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Le vicende di cui ha parlato la trasmissione Report possono essere chiarite fin nei dettagli, come sta avvenendo. Una cosa, però, ci tengo a dire: in questi 15 anni le scelte urbanistiche sono state in mano a persone per bene e impegnate a riformare la città, che hanno sempre lavorato per l’interesse generale, sia facendo bene sia sbagliando. E ciò vale per tutti i settori delle nostre amministrazioni la cui dignità è stata sempre integra. Queste polemiche, però, non devono impedirci una riflessione critica. In passato sull’indirizzo urbanistico ho espresso in varie sedi forti riserve, anche se attenuate dalla lealtà verso una comune responsabilità di governo. Dopo la sconfitta però siamo tutti più liberi nell’analisi e nella proposta.

A mio parere non siamo riusciti a modificare la tendenza di fondo che ha dominato lo sviluppo territoriale per l’intero secolo. Si è continuato ad espandere la città nell’agro romano costruendo tanti quartieri isolati tra loro e sempre più lontani dal centro. In 15 anni quasi tutte le nuove edificazioni sono state collocate a ridosso e oltre il Gra, in un territorio già devastato dall’abusivismo e privo di robuste strutture urbane. Ciò ha appesantito la vita quotidiana dei cittadini, sia di quelli che già vi abitavano sia dei nuovi venuti, e ha aumentato il pendolarismo tra una periferia sempre più lontana e i luoghi centrali di lavoro, fino a produrre l’ingorgo permanente sulle consolari. Ciò che banalmente viene chiamato "disagio delle periferie" scaturisce da processi strutturali. Questo dicono i risultati del voto: perdiamo nei municipi all’esterno del Gra, cioè proprio nei vecchi baluardi del centrosinistra.

Molti cittadini, soprattutto giovani, non sono riusciti più a pagare gli altri prezzi di acquisto o di affitto e, in mancanza di politiche di edilizia pubblica abbandonate in Italia ormai da venti anni, sono stati costretti a trasferirsi nell’hinterland. Circa 300 mila persone hanno lasciato i quartieri interni dotati di servizi e di trasporti per andare a vivere in zone che ne erano sprovviste e nelle quali sarà molto più costoso realizzarli. La nostra politica urbanistica non ha contrastato questi processi, anzi li ha assecondati e addirittura li ha proiettati verso il futuro con il nuovo piano regolatore, che persevera nella logica espansiva. Non potrebbe essere altrimenti: è basato sui residui di cubatura del piano precedente, pensato nei primi anni 60 per una città di 5 milioni di abitanti. Si è molto enfatizzato il taglio apportato alle vecchie previsioni edificatorie, operazione certamente lodevole - bisognerà vigilare che non venga messa in discussione da Alemanno - ma meramente quantitativa, che non ha modificato la dinamica urbana, poiché le cubature residue comunque appartengono a quella logica espansiva e quindi continuano a provocare insediamenti sparsi nella campagna. Sono state chiamate centralità ma tendono ad essere i soliti quartieri satelliti addossati a grandi centri commerciali e comportano inevitabilmente basse densità abitative sulla grande scala, il trasporto pubblico li serve male e a costi elevati. Il ché peggiora il traffico: allunga gli spostamenti casa lavoro e dopo la sconfitta sono venuti a galla i nostri difetti: troppa sicumera, troppo sentirsi classe dirigente, troppo Modello Roma, un’autodefinizione imposta ai fatti. Dire abbiamo perso perché è cambiato il vento non è una soluzione al problema, lo sposta solo un po’ più in là; perché allora non siamo riusciti a costruire un edificio tanto solido da resistere anche al cambiamento del vento? Dei meriti del quindicennio abbiamo detto tante cose vere che ormai fanno parte del patrimonio della città. Ora però dobbiamo svolgerne anche un’analisi critica, soprattutto noi che abbiamo avuto responsabilità di governo, mettendone sotto esame tutti gli aspetti: l’amministrazione e le aziende, la mobilità, i servizi pubblici, la sicurezza, perfino la cultura e certo anche l’urbanistica.

Aumenta la dipendenza dall’auto. Si è risposto allungando oltre il Gra le previsioni dei tracciati delle metropolitane, proprio mentre l’amministrazione è meritoriamente impegnata a sanare il vecchio deficit costruendo le metropolitane per la città esistente. Achille rischia di non raggiungere la tartaruga se mentre recuperiamo il ritardo del secolo passato creiamo nuovi insediamenti che aumentano il deficit infrastrutturale. Far discendere da immodificabili localizzazioni di aree fabbricabili l’esigenza di allungare le linee del trasporto è stato un errore. Si è parlato di priorità del ferro, ma è il suo esatto contrario, è la subordinazione dei trasporti alla localizzazione di cubature come variabile indipendente dello sviluppo urbano. Infatti, quasi preso da un senso di colpa a posteriori il piano stabilisce che non si possono attuare le edificazioni senza i necessari trasporti, ma si doveva evitare a monte che nascesse l’esigenza di nuove infrastrutture.

