto il territorio nazionale, ma il problema resta.

Molti intellettuali autorevoli come Alberto Asor Rosa, Vittorio Emiliani, comuni cittadini, si sono riuniti in comitati e chiamano in correità la regione Toscana per l’assenza di controlli sui piani urbanistici e di vigilanza sugli usi del territorio locale in rapporto alla tutela ambientale e storico-artistica.

Le ragioni di questo processo di trasformazione che coinvolge in primo luogo le aree rurali, sono almeno quattro, sia di carattere giuridico-istituzionale che economico.

La principale è legata all’eliminazione – nella lr. 5/1995 – del sistema di controllo preventivo sui piani regolatori da parte regionale, in ossequio all’abolizione nazionale del sistema dei controlli sugli atti degli enti locali e ad una forzata interpretazione del principio di sussidiarietà – secondo il nuovo titolo V cost. – che considera la vicinanza delle istituzioni locali ai territori come la miglior cura dell’interesse pubblico. Teoria questa, che se applicata alla pianificazione del territorio riconoscerebbe implicitamente una “riserva” di piano regolatore cosicchè le popolazione locali – o meglio la rappresentanza politica di quelle collettività – avrebbero il diritto di disporre del proprio territorio come meglio credono. L’autoapprovazione dei piani regolatori e la mera verifica della loro coerenza agli atti di pianificazione sovraordinata come ad es. il piano territoriale di coordinamento provinciale – che di regola non detta prescrizioni ma solo indirizzi – hanno lasciato spazio a previsioni urbanistiche comunali spesso in contrasto con i principi dello sviluppo sostenibile. E questo sta accadendo in tutt’Italia. Di fronte a questo paradosso, basterebbe citare due sentenze del Tar Toscana con le quali prima la provincia di Lucca (6287/04) e poi la stessa Regione Toscana (98/05) hanno tentato inutilmente, come estrema ratio, di ottenere l’annullamento del Regolamento urbanistico del comune di Lucca perché in contrasto con il PTCP della provincia e con il PIT (piano d’indirizzo territoriale) regionale.

La lr 1/2005 “norme per il governo del territorio” prova a rimettere ordine nel sistema di controllo degli usi del territorio ma affidandosi ancora una volta all’autodeteminazione degli enti locali ancorché bilanciata da un sistema di concertazione che àncora le trasformazioni del territorio alla redazione degli statuti del territorio ed ai contenuti del PIT. Si tratta di modelli di pianificazione ancora in fase di elaborazione che pongono problemi interpretativi sull’efficacia delle disposizioni anche ad un giurista e che comunque richiederanno del tempo per arrivare a regime.

Il secondo motivo risiede in un sistema di partecipazione alle scelte pianificatorie comunali che non ha nulla a che fare con le inchieste pubbliche dei paesi anglosassoni, poiché l’amministrazione è restìa, ancor oggi, ad un’urbanistica effettivamente partecipata che potrebbe mettere in discussione la propria vision territoriale.

Il terzo è legato alla crisi fiscale dello stato che spinge i comuni a considerare gli usi edificatori del territorio come fonte di reddito per rimpinguare le casse comunali attraverso la riscossione dell’ICI e degli oneri di urbanizzazione che, sganciati, in base ad una legge finanziaria del 2002, da qualunque reimpiego nelle opere e servizi pubblici, possono essere utilizzati per finalità generali.

Il quarto motivo risiede nella perdita di senso – per le popolazioni locali – del paesaggio agricolo e nel progressivo omologarsi verso un non meglio definito paesaggio turistico fatto di seconde case, lottizzazioni intensive, e nell’abbandono progressivo del rapporto tra conduzione del fondo e attività edificatoria, tranne i casi di specializzazioni agricole gestite da veri imprenditori agricoli. La pressione speculativa tanto sulle coste come nelle colline interne distrugge le campagne italiane in funzione di una mal intepretata modernizzazione fatta prevalentemente di case con piscine abitate tre mesi l’anno.

Il paesaggio naturale ma anche quello “artificiale” opera dell’uomo, testimonianza avente valore di civiltà da tramandare alle generazioni future, non è più in grado di autogovernarsi diventando così in molti casi territorio in attesa di trasformazioni edificatorie.

