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. Articoli di Serena Lullia e commenti di Stefano Deliperi, Sandro Roggio e Giorgio Todde, La Nuova Sardegna, 20 – 25 novembre 2012

20 novembre 202
Un master plan da 400mila metri cubi
A Doha il vertice con Monti, Cappellacci e i sindaci di Olbia e Arzachena. L’emiro garantisce il rispetto dell’ambiente
di Serena Lullia

DOHA. La nuova Costa Smeralda nasce fra le stanze dorate del palazzo dell'emiro Al Thani, nel cuore della capitale del Qatar. Lo skyline del borgo di Porto Cervo in versione qatarina scorre davanti agli occhi della delegazione italo-sarda in missione a Doha, con il premier Mario Monti, il governatore Ugo Cappellacci, i sindaci di Arzachena, Alberto Ragnedda e Olbia, Gianni Giovannelli. Con un investimento di un miliardo di euro il Fondo sovrano del Qatar intende dare una seconda vita a Porto Cervo, senza alterare le sue origini architettoniche né la bellezza del paesaggio che l'ha reso un mito.

Il Qatar scopre il suo master plan a cinque mesi dall'acquisto della Costa Smeralda per 600milioni di euro, mini per i volumi, maxi per la cifra dell'investimento, un miliardo di euro. Un piano di lungo periodo, in cui i metri cubi vengono concepiti come uno degli elementi del progetto di rilancio turistico del villaggio dei vip che andrà di pari passo con un potenziamento dei trasporti aerei firmati Qatar Airways. Un master plan di circa 400mila metri cubi, con volumi che in parte verranno usati per completare e aggiungere nuove stelle ai quattro hotel storici di Porto Cervo, in parte per realizzarne di nuovi, almeno due, altri per costruire residenze. Più servizi e parchi nell'entroterra di Arzachena. Mattoni che dovranno essere mimetizzati fra macchia mediterranea e graniti. È il primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassim al Thani, a insistere sul valore ambientale dell'investimento in Costa nel lungo faccia a faccia con la delegazione con i quattro mori. «Il mio sogno è sviluppare questi nuovi volumi in modo che non si vedano dal mare», dice. Musica divina per le orecchie del sindaco Alberto Ragnedda che sin dai primi contatti con i vertici del Qatar aveva spiegato la condizione su cui non sarebbe mai sceso a compromessi, il rispetto dell'ambiente. E nella definizione del piano della nuova Costa Smeralda le indicazioni arrivate dal Comune sembrano essere state recepite. Per il momento si tratta solo di un progetto, con volumi virtuali, che prima di diventare certi dovranno passare attraverso l'analisi dei tecnici comunali. Il fondo del Qatar è pronto a spendere subito i suoi petrodollari, nel rispetto delle leggi regionali e comunali. Ma chiede certezze nei tempi e nelle regole alle istituzioni sarde. «Già a partire dalla prossima settimana – ha spiegato il presidente Cappellacci – intendiamo entrare nella fase operativa, attraverso incontri tecnici finalizzati a definire la cornice degli interventi, per poi entrate nel merito delle singole opportunità di investimento e comporre un piano strategico complessivo». Soddisfatto il sindaco di Arzachena, Alberto Ragnedda che resta vago sui dettagli del piano di sviluppo Smeraldo almeno fino al rientro ad Arzachena, dopo che avrà illustrato il progetto alla sua maggioranza. «Sono soddisfatto per la serietà dell'interlocutore – commenta –. La sensazione che ho avuto è avere davanti investitori seri, di lungo termine, interessati a tutelare il patrimonio ambientale, di tradizione e valori della nostra terra. Non speculatori mordi e fuggi. Di fronte a questa serietà è necessaria una forte intesa fra Comune e Regione. Entrambi svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione delle garanzie di una ritorno al benessere diffuso e di ricadute di lungo termine per la comunità sarda e gallurese». Entusiasta il sindaco di Olbia Gianni Giovannelli. «Il Qatar ha in mente un progetto complesso, di lungo periodo, che non punta solo al settore del turismo del lusso, ma anche al turismo delle famiglie e a quello congressuale. Un investimento da fare nel rispetto dell'ambiente, con una ipotesi edificatoria risibile se paragonata al miliardo di euro di investimenti».

23 novembre 2012
Il cemento del Qatar nell’oasi selvaggia di Razza di Juncu
Nei progetti della Qatar holding per la Costa Smeralda sono previsti 4 nuovi hotel: due nel comune di Arzachena e due a Razza di Juncu, ultimo eden in territorio di Olbia. Alberghi di medie dimensioni a 300 metri dal mare
di Serena Lullia

PORTO CERVO. La Costa Smeralda in versione qatariota arriva fino al comune di Olbia. Il piano di investimenti dell'emiro Al Thani quasi infrange un tabù, oltrepassa i confini di Arzachena e mette radici nella periferia nord olbiese, a Razza di Juncu, simbolo della battaglia anticemento degli anni Novanta. Nei progetti della Qatar holding per rilanciare il borgo delle stelle ci sono due nuovi hotel nel comune di Arzachena, a Liscia Ruja e al Pevero. Più altri due a Olbia, con un massimo di 100 stanze, per un target giovane. Progetti ancora da definire. L'unica certezza è che le strutture ricettive sorgeranno in aree oltre i 300 metri dal mare, come le sorelle arzachenesi, e condivideranno la vista sul mare con un parco di oltre 1500 ettari.

Razza di Juncu è un territorio di confine, la prima porzione del paradiso Smeraldo per chi arriva da Olbia, la periferia dell'eden scoperto dal principe Aga Khan. Un'area selvaggia su cui il principe ismaelita aveva messo gli occhi e sperava di metterci anche un bel po' di cemento. 450mila metri cubi da concentrare su Razza di Juncu ma nella sola parte del comune di Arzachena. L’idea era creare un villaggio gemello di Porto Cervo, fra il mare e la strada provinciale. Un’ipotesi contro cui l'allora sindaco di Arzachena, Tino Demuro, si oppose con determinazione. «L'interesse del principe è sempre stato Razza di Juncu nella parte del comune di Arzachena – spiega l'ex primo cittadino –. Nel master plan da 6milioni di metri cubi ne aveva ipotizzato 450mila solo sui terreni di Razza di Juncu. L'idea era far sorgere un borgo come Porto Cervo sul mare. Volumetrie insostenibili per il nostro territorio, ma forse necessarie alla proprietà per compensare gli alti costi di infrastrutturazione di un'area come quella, vergine e selvaggia. Su quei terreni non c'è nulla. Vanno infrastrutturati dalla A alla Z. Difendemmo quel pezzo di paradiso da un intervento che l'avrebbe rovinato per sempre. Io non mi considero né un ambientalista e ancor meno un integralista dell'ambiente. Tanto che allora facemmo una controproposta al principe. Un taglio drastico dei metri cubi, un indice volumetrico molto più basso e la costruzione non di alberghi e residence, ma di ville ben integrate nella vegetazione». Demuro è incuriosito dalla proposta del fondo del Qatar di realizzare due hotel proprio in quell'area, concentrando gli alberghi per giovani nella piccola fetta smeralda di Olbia. «C'è una differenza fra il progetto di investimento pensato per Arzachena e quello per Olbia – aggiunge Demuro –. Arzachena è pronta per partire. A Razza di Juncu c'è invece da fare un intervento complesso che riguarda reti idriche, fognarie, strade, illuminazione. Basta andare in quelle aree per rendersi conto che Razza di Juncu è ancora vergine, con una rigogliosa macchia mediterranea. Un pezzo di Gallura rimasta immune al cemento». Demuro, che ha scritto un pezzo di storia della Costa Smeralda opponendosi al master plan da 6 milioni di metri cubi, esprime apprezzamento per la bozza del piano Gallura presentato dal Qatar. «Non si conoscono i dettagli ma apprezzo la filosofia ispiratrice – conclude –, pochi metri cubi integrati sull'ambiente. Una conferma che forse la scelta di allora, dire no a mostruose e indiscriminate colate di cemento, ci ha permesso di conservare il nostro territorio e renderlo ancora oggi appetibile per gli investitori. Si tratta poi di imprenditori seri, che hanno alle spalle staff di tecnici preparati e all'avanguardia».

24 novembre 2012
La Costa Smeralda aspetta il nuovo Ppr Arzachena

il progetto di investimenti del Qatar è legato all’approvazione del nuovo strumento di pianificazione regionale di Serena Lullia

ARZACHENA. Il futuro della nuova Costa Smeralda passa dalle stanze del palazzo regionale. Il governo del Qatar ha già deliberato 1 miliardo di euro per gli investimenti in Sardegna. Nel pacchetto con i quattro mori non c'è solo il rilancio di Porto Cervo con la ristrutturazione dei quattro alberghi storici, la costruzione di due nuovi hotel nel comune di Arzachena e due eventuali a Olbia, impianti sportivi e parchi attrezzati. C'è anche un interesse dei qatarini per i trasporti e la filiera agroalimentare. Ma perché il piano su cui scommettono il presidente Ugo Cappellacci e il sindaco Alberto Ragnedda passi dalla fase virtuale a quella reale, serve una modifica al ppr.

Il presidente della Regione ha rassicurato il primo cittadino nella conferenza stampa di presentazione del piano Gallura a Palazzo Ruzittu. «Tutto il piano Costa Smeralda si fonda sull'articolo 12 della legge 4 del 2009 – ha spiegato il presidente –. È altrettanto vero che questi progetti devono essere recepiti dal ppr e che è in corso un processo di revisione. Sono state presentate le linee guida del nuovo ppr al consiglio regionale. Il passo successivo è l'adozione provvisoria da parte deella giunta del nuovo strumento revisionato. Il motivo per cui non è stato ancora adottato è che è in corso l'attività di lavoro con il ministero. È evidente che si sono tutte le condizioni per arrivare all'obiettivo».

Nel piano di investimenti di lungo periodo è prevista anche la costruzione di ville, la ristrutturazione di alcuni vecchi stazzi in chiave turistica, la creazione di impianti sportivi e di tre parchi con percorsi attrezzati. la nascita di una scuola di formazione per manager del turismo. Poco il cemento rispetto all'estensione della Costa Smeralda, fra i 400mila e i 550mila metri cubi su una superficie smeralda di 2mila 400 ettari. La stessa quantità di cemento pensata per la sola Razza di Juncu ai tempi del master plan dell'Aga Khan degli anni Novanta.

Il primo cittadino affronta di petto il tema del nuovo cemento, una risposta diretta a chi vorrebbe far passare l'idea che il piano dell'emiro sia uno stupro ambientale. «Parliamo di una grande opportunità a fronte di pochi metri cubi – spiega Ragnedda –. Non stiamo sacrificando nulla, come potrebbe essere successo in altre occasioni o in altri pezzi di territorio alla speculazione. Stiamo consentendo la ripartenza di un settore fondamentale in Sardegna come il turismo ricettivo, che è sì il passato, ma anche il presente e deve essere il futuro. E poi diciamocela tutta. Porto Cervo va completata, è incompiuta. Ci sono aree che è necessario collegare fra di loro. Solo così potremo avere un villaggio che vive tutto l'anno. Lo sviluppo si è interrotto. Per riprenderlo si devono pianificare nuove volumetrie, in modo intelligente e rispetto della natura. E lo si fa all'interno di un villaggio già esistente. Non stiamo rubando nulla all'ambiente, sia ben chiaro. Ora serve uno sforzo importante e una visione lungimirante da parte della politica regionale per capire che questa non è una speculazione, ma una grande opportunità non solo per la Gallura ma per la Sardegna».

Interessanti anche le ipotesi occupazioni collegate agli investimenti. In fase di realizzazione degli interventi si calcola un incremento di 1600 persone di occupazione diretta, più l'indotto. In fase di gestione un raddoppio dell'attuale numero di addetti del settore alberghiero che passerebbe dagli attuali 1200 a 2500.

25 novembre
Gli stazzi diventano residence, spuntano trenta ville extralusso

Dal cilindro del Qatar ecco i progetti di riqualificazione. Nuovi alberghi con il marchio internazionale Harrods
di Serena Lullia

PORTO CERVO. Il paradiso smeraldo apre le porte dorate ai giovani e alle famiglie, ma non rinuncia a creare capricci a 5 stelle per nababbi, principi e sceicchi. Il progetto di investimenti da 1 miliardo di euro del Qatar in Costa Smeralda non prevede solo alberghi e parchi. Una buona parte del pacchetto di mattoni dei 450-550mila metri cubi chiesti dal petroemirato sarà destinato alla costruzione di 30 ville extra lusso. I qatarini, nel piano consegnato al sindaco di Arzachena Alberto Ragnedda e al governatore Ugo Cappellacci in missione a Doha, le definiscono di altissimo pregio. Un modo per sottolineare la magnificenza con cui verranno realizzate, grande attenzione nella scelta dei materiali, parchi per mimetizzare i mattoni nel verde, piscine. Ma anche per distinguerle dalle "meno aristocratiche" residenze a 5 stelle realizzate a Porto Cervo negli ultimi 50 anni, e dalle altre 90 previste nel piano del Qatar e definite “normali”. In entrambi i casi le ville non saranno concentrate in una sola area dei 2400 ettari della Costa Smeralda. La loro disposizione sarà a macchia di leopardo, dal Pevero a Liscia Ruja a Porto Cervo.

Si concretizza così il duplice investimento in Costa Smeralda della Qatar holding, braccio operativo del fondo sovrano del Qatar. I 450-550mila metri cubi ipotizzati verranno divisi fra residenziale, con 120 nuove ville e ricettivo. Prevista la ristrutturazione dei quattro hotel storici di Porto Cervo, il Pitrizza, il Romazzino, il Cervo e il Cala di Volpe, e la costruzione di due nuovi alberghi nel comune di Arzachena, uno col marchio internazionale Harrods a Liscia Ruja da 150 stanze, e uno con 200 stanze al Pevero rivolto alle famiglie. Gli hotel nell'eden di Razza di Juncu nel comune di Olbia e destinati a un target giovane, vengono indicati come una opzione. Buona parte delle volumetrie saranno utilizzate per le ville. Ma anche per la ristrutturazione e la trasformazione in residence di lusso di 22 stazzi, simboli dell'identità gallurese, disseminati sul territorio. Per la maggior parte si tratta di edifici fatiscenti o ruderi che hanno comunque affascinato i qatarini per la loro posizione di pregio, immerse nel verde e con vista sui più bei panorami della Costa. Verranno ampliati e trasformati in ville di lusso. Il Qatar vuole poi dare una impronta di divertimento alla Costa Smeralda che vada oltre la discoteca. Da qui la scelta di trasformare le aree verdi ancora selvagge di Multa Longa, Cala di Volpe e Liscia Ruja in parchi attrezzati, delimitati da fasce tagliafuoco per proteggerle dagli incendi, con percorsi di passeggiata, trekking, scalata, free climbing. All'interno di tutti e tre i parchi sono previste aree di servizio e ristorazione. Nel parco di Liscia Ruja troverà spazio anche un acquapark aperto a tutti, un centro divertimenti con piscine e scivoli immerso nel verde della macchia mediterranea. Ma i qatarini hanno pensato anche ai clienti che non ne vogliono sapere di fare sport attivi. Per loro verrà realizzata una pista di go-kart. L'impianto sportivo sorgerà nella vecchia discarica di Abbiadori, il borgo a due passi da Porto Cervo. L'intervento dei qatarini prevede la bonifica dei terreni che per anni sono stati la pattumiera del territorio e la costruzione delle piste in stile Le Mans. Un maxi impianto dotato di club house e ristorante pensato per ospitare grandi eventi internazionali con piloti di fama mondiale.

23 novembre 2012
ILCOMMENTO
di Sandro Roggio

Dopo l'annuncio della visita del premier in Qatar è circolata la notizia sulla delegazione comprendente il presidente Cappellacci. Non c'è alcun accenno a questo nel sito della Presidenza del Consiglio; ma il facile collegamento - gli interessi di Qatar Holding in Sardegna - ha favorito la rappresentazione della “missione” di Cappellacci -Monti in perfetta sincronia di movenze come Ginger e Fred.
Agli addetti alle relazioni di Costa Smeralda il compito di reclamizzare il programma d'investimento dell'emiro nell'isola. “Non esclusivamente in Gallura o solo in Costa Smeralda” - si è ripetuto con un surplus di zelo in qualche organo d'informazione. Un racconto in genere compiacente, come ai tempi del primo master plan: quando il tam tam sulle meravigliose ricadute nel territorio serviva a farci sognare un futuro splendido grazie al business dell'edilizia. Evidente l'obiettivo - molto politicante - di realizzare un clima di consenso ad uso interno. E nell'intesa tra Monti e Qatar, il patto per la Costa Smeralda è fatto passare come il contributo sardo alla salvezza della Nazione (di cui non si parla nei quotidiani nazionali).
Una visione riduttiva rispetto alla gamma di opportunità di investimento nell'isola sfortunata ma ricca di risorse - fanno osservare gli estimatori di Monti. Pronti a giurare che il premier avrebbe evitato di dare l'idea di un cedimento unilaterale (“sono come tu mi vuoi”, nella versione pop), sempre controproducente nelle trattative. Oltre che avvilente.
Molti hanno pensato che tra gli ambasciatori sarebbero stati utilmente Tore Cherchi presidente della Provincia del Sulcis, povera nonostante le risorse, un sindacalista Vinyls o Alcoa, un leader del movimento dei pastori, un portavoce dell'agricoltura di qualità. Così da proporre un ampio menù - oltre la polpa - agli investitori.
Invece con Cappellacci sono andati a Doha i sindaci di Arzachena e Olbia dando l'impressione del piatto unico in tavola: il via libera al “mini master plan” gallurese, in cambio del miliardo di dollari.
Si sorvola sul fatto che il “mini master plan” non è coerente con le regole sarde sul paesaggio, per cui è indispensabile una variante al Ppr trasformato in un tappeto volante a disposizione (oggi per Qatar, domani si vedrà) così come Cappellacci lo intende da quando è in carica. Molte ambiguità alimentano la nebulosa propagandistica con gli stessi ingredienti riproposti da decenni. E' incerta la quantità di volume (400 o 550mila mc?) per fare case (e qualche albergo) tra Arzachena e Olbia. Tutto superlusso (“non orribili condomini”-ci assicurano); e “con basso impatto” (sulle case nascoste nel verde - come la spazzatura sotto il divano - c'è un florilegio di formule ridicole riproposte ad ogni giro).
Lo “stanziamento” (?) della Holding per per una pluralità di investimenti sta dentro un disegno “di lungo respiro”. Si vedrà nel tempo lungo e non si chiederà una inelegante fideiussione. Come negli anni Novanta quando l'investimento di 3mila miliardi di lire era diluito in 25 anni e il volume più che spropositato, secondo le usanze dell'epoca.
La più domestica conferenza stampa di Arzachena conferma le inquietanti manovre attorno al Ppr. A fronte del solito preambolo euforico sulla leggerezza dell'intervento (“sintesi emozionale” tra natura e artifici - secondo Cappellacci) ci sono i numeri e i luoghi - e che luoghi! - da trasformare, come Razza di Juncu (Olbia) e Liscia Ruia (Arzachena) delicatissimi ecosistemi già scampati a vari tentativi di manomissione. Ovvio che la manipolazione del Ppr a domanda serve a creare il precedente. Le domande e le risposte saranno tante, un procedimento che riporterà indietro la pianificazione in Sardegna di trent' anni. Sulla legittimità del programma i dubbi sono molti e tutti consistenti.

24 novembre2012
IL COMMENTO

di Stefano Deliperi

Doha è la capitale del Qatar. Tenetelo a mente, visto che, a sentire il Presidente della Regione Cappellacci, quello è il posto dove si prendono le “decisioni che contano” per laSardegna.

Indipendentisti e sovranisti tacciono e si trastullano con velleitarie mozioni d’indipendenza, mentre il Presidente Cappellacci e i sindaci di Olbia Giovannelli e di Arzachena Ragneddavanno in Qatar a fare shopping di sogni.
Al ritorno raccontano quanto di mirabolante, luccicante, straordinario verrà investito in Sardegna: un miliardo di euro per realizzare 400-550 mila metri cubi di nuove ville ealberghi fra Porto Cervo (Arzachena) e Razza de Juncu (Olbia), il restyling (l’ennesimo) deiquattro resort di lusso “storici” della Costa Smeralda, tre parchi attrezzati per complessivi 2.192 ettari in Costa Smeralda, un allevamento di cavalli con 500 purosangue anglo-arabi nel sud Sardegna (forse a Pula), pure una pista per go-kart (in Costa Smeralda).

Il sindaco Ragnedda è semplicemente raggiante: “con questo intervento, con volumi irrisori rispetto all’investimento, non andiamo a intaccare l’ambiente”. Mezzo milione di metri cubi di cemento, evidentemente, sono poca cosa per la mentalità corrente sui litorali galluresi.
Arzachena era già divenuta Arzakhan, sta per divenire Arzaqatar e sono tutti felici e contenti. Domani non sapranno nemmeno chi sono, come ha ben scritto sulla progressiva perdita di identità l’attento giornalista gallurese Francesco Giorgioni sul suo blog .

Non finisce qui. Mentre si parlava di uninteressamento per Malfatano eTuerredda (il progetto turistico-edilizio della Sitas, attualmente bloccato) e per la gestione del Forte Village di S. Margherita di Pula, in questi mesi i politici regionali hanno fatto la “lista della spesa” per l’emiro del Qatar: il sindaco di Sassari Ganau (P.D.) è pronto a trattare per l’Argentiera, l’on.Sisinnio Piras (PdL) propone la costa arburese e il sindaco (ora dimesso) di Iglesias Perseu(UdC) i litorali di Masua e Nebida, l’on. Diana (PdL) pretende l’allevamento di cavalli nell’Oristanese, mentre il pasdaran istituzionale degli abusivi d’Ogliastra, l’on. Stochino,sbaraglia tutti: “tre nuovi porticcioli turistici a Tertenia, fra Cardedu e Barisardo, uno adArabatax, più un campo da golf fra Talana eTriei”. Senza alcun limite, in tutti i sensi.