Ciò era possibile seguendo un approccio alternativo: non partire dai residui del piano del ’62, anzi spostare quelle vecchie previsioni espansive, concentrandole sulle stazioni del trasporto esistenti e già in costruzione - quindi senza creare nuovi deficit infrastrutturali - soprattutto quelle interne, per riportare le residenze nella città consolidata. Questo sì, sarebbe stato un piano basato sulla priorità del ferro, in quanto avrebbe scelto i nodi della rete come i luoghi di più intensa trasformazione a discapito di tutti gli altri. Si doveva quindi indirizzare lo sviluppo all’interno della città dove esistono molti margini di trasformazione. Roma è infatti quasi vuota, su una superficie grande come quella di Parigi ha un terzo degli abitanti, anche se ciò è difficilmente percepibile dal senso comune a causa del disordine urbanistico cha ha lasciato zone abbandonate e altre eccessivamente ingolfate. Bisognava operare con grandi progetti di recupero residenziale, anche demolendo parti della cattiva edilizia degli anni Cinquanta. Certo, sarebbe stata una trasformazione complessa, sia nella tecnica sia nella politica, ma solo questa rottura della logica espansiva novecentesca avrebbe davvero meritato l’attributo di nuovo piano del Duemila.

Va però riconosciuto a merito del piano approvato l’aver stabilito le regole per tale trasformazione dei tessuti esistenti e l’aver individuato, attraverso la condivisione dei cittadini, le centralità dei quartieri consolidati, quelle sì davvero utili. Non a caso negli anni passati le cose migliori sono state realizzate nella città esistente mediante gli interventi pubblici, basta vedere come è migliorato l’Ostiense con la nuova università. Gli investimenti privati, invece, sono come l’acqua e vanno dove trovano la strada. Solo bloccando la strada in discesa per l’espansione si possono trovare le energie per la strada più irta della trasformazione interna.

Si è sostenuto che questa svolta non era possibile perché in conflitto con i diritti edificatori dei proprietari delle aree esterne, ma è un argomento inconsistente. Proprio l’innovazione teorica del piano era basata sullo strumento della compensazione finalizzato a spostare una cubatura da una parte all’altra, senza turbare i diritti edificatori, i quali peraltro possono essere modificati proprio quando si fa pianificazione generale. Comunque, anche volendo evitare contenziosi, purtroppo sempre possibili a causa della debole legislazione sui suoli, la compensazione avrebbe consentito di delocalizzare le cubature esterne verso le aree più interne prossime alle stazioni, le quali oltretutto sono spesso di proprietà pubblica.

Invece lo strumento è stato usato nel modo peggiore verso l’espansione: lo conferma perfino la meritoria cancellazione dell’edificazione di Tor Marancia, che ha salvato uno splendido paesaggio a ridosso dell’Appia Antica, ma a prezzo del trasferimento nell’hinterland di più del doppio della cubatura prevista, aggravando così in futuro la mobilità e i servizi. Ciò si è ripetuto in molti altri casi, è prevalso infatti un compromesso al ribasso tra la vecchia domanda di costruire a prescindere dalla qualità localizzativa e la povertà della cultura ambientalista italiana, che capisce solo la tutela della singola area, senza neppure accorgersi dei guasti ambientali prodotti da una struttura urbana mal fatta. Così, gli ambientalisti hanno gioito per i tagli e costruttori per i residui, ma nessuno si è occupato della qualità del sistema, cioè lo scopo di un vero piano urbanistico. Un malinteso sviluppismo e un malinteso ambientalismo hanno deformato il progetto della struttura urbana. Sarebbe stato meglio interrogarsi su questi problemi quando i nostri consensi superavano il 60%. Allora però le analisi critiche erano tabù.