Nel frattempo però, in molti piani regolatori vigenti dei comuni toscani vi sono previsioni urbanistiche che andranno in attuazione negli anni futuri e che presto potrebbero costituire oggetto di nuovi “scandali” edilizi, come già si sono affrettati a dire i responsabili regionali. Come dire il peggio deve ancora venire! Eppure quei piani regolatori sono comunque passati all’attenzione degli uffici regionali; possibile che una regione che svolge funzioni di programmazione e quindi di previsione degli sviluppi futuri non si sia resa conto, calcolatrice alla mano, che i volumi edificatori previsti in quei piani, specie di piccoli comuni, erano ben oltre i limiti dello sviluppo sostenibile e della loro potenziale crescita insediativa?

Che fare? Una soluzione ci sarebbe, quella del nuovo piano paesaggistico in fase di elaborazione, per di più oggetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dei beni culturali come prescrive il Codice del paesaggio. Soluzione che, individuando nuovi beni paesaggistici di rango regionale o beni “identitari” sul territorio regionale, tra cui il paesaggio rurale, ponga limiti a queste nuove cementificazioni poiché le scelte del piano paesaggistico prevalgono, immediatamente, secondo la legislazione statale, sulle previsioni dei piani regolatori sottostanti.

Ma non pare che questa sia una strada promettente se la Regione Toscana intende redigere il contenuto del piano paesaggistico in collaborazione con comuni e province attraverso intese e accordi, lasciando poi agli enti locali la possibilità di una disciplina paesaggistica integrativa contenuta nel piano paesaggistico regionale (rectius piano d’indirizzo regionale).

Ora non vi è chi non sappia che le scelte sovraordinate non possono sempre essere ridiscusse con i destinatari di quelle tutele – a meno di non voler riprodurre anche qui la sindrome nimby (not in my back-yard) - poiché gli enti locali si muovono nell’ottica degli interessi particolari versus gli interessi generali di collettività anche più ampie di quelle regionali, come testimonia la risonanza internazionale di questa regione e le numerose presenze di cittadini stranieri che la frequentano per la qualità del paesaggio finora tutelato.

Mi domando se il presidente Soru, cui si deve il merito di aver sostenuto ad oltranza l’approvazione, un anno fa, del piano paesaggistico della Sardegna, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di tutela, qualora si fosse messo a “contrattare” con i comuni costieri se era giusto o meno ridurre i 57 milioni di mc previsti sulle coste sarde dai vigenti strumenti urbanistici comunali!

La tutela del paesaggio non si “contratta” – come fossimo in un’area di riconversione urbana – poiché la sussidiarietà ambientale è spesso in contrasto con la ricerca del consenso. Il problema di fondo, a ben vedere, è tutto qui.

Sono in grado le regioni ed il ministero dei beni culturali di svolgere un’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio italiano? O dobbiamo ridurci ad intendere la sussidiarietà come un nuovo localismo dei territori locali? Il ruolo delle amministrazioni d’area vasta – le regioni – o centrali come il ministero dei bei culturali, può, quindi, essere decisivo per l’attuazione dei programmi di conservazione anche in funzione di accompagnamento come si usa dire oggi, e di controllo.

Nel rapporto tra regione e amministrazione centrale, lontane dagli interessi particolari, si gioca quindi la partita della tutela del paesaggio con i comuni, non perseguibile solo nella sua staticità (pena in qualche caso la perdita di significato della tutela) ma nel suo evolversi, sempre e comunque, tuttavia, nel rispetto della effettiva conservazione.

Postilla

Il primo errore del sistema toscano non è, come sostiene l’autore, quello di sostituire l’approvazione dei piani comunali con la verifica di conformità alla pianificazione sopraordinata, ma dall’assoluta intederminatezza di questa. L’errore è aver sostituito, a tutti i oiverllo sovracomunali, piani di chiacchiere a piani di prescrizioni. In contrasto anche con il codice dei beni culturali e del paesaggio. Non sembra che i due ministeri competenti alla “intesa” (Beni e attività culturali e Ambiente e tutela del territorio) se ne siano accorti.

Sull’argomento si vedano l'articolo di Luigi Scano e molti altri documenti nella cartella dedicata alla Toscana

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