Crisi economica e disoccupazione starebbero per diventare pallido ricordo. Eppure la memoria del recente passato dovrebbe indurre a un minimo di prudenza. Quando la Colony Capital di Tom Barrack acquistò la Costa Smeralda dalla Starwood agli inizi del nuovo millennio, l’allora Giunta regionale dell’on. Mauro Pili (stranamente oggi silenzioso) annunciò mille nuove iniziative imprenditoriali del finanziere libanese-americano, in particolare nelle aree minerarie dell’Iglesiente.Risultato? Dopo aver incassato ilrestyling degli alberghi “storici”, ha rivenduto (aprile 2012) alla Qatar Holding la Costa Smeralda per 600 milioni di euro, con un indubbio guadagno speculativo.

Nessun investitore, per quanto ricchissimo, regala niente e non lo farà nemmeno l’emiro del Qatar. E’ un concetto semplice in tutto il mondo. Lo capiscono tutti, tranne la classe politica dirigente di una Sardegna sempre più Sardistàn, oscura isola del Mediterraneo centrale abbacinata da promessi investimenti stranieri per un miliardo di euro, quando beneficia più o meno dello stesso importo ogni anno – e da parecchi anni – grazie ai fondi comunitari e, in piena autonomia di programmazione e di spendita, non è riuscita a innescare un’equilibrata e diffusa crescita economico-sociale.

Noi ecologisti non ci facciamo abbagliare da perline e cammelli colorati e difenderemo territorio e identità con ogni mezzo disponibile.

25 novembre
IL COMMENTO
di Giorgio Todde

Da oltre mezzo secolo in Sardegna si scrive sempre lo stesso racconto. Mutano i nomi, ma si recitano le stesse parti. Non cambia il malinconico tratto psicologico che ci rende inconfondibili. L’attitudine sarda alla sottomissione non è eradicabile e arriva al punto di produrre leggi che aprono le porte al nostro dominatore di turno. E non c’è psicoanalisi collettiva capace di guarirci.

Questa volta è una creatura da favola che ci ha ammaliato con la promessa fumettistica di un miliardo di dollari da investire a favore di noi sardi. Il filantropo che si è innamorato di noi è l’emiro del Qatar, rappresentante di una monarchia assoluta – potere che ci affascina – e ha deciso di annetterci al suo regno comprando l’Isola, in barba ai suoi abitanti che farfugliano di fierezza e di orgoglio.

Dolorose e umilianti le reazioni di certi sindaci che reclamano qualche goccia di grasso che cola. Un consigliere regionale chiede che dalla pioggia d’oro non sia esclusa la sua Ogliastra. Da molte parti dell’Isola implorano oro. Niente oro, per il momento, ma l’eterno giuramento di migliaia di posti di lavoro per i creduli sardi. Ancora la promessa falsa dei capi locali che non si tratterà di cemento, ma la verità e in mezzo milione di metri cubi, le solite ville, i soliti alberghi. Una delegazione composta dai visir di Arzachena e di Olbia – capitale dell’emirato della Costa Smeralda – spiega che prima di tutto l’emiro creerà i parchi, ma saranno parchi speciali, non come quello del Gennargentu che il consigliere, quello della pioggia di dollari, non voleva. Saranno parchi al cemento ecocompatibile nei luoghi intatti. Gli occupanti dei nuovi alberghi, delle nuove ville, dei nuovi metri cubi consumeranno, assicurano, prodotti sardi. E noi, felici di sentire sempre lo stesso racconto, ci accontentiamo dei piccoli visir.

La vita consegnata ad altri, il destino delegato a qualcuno, purché ricco, ha causato il disastro economico e sociale di oggi, la fine delle fabbriche tenute in vita per decenni benché produrre costasse più di quanto si ricavasse, il fallimento dell’agricoltura, il fallimento dell’edilizia travestita da turismo. E persistiamo sino alla dissoluzione di noi stessi.

La maschera tradizionale locale, per sua invincibile natura, china il capo e crede a tutto. Incapace di intuire il futuro e comprendere il passato. Incapace di interpretare la storia e modificare la propria natura che si appaga solo se è sollevata da responsabilità. Perfino incapace di comprendere il valore della bellezza.

Nelle nostre vicende recenti sono stati determinanti, in negativo, molti sindaci, sempre vicini al potere economico, meglio se esotico, e perfino felici – quanti esempi – di vedere il proprio territorio regredire, imbruttirsi e involgarirsi. Sono certi sindaci che hanno svenduto il paesaggio, che appoggiano l’abuso edilizio, vendono altopiani e montagne per pale eoliche e serre fotovoltaiche, che confondono l’autonomia dei Comuni con il fare quello che si vuole. Perfino il sindaco rappresentante dei Comuni sardi ce l’ha con le regole che gli bloccano lo sviluppo e riassume l’anima della sua categoria.

Le società senza speranza si fanno sedurre dalla ricchezza promessa – ma non ne avremmo neppure le briciole – sino al punto di conformare le proprie leggi al conquistatore di turno. E’ accaduto con la terza proroga all’incostituzionale Piano Casa. Il Presidente della nostra Regione è arrivato al punto di affermare che ci sarà “sincronismo” tra le modifiche al Piano Paesaggistico e il miliardo del Qatar. “Sincronismo” significa che noi siamo talmente in balìa del conquistatore e che adegueremo il Piano Paesaggistico non al nostro Paesaggio, ma al Qatar. Il mondo gira al contrario.

Così sono i sardi orgogliosi e fieri. Ma a breve comprenderanno che il loro orgoglio e la loro fierezza nascondono una realtà troppo infelice per essere detta. E in proporzione alla rovina evocano ossessivamente l’identità. Più la perderanno,più la evocheranno. Diventerà una professione diffusa.

Il consiglio regionale sardo approva le «linee guida» per cambiare il Piano paesaggistico. La lobby dei costruttori fa festaIl 23 luglio il consiglio regionale della Sardegna ha approvato a maggioranza le «Linee guida alla modifica del Piano paesaggistico regionale» presentate dalla giunta di centro destra guidata da Ugo Cappellacci. È il primo passo verso lo smantellamento della legislazione di tutela delle coste che l'isola si è data durante l'amministrazione Soru (dal 2004 al 2008). Il Piano, approvato nel 2006, considera le coste bene ambientale da preservare, sulla traccia del Codice Urbani e dell'articolo 9 della Costituzione. L'intera fascia costiera viene messa al riparo dalle logiche speculative e/o di pura e semplice profittabilità economica, che, in Sardegna come nel resto d'Italia, hanno portato, in aree vastissime, a uno spaventoso dissesto del territorio. Tutti i comuni sono sollecitati ad approvare Piani urbanistici che limitino le cubature disponibili per le nuove costruzioni e puntino invece al recupero e al restauro del patrimonio immobiliare esistente.

Su questo progetto la giunta Soru, e in particolare il suo presidente, avevano puntato molto. Era un elemento centrale del programma di governo. Il Piano paesaggistico regionale (Ppr) è uno dei risultati positivi di un'amministrazione che contro la devastazione delle coste, mossa dagli interessi di una potente lobby di costruttori e di speculatori, si è schierata sin dall'inizio con coerenza e determinazione; e che questa scelta, alla fine, ha finito per pagare a caro prezzo. Bisogna ricordare, infatti, che la giunta Soru cadde con quasi un anno di anticipo rispetto al termine della legislatura perché il suo presidente dovette prendere atto, con le dimissioni anticipate, della resistenza di una parte cospicua della sua stessa maggioranza ad estendere - come il Codice Urbani prevede - le norme di tutela paesaggistica dalle coste all'intero territorio dell'isola. Nel tardo autunno del 2008 Soru si dimise contando di poter imporre ai suoi alleati il rispetto del programma di governo attraverso una riconferma del mandato che gli elettori gli avevano conferito quattro anni prima. Le cose, però, non andarono così. Durante la campagna elettorale Silvio Berlusconi in persona venne a più riprese in Sardegna per sostenere un candidato, Cappellacci, che dello smantellamento del Piano paesaggistico regionale aveva fatto un punto cardine della futura di agenda di governo. Agitando l'argomento propagandistico secondo il quale il Ppr, bloccando l'edilizia (una delle principali attività economiche di una regione che ha un apparato industriale debolissimo e per buona parte in via di smantellamento), avrebbe causato la perdita di migliaia di posti di lavoro, ilcandidato del centro destra riuscì ad intercettare una fascia ampia di opinione pubblica.

A urne chiuse, nel febbraio del 2009, Cappellacci riuscì a prevalere, anche se di poco, su Soru. Da quel momento la pressione della lobby dei costruttori edili che avevano sostenuto la candidatura del pupillo sardo del Cavaliere, cominciò ad esercitarsi con forza. La cambiale doveva essere pagata, e a meno di due anni dalle elezioni regionali non si può più aspettare.

Cappellacci non ha agito subito perché smantellare il Ppr non è facile. Intanto c'è la resistenza politica dei gruppi ambientalisti e della minoranza di centrosinistra schierata (con sfumature e gradi di convinzione diversi) con un Soru che si muove attraverso la sua associazione, Sardegna democratica, per fermare i cementificatori. E poi il Piano è uno strumento di rigorosa attuazione non solo del dettato costituzionale, ma anche della legislazione nazionale (in primis il Codice Urbani) di tutela del paesaggio. Non ha caso esso ha resistito a diversi ricorsi presentati in sede amministrativa, con il Tar che è sempre intervenuto a respingere i tentativi di invalidarlo in tutto o in arte. Smontarlo significa esporsi ad azioni legali già annunciate da Italia nostra e da Legambiente e anche all'azione di controllo che lo Stato, e in particolare le Sovrintendenze e il ministero dei Beni culturali e ambientali, sono chiamati a svolgere nell'ambito delle loro competenze istituzionali.

È per questo che le «Linee guida» presentate da Cappellacci e approvate dal Consiglio regionale puntano non alla cancellazione del Ppr ma a un suo snaturamento per vie indirette. Un solo esempio. Si legge a pagina 20: «Più che la norma vincolistica che assume efficacia solo nei confronti della conservazione, dovranno emergere maggiormente le prescrizioni e gli indirizzi». Ebbene, questa impostazione in Italia è purtroppo molto diffusa, con esiti nefasti. Si pensi soltanto al «Documento di indirizzo» ideato dalla ex-sindaco di Milano, Letizia Moratti, in sostituzione del Piano regolatore generale del capoluogo lombardo, non a caso prontamente sospeso dalla giunta Pisapia. Indirizzi e non regole certe.

La giunta regionale sarda questo vuole: sostituire alle regole certe stabilite dal Ppr indirizzi generali fissati con una delibera della giunta Cappellacci. Maglie larghe che consentirebbero ai costruttori di riprendere a cementificare le coste seguendo la bizzarra definizione di «sviluppo sostenibile» contenuta alla oagina 15 nelle Linee guida: «Sviluppo sostenibile, ovvero un equilibrio tra esigenze di tutela ambientale e sviluppo economico che consenta da una parte di soddisfare i bisogni delle persone senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i loro bisogni, dall'altra di generare reddito anche nell'immediato. In un quadro che garantisca la mediazione tra la tutela delle risorse primarie del territorio e dell'ambiente e le esigenze socio-economiche della comunità».

«A chi parla di mediazioni tra elementi diversi - commenta Edoardo Salzano, l'urbanista veneziano che ha guidato il gruppo di lavoro che a suo tempo ha redatto il Ppr - bisogna ricordare sempre che il risultato della mediazione dipende dalla diversa forza e consistenza dei due elementi, in questo caso profitti e ambiente, tra cui si vuole mediare. E certamente nella Sardegna e nel mondo di oggi, e in particolare nella compagine di cui Cappellacci è espressione, la forza degli interessi economici basati sull'appropriazione d'ogni bene riducibile a merce e suscettibile di arricchirne il possessore è una forza ben maggiore di quella degli interessi volti a riconoscere e a tutelare il valore delle qualità che natura e storia hanno costruito, che è espressa dal paesaggio: quelle qualità che sono la base di ogni possibile domani migliore».

Non c’è pace per il paradiso di Malfatano, sulla costa di Teulada: un facoltoso avvocato milanese ha deciso che centinaia di ettari di terra a due passi dal mare, quelli sui quali la Sitas ha costruito in parte un resort per milionari, deve passare in mani arabe. Un po’ come la Costa Smeralda, ma con obiettivi da chiarire. C’è un documento che lo prova: la società cui il legale Paolo Francesco Calmetta ha trasferito i diritti ereditari sull’area, che sostiene di aver acquisito dal pastore teuladino Ovidio Marras e dalla sorella Giovannica, si chiama Ace of Spades Guandong Opportunity Investments limited, la sede dichiarata è Dubai, negli Emirati. Su quest’operazione milionaria infuria una battaglia legale senza esclusione di carte bollate e da qualche mese la Procura di Cagliari indaga contro ignoti per truffa.

L’inchiesta. Chiusa la prima fase di raccolta degli atti da parte della Guardia di Finanza, il pm Giangiacomo Pilia si prepara a volare a Milano per dare una risposta giudiziaria agli interrogativi contenuti in un esposto firmato dall’avvocato Carlo Federico Grosso, il legale incaricato dalla Sitas – l'immobiliare sarda di Caltagirone, dei Benetton, di Toti e della Sansedoni – di contrastare in giudizio l’assalto alla costa di Teulada lanciato da Calmetta. Ma più che interrogativi quelli proposti dal celebre penalista sono sospetti, fondati sull’intreccio di società e di atti costruito da Calmetta perché il giudice civile avalli con una sentenza quello che appare come l’affare immobiliare del secolo: in ballo ci sono decine e decine di milioni.

Milioni di euro. Ma per capire quali interessi ruotino attorno alla proprietà familiare dei Marras occorre fare un passo indietro, fino all’anno scorso quando giornali e canali tv di tutta Italia raccontano la vicenda come fosse il remake del leggendario duello fra Davide e Golia: il pastore ottantenne Ovidio Marras contro il gigante Sitas, Ovidio il tutore di una Sardegna arcaica e spontaneamente ecologica che difende il suo stradello e ottiene dal tribunale la demolizione di un hotel a cinque stelle avversato dagli ambientalisti e fortemente voluto dall'amministrazione di Teulada. Sembrava che il lotto dei contendenti, per quanto squilibrato, fosse circoscritto a questi nomi. Invece, col passare dei mesi, lo scontro aperto sul paradiso di Malfatano è diventato un intrigo internazionale che coinvolge misteriosi personaggi di Dubai e soprattutto lui, l’avvocato d'affari Paolo Francesco Calmetta, vertice di una galassia di società con sede nel Delaware e nel Nevada. Il punto è questo: Calmetta, grazie a un contratto firmato sbrigativamente dai Marras e attraverso la società Zylberberg Fein LLc con sede a Dover nel Delaware, sostiene di aver acquisito dalla famiglia teuladina i diritti ereditari sull'area di Tuerredda, oggi in parte occupata dal resort della Sitas. Ma com’è che il vecchio Ovidio entra in contatto con uno studio legale milanese griffatissimo come il Calmetta Avvocati Attorney Llp, trascinando l’immagine innocente del proprio furriadroxiu, sei pecore e orticello, fra i grattacieli sfavillanti di Dubai?

L’intermediario. Il tramite si chiama Jochen Bruch, imprenditore svizzero che opera a Teulada. E’ lui che ha convinto la famiglia Marras – ormai rassegnata a vedere la propria dimora storica circondata da hotel – a chiedere aiuto a Calmetta. Ovidio non sopportava che per mettere in piedi il corpo centrale del resort gli avessero deviato la stradina sterrata che conduce al suo rifugio spartano. Ma può scomodarsi un legale del calibro di Calmetta per gestire una questione di questo genere? Bruch ha pensato di sì e infatti l'avvocato milanese ha preso in mano la situazione. Prima ha ottenuto dal tribunale un'ordinanza di demolizione dell'hotel, poi ha proposto alla famiglia Marras di firmare un contratto incomprensibile per chi non mastichi a fondo il diritto civile, in base al quale Ovidio avrebbe ceduto gratis alla Zylbelberg Fein srl i diritti ereditari sull'area Sitas, rimasta per complesse ragioni legali in mano ai Marras. Quando la famiglia teuladina s'è accorta del rischio e ha nominato un nuovo legale, l'avvocato Andrea Pogliani, Calmetta ha fatto valere la clausola contrattuale che prevedeva il ricorso a un collegio arbitrale di Milano.

La controversia. Così Ovidio, partito da una lite condominiale, si è trovato a fronteggiare una controversia internazionale dagli esiti imprevedibili. Controversia aperta: mentre l’avvocato Pogliani metteva insieme gli atti per capire come difendere Ovidio e la sorella Giovannica nel giudizio arbitrale, la Zylbelberg Fein non ha perso tempo e ha citato Sitas, Montepaschi Capital Service e Intesa San Paolo davanti al tribunale di Cagliari per ottenere quanto sostiene che gli spetti: i diritti sull'area oggi in gran parte occupata dal resort, a sua volta bloccato dal Tar dopo il ricorso di Italia Nostra.

Ma è qui che messe da parte le stranezze cominciano i misteri. Perché a siglare l'atto di citazione non è Zylbelberg Fein, firmataria del contratto coi Marras: nel documento compare Ace of Spades Guandong Opportunity Investments limited con sede a Al Tower, Sheikh Zayed road di Dubay, negli Emirati Arabi che come racconta l’avvocato Grosso nell’esposto, dice di agire per conto di tale Andreas Moustras, incaricato a sua volta con una procura firmata a Limassol, nell’isola di Cipro. Così che il presunto titolo di proprietà sulle terre di Ovidio e Giovannica Marras danza tra Milano, Dubai, Dover e Limassol mentre sulla vicenda si affacciano personaggi di cui è incerta persino l’identità. Al punto che il giudice Paolo Piana, cui Ace of Spades ha ricorso contro Sitas per ottenere il riconoscimento della proprietà su Tuerredda, anziché decidere punta un faro sugli affari di Calmetta e nell’ordinanza chiede ad Ace of Spades di mettere le carte in tavola.

Personaggi misteriosi. Perché a parte le sedi esotiche e l’impianto piuttosto aggrovigliato della storia, nell'atto di citazione firmato dall'avvocato Vincenzo Cuffaro del foro di Roma l'amministratore si manifesta con due nomi diversi – Andreas Moustras nell'atto di citazione e Andreas Thomas Montrsas nella certificazione rilasciata dall'ufficio del registro della zona franca di Al Kaimaii – e soprattutto non si capisce attraverso quali passaggi e perché i diritti milionari sull'area di Tuerredda siano stati trasferiti il 24 gennaio 2011 a Dubai dove ha sede la società o alle Isole Vergini come compare nella corrispondenza legale intercorsa con Sitas.

Ma c’è dell’altro e l’avvocato Grosso non manca di sottolinearlo nell’esposto alla Procura: perché all'indirizzo di Dubai la società non è reperibile? Grosso spiega di aver disposto ricerche d’ogni tipo, anche attraverso il Cerved Group, il servizio leader nel settore delle informazioni finanziarie: Ace of Spades risulta società «completamente sconosciuta». Ed è il Cerved che raccomanda «massima prudenza in caso di relazioni di affari con la società vista la poca trasparenza che la circonda». Insomma: Ace of Spades, se esiste, non si sa dove sia registrata. A meno che non si debba prestare fede all’intestazione di una nota legale – citata dall’avvocato Grosso nella denuncia – in cui la fantomatica società risulterebbe avere una sede a Tortola, nelle British Virgin Island: «Con questa missiva – osserva il penalista – Ace of Spades è agilmente balzata dal centro della penisola araba al clima subtropicale dell’isola delle Tortore». Salvo poi tornare a Dubai in un’altra lettera del 13 giugno 2011. Peraltro il 6 giugno 2011 un avvocato di nome Michael C. Spencer dello studio Milberg Llp di New York – riferisce Grosso – ha contattato il sindaco di Teulada Gianni Albai, presentandosi come legale della Ace of Spades e «asserendo senza fornire elementi concreti che la Ace of Spades avrebbe acquistato alcuni diritti riguardanti immobili situati nel territorio del Comune di Teulada». Chi è Spencer? E per chi lavora? Ecco perché, travolto dai dubbi, il giudice Piana ordina ai legali di Ace of Spades di chiarire e intanto dispone la trasmissione del provvedimento motivato alla Procura, che delega la Guardia di Finanza a indagare. Un lavoro complicato, quello condotto delle Fiamme Gialle: solo collegare le società che fanno capo al legale lombardo è come affrontare un rebus. Anche perché a scorrere le visure e ad analizzare gli atti si scopre che spesso le società entrano in conflitto tra loro e poi si accordano, con atti firmati per una società da Calmetta e per l'altra ancora da Calmetta, ma per conto dell'amico viennese Jacob Hirchbeck.

Il personaggio. Quarantasette anni, madre tedesca, descritto come uomo affabilissimo e dall'eloquio raffinato, Calmetta si muove preferibilmente sull'asse Milano-Lugano. E' nella città svizzera che abita, in una villa con giardino. A Milano ha studio in via Santo Spirito 14, circa 400 metri e tre box auto alle spalle di via Monte Napoleone. Per muoversi sul medio raggio usa una Mercedes Amg da 220 mila euro, ma la società di Monaco di Baviera che gestisce i suoi leasing offre a lui e agli amici altre vetture come Jaguar e Audi A8. Un tenore di vita che apparirebbe in contrasto con la dichiarazione dei compensi professionali del 2008: appena 8200 euro. Impressionante l'albero geneaologico delle sue società: nel Delaware e nel Nevada – dove non c'è reciprocità giuridica con l'Italia – compaiono la Coldwell e la Zimbalist, in Italia a seconda dell'affare in corso compare l'Immobiliare Ellebi, la Gragnana, la Cantarana o la Mediaonline. Una galassia fortemente interconnessa in cui Calmetta si muove agilmente. Solo che nel caso di Tuerredda-Malfatano e dello strano rapporto d’affari con gli ignari fratelli Marras qualcosa sembra non quadrare: «Si tratta – scrive l’avvocato Grosso nell’esposto – della messa in atto di una strategia ben precisa e coordinata, avviata e condotta a dir poco con buona dose di disinvoltura e in spregio alle più elementari regole di trasparenza, utilizzando un soggetto inafferrabile come Ace of Spades». Conclude Grosso: «Gli artifizi e gli abili espedienti esposti inducono a ritenere di trovarsi di fronte ad una serie di iniziative dalla caratura inesorabilmente truffaldina».

Il PPR DI SORU va difeso. E’ in linea con la Costituzione e per le altre Regioni è un modello insuperato. Pericolo cemento. Tornando indietro l’isola perderebbe paesaggi unici al mondo. I ritardi di Mario Monti. Sui Beni culturali si fa poco e il ministro Ornaghi forse è anche peggio di Bondi

Archeologo e storico dell’arte di prestigio internazionale, accademico dei Lincei, direttore sino al 2010 della Scuola Superiore Normale di Pisa, Salvatore Settis da anni si batte per la tutela del paesaggio e dei beni culturali, anche dalle pagine di Repubblica, di cui è una delle firme più autorevoli. Domani pomeriggio sarà a Cagliari per partecipare ad una tavola rotonda dal titolo “Il valore della Terra”, organizzata da Sardegna Democratica.

Il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha presentato il 13 luglio le sue "Linee guida" alla modifica del Piano paesaggistico . Qual è la sua valutazione del progetto della giunta regionale?

«Con incredulità e con dolore, vedo nel nuovo progetto l'intento di devastare la Sardegna, e lo strumento per renderlo possibile. Questa la mia valutazione, ma vorrei specificare. Credo infatti che bisogna rispondere pensando alla Sardegna, ma pensando anche all'Italia.

Pianificare il paesaggio è un tema importantissimo, delicatissimo in tutto il mondo, e in Italia lo è ancor di più, per due ragioni: la straordinaria stratificazione di bellezza e di storia del nostro paesaggio, ma anche la tradizione altissima di civiltà e di cultura che è alla base della normativa italiana di merito. Basti ricordare che la prima legge sul paesaggio è dovuta a un ministro della Pubblica istruzione che si chiamava Benedetto Croce (1920). La legge Croce fu poi riscritta e ampliata in una delle due leggi Bottai nel 1939:leggi di un governo fascista che nulla ebbero di fascista, tanto è vero che nell'Assemblea costituente di una Repubblica nata contro il fascismo nacque l'articolo 9 della Costituzione, che contiene (lo ha scritto Sabino Cassese) la "costituzionalizzazione delle leggi Bottai". Prima al mondo, l'Italia poneva la tutela del paesaggio fra i principi fondamentali dello Stato.

Da questa lunga linea di continuità nasce anche il Codice dei Beni culturali e del paesaggio (2004), che contiene l'attuale normativa. Ora il fatto è che la Sardegna è stata, con la giunta Soru, la regione italiana che ha interpretato questa tradizione con la massima intelligenza e fedeltà alla legge e alla Costituzione, e nel massimo rispetto della storia della Sardegna, ma soprattutto del suo futuro. Quel piano paesaggistico è un modello insuperato in Italia e, data la rilevanza dei paesaggi sardi, ha importanza europea e globale. Buttando via quel Piano, la Sardegna commetterebbe due specie di suicidio: danneggiando irreversibilmente i propri paesaggi unici al mondo, ma anche perdendo l'occasione storica di essere la Regione-modello per tutta Italia».

Uno degli argomenti che vengono portati a sostegno delle modifiche al Ppr è che i vincoli avrebbero causato la perdita di migliaia di posti di lavoro. Argomento fondato? «Da decenni ci vien ripetuto che l'edilizia è il principale motore dell'economia in Italia, che condominii, villette a schiera, autostrade e altre "grandi opere" ci salveranno dalla recessione. Su questa spietata cementificazione del territorio viene posta un'etichetta incoraggiante: sviluppo. E' in nome di questo sviluppo che si sono succeduti, da Craxi in poi, condoni edilizi e ambientali, piani casa, disposizioni in deroga alla legge. Ma se questa retorica dello sviluppo fosse vera, visto che la pratichiamo da almeno quarant'anni, allora come mai l'Italia è in recessione? Perché la crisi economica mondiale è partita dalla "bolla immobiliare" degli Stati Uniti e di altri Paesi, dall'Irlanda alla Spagna? Difendere i posti di lavoro è importantissimo, ma la priorità numero uno oggi in Italia, quella su cui indirizzare l'occupazione, è la messa in sicurezza del territorio, il più fragile d'Europa. Occorre una politica, e una poetica, del riuso degli edifici abbandonati o sottoutilizzati. E' folle continuare a costruire in un Paese in cui ci sono da 2 a 4 milioni di appartamenti invenduti. Dove (credo anche in Sardegna) si lasciano morire interi villaggi di meravigliosa architettura tradizionale per costruire squallide imitazioni di architettura californiana».

La crisi globale spinge a una ridefinizione delle coordinate su cui basare economia e finanza. Ambiente e beni culturali possono svolgere un ruolo? «Abbiamo in Italia, pronto per l'uso, un manifesto da mettere in pratica: la Costituzione. Essa ha al centro l'idea di bene comune, il progetto di costruire una società libera e democratica sulla base dei diritti dei cittadini. Il grande movimento mondiale contro la cieca dominanza dei mercati potrebbe e dovrebbe trovare in Italia un punto di forza. Vorrei dirlo con le parole di un grandissimo economista, Keynes. Egli esortava a liberarsi dell' "incubo del contabile", e cioè del pregiudizio secondo cui nulla si può fare, se non comporta immediati frutti economici. "Invece di utilizzare l'immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, creiamo ghetti e bassifondi; e si ritiene che sia giusto così perché fruttano, mentre – nell’imbecille linguaggio economicistico – la città delle meraviglie potrebbe ipotecare il futuro". E Keynes continua: “Questa "regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo". Ecco: devastare il paesaggio in Sardegna sarebbe come fermare il sole e le stelle».

C’è anche un problema di tutela del paesaggio agrario. Cosa si sta facendo in Italia?

«Molto si sta muovendo, ma in modo assai disordinato. In alcune regioni (come il Piemonte, la Puglia o la Toscana) sono in corso interessanti discussioni ed elaborazioni di piani paesaggistici, in cui quello sardo della giunta Soru è sempre un cruciale punto di riferimento. In altre manca invece una vera volontà di affrontare questo tema. Ma la vera tragedia è un'altra, la quasi totale mancanza di coordinamento fra le varie regioni, anche quando i loro territori sono confinanti. La Sardegna è un caso a parte, perché è un'isola. Ma Abruzzo e Molise condividono un territorio nel quale c'è un importante Parco nazionale; il Lago di Garda è diviso tra tre regioni. Eppure i coordinamenti sono pochissimi. Manca la capacità politica e culturale del ministero di proporsi come il vero cuore di un coordinamento a livello nazionale, come è prescritto dall'articolo 9 della Costituzione, dove si parla di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione, e cioè in modo uniforme e coordinato in tutta Italia».

E ci sono anche i beni culturali. Come si sta muovendo, su questo terreno, il governo Monti?

«Beni culturali e paesaggio (come dice l'articolo 9) formano in Italia una superiore unità. In questa legislatura la gestione del ministero ad essa preposto ha toccato il fondo dell'abisso. Abbiamo assistito a un continuo calo di risorse e di attenzione, con una micidiale sequenza di tre ministri pochissimo interessati e di nessuna competenza specifica (Bondi, Galan, Ornaghi). E' con dispiacere che, per amore della verità, bisogna dire che dei tre Ornaghi è forse il peggiore. Mario Monti è persona di grande cultura, ma non ha ancora trovato un'ora per accorgersene. Anche lui è dominato dall' "incubo del contabile"».

Le amministrazioni locali sono all’altezza del compito?

«L'inadeguatezza delle amministrazionr locali non è colpa dei sindaci. La giunta Soru aveva istituito un Ufficio del Piano (con fondi adeguati) per supportate i Comuni per l'adeguamento del Puc al Ppr. Ma l''Ufficio del Piano è stato smobilitato e ridimensionati i finanziamenti. Al punto che solo dieci Comuni hanno adeguato il Puc, e luoghi come Arzachena hanno strumenti fermi al 1971! E' in questa programmata disfunzione e inerzia delle istituzioni che alcune lobby di costruttori e di progettisti vorrebbero ritornare alla cosiddetta "urbanistica concertata". Concertata con loro, si capisce, contro la legge, secondo cui le scelte urbanistiche devono essere orientate esclusivamente dal bene comune di tutti e non dagli interessi di pochi».

Avevo ascoltato il presidente Cappellacci al convegno “Finestra sul paesaggio indetto dal Consiglio superiore della Magistratura nell’Aula magna del Tribunale di Cagliari. Il suo caloroso apprezzamento del PPR guidato da Renato Soru. Mi era sembrato il segno di un deciso cambiamento di orientamento: aveva abbandonato la demagogia becera delle pagine a pagamento pubblicate (a spese del contribuente) sui giornali dell’Isola, o perché improvvisamente illuminato dallo Spirito Santo oppure perchè convinto da una più attenta riflessione o magari dal consenso registrato da quel piano, in quell’aula e nel mondo, pconer i suoi e per le speranze che apriva per una piena messa in valore delle qualità dell’Isola e delle sue coste.. Ingenuità mia, ovviamente.

Oggi possiamo dire che quelle parole d’elogio erano solo fumo negli occhi. Il documento preliminare al nuovo PPR in discussione al Consiglio regionale, benchè si appropri, come ha scritto Sandro Roggio su questo giornale (16 luglio), di molte parole del piano di Soru, ne comporta il completo ribaltamento e conferma il generale cambiamento di rotta che la giunta Cappellacci ha operato: un cambiamento nella visione della Sardegna, nella progettazione del suo futuro, nel ruolo che al paesaggio viene attribuito.

Come ha scritto Monia Melis sul Fatto quotidiano (12 luglio) il nodo fondamentale è la mediazione tra “la tutela delle risorse primarie del territorio e dell’ambiente con le esigenze socio‐economiche della comunità, all’interno delle strategie di sviluppo territoriale e sostenibilità ambientale”. A chi parla di mediazioni tra elementi diversi bisogna ricordare sempre che il risultato della mediazione dipende dalla diversa forza e consistenza dei due elementi tra cui si vuole mediare. E certamente nella Sardegna e nel mondo di oggi, e in particolare nella compagine di cui Cappellacci è espressione, la forza degli interessi economici basati sull’appropriazione d’ogni bene riducibile a merce e suscettibile di arricchirne oggi il possessore è una forza ben maggiore di quella degli interessi volti a riconoscere e tutelare il valore delle qualità che natura e storia hanno costruito, che è espressa dal paesaggio: quelle qualità che costituiscono la base di ogni possibile domani migliore

L’espressa volontà d’inserire o comunque di rendere compatibili col piano paesaggistico, i devastanti provvedimenti per i campi di golf (e annessi) e per il “piano casa”, testimonia il senso della “mediazione”, mentre la proposta di frammentare la tutela della fascia costiera in una molteplicità di vincoli rivela il livello culturale al quale l’intera operazione si colloca.

La speranza di fermare la nuova avanzata dei saccheggiatori della Sardegna e della sua bellezza è ancora intatta per almeno tre ragioni. Innanzitutto, perché nel Consiglio regionale siedono persone e gruppi che non sono tutti devoti alle stesse divinità (e agli stessi interessi) dell’attuale presidente della Regione; si spera che essi comprendano quale sia la posta in gioco e assumano la responsabilità che hanno nei confronti del mondo intero (poiché la bellezza della Sardegna, non è patrimonio solo di quanti oggi vi abitano). In secondo luogo, perché la tutela del paesaggio (e in particolare la paternità del PPR) non è competenza della sola Regione, ma di tutte le istituzioni della Repubblica, e in particolare dello Stato, in assenza del quale il piano paesaggistico non esiste. Infine, perchè in Italia c’è ancora qualcuno che sa far rispettare le leggi. Non vorrei passare dall’ingenuità all’eccessiva malizia, ma forse fu proprio la consapevolezza di quest’ultima ragione che spinse il presidente Cappellacci a pronunciare parole di elogio per il PPR di Soru, nell’Aula magna del Tribunale di Cagliari, nel dicembre scorso.

Nuovo Ppr: è più impudente la presentazione del contenuto. Dopo i ripetuti annunci qualcosa si comincia a capire: ma la conclusione del primo impegno di Berlusconi (e quindi di Cappellacci) con gli elettori sardi è ancora una promessa arruffata. Di un centinaio di pagine di illustrazione delle intenzioni, più della metà riportano le linee guida del 2005, inutilmente. Perché quel documento, interpretato da chi all'epoca non lo ha condiviso, ha esaurito la sua funzione dando vita al Ppr, e questo, caso mai, meriterebbe di stare in premessa.

Il resto ha un profilo vago, punteggiato di formule un po' apodittiche e retoriche (“Il paesaggio dell'isola è di tutti i sardi”) e un po' scontate e generiche (“Conoscere, governare e valorizzare per una progettazione consapevole dei paesaggi”). Ricorre il ritornello minaccioso: viva “l'approccio dinamico al paesaggio”, contro quello statico, ovviamente riprovevole. L'incitamento futurista è a non essere spettatori renitenti alla costruzione di nuovi paesaggi – senza dirci quali (ma noi che ci guardiamo attorno e abbiamo fantasia riusciamo a immaginarceli i paesaggi che hanno in mente).

Ci siamo assuefatti allo stile del solito Cappellacci, riluttante a dire chiaramente le intenzioni, che rinnega le spacconate della campagna elettorale e abusa delle parole dell'ambientalismo intransigente facendosene scudo, manipolandole. Come la destra fa ordinariamente con riferimento a principi fondanti della convivenza – "democrazia", "libertà", "giustizia" – svuotandoli di senso.

Il succo del documento in una decina di pagine. La trovata: si prendono le disposizioni del piano casa – le norme intruse sulla pianificazione paesaggistica – e si trasferiscono, insieme a quelle sul golf, nel Ppr da domare. Poco importa se le leggi da innestare sono impugnate dal governo e per le quali è stata depositata una proposta di legge di consiglieri della maggioranza (n.378/2012) per rimediare ai difetti di costituzionalità.

L'idea di fondo è quella di abbassare il livello di tutela dappertutto e di ogni componente del paesaggio.

Ma la variante più pericolosa e che supporta il resto – sempre in chiave futurista – riguarda la “fascia costiera”, concentrazione di paesaggi preziosi (che è bene immaginare statici o pressoché invariabili) e di interessi molteplici che li insidiano da mezzo secolo. Per la “fascia costiera”, disciplinata in modo univoco nel Ppr 2006, è previsto un declassamento. Smette di essere bene paesaggistico per assumere il titolo fantastico “sistema ambientale ad alta intensità di tutela”. Un bel titolo (potrebbe essere di un'opera di Boccioni) utile esclusivamente a togliere di mezzo quell'altro molto più impegnativo, riferito al Codice dei beni culturali del 2004, ma dimenticando che serve per questo la concertazione con lo Stato.

Nella fretta di rinominare – a scapito della completezza – non si dà conto delle diverse valutazioni alla base di questa nuova scelta, molto distante dalla tutela del paesaggio insistentemente evocata nell'intervento del presidente. Alla “fascia costiera”, identificata nelle carte, è stato già attribuito un valore grazie a un complesso di studi, per cui sarebbe doveroso precisare le ragioni tecniche della retrocessione. Nè basta la parola di Cappellacci, secondo cui tutto si regge perché frutto del processo partecipativo “Sardegna nuove idee”. O perché c'è bisogno di alimentare la stessa bolla immobiliare che ha inguaiato la Spagna.

L' approvazione del documento, ambiguo e reticente, corrisponde a una delega alla Giunta che potrà interpretarlo molto liberamente. Per questo serve svelarne la doppiezza, spiegando la contraddizione chi si propone insieme fautore di “alta intensità di tutela” e custode di interessi palazzinari.

La gestazione è stata lunga, e non poteva essere altrimenti. Passano gli anni ma in Sardegna il piatto forte resta sempre il Piano paesaggistico regionale e la sua revisione. Ingredienti: ambiente e cemento. Attorno è battaglia, politica ed economica, tra chi teme la speculazione edilizia lungo le coste e nelle campagne e chi da sempre ha contestato lo strumento voluto dalla giunta dall’ex governatore Renato Soru nel 2006 perché troppo restrittivo. Qualche giorno fa la giunta di Ugo Cappellacci (Pdl) ha dato l’ok alle linee guida, e domani verranno illustrate davanti al Consiglio regionale riunito in seduta straordinaria. I tempi sono maturi: il nuovo Piano paesaggistico era una delle voci più importanti anche in campagna elettorale e già in autunno era stata diffusa una bozza che allentava i vincoli. La discussione di domani, non obbligata visto che l’atto è amministrativo, si annuncia già incandescente, con una maggioranza incrinata. Ma in ogni caso le decisioni definitive spetteranno alla giunta.

I punti fondamentali.

Nelle linee guida volute dalla giunta Cappellacci cambia l’impianto: se finora la costa sarda è considerata “bene paesaggistico” nel suo complesso, secondo le linee guida potrebbe diventare “sistema ambientale ad alta intensità di tutela”. Da garantire con alcune misure di salvaguardia, caso per caso. Quindi meno vincoli globali ma “regole più precise e quindi più trasparenti”, nonché “la maggiore qualità della pianificazione e la massima cura delle peculiarità paesaggistico‐ambientali”, si legge nel documento.

Tre le parti fondamentali: la prima illustra il Ppr attuale, la seconda fa riferimento al cosiddetto Piano casa 1 (all’articolo 11, legge regionale 4 del 2009) che prevede la revisione e nell’ultima, appunto i principi. Per le campagne, in virtù anche dell’ultimo Piano Casa (legge regionale 21, n. 11) si prevede una sorta di ricognizione dell’esistente “in contrasto con il frazionamento” che, tradotto, potrebbe significare sanatoria di chi ha costruito nelle campagne. Questi gli intenti del Ppr: “Analizza e regola il fenomeno dell’edificato urbano diffuso, costituito da edifici residenziali, localizzati nelle aree agricole limitrofe alle espansioni recenti dei centri maggiori”. Aree in cui spesso si è costruito senza regole, abusivamente, attorno all’hinterland di Cagliari, ma anche sulla costa orientale, in Ogliastra, anche a pochi passi dal mare. E quest’estate si è assistito alle prime demolizioni delle case fantasma, secondo quanto disposto dalla Procura di Lanusei.

Altro nodo fondamentale è la mediazione tra “la tutela delle risorse primarie del territorio e dell’ambiente con le esigenze socio‐economiche della comunità, all’interno delle strategie di sviluppo territoriale e sostenibilità ambientale”. E si fa riferimento sia ai già contestati Piani casa, sia alla legge sul golf (n. 19, 2011) che prevedeva 20 nuovi campi in tutta l’Isola con altrettanti alberghi e strutture ricettive, soprattutto vicino all’agognata costa. Legge impugnata dal governo su cui dovrà esprimersi la Corte costituzionale. In mezzo c’era stata addirittura una campagna pubblicitaria istituzionale della Regione sui due principali quotidiani sardi che spiegava, con linguaggio e metodo messo in discussione anche dall’Ordine dei giornalisti, i motivi delle modifiche. Come la “libertà di chiudere una veranda” o “aprire una stanza in più”. Un uso dei soldi pubblici considerato “partigiano” dai consiglieri di opposizione.

Le reazioni. Alcuni sono già sul piede di guerra. Per Luciano Uras, capogruppo Sel in consiglio regionale, le linee guida ricevute in questi giorni “legittimano quanto è stato prodotto in questi anni, i vari Piani casa e la legge sul golf”. Non solo, i tempi potrebbero allungarsi ancora per anni e la Sardegna, così, sarebbe di nuovo di fronte a un Far West, senza regole. Si riferisce ai vari Piani urbanistici comunali, quasi tutti non in linea con il Ppr, materia calda in tanti centri, sul mare ma non solo, su cui si concentrano gli interessi e per cui sono cadute alcune giunte (Alghero). Anche il vicesegretario regionale dell’Italia dei valori, Salvatore Lai, condanna le nuove linee guida e teme una strategia di corto respiro: “In Sardegna si è costruito già troppo – afferma – e adesso non è possibile né allentare i vincoli che nella passata legislatura hanno impedito l’assalto alle coste, né concedere le nostra campagne alla speculazione edilizia come vorrebbe fare il centrodestra”.

In una lunga intervista alla Nuova Sardegna scende di nuovo in campo il principale sponsor del testo in vigore, Renato Soru, ora consigliere Pd. Difende il suo Ppr e parla anche lui di “nuovo assalto alle coste” e di “cementificazione delle campagne”. E difende lo strumento delle deroghe, sotto accusa da parte della maggioranza di centrodestra perché ha dato il via libera ad alcuni interventi con volumetrie ingombranti. Altri del Pd chiedono comunque una nuova legge urbanistica. Ognuno al posto di combattimento, insomma.

Dall’altra parte Matteo Sanna (Fli), presidente della commissione Urbanistica, storce il naso: “Sono accuse ridicole – dice al telefono – nel documento non si parla né di metri quadri, né di metri cubi. C’è solo la filosofia. Il vecchio piano non è tutto da buttare, e non sarà stravolto. Saranno corrette alcune storture. I comuni devono diventare protagonisti e poi bisogna essere coraggiosi: non si può dire che una cosa è bella o brutta perché è a 300 metri dal mare o a due chilometri”. Nessuna distruzione, assicura il consigliere dell’Mpa, Franco Cuccureddu, ex sindaco di Castelsardo: “ma attenzione all’esistente e a una visione d’insieme e soprattutto ai beni identitari”. Intanto la Cna Sardegna con un certo tempismo diffonde i dati del settimo anno di crisi per l’edilizia isolana, che registra un meno 36 per cento.

Postilla

Avevo ascoltato il presidente Cappellacci al convegno Finestre sul paesaggio indetto dal Consiglio superiore della Magistratura nell’Aula magna del Tribunale di Cagliari. Mi era sembrato quasi eccessivo il suo caloroso apprezzamento del PPR guidato da Renato Soru. Mi è sembrato il segno di un deciso cambiamento di orientamento: aveva abbandonato la demagogia becera delle pagine a pagamento pubblicate (a spese del contribuente) sui giornali dell’Isola, o perché improvvisamente illuminato dallo Spirito Santo oppure perchè convinto da una più attenta riflessione sul consenso registrato, in quell’aula e nel mondo, a elogio e difesa del piano. Ingenuità mia, ovviamente. Ma credo che sarà utile, a mia discolpa, pubblicare su eddyburg le poche (ma calorosissime) frasi che il Presidente pronunciò in quella sede. A pensarci adesso, mi viene il dubbio che ad esprimere quelle parole lo abbia spinto , più dei moventi che gli attribuivo, la severità dell’Aula; ma non vorrei trascolorare dall’ingenuità alla malignità.

Mi esprimerò sul documento in discussione quando avrò potuto esaminarlo con attenzione. Ma quello che i comunicati e i giornali hanno rivelato è sufficiente a chiarire il cambiamento generale di rotta (rispetto al PPR vigente e alla sua matrice culturale) nella visione della Sardegna, del suo futuro, e del ruolo che la tutela del paesaggio può svolgere. Come ha scritto Monia Melis su il Fatto quotidiano « nodo fondamentale è la mediazione tra “la tutela delle risorse primarie del territorio e dell’ambiente con le esigenze socio‐economiche della comunità, all’interno delle strategie di sviluppo territoriale e sostenibilità ambientale”. A chi parla di mediazioni tra oggetti diversi bisogna ricordare sempre che il risultato della mediazione dipende dalla diversa forza e consistenza dei due oggetti. Ed è indubbio che nella Sardegna e nel mondo di oggi, (e in particolare nella compagine di cui Cappellacci è espressione) la forza degli interessi economici basati sull’appropriazione d’ogni possibile bene riducibile a merce e suscettibile di arricchirne oggi il possessore è ben maggiore della forza degli interessi volti a riconoscere e tutelare il valore delle qualità che natura e storia hanno costruito, che è espressa dal paesaggio, e costituiscono la base di ogni possibile futuro

Italia Nostra non si unisce al coro di quanti ritengono che la revisione-cancellazione del PPR rappresenterà il motore dello sviluppo dell’economia sarda. Ritiene anzi che il processo di cancellazione della pianificazione paesaggistica regionale metterà ancora più in crisi la traballante economia della Sardegna.

Assistiamo all’ennesimo tentativo di “revisionare” il PPR giustificando tale scelta con slogan privi di senso e di fondamento economico. Continuare ad affermare che costruire inutili case lungo le coste dell’isola potrà rilanciare l’economia, significa non aver capito che proprio la bolla immobiliare è tra le principali cause di questa crisi economica. La distruzione delle coste, funzionale agli interessi di qualche imprenditore privo di scrupoli, darà il colpo di grazia alla stessa industria turistica della Sardegna.

Il Consiglio Regionale si accinge in questi giorni a derubricare la fascia costiera da bene paesaggistico a terra di conquista, trasformando le aree agricole in terreni marginali al servizio della nuova speculazione immobiliare. La “revisione” del vincolo paesaggistico presente sui colli di Tuvixeddu e Tuvumannu, inoltre, renderà nuovamente edificabili le aree attualmente tutelate.

Il Ministero dei Beni Culturali, parte fondamentale del procedimento, non può e non deve condividere l’annientamento delle misure di protezione esistenti.

Per rappresentare le “ragioni del paesaggio”, forse dimenticate da quanti si apprestano a demolire il più avanzato progetto di pianificazione paesaggistica realizzato in Italia, l’Associazione ha reiterato la richiesta, presentata più volte all’Assessorato Regionale all’Urbanistica e agli organi periferici del Ministero dei BBCC, di partecipazione alle riunioni di valutazione tecnica indette ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice Urbani e dell’articolo 49 delle norme tecniche di attuazione del PPR.

Italia Nostra ha, infine, ricordato che il mancato coinvolgimento dell’Associazione, in assenza di motivato diniego, rappresenta motivo di illegittimità degli atti adottati dalla Regione e comporta un concreto rischio di danno erariale, considerato che per il procedimento di revisione del PPR sono stati stanziati ben 14 milioni di euro.

Cagliari, 12 luglio 2012

Nel mese di maggio del 2006 la Sardegna si è dotata – Giunta Soru – di un Piano Paesaggistico che fissa le norme di tutela dell’unica ricchezza dell’Isola, il Paesaggio. Contro il Piano si scatenarono una parte dei Sindaci dei 380 comuni sardi, le forze politiche di opposizione e la sinistra edilizia. Un furore che generò centinaia di rabbiosi ricorsi amministrativi dai quali il Piano uscì indenne. Ci fu perfino un referendum regionale indetto dagli sviluppisti che furono bastonati. Insomma il Piano si rivelò una costruzione talmente solida che oggi resiste nonostante la stella polare della nuova Giunta sarda sia il mattone in ogni suo travestimento. Edilizia travestita da turismo, travestita da eco sostenibilità, travestita da falso bisogno. Piani urbanistici che prevedono crescite demografiche di fantasia, ma metri cubi reali. Ora vogliono un Piano paesaggistico che dica sì a tutto. E perderanno nelle aule dei tribunali.

In Sardegna appare ogni tanto, dal mare o dal cielo, qualche piccolo dio. Una volta nei panni di un principe ci dà specchietti in cambio della Costa Smeralda. Un’altra, nei panni del petroliere, ci dà fondi di bottiglia per mettere su raffinerie. Insomma, l’elenco delle apparizioni sacre è molto lungo. Regalavano fabbriche fallimentari e tossiche, sogni turistici e conti in rosso. Mai apparse Madonne.

Ora è la volta dell’emiro del Qatar il quale è il nuovo sire della Costa Smeralda e anche dei preziosi 2300 ettari inedificabili, grazie al Piano Paesaggistico, nel territorio di Arzachena, Principato della Costa Smeralda. Il Qatar, dice Amnesty, limita i diritti civili, specie delle donne e degli immigrati. Ma ha un Pil che sfavilla. E non è un Pil di cartapesta come il nostro. Petrolio e gas naturali. Così, per l’ennesima volta, la Sardegna, che non resiste a Pil luccicanti, né a prìncipi, emiri, sceicchi, petrolieri, è in vendita. E il primo atto per venderla senza intoppi consiste nel cancellare le regole del Piano Paesaggistico. A questo lavora la alacre Giunta sarda. Così organizza incontri segreti al vertice con l’emiro. E lassù, in cima, discutono clandestinamente del destino dell’Isola. Intanto molti sardi – appesa la fierezza al chiodo – sognano di vendere la loro terra e, nel silenzio dei discendenti di Lussu, sostengono l’idea di vendere le porzioni migliori all’emiro che non è tipo da mezze porzioni. In cambio avremo il territorio divorato, qualche posto di cameriere. E qualche garçon pipì locale, quello che tiene l’orinale al nobile, si ingrasserà un poco.

Ci siamo ricordati, vedendo tanta sottomissione, la tragica storia del capitano Cook. Il capitano venne considerato dagli hawaiani l’incarnazione del dio della fertilità. Ma quando gli indigeni compresero che il capitano non era un dio, lo fecero a pezzi e un capo tribù restituì le mani e qualche osso alla marina inglese. Eravamo nel 1779. Queste cose non accadono più e nessuno le augura. Ci contenteremmo di sardi che difendono la loro patria e non dimenticano «Vorremmo che che un popolo senza terra si dissolve nel nulla.

Il berlusconismo è resistente. Appiccicoso, come ampiamente previsto dai politologi. Resistono, seppure acciaccati, i modelli proposti con successo agli italiani. Tra questi gli scenari di uno stile di vita ammirato – le case dove pubblico e privato si intrecciano ancora – evocati nel film proiettato continuamente nelle aule dei tribunali.

Dell'iconografia berlusconiana rimarranno a lungo i cascami in Sardegna. La tenuta sarda di Berlusconi è ancora nelle cronache, concentrato di manipolazioni kitsch proposte in un crescendo imbarazzante – credo soprattutto per gli incaricati di accertare la coerenza con il paesaggio di tutta quella roba assurda che ci mette da anni. L' ultima puntata – il villaggio nuragico nel parco di villa Certosa – era prevedibile e non ci coglie impreparati. Non sorprende gli archeologi, più preoccupati giustamente per la dispersione in diverse sedi dei giganti di Mont'e Prama. Questa sì archeologia marketing, a dispetto di una cultura giuridica che non ammette lo smembramento dei reperti provenienti da uno stesso sito o delle collezioni d'arte.

Marketing come piace a Berlusconi, che non ha mai voluto interlocutori scienziati, estraneo e insofferente al dibattito sui beni culturali che ha visto Giolitti discutere con Croce, Bottai con gli intellettuali di «Primato», Spadolini con gli editorialisti del «Corriere», Urbani con Settis.

Sappiamo dei danni all'immagine del Paese prodotti dall'ex premier intento a dare retta al suo istinto, e ai consigli degli amici più estrosi. Inevitabile che si arrivasse prima o poi al punto: ad avvertire la necessità di cambiare registro, di prendere le distanze dai simboli di un passato diventato improvvisamente scomodo.

Non credo che conterà nel bilancio della stagione turistica in corso, ma una cosa è certa: la politica non farà passerelle in Sardegna questa estate, il cambiamento di rotta è indispensabile. In qualche caso rinnegare il passato da politici-villeggianti in Sardegna può servire a imputati e avvocati, per cui si minimizza il valore di beni al sole sardo, come fa Formigoni per allontanare i sospetti sulla (sua?) casa in Costa Smeralda (in un'altra fascia le mansarde della parlamentare leghista, da grigia periferia metropolitana come nei racconti di Giorgio Falco, più facilmente deprezzabili).

Così la politica per corrispondere ai nuovi modi annunciati – viva la sobrietà – deve stare alla larga dai lidi sardi, specie da quelli che rappresentano l'epopea berlusconiana, e da quel frastuono di incontri in Gallura che ha fatto dire improvvidamente a Giuliano Amato “troppa Sardegna nella vita politica italiana”. Sul «Corriere della Sera» (16 giugno 2012) un servizio sulle ferie estive dei ministri del governo Monti. Un messaggio eloquente per segnare la differenza col passato: per cui non c'è un ministro uno che atterri o veleggi nei pressi dell'isola; e anche il mare sembra bandito. Meglio laghi e montagne.

Troppa Sardegna? Credo che ci siano stati eccessi nella rappresentazione di una Sardegna fiction, di troppi luoghi finti sparsi dappertutto – anche più finti del villaggio nuragico di villa Certosa – una propensione a evidenziare continuamente gli artifici meno eleganti, e spesso pacchiani, per stare nel mercato.

Finito il grande show escono di scena protagonisti e comparse e guardie del corpo. E chiudono gli scenari più compromessi da quella continua ostentazione di volgarità. Chiude pure il “Billionaire”. Ma liberarsi da queste visioni non sarà facile. Cappellacci, uno dei resistenti del berlusconismo, annuncia ieri la imminente controriforma, un nuovo Ppr che accentuerà le contraddizioni dell'isola: per cui a distanza di pochi km dal cartello “vendesi una villa da molti milioni” non ti comprano un gregge di pecore lattifere neppure se ci aggiungi qualche ettaro di pascolo di prima qualità.

'Coniugare ambiente e sviluppo': uno slogan ripetuto con enfasi da esponenti di partiti fuori tempo massimo – come ha scritto su queste pagine Flavio Soriga con la consueta efficacia. Un'espressione svuotata di senso, mistificante perché non esclude le peggiori scelte contro il disgraziato territorio italiano (molto vulnerabile e troppo maltrattato – come sappiamo bene). C'è spesso malafede dietro queste parole. O l'inadeguatezza di chi pensa di cavarsela con quel guizzo linguistico buono per prendere tempo.

Per 'coniugare ambiente e sviluppo' si programmano grandi opere inutili, si dà il via a piani-casa, si promuovono iniziative con titoli fantastici. La Sicilia di Lombardo annuncia una sfacciata speculazione edilizia nei litorali con titolo 'Progetto per la salvaguardia del sistema costiero' dentro un 'Piano straordinario per la conservazione dei beni culturali'.

Chi usa queste formule ambigue sa che passa per moderato. Piero Bevilacqua nel suo «Elogio della radicalità» ha scritto di moderatismo: virtù suprema della politica che spintona tutti al centro sconsigliando ogni altra collocazione («Esso si fonda interamente, malgrado i vari scongiuri di rito, sul ’senso comune’ neoliberista: un insieme di convinzioni dottrinarie fra le più estremiste») .

La battuta di Totò – «E poi dice che uno si butta a sinistra» – nel film anni Cinquanta, è la sintesi di un'Italia bigotta: chi si sposta dal centro lo fa perché costretto suo malgrado a lasciare la rassicurante postazione, dove si sta tutti assieme badando a non perdere nessuno.

La distanza tra parole e fatti è “antipolitica”, contribuisce ad accrescere quel sentimento di sfiducia o di avversione per i partiti. Sconveniente soprattutto per la sinistra incapace di suscitare passioni, per la propensione a rendere vaghe le differenze tra un progetto politico e un altro, che nelle scelte urbanistiche annuncia i peggiori patteggiamenti.

Si veda la pubblicità di Cappellacci a leggi incostituzionali, e quindi estremiste; si legga la rappresentazione che il suo assessore all'urbanistica dà dell'azione di governo. Un quadro capovolto, per cui la sua circolare sulle case in agro passa per intransigente, più severa del Ppr – gulp – e invece è volta ad abrogare norme di salvaguardia della fascia costiera interpretando allegramente una legge contro il Ppr .

Questo lessico ingannevole sta trionfando. In questa campagna elettorale, ovunque serva chiarezza sui programmi di governo del territorio trovi l' idea di conciliare tutto. Chiunque può passare per ecologista e ottenere consensi qua e là.

Sentite come risponde alla stampa un candidato sindaco alla domanda sulla pressione dei costruttori. «Mi batterò – premette – per la conservazione dell'esistente e la riqualificazione di vaste zone». E poi prosegue indicando il sito costiero per ubicarci volumi «... ma senza assalti alle coste» – esaltando il suo progetto per – «alberghi da costruire verso l'interno, nella pineta». Nella pineta? verso l'interno? Che si può immaginare chissà quanto lontano dal mare, e invece la pineta – vittima designata – confina con la spiaggia e si estende per 200 metri. Evidente che «senza assalti alle coste» vuol dire che non si metteranno i plinti dei palazzi sulla riva. (Non importa chi, dove, di che parte politica: conta la mancanza di adeguate reazioni).

Il Movimento Cinque Stelle ha certamente difetti, ampiamente segnalati dai commentatori, ma l'impressione è che abbia adottato un linguaggio chiaro e diretto, forse alla base del suo successo tra i più giovani elettori, meno disposti a farsi raggirare, e che sui temi delle trasformazioni dei luoghi sono molto attenti. Forse pure dal comico Grillo qualcosa da imparare c'è: per i partiti che dicono di volersi rinnovare.

Le scenografie barocche sono allo stesso tempo festose e drammatiche, come sapevano i grandi papi e i parroci di campagna che hanno adottato per un paio di secoli quel linguaggio emozionale, adatto indifferentemente per matrimoni e funerali. Ma le foto degli arredi e dell' apparato decorativo della settecentesca chiesa di San Paolo di Olbia – capitale della Costa Smeralda – accatastati in un angolo dopo il crollo, procurano la solita sensazione di sconforto. Una sensazione accentuata dalla “inattualità” delle esauste dorature di quei decori che nel tempo delle candele apparivano scintillanti come oggi i neon negli shopping mall. Una sensazione che conosciamo bene - e alla quale ci siamo abituati: si prova ogni volta che una calamità o la trascuratezza variamente declinata provocano danni – spesso irrimediabili – a manufatti famosi o sconosciuti, che dicono comunque della fatica di artisti e artigiani chiamati a testimoniare i progetti di comunità orgogliose. Sono molti i responsabili, ognuno con la propria dose di noncuranza, della perdita di pezzi consistenti del patrimonio italiano. Ma non è interessante sapere ora se le colpe del degrado della chiesa di Olbia sono dei parroci, della gerarchie ecclesiastiche o delle istituzioni civili.

Interessa la specialità di Olbia in questa epoca smemorata ( che non è più colpevole di altre città disinteressate al destino dei propri beni culturali). E' un caso speciale, Olbia, insieme ad altri: un complesso paesaggio della modernità adatto a spiegare i paradossi sociali e urbanistici, cresciuti nel tempo della crisi globale.

Nel compendio naturale più straordinario della Sardegna, ha realizzato in tempi rapidi una enorme urbanizzazione contro la bellezza di quel luogo. Piegandolo alle esigenze del mercato che dappertutto lascia poco tempo per occuparsi del paesaggio o della storia che resiste – documentata da quelle pochissime cose superstiti e per questo preziose come quelle sculture lignee mangiate dai tarli. Poche vecchie cose, malamente inglobate nella crescita feticcio, che meriterebbero una cura puntigliosa e spesso spese inferiori di quanto si immagina.

Colpisce la contraddizione: affiora normalmente nelle corti del lusso che esibiscono sguaiatamente le differenze tra ricchezze e miserie e quindi le spese superflue a dispetto di bisogni essenziali inascoltati.

D'altra parte è naturale domandarsi come sia possibile non disporre di qualche decina di migliaia di euro nel territorio dove atterranno continuamente sceicchi e nababbi, dove una casa può costare cento milioni di euro, e con il conto di una festa vip e cafona ci paghi il lavoro di un restauratore per molti mesi.

Il rischio in casi come questi, evidenziato dagli studiosi di società, è quello di perdere l'orientamento a cominciare dalla memoria di sé. E le città senza memoria, proprio come gli uomini, impazziscono senza rimedio. In questo quadro difficile meritano molto rispetto le fatiche degli amministratori olbiesi, ma l'entusiasmo acritico per la misura urbana che a decine di ettari per volta vola verso il raddoppio, appare francamente eccessivo («La Nuova Sardegna» del 9 maggio).

La vicenda dell'altare crollato rimanda inevitabilmente alla manifestazione «Monumenti aperti», in corso con risultati sorprendenti. Le file a Sassari e a Cagliari, e domenica scorsa a Alghero, per visitare architetture ben conservate ma pure brandelli di muraglie – testimoni di negligenze di altri tempi – ammoniscono contro gli sperperi odierni. I sindaci (e i vescovi per ciò che compete loro) dovrebbero trarre insegnamento da questa onda lunga di attenzione appassionata, che raramente si manifesta in modi così determinati. L'attesa di centinaia di persone per vedere l'abside mutilata di una cappella o un fortino dell'ultima guerra va oltre la curiosità suscitata da una iniziativa di successo.

Con la sentenza n. 421/2012, pubblicata lo scorso 2 maggio, il Tar Sardegna ha respinto il ricorso della società Coimpresa nei confronti del decreto 8 luglio 2010, n. 81, con cui il Direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna aveva dichiarato l'immobile denominato "Complesso Minerario Industriale di Tuvixeddu", di proprietà del Comune di Cagliari e della Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., di interesse culturale, storico e artistico ai sensi degli articoli 10 e 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, con i conseguenti vincoli di tutela previsti da tali norme.



Come si legge nella sentenza, l’intervento di tutela riguarda i beni mobili e immobili utilizzati, dagli ultimi anni del secolo XIX fino agli anni ’60 del secolo scorso, per l’esercizio di una cava di materiale calcareo, tanto che l’area è stata inquadrata nell’ambito dei “siti di interesse minerario”, ai sensi del D.lgs 22 gennaio 2004 n. 42. Si tratta dell’area del "Catino", quella del "Canyon", nonché una vasta “area centrale”, ampiamente interessata da opere di urbanizzazione previste nel piano attuativo dell'accordo di programma del 2000.

Il nuovo vincolo interessa 12 ettari circa dell'intero compendio e, come ricorda lo stesso Tar, si aggiunge, e si sovrappone nelle rispettive aree, al più esteso vincolo paesaggistico (50 ettari) contenuto nel P.P.R. del 2006.

Il medesimo organo di giustizia amministrativa non ha trascurato di mettere in risalto, nel trattare la complessa questione, la portata della assai nota sentenza n. 1366 del 26 gennaio 2011 del Consiglio di Stato, che aveva ritenuto legittimo il vincolo di inedificabilità (di natura paesaggistica e non culturale) posto dal Ppr sul complesso delle aree di Tuvumannu - Tuvixeddu, in attesa dell'adeguamento del Puc del comune di Cagliari alle prescrizioni dello stesso atto di pianificazione paesaggistica regionale (art. 49 norme attuazione del Ppr).

Sarà bene ricordare che la sentenza del Consiglio di Stato n. 1366/2011 aveva ribaltato, annullandola, la contraria posizione del Tar Sardegna, espressa con la sentenza del 13 dicembre 2007, n. 224, che aveva invece ritenuto inapplicabile l'articolo 49 delle norme di attuazione del Ppr, salvaguardando così il piano di Coimpresa e del comune di Cagliari contenuto nell'accordo di programma del 2000. Per sgombrare il campo da equivoci lo stesso Tar si è ora visto costretto a precisare, nella decisione appena pubblicata, che il vincolo paesaggistico del Ppr su Tuvumannu - Tuvixeddu "essendo stato confermato da una sentenza avente valore di giudicato, è tuttora valido ed efficace", e ciò pur "dopo che per molti anni le diverse amministrazioni coinvolte avevano avvallato la realizzazione dell’intervento edilizio proposto da Coimpresa"



Nel negare alla radice "la prevalenza delle aspettative privatistiche formatesi in relazione ai pregressi provvedimenti di contenuto favorevole" sul "persistente interesse pubblico ad una piena tutela dei beni culturali e paesaggistici", ha afferma inoltre il Tar, quanto alla tanto declamata supremazia dei diritti edificatori pregressi dei privati (Coimpresa) su quelli generali di tutela del paesaggio in capo alla collettività:



- che numerose delle opere previste nell'accordo di programma del 2000 "non sono state ad oggi completate e ciò ulteriormente giustifica un intervento di tutela che l’Amministrazione statale basa su di una disposizione normativa - il decreto legislativo n. 42/2004 – che ha innovativamente inserito i “siti minerari” fra le categorie di beni per i quali è possibile procedere ad una valutazione di notevole interesse culturale";



- "che l’Amministrazione, pur in presenza di atti che in precedenza hanno radicato interessi privati all’utilizzazione del territorio, resta comunque titolare del potere-dovere di adottare i provvedimenti necessari ad una piena tutela dei beni affidati alle sue cure";



- che "come recentemente osservato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana (sentenza 10 giugno 2011, n. 418), “la disciplina costituzionale del patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9 Costituzione) erige la sua salvaguardia a valore primario del vigente ordinamento”, tanto che “l’imposizione del vincolo non richiede una ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi con l'introduzione del regime di tutela, neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato sia stato contenuto nel minimo possibile”.



Si tratta affermazioni di così ampia portata chiarificatrice, quelle del Tar, tali da indirizzare una potente luce, ove ce ne fosse stato bisogno, sulla questione relativa all'efficacia o meno dell'accordo di programma per Tuvixeddu del settembre del 2000 a fronte dell'intervenuta sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato. Che quell'accordo fosse divenuto inefficace con l'entrata in vigore del Ppr della Regione nel settembre del 2006, pareva chiaro dalla lettura della citata sentenza n. 1366 del 2011. Ma una strana nebbia aveva d'un tratto avvolto l'intera questione.



C'erano infatti coloro - dai giornalisti bloggers poco propensi agli approfondimenti necessari agli studiosi di diritto a loro dire imparziali sino ai politici disinteressati a cui (a tutti loro) mi sia consentito dare comunque il beneficio della buona fede - che anche dopo quella sentenza avevano continuato a ritenere che nulla fosse mutato, ritenendo l'accordo di programma del 2000 ancora efficace a norma dell'articolo 15 delle norme di attuazione del Ppr, che faceva salvi gli interventi previsti in strumenti urbanistici attuativi approvati mediante convenzione di lottizzazione efficace prima dell'entrata in vigore dello stesso Ppr. 



Alcuni di essi avevano anche citato, a sostegno delle loro disquisizioni, le sentenze del Tar Sardegna n. 541 e 542 del 20 aprile 2009, che avevano fatto salvo l'accordo di programma del 2000 proprio attraverso articolo 15 delle norme di attuazione del Ppr. Ignoravano però, e spero che di ignoranza si tratti, che entrambe le sentenze del Tar Sardegna erano state successivamente annullate dal Consiglio di Stato (sentenze n. 538/2010 e n. 1491/2010) che aveva invece ritenuto prevalenti "le prescrizioni introdotte dal Ppr per il corrispondente ambito di paesaggio". 



Resta ovviamente aperta - e il Tar lo sottolinea - la questione della copianificazione (Regione, Comune di Cagliari, Sovrintendenza beni culturali e paesaggistici) relativa al sito, previa "valutazione, coordinata e complessiva, delle soluzioni allo stato concretamente adottabili". E qui il Tar cita ancora la sentenza n. 1366/2001 del Consiglio di Stato secondo cui “la regolamentazione definitiva dell’area è rinviata ad un’intesa tra Comune e Regione, fermo che all’interno dell’area individuata è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi, e una fascia di tutela condizionata".



A parte il PAI (piano di assetto idrogeologico) approvato dalla Regione nel 2006, che già da solo aveva reso inedificabile il 40 per cento circa delle volumetrie del piano di Coimpresa, pur nell'imbarazzante e perdurante silenzio dell'allora sindaco Emilio Floris, della sua giunta e dei dirigenti comunali che avevano fatto finta, da prima, di ignorare i vincoli di inedificabilità del Pai e, successivamente, messo in essere la pantomima della rinuncia da parte di Coimpresa a costruire laddove comunque non avrebbe potuto farlo, con tanto di delibere di giunta e del consiglio comunale in scadenza ad accogliere i desiderata della società costruttrice divenuta d'un tratto rispettosa delle aree paesaggisticamente più delicate.



I pronunciamenti giurisprudenziali del C. di Stato ed ora del Tar dovrebbero rendere meno arduo, nella definizione degli atti di tutela del sito Tuvumannu-Tuvixeddu, il compito del comune di Cagliari e del suo sindaco Massimo Zedda, al quale va dato atto, nella vicenda dell'apposizione del vincolo minerario, di aver rinunciato al giudizio davanti al Tar revocando la costituzione in giudizio del 26 novembre 2010, contro gli atti del Sovrintendente Tola, decisa dal suo predecessore Emilio Floris. Un importante atto politico che ci aiuta a sperare nell'azione di tutela e valorizzazione, non solo nell'interesse della città di Cagliari, dell'importante compendio. 


Da qualche decennio il racconto su Costa Smeralda si replica a traino della prima compiaciuta versione dei fatti: la favola del principe venuto per caso dal mare, che si innamora della Sardegna e via dicendo, che inorgoglisce i sardi ai quali il cuore batte forte se gli dici che l'isola è bella e ospitale.

E' forte il patto per non rompere l'incantesimo. Si sorvola sugli aspetti che possono guastare l' aura aristocratica, già messa a dura prova da mediocri billionaire. Meglio non fare troppo caso alla prosa dei bilanci: anche se Costa Smeralda come tutte le imprese si basa sui conti, che o tornano o non tornano. E che scompaiono sovrastati dal mito avvincente della vacanza (com'è in molta letteratura tra Otto e Novecento che ha come scenario i luoghi di villeggiatura). I conti sono da sempre dettagli marginali nelle rappresentazioni di Costa Smeralda. E i passaggi di mano – da Aga Khan a ITT, Starwood, a Colony Capital di Tom Barrack – sono abilmente presentati come normali avvicendamenti tra ricchi nella amministrazione della leggenda: i debiti ereditati sono il giusto fardello per chi assume il prestigioso compito. Non importa se chi lascia si dimentica di spiegare in modo circostanziato il bilancio in rosso.

E' antipatico – lo so – ricordare che Karim Aga Khan è stato costretto ad abdicare per un buco notevole nei conti, come hanno scritto i giornali all'epoca. Se ha perso il controllo di Costa Smeralda è perché Ciga Immobiliare era gravata da uno scoperto di molte centinaia di miliardi di lire, per cui il patrimonio è passato in maggioranza a ITT Sheraton con l'assistenza di Mediobanca. Nello sfondo la protesta dei soci Fimpar contro la gestione dell'impresa, culminata nella infuocata assemblea di Milano del febbraio 1994.

Parlarne non toglie nulla ai meriti del principe e ai bei ricordi, e l'appello accorato “Aga Khan ritorna”, rilanciato ciclicamente, è immemore – occorre dirlo – e per molti versi incomprensibile. Come il titolo “Sardus Pater” che la Regione gli ha consegnato l'anno scorso in una cornice surreale.

Tom Barrack esce oggi di scena con oltre 200 milioni di euro di debiti (e nessuno gli chiede di restare). L'emiro del Qatar Al Thani subentra, e soddisfa – pare – l'attesa di continuità almeno sul piano simbolico. Nuovo giro senza un chiarimento, non un piano industriale, per dirla con il linguaggio sindacale, ma neppure una lettera d'intenti, per ora. Alle istituzioni locali basta sapere che il nuovo padrone è uno degli uomini più ricchi del pianeta, confermando la tradizione; mentre c'è chi ricorda che il presidente della Regione Cappellacci è stato in Qatar con l'ex ministro degli Esteri nel novembre 2010.

La cifra da versare non è poca cosa, nonostante la solidità dell'emiro che difficilmente compra Costa Smeralda per amore, specie se si considera che il valore stimato del patrimonio è circa tre volte il debito accumulato. Una valutazione che si capirà col tempo: se e in che misura hanno influito gli ottimi indicatori sul ricavo medio per camera venduta e le voci sulle destinazioni urbanistiche che interpretano annunci, sentenze, impugnative del governo.

Sarebbe insomma interessante sapere se e come è stato rassicurato l'emiro che si impegna a ricapitalizzare. E da chi. E se per caso sia entrata nella trattativa la solita ipotesi di riavviare il ciclo edilizio nei 23mila ettari di proprietà. Se si disponesse di un' analisi del bilancio previsionale dell'impresa, svolta da specialisti, potremmo capire il senso del nuovo corso, che immaginiamo stia, grosso modo, tra buone intenzioni di potenziamento della ricettività e confuse promesse di modifiche del Ppr; quindi con il solito rischio che si chieda al paesaggio sardo di sacrificarsi per aiutare l'investimento del Qatar.

Siamo in tanti – curiosi di sapere come andrà a finire – a seguire con attenzione le poche notizie che filtrano sulla revisione del piano paesaggistico regionale. Molti i pregiudizi dopo le dichiarazioni di guerra al Ppr e la mano pesante usata nell'approvazione di leggi (piano-casa e sul golf) rintuzzate dal governo Berlusconi – nientemeno ! – e dal governo Monti. Non è servito il prologo “Sardegna nuove idee” pensato per sollevare una cortina fumogena, e neppure le acrobazie dei pubblicitari sono rassicuranti. Siamo e saremo molto diffidenti. Capita spesso di sentirlo: “io non sono razzista, sono pacifista, non sono omofobo, ma...” ed è quel “ma” che dice tutto, ben più di ogni premessa.

Chi ha letto i comunicati di Cappellacci è avvertito: sa che c'è di mezzo il linguaggio doppio della politica e che l' espressione “coniugare ambiente e sviluppo” – uffa – lascia ampi gradi di libertà ed è tutt'altro che tranquillizzante. Colpisce ora il nuovo corso affidato all'assessore all'urbanistica che annuncia il gran finale. I toni sono a tratti così apertamente distanti dagli antefatti da sembrare il frutto di un ravvedimento profondo. Ma occorre leggere bene, tra le righe. Nel sito della Regione, in una nota del 27 febbraio, si giura fedeltà ai nostri valori, e «di tutelarne le peculiarità storiche modulandole con la modernità e le innovazioni tecnologiche legate al sistema edilizio». Molto disinvolta l'investitura dell'edilizia chiamata a modulare la storia, ma aspettate. In un'altra nota – La Nuova Sardegna del 21 marzo – dopo la solita tiritera ecco il “ma”, anzi due “ma”. Dichiara l'assessore «che il punto di partenza è la tutela dell'ambiente e del paesaggio ma (primo “ma”) non in modo conservativo assoluto ma (secondo “ma”) con una politica di valorizzazione e fruizione del territorio anche in una logica di sviluppo economico». Chiarissimo: la tutela indifferibile – secondo il Ppr – per ampie categorie di beni paesaggistici dovrà assecondare il mercato.

Sono però passati tre anni dalla notifica sull'avvio della revisione del Ppr e nulla si è visto di concreto. Nel frattempo il movimento che si oppone a questa idea ha ottenuto risultati insperati che la politica dovrebbe valorizzare. Una serie di provvedimenti – su Tuvixeddu e di recente su Capo Malfatano – dimostra la impudenza e insieme la debolezza delle argomentazioni di chi in questi anni ha pensato di dare la spallata ad ogni vincolo paesaggistico. Ma non sarà facile sbarazzarsi di principi confermati in numerose sentenze di tribunali amministrativi. E le mediazioni al ribasso non saranno possibili (anche questo ce lo chiede l'Europa!).

Il governo del territorio è stato principale argomento di scontro in Sardegna e occorre riconoscere che il tempo comincia a dare torto agli “ambientalisti col ma”, anzi con sequele di “ma” (sedicenti ambientalisti che ci mettono poco ad accettare in riva al mare o ai bordi di un complesso archeologico ignobili speculazioni edilizie). Ricordiamolo tenendo nello sfondo le proposte di visita del Fai a beni paesaggistici che fortunatamente resistono, che affiorano dove non ti immagini ma rischiano di essere travolti o resi irriconoscibili.

Con tutte queste risorse patrimoniali, con queste figure resistenti occorre confrontarsi, sapendo che da come si tratta il territorio oggi dipende il modo con cui ci presenteremo alle generazioni future. Serve a questo punto un confronto netto, possibilmente senza preamboli ingannevoli. Cosa sottintendono i “ma” lo abbiamo capito, più o meno.

Mentre il sidaco Zedda dà segnali che indicano un positivo recepimento delle critiche alle incertezze dimostrate sulla questione Tvixeddu-Tuvumannu, l’autorevole consigliere comunale PD Andrea Scano, presidente della commissione urbanistica, emana una fatwa che avremmo forse inserito nel nostro “stupidario”. Gli ha replicato il nostro opinionista Giorgio Todde, il cui intervento avremmo inserito, coe di consueto, nelle “opinioni”. Mediando tra le due collocazioni inseriamo entrambi i pezzi in una cartella più neutrale.

Non siamo cementificatori

di Andrea Scano

Alcuni hanno interpretato la complessa e intricata vicenda di Tuvixeddu in una maniera che oserei dire mistica. O forse, meglio ancora, manichea. Per costoro esistono due principi opposti: la Luce e le Tenebre. La Verità e la Menzogna. Ovviamente, costoro sono assolutamente certi di essere portatori di Luce e Verità. Ai loro occhi gli altri, i diversi, appaiono soltanto demolitori di stadi, costruttori di inutili opere (quali i campus universitari…) e cementificatori senza scrupoli.

Questi personaggi sono vittime di un’ossessione: spararla grossa per produrre effetti sensazionali. Perdono così il contatto con la realtà (che molto più frequentemente è fatta di sfumature, possibilità, gradazioni di luce e colore). E perdono, conseguentemente, la possibilità di incidere sulla realtà stessa. Ma non importa: se la filosofia è “Ciò che non è sensazionale non è reale”, allora ogni iperbole è valida, ogni estremizzazione è giustificata. Francamente mi viene difficile pensare al sindaco Zedda, alla sua giunta e a noi consiglieri di maggioranza, come a una congrega di cementificatori che, armati di ruspe e betoniere, si apprestano a devastare ciò che rimane di Cagliari. Forse qualcuno degli Apostoli della Luce si sarebbe aspettato soluzioni pronte in tempi rapidissimi su tutti i “grandi temi” che riguardano la città: metropolitana-piano centro storico-lungomare Poetto-raccolta differenziata-baretti-anfiteatro-housing sociale-Molentargius-periferie-stadio-Tuvixeddu-adeguamento PUC a PPR tutto e subito. La Luce che si impone con forza e immediatezza sulle Tenebre… Mi dispiace deluderli: ci stiamo lavorando, ma occorreranno tempo, pazienza e disponibilità a qualche compromesso. Purtroppo chi ha un approccio di tipo dogmatico, da Verità Assoluta, non è interessato a risolvere concretamente i problemi. E’ appagato dal poter ribadire in maniera intransigente la propria posizione di principio. Che, ai suoi occhi, appare come l’unica connotata da caratteristiche di Verità e di Luce.

Si parla tanto dell’adeguamento del PUC al PPR. E’ necessario e doveroso farlo. Ma con questo adeguamento non sarà possibile ottenere per magia “zero metri cubi di cemento e un parco pubblico gratis subito”. Piacerebbe tanto anche a noi, ma la realtà è diversa. Nella realtà ci dovrà essere un accordo tra comune, regione, soprintendenza. In una cornice costituita da legittimi interessi pubblici e da interessi, altrettanto legittimi, dei privati.

Mettere insieme tutte queste istanze per produrre un risultato (e non chiacchiere) comporta la disponibilità a porsi da un altro punto di vista. E’ necessario rinunciare a tutte quelle “lettere maiuscole” per riuscire a leggere una realtà fatta di luci e ombre (scritte con lettera minuscola); luci e ombre che spesso si mischiano e confondono. Per risolvere i problemi concreti servono volontà, capacità e coraggio. Anche il coraggio di togliersi l’elmetto, quando è necessario.

Compromesso e Mediazione

di Giorgio Todde

La Giunta insonorizzata che governa Cagliari commenta con parole frugali e prudenti la propria azione. Non sappiamo quindi – speriamo di no - se abbia affidato un messaggio in bottiglia al Consigliere Andrea Scano sulla Nuova del 20 febbraio e neppure a chi quest’ultimo si rivolgesse con il suo elaborato. Mancava il destinatario.

Ne abbiamo, comunque, apprezzato la forma. Non abbiamo potuto apprezzare i contenuti perché, per quanto li abbiamo cercati, non ne abbiamo trovato.

Nel sermone contro “mistici” e “manichei” il Consigliere dimentica il proprio periodo mistico quando se la prendeva “col sindaco Emilio Floris per essersi schierato coi costruttori”. Reclama il solito “lasciate lavorare il centravanti”. E le altre sparate le affidiamo alla misericordia del lettore.

C’è un’unica parola che non fa sorridere nella sua omelia: la parola “compromesso”. L’abbiamo sentita troppe volte e mette paura.

Ma il Consigliere trascura ogni cenno al merito delle questioni sollevate da questo giornale. E al merito noi ci atteniamo.

Il Consigliere non ha potuto trovare nello scritto del 6 febbraio sulla Nuova una parola che non fosse sostenuta da un solido argomentare, anche giuridico. Provi a smentire. E non nell’etere, ma sulla carta stampata.

Cosa racconta, il Consigliere, del parcheggio sotto le mura? Del progetto del Campus? Nessuno è contro un Campus, ma quel progetto è un mostro. E cosa argomenta sulla delibera Tuvixeddu, attesa in Consiglio da un’opposizione entusiasta? E’ la delibera ad aver destato preoccupazione e non l’intervento apparso sulla Nuova.

Nella delibera è detto chiaro che l’area di tutela integrale può consistere nel solo francobollo della necropoli e del catino, già tutelati dal ’96. Che si possa ridurre il raggio della tutela a meno di cento metri dalla necropoli. Che si deve ottemperare al Piano urbanistico comunale il quale prevedeva 270.000 metri cubi per l’impresa e 120.000 di servizi. E cosa significa questo, se non che si può costruire a ridosso della necropoli?.

Che sulla questione Tuvixeddu occorra una mediazione appare ovvio anche a un bimbo e tutti prendiamo atto delle dichiarazioni confortanti del Sindaco sull’inedificabilità dei due colli. Tanto più che i Tribunali hanno ormai chiarito quasi tutto, salvo certi aspetti penali. Ora si deve agire, sì, ma nella direzione indicata dalle sentenze e sarà necessaria una sapiente mediazione, forti delle “posizioni” conquistate.

Siamo contenti di avere un piano di utilizzo del Poetto non più terra (nera) di nessuno, contenti che non si faccia il parcheggio rovinoso in via Roma, che si rimuovano i tavolacci dall’anfiteatro. Assai contenti dell’annunciato adeguamento del nostro Piano urbanistico al Piano paesaggistico. E vedremo come si dipanerà.

Ma – tralasciando delibera, parcheggi, vuoti urbani, successi e intenzioni – oggi vediamo Tuvixeddu malconcio. Il bianco dei colli contaminato, il fascino dei luoghi sfumato, sepolture intercettate da fioriere faraoniche, un avvilente snaturamento del sito che fa rimpiangere quello che avremmo dovuto conservare e che continuiamo a cancellare. A Tuvixeddu si deve vedere Tuvixeddu e non lo smisurato progetto del Parco. Ci aspettavamo una “mano” diversa, un’altra attenzione e la modifica di quel progetto. E’ ipocrita piangere Lilliu – anche lui “mistico-manicheo” della tutela integrale – e ignorare la sua lezione trasformando una necropoli in giardinetto.

L’esercizio della critica non è un agguato. Noi sosteniamo la Giunta anche con la critica e non predicando il funesto compromesso universale. Quanto alle idee del Consigliere Scano continueremo a cercarle nei suoi scritti. Prima o poi le troveremo. Per ora sentiamo nelle sue parole le stesse intonazioni, ma più scortesi, di chi lo ha preceduto al governo cittadino. Sarà questa la continuità.

La necropoli fenicia di Cagliari torna al centro della polemica politica e divide il fronte che ha sostenuto il sindaco Massimo Zedda. Motivo dello scontro una delibera comunale sospettata di voler riaprire le porte alla speculazione di Tuvixeddu

Torna l'incubo cemento sulla necropoli di Tuvixeddu? A Cagliari si spacca il fronte che ha sostenuto il sindaco Massimo Zedda, vendoliano, e che sulla difesa delle tombe dall'assedio di 270 mila metri cubi di palazzine sembrava compatto. La giunta ha approvato una delibera che Italia Nostra giudica quanto meno ambigua, se non illegittima, e che chiede di ritirare. Nella maggioranza di centrosinistra si odono mugugni, mentre il primo cittadino incassa il sostegno dal gruppo di centrodestra che ha espresso il suo rivale alle elezioni, Massimo Fantola.

La questione è complicata, come tutta la vicenda di questi pregiatissimi colli che sorgono nel centro del capoluogo sardo e sui quali dal VI secolo a. C. fino all'età imperiale sono state scavate migliaia di tombe. Ma la si può ridurre, la questione, a un perimetro: quanto grande deve essere l'area di inedificabilità assoluta per stroncare le mire di chi vorrebbe premere sulla necropoli con una selva di edifici? Il perimetro deve comprendere la sola zona tutelata da un vincolo archeologico, già in vigore da anni e dove non si può costruire nulla? Oppure una zona più vasta, una cinquantina di ettari all'interno dei centoventi vincolati nel Piano paesaggistico dall'allora governatore regionale Renato Soru e che consentirebbe alle tombe di respirare, di essere cioè circondate da una fascia di rispetto, oltre che di struggente fascino?

Maria Paola Morittu, responsabile della Pianificazione territoriale di Italia Nostra, e un gruppo di intellettuali alla cui testa c'è lo scrittore Giorgio Todde (autore di un duro articolo su La Nuova Sardegna [e su eddyburg.it n.d.r.]) insistono per la tutela più vasta. E su questo punto pareva che anche l'amministrazione Zedda fosse assestata. Tanto più dopo una sentenza del Consiglio di Stato del marzo 2011 2 che dava pienamente ragione agli ambientalisti. La salvaguardia di Tuvixeddu è stata inoltre uno dei punti del programma elettorale 3con il quale il centrosinistra ha vinto le amministrative. Seguite, appena qualche mese dopo, dalla decisione della nuova giunta di non affiancare i costruttori nei contenziosi giudiziari (a differenza del governo cittadino di centrodestra).

Ma ecco spuntare la delibera della discordia, che contiene alcuni passaggi molto contestati. In essa si sostiene, ad esempio, che "per le aree comprese nel vincolo occorre valutare la compatibilità delle previsioni del PUC vigente (il Piano urbanistico comunale del centrodestra, n. d. r.) con la disciplina dello stesso vincolo". Oppure che "la fascia di tutela integrale possa essere fatta corrispondere con la superficie del bene sottoposto a vincolo ministeriale" (quale vincolo ministeriale? Quello archeologico? Si domandano preoccupati gli ambientalisti). O, ancora, si afferma la possibilità di ridurre la fascia di tutela, tutela che "dovrà in ogni caso tener conto delle destinazioni urbanistiche individuate dal PUC". Cioè, di nuovo, del Piano urbanistico della precedente giunta.

Al di là delle formule tecniche, il timore degli ambientalisti è che si voglia piegare il Piano paesaggistico di Soru, molto stringente, al Piano comunale approvato dalla giunta comunale di centrodestra, e non il contrario ("come sarebbe obbligatorio, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato e del Codice dei beni culturali", sottolinea Maria Paola Morittu). Con la conseguenza che prevarrebbe il perimetro stretto di tutela e che, come voleva la vecchia amministrazione, si consenta la costruzione dei palazzi. "È la tutela francobollo", dice Todde.

La reazione di Zedda alle critiche è molto netta. "Noi vogliamo esattamente l'opposto. E con un'altra delibera avvieremo l'adeguamento del piano comunale a quello regionale", risponde il sindaco. "Per Tuvixeddu non ce la facciamo, da soli, a fronteggiare eventuali risarcimenti chiesti dai costruttori. Solo per l'annullamento di una piccola porzione del loro intervento, vogliono 12 milioni. E poi c'è l'Ici che hanno pagato. Deve intervenire la Regione. E noi puntiamo a trovare un intesa. Le accuse al Comune sono ingiuste, devono essere indirizzate alla Regione. Il nostro obiettivo resta quello della salvaguardia integrale di Tuvixeddu". "Ma allora perché nella delibera si insiste sulla possibilità di ridurre l'area di tutela? E poi i vincoli paesaggistici non prevedono risarcimenti, ma solo il rimborso delle somme già versate per le eventuali opere di urbanizzazione", incalza Morittu.

L'area della necropoli 5 è dentro un contesto di paesaggio che si vuole a tutti i costi mantenere intatto. E non solo per consentire la fruizione di un patrimonio archeologico che dall'età punica arriva all'Alto Medioevo, che ha pochi paragoni in tutto il Mediterraneo e che è tuttora quasi impossibile visitare. Ma anche perché da Tuvixeddu al colle di Tuvumannu e poi a quello che chiamano il Canyon, lo spettacolare, profondo taglio di tutta l'altura, è riconoscibile un sistema unitario, fatto di cavità naturali e di una foltissima vegetazione, luogo di culto dove nei secoli si sono praticate anche molte attività, da quella mineraria (esiste una specifica tutela per questo aspetto) a quella di cava. Tutt'intorno si è costruito in maniera dissennata, in particolare lungo via Sant'Avendrace dove sono sorti edifici che sovrastano le sepolture. Palazzi sono cresciuti anche su via Is Maglias, una via che, spiega l'archeologo Alfonso Stiglitz "ricalca esattamente un'antica strada che percorreva quella che si configura come una valle naturale tra le due cime del colle (Tuvixeddu a ovest e Tuvumannu a est), una strada funeraria di età punica ancora perfettamente leggibile, nonostante i devastanti interventi edificatori, ancora in corso".

Altri palazzi si vorrebbero costruire. La battaglia per evitare il saccheggio dura da anni, a colpi di ricorsi e di denunce, con l'allora Direttore regionale dei Beni culturali Elio Garzillo e l'allora Soprintendente Fausto Martino in prima fila. Nel marzo scorso la sentenza del Consiglio di Stato, che si era pronunciato a favore di una tutela molto estesa, e poco dopo l'elezione di Massimo Zedda, sembrava avessero messo fine ai progetti edificatori. Ma le mire degli immobiliaristi sono incontenibili. E i valori monetari di questo lembo della città elevatissimi.

postilla

Speriamo che giuristi avveduti tranquillizzino il sindaco Zedda e gli spieghino che il comune non ha nulla da pagare a causa di una legittima modifica dell’utilizzabilità edilizia dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu. Eddyburg chiede ai suoi amici giuristi di aiutarci a tranquillizzare il giovane sindaco. Non vorremmo che il terrorismo di presunti giuristi abbiano o stesso effetto distorcente della verità che provocò la propaganda dei cosiddetti “diritti edificatori” (e.s.)

C’è un giudice a Cagliari”, potranno dire adesso i sardi, autentici e d’adozione, che per anni si sono battuti contro lo scempio edilizio di Capo Malfatano. Solo che il mugnaio di Potsdam a Berlino aveva ottenuto giustizia dal sovrano, Federico il Grande per l’esattezza. A Cagliari sono stati i magistrati del Tar della Sardegna a fermare una speculazione terrificante che da oltre dieci anni sembrava marciare spedita con il compiaciuto consenso del sovrano, il comune di Teulada, e la sospetta distrazione della Regione.

In un angolo di paradiso incontaminato, lungo la costa sud-occidentale dell’isola, tra Pula e Capo Spartivento, una variegata compagine di cavalieri del cemento come Silvano Toti, il gruppo Benetton e la Sansedoni (gruppo Montepaschi), stavano costruendo fino a ieri un insediamento turistico da 190 mila metri cubi, pari, se volete farvi un’idea, a dieci palazzi di dieci piani. A fine lavori la gestione del prestigioso “resort” era destinata alla Mita Resort di Emma Marcegaglia. Se il Consiglio di Stato confermerà la sentenza del Tar, arriverà l’ordine di demolizione di quanto edificato fino a oggi.

Al posto del mugnaio di Potsdam, in questa che sembra una favola per far restare i bambini a bocca aperta, c’è un pastore ultraottantenne, Ovidio Marras, che parla un sardo così coriaceo da dover essere sottotitolato nelle rare interviste televisive. Ovidio, che in spregio a Mario Monti ama il posto fisso, ha sempre praticato la pastorizia a Capo Malfatano. E davanti a casa sua c’è uno stradellino su cui vanta da sempre un diritto di compossesso. La Sitas dei suddetti imprenditori non se n’è fatta un problema, e sopra lo stradellino ha costruito un lussuoso albergo.

Il pastore si è rivolto al Tribunale di Cagliari, sostenendo che non potevano costruire senza il suo permesso, e che lui il permesso non lo dava perché voleva continuare a fare la strada dritta anziché il giro largo seppure asfaltato. Il pastore Marras ha fatto un 700, come dicono i principi del foro, un ricorso d’urgenza di quelli con cui normalmente sono i grandi imprenditori a scambiarsi fendenti milionari. Ovidio, pur protestando in sardo, ha avuto ragione in italiano. I giudici hanno ordinato alla Sitas di demolire l’albergo e ripristinare lo stradellino del pastore.

Nel frattempo una militante di Italia Nostra, Maria Paola Morittu, fiancheggiata dal combattivo medico-scrittore Giorgio Todde, molto popolare in Sardegna, stava preparando un altro colpo di mortaio contro il cemento di Capo Malfatano. “Quando ho visto per la prima volta i cantieri vicino alla spiaggia di Tuerredda, a ferragosto del 2010, mi sono venute le lacrime agli occhi”, racconta adesso che ce l’ha fatta. Si è messa al lavoro utilizzando la sua laurea in giurisprudenza e ha convinto i vertici nazionali di Italia Nostra a impugnare davanti al Tar le delibere comunali e regionali alla base della cementificazione.

Ieri è stata pubblicata la sentenza con la quale i giudici amministrativi hanno dato ragione a Italia Nostra, annullando quattro delibere chiave: una sentenza che rende di fatto abusivo tutto l’insediamento.

In effetti, scorrendo la sentenza, c’è di che rimanere esterrefatti. Nel 15 febbraio 2002 Sitas srl inviò all’assessorato per la Difesa dell’Ambiente della Regione Sardegna quattro distinte istanze di “verifica preliminare di compatibilità ambientale”, dividendo in quattro un intervento assai massiccio distribuito su 700 ettari di terreno a due passi dal mare. Il 18 settembre, dopo sei mesi di accurati studi, gli uffici della regione giunsero alla conclusione che per così poco non c’era certo bisogno della “valutazione d’impatto ambientale” (VIA).

E da lì seguirono le rapide autorizzazioni del comune di Teulada, abbagliato dalla prospettiva di arricchimento e dalla disponibilità di posti di lavoro. La lezione di un pioniere dell’ambientalismo come Antonio Cederna, tra i fondatori di Italia Nostra, a Teulada non era arrivata. Eppure trent’anni fa, proprio sul quotidiano La Nuova Sardegna, scrisse profeticamente che “l’ambiente naturale non è una merce da barattare, ma un patrimonio prezioso da custodire”. Una verità che il pastore Ovidio Marras sapeva già, i politici sardi un po’ meno.

Colpisce infatti che la marcia trionfale del cemento, a Capo Malfatano, è proseguita nonostante i celebrati interventi a tutela del governatore Renato Soru, la nota legge “salvacoste” (2004) e il “piano paesaggistico” (2006): semplicemente i provvedimenti di Soru prevedevano una deroga per gli interventi sui quali era già stata approvata la convenzione urbanistica. Poco importa che la convenzione urbanistica viene prima delle verifiche ambientali e paesaggistiche: di fatto gli editti salvacoste di Soru furono scritti in modo da aprire un’autostrada per il cemento di Capo Malfatano, nonostante che in quel momento non un solo mattone fosse ancora stato posato.

L’avvocato di Italia Nostra che ha vinto la causa al Tar si chiama Filippo Satta. Suo padre, Sebastiano, era il magistrato scrittore diventato celebre per il romanzo intitolato “Il giorno del giudizio”. Ieri è stato il giorno del giudizio per suo figlio, che vincendo al Tar ha scritto una pagina importante non solo per la Sardegna: i furbetti del cemento si possono fermare.

Sulla vicenda vedi su eddyburg l'articolo di Maria Paola Morittu, che nell'agosto 2010 ha aperto la critica e lanciato l'appello, e quelli di Giorgio Todde, Andrea Massidda, 16383/0/128/ Mauro Lissia, Sandro Roggio. Su Ovidio vedi anche l'articolo di Mauro Lissia e il servizio di Giorgio Galeano, per TG3, su YouTube.

Ė da oltre un anno che chiedo sui giornali sardi che Cappellacci spieghi cosa intende fare sul Ppr. Senza successo: non risponde a nessuna domanda sul governo del territorio dopo avere fatto intendere chissà che cosa. Questa estate sembrava imminente la conclusione del percorso iniziato un po' tempo fa per rendere inefficace il piano paesaggistico – come pensano molti – , per apportare qualche indispensabile puntualizzazione – come dice il presidente della Regione. Non si capisce cosa ci aspetta, dopo i botti di ferragosto: l'annuncio della catarsi urbanistica sarda, la fine di un'epoca iniziata nel 2004. E che ci aveva dato un po' di lustro però, compensando l'idea della Sardegna solo Billionaire, tutta palcoscenico per cafoni ricchi, almeno in quelle due settimane-choc per l'ecosistema insulare (di cui dicono, in modo inequivocabile, i depuratori in tilt).

Cappellacci simula, va avanti nel solco della commedia berlusconiana doubleface. Pensa alle maniere spicce per togliere vincoli paesaggistici, e insieme si destreggia nella costruzione di un modello teorico per elevarle al rango di antidoti al maleficio-Ppr. C'è agli atti la versione volgare: lo slogan nei comizi con B. “scaldate i motori delle betoniere”, destinato alla platea di intenditori. Evidentemente insufficiente. Perché qualcosa bisogna pur dirla alle persone per bene che hanno votato la destra e ora cominciano a dubitare. Ed ecco la parata “Sardegna nuove idee”, parodia della partecipazione, cortina per celare i movimenti che contano e disorientare con il messaggio “siamo tutti ambientalisti”. Una lunga fase che si è conclusa questa estate con il tripudio di pagine di pubblicità sui giornali (che hanno messo in conto ai contribuenti). Per rassicurarci: il nuovo piano sarà come come lo vuole la gente, niente a che vedere con ciò che dicono i detrattori di sinistra, come scrive il Quotidiano vicino al governo regionale Ma intanto sono pronti a festeggiare tutti quelli che vedono nel Ppr disarmato la nemesi storica di Soru, Tuvixeddu come la campagna di Russia per Napoleone.

La domanda: a che punto siamo dopo sei mesi dalla fanfara e a tre anni dall'insediamento della prima giunta Cappellacci ? E' urgente sapere. Perché la promessa di un nuovo Ppr ha fatto sì che i comuni costieri smettessero o rallentassero le attività di adeguamento dei piani comunali a uno strumento in procinto di essere cancellato o tramortito. Roba che non dà l'idea del partito del fare preoccupato per la sorte della Sardegna. Uno stato di incertezza nelle regole allontana gli investitori buoni e accende la fantasia dei maneggioni. Per questo è bene parlare chiaro, oltre le tattiche politicanti. Smettendo la catena solidale tra piani casa, leggi sul golf e nuovo Ppr, basata sul sostegno reciproco tra strumenti difettosi, confidando che uno aggiusti l'altro per strada. Provvedimenti diversi: in marcia divisi per colpire uniti, con eccesso di prosopopea e noncuranza di Codice dei beni culturali e Costituzione

Ė successo infatti, e si tratta di una circostanza essenziale, che due delle tre punte della strategia siano malferme per l' impugnativa del governo Berlusconi prima e poi del governo Monti. Che ha intravisto nella legge sul golf seri difetti, e per estensione nel piano casa ultima versione e che riguarderà il nuovo Ppr se scantonasse abusando delle prerogative. La due deprecabili leggi, assumendo sembianze e competenze improprie, prefigurano un inammissibile arbitrio: la giunta regionale autorizzata a modificare il piano paesaggistico per individuarvi, a sua discrezione, le aree – verosimilmente preziose – per campi da golf e case. Senza sentire lo Stato che quel piano ha condiviso, perché lo Stato ha competenza primaria in materia di paesaggio, e sui beni paesaggistici è chiamato dal Codice dei beni culturali a concorrere, in ogni regione, alla loro individuazione (ed eventualmente alla loro soppressione). C'è un ostacolo nella missione contro il Ppr. Lo Stato dovrebbe cambiare giudizio e contraddire, senza fatti nuovi, il valore già riconosciuto a beni paesaggistici individuati sulla base di approfondite analisi: improbabile capriola, forse auspicata e sollecitata da faccendieri in disarmo. Cappellacci ha però diritto a esprimere un'altra idea di governo del territorio, come succede in un Paese normale. Se rinunciasse al ruolo dell'ambientalista che ogni tanto gli piace assumere nei convegni, seguirebbe un dibattito interessante e senza pregiudizi.

Uno degli strumenti che la giunta Cappellacci aveva predisposto per distruggere il Piano paesaggistico regionale della giunta Soru (l’unica applicazione compiuta del Codice del paesaggio) era il cosiddetto “piano-casa”. Esso consentiva, tra l’altro, una deroga amplissima al divieto di costruire, in particolare, nell’area di protezione della fascia costiera puntigliosamente individuata dal Ppr lungo l’intero litorale, con ampiezza variabile a seconda delle specifiche caratteristiche di ogni suo segmento. Analoghe deroghe erano consentite – e sono anch’esse censurate dal governo Monti - dalla legge, della giunta Cappellacci per la “liberalizzazione” dei campi da golf.

Il 20 gennaio scorso il Consiglio dei ministri ha infatti deciso d’impugnare alcune delle leggi della maggioranza berlusconiana della Sardegna, ribadendo la supremazia dei valori di tutela paesaggistica che fanno capo – grazie all’articolo 9 della Costituzione – alla responsabilità dello stato, anche in situazioni quale quella dell’Isola, nella quale la regione dispone di competenze “speciali”. I punti che il consiglio dei ministri ha censurato riguardano in particolare: che gli interventi previsti dalla legge «sono realizzati non solo "in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti", ma in deroga anche "alle vigenti disposizioni normative regionali"».

Il governo rileva che «la specifica disciplina dettata dalla l.r. Sardegna in esame, consentendo una deroga generica alle vigenti disposizioni normative e regolamentari che disciplinano l'attività edilizia senza tener conto dei vincoli paesaggistici, si pone in contrasto con i principi di tutela dei beni paesaggistici contenuti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e nelle disposizioni di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali ad essa collegate ed, in tal modo, viola l'articolo 9 e l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione di cui dette disposizioni costituiscono diretta attuazione».

Oltre a censurare alcuni aspetti di natura urbanistica della versione sarda del “piano-casa” il documento censura altri provvedimenti della giunta Cappellacci con i quali si proseguiva e completava l’aggressione alle precedenti norme di tutela paesaggistica. Tra questi, il provvedimento con il quale si consentiva il consolidamento permanente di strutture mobili temporanee, e la famigerata legge per lo sviluppo dei campi da golf. Quest’ultima legge – se l’impugnativa del Consiglio dei ministri non venisse accolta - permetterebbe alla giunta regionale di « adeguare il Piano paesaggistico regionale consentendo la realizzazione nella fascia costiera, entro la fascia di 1.000 metri dalla linea di battigia (500 metri per le isole minori) di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai campi da golf»!

Riportiamo di seguito il testo integrale del documento del Consiglio dei ministri.

Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico. (21-11-2011). Regione: Sardegna- Estremi: legge n.21 del 21-11-2011- Bur: n. 35 del 29-11-2011- Settore: Politiche infrastrutturali- Delibera C.d.M. del: 20-01-2012 / Impugnativa

Motivi dell'impugnativa: La legge regionale in esame, recante " Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico", presenta diversi profili di illegittimità costituzionale. Si premette che la Regione Sardegna ha potestà legislativa di tipo primario in materia di urbanistica ed edilizia, ai sensi dell'articolo 3 , comma 1, lettera f) dello Statuto speciale di autonomia, l. cost. n.3/1948. La regione è altresì titolare di competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici», in base all'articolo 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, di approvazione delle Nuove norme di attuazione dello Statuto, emanato con l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3. Ciò premesso occorre tuttavia precisare che le potestà esclusive regionali incontrano, oltre ai limiti generali previsti dagli stessi Statuti, il limite del rispetto delle disposizioni statali costituenti norme fondamentali di riforma economico-sociale.

In particolare, l'articolo 3 del citato d.P.R. n. 480 del 1975, nel prevedere le materie attribuite alla potestà legislativa regionale della Sardegna, richiama il rispetto dei «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica». Questo principio si evince dalle eseguenti pronunce della Consulta: - Corte Costituzionale sentenza n. 51 del 2006 nella quale, proprio con riferimento alla Regione Sardegna, la Corte ha chiarito che il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": e ciò anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia "edilizia ed urbanistica" (v. anche sentenza n. 536 del 2002); - Corte Costituzionale sentenza n. 164 del 2009 che ha accolto il ricorso in via d'azione dello Stato avverso una legge della Regione autonoma della Valle d'Aosta in materia di tutela paesaggistica ricordando che la potestà normativa della Regione autonoma deve esercitarsi «in armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento, nonché delle norme fondamentali e di riforma economico-sociale» e qualificando norme «di grande riforma economico-sociale» le disposizioni della c.d. legge "Galasso" e l'elenco delle aree tutelate per legge contenuto nell'odierno art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Ciò premesso, sono censurabili, in particolare le seguenti norme regionali :

- 1 L'articolo 7, comma 1, lettera f), della legge regionale in esame, prevede che gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 della presente legge sono realizzati non solo "in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti", ma in deroga anche "alle vigenti disposizioni normative regionali". Tale generica previsione è suscettibile di essere interpretata in un'accezione ampia, tale da ricomprendervi anche normative che afferiscono ad ambiti di legislazione esclusiva statale , risultando pertanto censurabile sotto diversi profili di seguito specificati : - 1.1 Si ha, in primo luogo, una incostituzionale riduzione della tutela paesaggistica, agli effetti della realizzazione del "piano casa", allo stesso livello degli strumenti urbanistici ed edilizi, ciò che si pone in diretto contrasto con la norma di grande riforma economico-sociale posta dall'art. 5 del decreto legge n. 70 del 2011 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 106 del 2011), che ha posto i principi fondamentali sui così detti "piani ? casa" (legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane), chiarendo, senza ombra di dubbio, che resta fermo il rispetto delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio (in linea, del resto, con i contenuti dell'intesa sancita in sede di Conferenza Stato Regioni in data 1 aprile 2009, che fissava gli ambiti e i limiti di intervento generali dei piani casa regionali, salvaguardando le reciproche competenze dello Stato e delle regioni negli ambiti della salvaguardia della tutela ambientale e dell'urbanistica). La specifica disciplina dettata dalla l.r. Sardegna in esame, consentendo una deroga generica alle vigenti disposizioni normative e regolamentari che disciplinano l'attività edilizia senza tener conto dei vincoli paesaggistici, si pone in contrasto con i principi di tutela dei beni paesaggistici contenuti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e nelle disposizioni di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali ad essa collegate ed, in tal modo, viola l'articolo 9 e l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione di cui dette disposizioni costituiscono diretta attuazione.

- 1.2 La norma, inoltre, contrasta con i principi dell'ordinamento civile laddove nell'autorizzare genericamente interventi edilizi in deroga omette di richiamare il rispetto del decreto ministeriale n. 1444/1968 che contiene disposizioni in materia di distanze e altezze degli edifici. Al riguardo si fa rilevare che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che gli artt. 8 e 9 del predetto decreto ministeriale in tema di distanze tra edifici per la sua genesi (è stata adottato ex art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane mediante la fissazione di valori minimi inderogabili), costituisce un principio inderogabile della materia (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze 7731/2010 e n. 4374/2011), anche per le Regioni e province autonome che, in base agili statuti di autonomia, siano titolari di competenza esclusiva nella materia urbanistica. La stessa Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 120 del 1996, ha precisato che "la predetta norma sulle distanze tra edifici, deve considerarsi integrativa di quelle previste dal codice civile (art. 873 cod. civ. e segg.)" e che "le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti ma, in una più ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio. Si tratta, quindi, di una normativa che prevale sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (cfr. anche Corte Costituzionale 16 giugno 2005, n. 232). La Corte costituzionale, poi, con sentenza n. 232/2005, ha avuto modo di affermare che le normative locali (regionali o comunali) possono prevedere distanze inferiori alla misura minima di cui all'art. 9 del D.M 1444/1968, tuttavia entro precisi limiti: l'introduzione di deroghe è consentita solo nell'ambito della pianificazione urbanistica, come nell'ipotesi espressamente prevista dall'art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione. Sulla scorta delle suesposte argomentazioni si ritiene che l'articolo 7, comma 1 lettera f), della legge regionale in esame, laddove non prevede la salvezza anche delle disposizioni in materia di altezze e distanze di cui al citato decreto ministeriale n. 1444/1968, contrasti con l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva statale la materia dell'ordinamento civile.

- 1.3 Infine, lo stesso art. 7, comma 1, lettera f), consente che gli interventi edilizi sopra indicati siano realizzabili senza fare salve le misure di controllo dell'urbanizzazione stabilite dalla normativa in materia di rischi di incidenti rilevanti e pertanto si pone in contrasto con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, recante attuazione della direttiva 96/82/CE (Seveso). Al riguardo si osserva che il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e s.m.i., recante attuazione della direttiva 96/82/CE (c.d. direttiva Seveso), relativa al controllo dei rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, detta disposizioni vincolanti in materia di assetto del territorio e controllo dell'urbanizzazione. A tal fine il D.M. 9 maggio 2001, che stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, prevede che le autorità responsabili della gestione del territorio recepiscono negli strumenti di regolamentazione territoriale ed urbanistica e negli atti autorizzativi dell'attività edilizia, nelle aree interessate dagli effetti degli scenari incidentali ipotizzabili in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante, le informazioni fornite dai gestori sulle aree di danno e le valutazioni di compatibilità degli interventi fornite dall'autorità tecnica competente. La suesposta normativa statale è, pertanto, inderogabile e trova fondamento nella disciplina recata dalla direttiva 96/82/CE, ed in particolare nell'art. 12 della stessa direttiva che stabilisce misure in materia di controllo dell'urbanizzazione. Sulla scorta delle suesposte argomentazioni si ritiene che la norma in esame viola l'art. 117, comma 1, della Costituzione nella misura in cui contrasta con la normativa comunitaria e l'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione nella misura in cui dispone in modo difforme dalla normativa nazionale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva.

- 2 L'articolo 18 prevede che, dopo la prima applicazione (fase nella quale si applica il d.P.R. n. 139 del 2010), la Giunta regionale possa individuare ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010. La norma, così disponendo, riconosce alla regione una potestà legislativa che appartiene in via esclusiva alla Stato e, pertanto, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione che riserva al legislatore statale la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».

- 3 L'articolo 20 introduce modifiche alla legge regionale n. 22 del 1984 ("Norme per la classificazione delle aziende ricettive"). La nuova formulazione dell'articolo 4-bis, prevede che «nelle aziende ricettive all'area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.». Sul punto si fa rilevare che non spetta alla normativa regionale qualificare alcuni interventi come paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell'articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Sul piano concreto, l'estensione dell'ambito degli interventi qualificati come paesaggisticamente irrilevanti, contenuta nella nuova formulazione dell'articolo 4-bis (la precedente si limitava agli "allestimenti mobili di pernottamento"), pone seri problemi di impatto paesaggistico. Infatti, occorre considerare che: - per "aziende ricettive" si intendono villaggi turistici e campeggi e, quindi, la previsione riguarda aree assai importanti dal punto di vista paesaggistico; - la definizione delle «case mobili» è incerta, e rischia di costituire motivo di elusione dell'intera disciplina di tutela del territorio, comportando la disapplicazione delle regole di edificazione stabilite nella legge e negli strumenti di pianificazione; tanto più che la disposizione in questione vanifica la necessaria sussistenza delle caratteristiche tecniche individuate quali indici di precarietà e temporaneità (esistenza dei "meccanismi di rotazione" in funzione, "rimovibilità degli allacciamenti alle reti tecnologiche"), poiché qualifica detti interventi come comunque «diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee» anche e nonostante questi risultino « collocati in via continuativa». - sicuramente, tra le «pertinenze ed accessori funzionali all'esercizio dell'attività» ricettiva, potrebbero rientrare strutture edificatorie (ad esempio, quelle dei servizi e degli spazi comuni dei villaggi vacanze) di grande dimensione e di grande impatto paesaggistico, che altrimenti dovrebbero indubbiamente essere sottoposte ad una piena valutazione di compatibilità paesaggistica (oltre che di compatibilità urbanistico-edilizia).

Si aggiunga che interventi del tutto analoghi, se non sostanzialmente coincidenti con quelli che la l.r. n. 21 del 2011 intende "liberalizzare", sono compresi tra quelli soggetti al procedimento di autorizzazione paesaggistica, seppure in forma semplificata, dal d.P.R. n. 139 del 2010, attuativo della previsione dell'articolo 146, comma 9, del Codice (vedi, tipologie di cui al n. 38 e, soprattutto, al n. 39, dell'Allegato) e che il Piano Paesaggistico Regionale, all'articolo 20, comma 1, lettera b), n. 3 ("Fascia costiera"), detta una disciplina di tutela che esclude la realizzazione di detti interventi. Appare dunque evidente, anche in questo caso, l'irragionevolezza della disposizione regionale ed il contrasto con le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Si segnala che una analoga questione è stata già esaminata e accolta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 235 del 19 luglio 2011 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2 della legge della Regione Campania 25 ottobre 2010, n. 11, nella parte in cui, nel disciplinare le strutture turistiche presso gli stabilimenti balneari, prevedendo, tra l'altro, «la permanenza delle istallazioni e delle strutture, realizzate per l'uso balneare, per l'intero anno solare», detta norme difformi dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con particolare riguardo alla pianificazione paesaggistica e al regime dell'autorizzazione paesaggistica. "La normativa censurata ? ha osservato la Corte - prevede sia deroghe alla pianificazione paesaggistica, sia apposite procedure di autorizzazione paesaggistica. Vi è, quindi, una invasione nella competenza legislativa statale, in quanto le disposizioni impugnate intervengono in materia di tutela del paesaggio, ambito riservato alla potestà legislativa dello Stato, e sono in contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004 (da ultimo, sentenze n. 101 del 2010 e n. 272 del 2009)". Sulla scorte delle suesposte argomentazioni si ritiene che la norma in esame contrasti con gli articoli 9 e dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. - 4.

L'articolo 23, commi 6 e 7, della l.r. n. 21 del 2011, sostituendo l'articolo 5, commi 4 e 5, della l.r. n. 19 del 2011, ha previsto che la Giunta regionale sia autorizzata ad adeguare il Piano paesaggistico regionale consentendo la realizzazione nella fascia costiera, entro la fascia di 1.000 metri dalla linea di battigia (500 metri per le isole minori) di nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai campi da golf e disponendo che per tali finalità si applica la procedura di cui all'articolo 11 della legge regionale 23 ottobre 1009, n. 4 che si conclude con una deliberazione della Giunta. Questa procedura, non prevedendo alcuna partecipazione dell'Amministrazione statale, viola l'articolo 143 del Codice per i beni culturali ed il paesaggio che, stabilendo l'intesa e l'accordo tra Stato e Regione anche per la revisione dei piani paesaggistici, ribadisce il principio della pianificazione congiunta e costituisce elemento cardine del sistema di tutela del paesaggio, assicurato dal Codice stesso in diretta attuazione del principio fondamentale espresso dall'articolo 9, secondo comma, della Costituzione .

Pertanto, la disposizione in esame presenta profili di incostituzionalità, in quanto eccede dalle competenze statutarie di cui all'articolo 3 dello statuto speciale di autonomia della Regione Sardegna di cui alla legge costituzionale n. 3 del 1948 contrastando con gli articoli 117, comma 2 lettera s), e con l'art. 118, terzo comma, Cost., che rimanda alla legge statale la disciplina delle "forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali" Per questi motivi le sopra evidenziate norme regionali devono essere impugnate di fronte alla Corte Costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

Quelle pagine di pubblicità – che ci hanno messo in conto – saranno ricordate pure per la delusione dei fans di Cappellacci. Dopo il rullo di tamburi e le trombe a tutto fiato si aspettavano il seguito, la spiegazione tempestiva e inconfutabile: la prova che il “partito del no” aveva torto a difendere spiagge e scogliere non più bellezze uniche ma merci da mettere senza rimpianti nel frullatore del mercato. Non c'è stato il colpo di scena, lo schiaffo al lavoro degli esperti del tempo di Soru. Il [nuovo] Ppr è ancora una bozza ufficiosa e parziale, senza una spiegazione.

Le ragioni dell'attesa sono evidenti: il Ppr deve inquadrare le due leggi (piano-casa e golf). Così lo strumento sovraordinato, di interesse europeo, è qui ridotto al rango di spalla, e nella sarda commedia aspetta e appoggia le battute di altri. Deve aggiustare le contraddizioni dei due provvedimenti che altrimenti non resisterebbero in nessun giudizio. E non è detto resistano, come lascia intendere l'intervista del ministro Galan al Sole24ore del 2novembre. Ma attenzione, l'obiettivo potrebbe essere il cortocircuito, una fase di destabilizzazione comoda per chi volesse approfittarne.

Sul Ppr Cappellacci non offre una nuova visione. Conserva il vecchio impianto debilitandolo in più punti, aprendo varchi, pure nelle fasce tutelate già negli anni Settanta del secolo scorso, che diventeranno voragini secondo l'uso che si farà di norme ambigue come quelle nel piano-casa1. Si annuncia la tutela nei titoli con ritrattazione nelle successive pagine. Come una manovra finanziaria che accoglie migliaia di esigenze incompatibili o la giustizia resa flessibile e ad personam.

Nelle due leggi, diverse e complementari, è scritto il programma di governo del territorio secondo la destra o una parte di essa. Il piano-casa, alla terza edizione, ha un suo costrutto ideologico nel versante populista, accoglie interessi diffusi. E' ad ampio spettro contro i vincoli, come si dice per gli antibiotici. Dà un permesso generale che ha il suo lato ragionevole nel proposito di combattere le regole intricate che rendono difficile aprire una finestra e facili le speculazioni – che però, a ben guardare, saranno le più garantite.

La legge sul golf è un mezzo rozzo e approssimativo (al punto che, appena approvata, ha bisogno del soccorso triangolare di piano-casa3 oltre che di Ppr). Una mistificazione senza estro che non entrerà nella lista dei grandi fantasiosi trucchi della Storia (dal cavallo di Troia all' affare Dreyfus al milione di posti di lavoro di B). Starà tra i tentativi di aggirare i vincoli paesaggistici a favore di pochi, con il pretesto dello sviluppo in tempo di crisi. Farà il paio con l' “accordo di programma” introdotto nella pianificazione del 1993, a vantaggio di una cinquina di investitori e inapplicato (quegli strumenti, è bene ricordarlo, sono stati cassati con ignominia perché simulavano la tutela a fronte di una legge meno severa del recente Codice dei beni culturali).

Curioso metodo: più esche metti e più golfisti arriveranno (i quali, dicono le statistiche, sono vacanzieri di prima classe come i pellegrini sono una sottoclasse del mercato turistico). Da qui, per accontentare quelli che l'hanno votata, l'idea di una distribuzione equa dei campi: che però si faranno, come sanno tutti, dove l'investimento edilizio è più conveniente. Dove sarà più vantaggioso vendere le case, difficilmente ai golfisti giramondo.

Preoccupa la replica, l'estensione di una legge così sconsiderata: per insediamenti legati alla vela, al trekking, al calcetto o semplicemente alla balneazione. Preoccupa questa mancanza di rigore. Un modo di fare approssimativo e impressionante. Impressiona soprattutto lo scarto tra le immagini terribili dei luoghi devastati nei giorni scorsi, il riconoscimento che la manomissione dei suoli ha contribuito ai disastri, e la determinazione di Cappellacci che frena i dubbi di qualche consigliere regionale perché o il piano-casa o la crisi. Così è a Cagliari, per ora.

Si veda anche Cappellacci vuole rifare il piano paesaggistico della sardegna e Cappellacci e la pubblicità in cemento.

In queste settimane si è riacceso il dibattito sui gravi rischi che stanno per abbattersi sul paesaggio sardo. I goffi tentativi della Giunta Cappellacci di camuffarli con parole come identità, salvaguardia e rispetto, connesse, però, a “revisione del PPR”, “legge sui 25 campi da golf” e “proroga del Piano casa”, ben chiariscono quanto sia coerente questa Giunta in materia di cementificazione del territorio secondo un’ottica privatistica di governo. Alcuni di noi hanno parlato di questi rischi più volte e credo che a nulla siano valse le nostre riflessioni per modificare quest’ottica, così come credo che a nulla varranno le considerazioni di illustri studiosi, da Salvatore Settis a Michele Salvati, da Fulco Pratesi a Edoardo Salzano. Seppure sconfortata da questa consapevolezza sono convinta che tacere oggi equivalga ad essere corresponsabili di quel che si sta abbattendo sulla Sardegna. Ed eccomi qui, ancora una volta, a sostenere perché le regole, i vincoli e dire No al consumo di suolo siano la vera strada da percorrere per dare ossigeno all’economia sarda.

Ma perché questa Giunta regionale è così sorda a qualunque richiamo di buon senso? Perché è questione di buon senso non rovinare il paesaggio, non solo perché la società presente ha il dovere di trasferirlo indenne alle generazioni future, ma anche perché se lo roviniamo per quale ragione i turisti dovrebbero venire fin qui? Nel VII congresso dell’Associazione Mediterranea di sociologia del turismo, da molte ricerche nazionali e internazionali è emerso con chiarezza che la ragione primaria per cui i turisti visitano la Sardegna, nonostante le difficoltà di trasporto e i costi elevati, è data dall’unicità e irriproducibilità del paesaggio sardo; semmai, i veri problemi sono legati all’accessibilità, alla riqualificazione del patrimonio esistente, alla professionalità del comparto e alla messa in rete delle risorse. Perciò, se modifichiamo il paesaggio cementificandolo o trasformandolo, che futuro si prospetta per il turismo sardo? Lo sanno bene i veri operatori turistici che poco hanno a che vedere con quanti costruiscono ville nella pineta di Badesi, o Resort mostruosi in mezzo alla macchia mediterranea di Capo Malfatano.

Ma il buon senso non rientra nell’orizzonte di questa Giunta, non tanto perché non sia consapevole anch’essa che far costruire a ridosso delle coste e attorno a fantasmagorici campi da golf non equivalga a benessere sociale, quanto perché deve rispondere, in primis Cappellacci, alle pressioni di un blocco sociale costituito da proprietari di suolo e imprese che facilmente riescono a trascinare su questo terreno i tanti disoccupati. È evidente che questi ultimi non hanno responsabilità degli scempi compiuti ma sono l’anello più debole, usati come ostaggio e grimaldello per scassinare il territorio. Non mi stupisce che dei disoccupati, pur di lavorare qualche mese, siano pronti a scendere in piazza dietro la fascia tricolore del sindaco di turno (Arzachena o Teulada che sia) o a firmare appelli, ma mi indigna che degli amministratori del bene pubblico siano così sensibili ai richiami degli interessi privati, talvolta molto forti come quelli della Marcegaglia o di Tom Barrack. Ci sono però altre ragioni perché questa giunta si sta muovendo con così tanta fretta per modificare le regole del PPR, e queste sono sì di tipo elettorale, ma sono anche il bisogno di dare una risposta legale ai tanti abusi che si sono verificati nonostante i vincoli del PPR. Inoltre, vi sono esigenze provenienti dai tanti comuni che hanno piani urbanistici in itinere o hanno appena approvato e che non solo prevedono volumetrie ingiustificabili se si rapportano alle esigenze sociali, ma molte di queste non sarebbero giustificabili neppure dagli strumenti di piano vigenti, a partire dal PPR.

Questo blocco sociale è destinato a scomporsi nel momento in cui le case costruite rimarranno invendute e avranno arricchito soltanto pochi speculatori, mentre i disoccupati continueranno a rimanere tali e il territorio sarà irrimediabilmente compromesso.

Così nacque la madre di un modello turistico fondato sul cemento

di Sandro Roggio

Costa Smeralda compie mezzo secolo: quest'anno, se diamo valore al patto firmato il 29 settembre 1961 da Aga Khan, Duncan Miller della Banca Mondiale, Guiness, Podbielski, Mentasti e Fumagalli. Con il documento manoscritto si impegnano a urbanizzare i terreni già acquistati “tra Olbia e Punta Battistoni” dividendo i costi in proporzione e decidendo le modalità per procedere.

L'estate appena trascorsa è l'ultima per la Sardegna senza Costa Smeralda che quell'impegno rende possibile.

Nel 1962 si formalizzano gli atti e si completa un lotto di lavori a Baia Sardinia, ma è ancora difficile farsi un'idea della trasformazione che subirà il litorale granitico di Arzachena (2.468 abitanti in paese, più di mille nelle campagne). Gli obiettivi dell'impresa – un esperimento di globalizzazione anzitempo – si capiranno nel giro di un paio di anni quando cadranno i pregiudizi sulla abitabilità delle rive dell'isola: compresi quelli del competente TCI che, una decina di anni addietro, in un servizio sull'isola nella sua rivista, concedeva un rapido accenno al mare “che batte minaccioso sulle coste inospitali”.

Il Consorzio vuole eccellere nell'accoglienza: servono alberghi come Cala di Volpe e Pitrizza aperti al pubblico tra il 1963 e il 1964 quando si inaugura con una rutilante regata la banchina di Porto Cervo. Si conta sull'alto rango degli ospiti: esponenti delle grandi casate nobiliari d'Europa, da Margaret d'Inghilterra e consorte, ai coniugi di Liegi, ad Alessandra di Kent e quelli del jet-set internazionale che costringono i paparazzi romani a lasciare gli appostamenti nei ritrovi della “Dolce vita”.

La pubblicità ha accelerato la scoperta della Sardegna e sollecitato l'attenzione degli speculatori. Comprare in Sardegna è conveniente, come sanno Karim e tanti altri, e come racconta tempestivamente Giuseppe Grazzini su «Epoca». Nonostante la domanda alta e se ben guidati "è tuttora possibile acquistare convenientemente terreni sulla costa sarda. A Sud, presso Cagliari, la zona di Santa Margherita offre possibilità di acquisto dalle 2000 alle 3000 lire al metro quadrato. A Quartu si trova ancora qualche appezzamento a 1500 lire e a Capo Teulada a 1000. A Bosa da 1500 e 2000. Ad Alghero e Porto Conte, con difficoltà, da 4000 a 5000. Da Sassari a Castelsardo tra 1200 e 1500. Poi c'è la Gallura meno nota. Da Olbia verso Sud la costa è dirupata: le comunicazioni sono difficili, ma qualche tratto di spiaggia c'è, e bellissimo: da 500 a 1000 lire...". E' il 1962 e quest'articolo ridimensiona il racconto sul principe che incontra la Sardegna per caso “e se ne innamora”. Il mercato delle vacanze è una opportunità ben nota agli investitori ai quali fa piacere passare per benefattori, un po' per vanità ma anche per convenienza.

La classe politica locale si limita ad agevolare il processo di trasformazione dei litorali rendendoli accessibili anche con risorse pubbliche. Si sa come batte il cuore dei sardi quando i continentali gli dicono che la loro terra è bellissima; e non sorprende che il benefattore Karim sia accolto, per il suo amore per le coste galluresi, dal presidente della Regione Corrias con tutti gli onori.

La condizione in cui versa la Sardegna di quegli anni offre il pretesto per accogliere qualunque progetto che possa alleviarne lo stato di povertà. Un atteggiamento che si diffonde e che nei decenni successivi si riproporrà continuamente, con più intensità ad ogni crisi, assumendo i connotati tipici della subalternità o della complicità con gli affari. Poco riguardo, invece, per i piccoli albergatori e ristoratori, che faticano a entrare nel mercato. Si punta sui poli di sviluppo turistico ( e per l'industria chimica), con il vantaggio di un ritorno occupazionale nell'edilizia molto fruttuoso per la politica con la vista corta.

Negli anni Settanta le parti più pregiate del territorio – il paesaggio sardo non ha rivali – sono già nel circuito delle cose da vendere e il loro valore dipende dalla accessibilità, dalla quantità di volume realizzabile e dalla distanza dal mare. Un facile calcolo che sarà il motivo conduttore di ogni investimento in ogni lido. L'impresa turistica è marginale: ogni intervento di trasformazione è basato essenzialmente sugli utili delle case da vendere, e infatti le attrezzature destinate alla ricettività sono ben poca cosa, se va bene attorno al venti per cento del volume complessivo previsto.

Costa Smeralda svolge negli anni la funzione di apripista di questo disegno. Acquisire titoli per volumetrie da realizzare nel tempo è il programma, già deciso dall'Aga Khan fino da quando ha prestato il suo progettista al Comune di Arzachena per redigere un piano urbanistico, che inaugura la dipendenza dei comuni dall'impresa. Un'anomalia che si trascina nel tempo, come sappiamo.

Sul prestigio di Aga Khan si fa affidamento in ogni fase del confronto sulle politiche urbanistiche della Regione, sia quando è a capo dell'azienda, sia quando si defila e resta nello sfondo – dopo l' avvento di Itt Sherathon e Starwoood e più di recente di Colony di Tom Barrack. Costa Smeralda occupa la scena negli anni della approvazione della legge urbanistica regionale e dei primi piani paesistici (1989-1993) per via delle speciali deroghe promesse dalla Regione in quella fase che si conclude con il loro clamoroso annullamento. L'insuccesso della proposta di “master plan” della Costa Smeralda, rilanciata con vari adattamenti e ridimensionamenti fino al 2003 – da molti milioni di metricubi a tre-quattrocentomila – è dato dalla irragionevolezza e dalla sconvenienza di quel programma edilizio garantito da Karim, messo in dubbio da un buon numero di oppositori specie su queste pagine.

La vicenda di Costa Smeralda – luogo, evento, modello – è strettamente intrecciata alla storia del turismo nell'isola ed è indispensabile per spiegare la Sardegna di questo mezzo secolo: non solo per esaminare le politiche di governo del territorio, tra luci e ombre, ma pure per rileggere i nostri comportamenti, in qualche modo influenzati da una vicenda così vicina e così lontana. D'altra parte Costa Smeralda si ritaglia una parte nella potente iconografia anni Sessanta, tra fatti, volti, cose prima del '68: matrimoni regali, Kennedy, Marilyn, auto, minigonne, elettrodomestici, Beatles, Vietnam, eccetera. L' estate al mare è un'esigenza e il mercato avverte la convenienza di renderla alla portata di tutti e di allungarla (a cominciare dalle canzoni balneari che durano fino a Natale). E' il nuovo corso della mitologia della vacanza, già in tanta letteratura tra Otto e Novecento: Carducci che lancia località alpine, le atmosfere gozzaniane, drammi e commedie da Maupassant a Proust e le autobiografie adolescenziali che hanno come scenario la villeggiatura.

Il modello inventato da Karim è in grado di convincere e percepito dalla politica come replicabile. Un'idea che si realizza al di fuori di ogni strategia, in modo pervasivo e influenzando il mondo dei sardi in modo imprevedibile anche sul piano estetico. Ne deriva un florilegio di facsimili dappertutto: grandi o piccole filiazioni che dalla originaria miscela semantica (si è parlato sbrigativamente di “stile sardo”) hanno attinto liberamente. Costa Smeralda, icona pop, è stata fonte di ispirazione: per i vacanzieri continentali e per i sardi residenti anche a distanza dalle rive e propensi a sentirsi turisti tutto l'anno. Il travestimento, con questa matrice, è oggi un tratto distintivo del paesaggio sardo urbanizzato, che deborda nei vecchi centri dove pure qualche antico palazzetto indossa l'abito delle ferie che ci piace vederci addosso, mescolando con enfasi finto rustico e finto antico. Sale sulle ferite aperte dalla quantità di volume diffuso dove ha deciso l'impresa edilizia.

Costa Smeralda esibisce di continuo la fedeltà al “credo stilistico” delle sue origini inventato per gioco e per il business, e mena vanto per questo: ma non nega e anzi auspica la sua crescita volumetrica pure in ambiti di pregio e a partire dai suoi archetipi.

Ma attenzione: continuiamo a dire Costa Smeralda, come se esprimesse ancora una linea condivisa. Oggi, invece, il famoso condominio vive le tensioni che il mercato degli immobili suscita, accentuate dalle leggi del corso berlusconiano come il piano-casa: guastando i rapporti di vicinato, e quando le trasformazioni tolgono la vista del mare non mancano le istanza ai tribunali.

E capita che Barrack e il Comune manifestino in piazza, con il sostegno dei potenziali occupati nei cantieri edili, ma con modi un po' scomposti contro una ordinanza che disarma il piano-casa. L'impressione che Costa Smeralda abbia perso l'aristocratica eleganza è forte (c'è chi coglie sempre l'occasione per rimpiangere i bei tempi andati confrontando gli stili: lo Yachting Club del principe con il Billionaire di Briatore-Santanchè, la terrazza di Marta Marzotto con i raduni di Lele Mora e Tarantini; ma questa è un'altra storia).

Oggi come ieri ex Costa Smeralda propone con determinazione i suoi progetti provocando ancora divisioni nel Comune che l'accoglie. Un piccolo Comune che ha accumulato un'esperienza di tutto rispetto e si potrebbe ormai consentire di governare il territorio con un piano e un contegno liberi da soggezioni culturali e oltre le agiografie. Perché le buone idee per il turismo in Sardegna sono da cercare oltre l'Aga Khan e i suoi successori. Peccato che le proposte del nuovo governo regionale portino indietro il dibattito di qualche decina di anni e incoraggiando le amministrazioni locali a promuovere la liquidazione dei nostri beni più preziosi. Come negli anni Settanta.

Isola brutta e perduta

di Giorgio Todde

La Costa Smeralda è la metafora perfetta di un drammatico cambiamento e di una decadenza che non finisce più. Noi siamo lo spazio che occupiamo e il nostro corpo, spirito compreso, soffre oppure è contento secondo quello che lo circonda. Per questo un viaggio attraverso la Sardegna imbruttita e volgare di oggi, costituisce un dolore. Il brutto e il finto hanno ottenuto la loro vittoria e spesso si intersecano sino a essere indistinguibili.

Alle volte il finto è più brutto del brutto e noi rimpiangiamo il come sarebbe potuto essere.

Non si tratta della diatriba eterna tra passatisti e modernisti. Che tutto muti, infatti, non è in discussione, ma sono i modi del cambiamento che inquietano. Basta guardarsi intorno per ammettere, semplicemente, che la Sardegna è diventata, sotto i nostri occhi colpevoli, brutta e finta. Ma per un cattivo sillogismo si dice che è «bella» perché è sempre stata «bella» e dunque sarà «sempre bella».

Qualcuno racconta la frottola che, in fin dei conti, l'idea di bello è soggettiva. Ma, al contrario, il brutto e il bello attengono all'assoluto, sono universalmente riconosciuti, non sono categorie soggettivamente elette e ogni epoca stabilisce una propria idea di bello universale.

Le società culturalmente solide e avvedute si ammodernano, modellano il nuovo su se stesse e non si limitano a

modellarsi al “nuovo”, attente a non spaesarsi e a non svegliarsi in un mondo che non

riconoscono più.

Più di mezzo secolo fa ci hanno «rivelato» che conducevamo una vita da poveri, dura e impossibile. Che «serviva modernità». Così da allora ogni cosa ha iniziato a mutare con una velocità che non avevamo conosciuto. Il «mondo moderno» era di colpo arrivato sin qua e ci abbracciava.

Certi modernizzatori erano «gufi dal gozzo pieno», per. Ci parevano semidei. E, sbigottiti perché l'universo si interessava a noi, ci siamo addirittura sentiti astuti quando abbiamo svenduto in un tragico saldo la nostra terra iniziando dai confini acquatici, permettendo perfino che venissero dati nuovi nomi a cale e promontori, avvisaglia, questa arrendevole toponomastica, dello sconvolgimento che ne è seguito.

Abbiamo ascoltato promesse di ricchezza, sprovveduti e sottomessi, incapaci di credere che il tesoro avuto sotto il naso per tanto tempo valesse qualcosa, sbalorditi e intimamente grati che qualcuno ci prestasse attenzione. Ma, soprattutto, ci siamo vergognati di come eravamo, sino alla triste negazione di noi stessi.

Le città, le campagne, la galassia di quasi quattrocento paesi che avevano concorso a determinare un'interessante varietà di costumi, conservando però un carattere«nazionale», tutto questo confluisce oggi in un amalgama dove tutti e tutto sono uguali a tutti e tutto. Dei caratteri originari dei luoghi e di chi li abitava resta una caricatura grottesca, un rimasuglio che imbellettiamo e esibiamo sino al ridicolo.

Dicono che siamo più ricchi. Però la misura del benessere è un'operazione sfuggente. Difficile convincersi che oggi siamo una comunità davvero più ricca di mezzo secolo fa e che il mondo intorno non sia che un'illusione di ricchezza.

C'erano un tempo famiglie che costruivano case, quelle necessarie, allevavano molti figli e li facevano studiare, mentre oggi la nostra «ricca modernità», spesso tutto ciò non lo permette. I pochi giovani che ora sono al mondo

da queste parti abbandonano la scuola precocemente, vivono nell'oblio del passato, messi di fronte a un futuro fasullo. E i veri poveri si moltiplicano.

Possediamo però ancora molto territorio nobile e non violato. Abbiamo conservato, in parte, modi di vita fisiologici

e caratteri a nostra misura. Abbiamo assunto e integrato qualche segmento di «buona modernità». Così capita, in

certe nostre campagne di vedere immensi orizzonti liberi, di provare il senso dell'infinito e di ricavarne gioia e salute. Ma capita sempre meno e il paesaggio viene trangugiato con una velocità travolgente. Eppure avremmo potuto fare tesoro di essere arrivati per ultimi alla «modernità». Avremmo dovuto «tornare all'antico e sarebbe

stato un progresso». Invece siamo voluti Rinascere.

La Rinascita.

Meglio dire «le» Rinascite, visto che ne abbiamo avuto più d'una. Grandi quantità di denaro pubblico, benefiche

e tossiche, si rovesciarono, ma ancora accade, nelle nostre casse e nella nostra cultura impreparata a reggerne l'urto, per nutrire sogni fallimentari. Così anziché «rinascere» abbiano iniziato a dissolverci dentro una vita che non era la nostra. Le fabbriche e l'ossessivo sogno turistico. Poi l'edilizia ancora più angosciante. La tragedia

della perdita dell'agricoltura e oggi, per logica conseguenza, il declino del mondo pastorale.

Tutto in una manciata di decenni.

Sono apparsi, al solo suono della parola Rinascita, plotoni di politici di cartapesta e managerini locali con emblematici nodi della cravatta sempre più gonfi, passati dal velluto al gabardine con una velocità azzardata. Allarmanti quantità di denaro sono piovute sull'isola e sono refluite chissà dove. Anche noi avevamo i morti in fabbrica e nei cantieri, i morti per avvelenamento industriale, i morti nelle strade. Li abbiamo cinicamente considerati una «tassa della modernità». Andavamo «veloci» al mare dopo averlo ignorato per millenni, distruggevamo anche noi le coste intatte, avevamo in casa, finalmente, docce, vasche da bagno e bidet. E lasciavamo tra i ricordi il pozzo nero del cortile.

Non abbiamo nostalgia del pozzo nero. No. “E’ che per costruire il cesso in casa abbiamo distrutto la casa”, diceva nei primi anni Sessanta il capomastro di un paesino, mentre demoliva una bella abitazione di paglia e fango.

Oggi i giornali, le televisioni, le brochure turistiche, gli stand patinati e falsi delle innumerevoli fiere del turismo, e perfino certa letteratura enfatica, «spugnata» come i dozzinali intonaci «smeraldini» che incrostano paesi e città, descrivono un'isola e un paesaggio che non esistono più.

Soltanto i luoghi dimenticati sono salvi e la dimenticanza è l'unica forma di tutela di cui siamo capaci.

Eppure la bellezza è, oltretutto, un inesauribile valore economico inestinguibile. Però noi sardi vediamo senza comprenderlo il valore sostanziale del nostro mondo, delle nostre cose, del nostro paesaggio, del mare e perfino

del vento e del cielo. E sospettiamo di possedere una ricchezza solo se ci viene indicata da altri. Allora ci avventiamo su quel «valore», lo sbraniamo, convinti che sia nostro e non un bene comune e lo consumiamo sino a che non ne resta che qualche traccia, oppure nulla.

Cemento in riva al mare residence e campi da golf il sacco della Sardegna

di Antonio Cianciullo

ROMA - Legge salva coste abolita, vecchi piani di lottizzazione tirati fuori dai cassetti, 25 campi da golf per succhiare un’acqua che con il caos climatico diventerà sempre più preziosa. E, a chiudere in bellezza, un’altra colata di cemento che la giunta regionale si appresta ad approvare. È la cura del Pdl per una Sardegna che ha resistito all’epoca d’oro dell’urbanizzazione selvaggia e rischia di cadere ora, proprio in vista del traguardo di uno sviluppo economico dolce, capace di far leva sulla bellezza del paesaggio per creare un’onda lunga di occupazione e benessere.

L’allarme viene dalle associazione ambientaliste insorte di fronte a un sistema di deroghe che aumenta la possibilità di costruire nuova cubatura sulla fascia costiera. «L’attacco è cominciato con il piano casa del 2009, il biglietto da visita della giunta Cappellacci dopo una campagna elettorale che era stata direttamente sponsorizzata dal presidente del Consiglio», spiega Gaetano Benedetto, direttore delle politiche ambientali del Wwf. «Questo piano casa prevede ampliamenti con aumenti di volume dal 10 al 45 per cento ed elimina una serie di controlli: potrebbe portare all’apertura di circa 40 mila cantieri per opere anche entro la fascia dei 300 metri dal mare. È incredibile che una Regione dalle risorse infinite come la Sardegna immagini una crescita attraverso la strada predatoria del mattone anziché attraverso uno sviluppo armonico del suo territorio e della sua identità».

Il Pdl replica parlando di semplificazione delle procedure. In effetti le nuove procedure sono così semplici che, nel disegnare il progetto di riforma, è saltato anche il dialogo con i diretti interessati, gli amministratori locali. Invece di consultarli, la maggioranza di centrodestra ha deciso di affidarsi alla pubblicità, sostenuta dai fondi pubblici. Sui quotidiani sardi sono comparse due pagine a pagamento per sostenere la tesi che il Piano paesaggistico regionale voluto dalla vecchia giunta Soru contiene troppi vincoli, troppi divieti, mentre per rilanciare l’economia bisogna ricorrere al mattone.

«È un segno di irresponsabilità politica: dei soldi utilizzati in questo modo in un momento in cui la gente è affamata e disperata dovranno rendere conto», protesta Gian Valerio Sanna (Pd), padre del Piano paesaggistico regionale della giunta Soru. E sulle 90 pagine del nuovo Piano di deregulation si scatena la protesta dell’opposizione e degli ambientalisti, preoccupati che il complesso intrico di deroghe in discussione dia il via libera all’assalto delle campagne e faccia saltare i vincoli anche entro i 300 metri dalla costa.

«È particolarmente grave il progetto dei campi da golf», sottolinea Ermete Realacci, responsabile Pd per la green economy. «Non tanto per l’intervento, pur pesante, in termini di acqua e pesticidi, ma perché costituiscono la testa di ponte per una cementificazione selvaggia». Il meccanismo – spiega Vincenzo Tiana, presidente di Legambiente Sardegna – è semplicissimo: si crea un campo da golf sostenendo che è solo un prato verde, perché opporsi? e poi si costruisce un annesso villaggio turistico perché da qualche parte chi gioca a golf deve pure dormire.

«Con il pretesto di favorire l’occupazione si stravolgono le norme di tutela della Sardegna senza comprendere che, così facendo, si raggiunge un risultato opposto a quello dichiarato», ricorda Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del Fai. «Solo difendendo l’incalcolabile patrimonio dell’isola in termini di paesaggio, e della cultura che ha contribuito a disegnare nel corso dei secoli questo paesaggio, si potrà mettere a punto un’economia duratura e di ampio respiro, in grado di funzionare al di là della breve stagione turistica attuale».

L’ultimo assalto a colpi di spot

di Giovanni Valentini

CEMENTO libero, edilizia selvaggia. Non sarebbe certamente uno slogan di successo per una campagna promozionale o pubblicitaria sul turismo in Sardegna. E in realtà il nuovo Piano paesaggistico regionale minaccia di danneggiare, oltre all’ambiente, anche lo sviluppo e l’economia dell’isola. Bastano 90 pagine e 76 articoli per provocare un tale disastro?

Sì, purtroppo possono bastare. Non solo per le deroghe predisposte dalla giunta Cappellacci che di fatto smantellano i vincoli introdotti dal predecessore, Renato Soru, autorizzando così un assalto al territorio e in particolare alle coste. Ma ancor più per il metodo centralistico e autoritario con cui la Regione ha impostato il suo Piano, eliminando la procedura delle "intese" e quindi il confronto con le amministrazioni locali nella fase progettuale per sostituirlo con un bombardamento mediatico a colpi di pagine a pagamento sui giornali.

Più che eccessivi, i limiti fissati a suo tempo da Soru potevano risultare arbitrari e addirittura inefficaci: il divieto di costruire entro due chilometri dal litorale, nonostante le migliori intenzioni, rischiava di risultare - come qui abbiamo già scritto allora - troppo o anche troppo poco, a seconda dei casi, della conformazione della costa e delle sue caratteristiche. Ma adesso la possibilità di deroga addirittura all’interno della fascia finora superprotetta di trecento metri dalla battigia, a favore delle strutture ricettive esistenti, è senz’altro insufficiente per salvaguardare l’integrità del paesaggio, tanto più nei tratti di particolare pregio.

Non c’è dubbio che, per alimentare l’industria del turismo, occorre realizzare nuovi edifici e nuovi impianti, magari riqualificando prima il patrimonio recuperabile. E in questa prospettiva, gli alberghi, i porti e i campi da golf - contemplati nel Piano paesaggistico regionale - possono contribuire allo sviluppo locale, a condizione ovviamente che i rispettino la natura e l’ambiente. Altrimenti, con gli eco-mostri o con gli scempi edilizi, i turisti non arrivano o se ne scappano presto.

In una terra meravigliosa come la Sardegna, e in tutte le altre regioni meridionali privilegiate dal sole e dal clima, si può e si deve alimentare un turismo sostenibile, cioè compatibile con la tutela dell’eco-sistema, cercando di allungare la stagione al di là dei due o tre mesi estivi in modo da favorire l’occupazione nel settore alberghiero e in tutto l’indotto. E perciò servono gli alberghi, i porti e a maggior ragione possono servire gli impianti golfistici, in grado di richiamare anche in pieno inverno visitatori italiani e stranieri che diversamente vanno in Spagna, in Portogallo, in Marocco, in Tunisia o da qualche altra parte. Si tratta, però, di stabilire dove e come costruire questi alberghi, questi porti o questi campi, per ridurre al minimo e magari azzerare il loro impatto ambientale.

Quello che occorre, in Sardegna o altrove, è dunque un sano riformismo verde che rifugga dagli "opposti estremismi", tutto o niente, due chilometri o trecento metri e anche meno, per conciliare le esigenze dello sviluppo con le ragioni del territorio. A volte è proprio l’eco-radicalismo a provocare reazioni uguali e contrarie, offrendo involontariamente un alibi alle truppe delle ruspe e del cemento, agli speculatori, ai saccheggiatori del paesaggio. O perfino a chi impugna la bandiera ambientalista per difendere solo i propri interessi, le proprie tenute o residenze al mare o in campagna. È una specie di "effetto Nimby" alla rovescia, dove l’acronimo "not in my back yard" (non nel mio giardino o nel mio cortile) - coniato per descrivere l’atteggiamento comune contro le centrali nucleari - si può estendere e applicare al contrario a certi "signori dell’ambiente" che spesso predicano bene e razzolano male.

Postilla

Sulla strategia, mediatica e non, del clone sardo di Berlusconi, si vedano su eddyburg anche gli articoli di Antonietta Mazzette e, completo di spot pubblicitario allegato, di Sandro Roggio. La sortita di Cappellaci non è quindi una novità per i nostri lettori. Lo è invece la persistenza nell'errore di Valentini.

Giovanni Valentini, stimabile per i suoi interventi su altri argomenti, persiste infatti nel affermare falsità quando parla della Sardegna, e in particolare dal suo ex presidente Renato Soru e del piano paesaggistico regionale. Persiste a dire che è un errore grave il vincolo su 2000 metri di costa. Egli sostiene che «il divieto di costruire entro due chilometri dal litorale, nonostante le migliori intenzioni, rischiava di risultare - come qui abbiamo già scritto allora - troppo o anche troppo poco, a seconda dei casi, della conformazione della costa e delle sue caratteristiche». Dimentica, o finge di dimenticare, che il vincolo dei 2km era solo l'estensione temporanea del vincolo di 300 metri già imposto, provvidenzialmente, su tutte le coste italiane dalla legge Galasso. Un vincolo temporaneo, di 18 mesi, in attesa del piano paesaggistico. Il quale effettivamente e puntualmente arrivò, e dispose appunto un vincolo differenziato a seconda delle diverse caratteristiche dei diversi tratti della costa. La speranza è che Valentini faccia affermazioni non vere solo quando si parla della Sardegna di Soru, e non quando tratta gli altri argomenti. Ma sarebbe meglio se non lo facesse mai

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