Non è solo un problema romano. È franata la cultura urbanistica italiana negli ultimi venti anni, non solo come disciplina, ma soprattutto come consapevole pratica politica. Usiamo ancora i loro nomi storici - Roma, Milano, Napoli, Palermo - ma sono ormai oggetti geografici di forma e scala completamente diversi dal passato. Senza alcun governo dei processi sono diventate galassie metropolitane, ingestibili pulviscoli di case sparse, capannoni pseudoindustriali, uffici in vetrocemento, centri commerciali e orribili viadotti. Lo sprawl della città contemporanea globalizzata, connotata soprattutto dall’uso dell’auto. In Europa è una tendenza contrastata con il progetto urbanistico, mentre noi abbiamo assunto pedissequamente il modello americano della città infinita, sovrapponendola ai centri storici più delicati del mondo. Con gravi effetti macroeconomici: se rifacessimo i conti del Pil nazionale dell’ultimo decennio sottraendo le voci della febbre immobiliare scopriremmo anche nelle statistiche ufficiali un paese depresso, molto più simile alla percezione del senso comune. A sproposito si parla di mercato: quando un proprietario rivende un’area a un prezzo dieci volte superiore a quello d’acquisto, senza alcun rischio di impresa, si appropria semplicemente di una ricchezza prodotta dalle decisioni pubbliche. Così le rendite sottraggono risorse alla produzione. Perché mai un imprenditore dovrebbe imbarcarsi in complesse innovazioni tecnologiche se può ottenere molto di più acquistando un immobile al momento giusto? Poi arrivano i furbetti del quartierino che tentano la scalata ai salotti buoni del capitalismo italiano e ai loro giornali e allora la politica si accorge del problema, più per gli effetti che per le cause. Avete mai sentito un politico di centrosinistra negli ultimi venti anni andare in tv a parlare di rendita urbana? Avete mai letto in un nostro programma elettorale un accenno alla regolazione della rendita immobiliare? Si è discusso fino all’accanimento della rendita dei Bot, ma non di quella ben più consistente del mattone.

L’urbanistica è una brutta bestia, quando si prendono le decisioni importanti appaiono avvolte in un tecnicismo che allontana, poi a distanza di tempo ci si accorge che lì erano in gioco cose ben più rilevanti di tanti bla-bla televisivi. La crisi della cultura urbana mette in evidenza l’incapacità della politica di governare i tempi lunghi. La nuova politica deve tornare a pensare il futuro della principale risorsa italiana, della città e dei suoi abitanti.

Nei giorni scorsi una polemica a più voci ha visto sulle cronache romane accendersi la discussione sui problemi connessi alla costruzione della nuova linea della metropolitana, la C, lungamente attesa, il cui tracciato, in particolare nel tratto che attraversa il centro storico, andrà ad impattare con il tessuto archeologico dell'area centrale.

La querelle ha trovato origine da una roboante (comme d'habitude) conferenza stampa di Carlo Ripa di Meana in qualità di Presidente della sezione Italia Nostra di Roma, durante la quale, coi consueti toni apocalittici ad usum mediorum, beata ignoranza dei meccanismi di tutela e del metodo archeologico oltre che palese distorsione della storia del progetto, si gridava alla distruzione del patrimonio archeologico romano soprattutto per responsabilità del Ministero Beni Culturali. Ora, che la metropolitana capitolina sia attualmente del tutto insufficiente alle esigenze di una metropoli come Roma e che l'intero sistema del trasporto su ferro vada rafforzato e ampliato proprio per decongestionare la città dal traffico veicolare, è evidenza che anche il neoeditorialista di “Liberal” ha dovuto ammettere. E d'altro canto la costruzione della terza linea della metropolitana è in realtà una vicenda che si snoda da alcuni lustri soprattutto perchè ha conosciuto, come inevitabile, considerando le zone interessate, la più grande attenzione da parte della Soprintendenza Archeologica. E del Soprintendente che è stato protagonista, in collaborazione con altri attori istituzionali e privati, della definizione del progetto.

Parliamo ovviamente di Adriano La Regina che, proprio in occasione della recente discussione ha rivendicato il progetto della metro C come uno degli elementi portanti della propria attività alla guida della soprintendenza archeologica capitolina. Attività quasi trentennale che può annoverare risultati quali il restauro integrale dei marmi dei monumenti dell'area centrale, corrosi da anni di inquinamento da gas di scarico, la creazione di un sistema museale, quello del Museo Nazionale Romano suddiviso nelle quattro sedi, di rilievo mondiale, la salvaguardia del patrimonio di fronte a pressioni speculative fortissime (Appia Antica, Tormarancia) e in situazioni di emergenza politico-istituzionale: ricordiamo su tutte le vicende dell'anno giubilare, quando La Regina, quasi da solo, seppe contrastare i progetti invasivi e inutili coi quali la Curia vaticana avrebbe sacrificato con leggerezza, per le presunte esigenze di poche settimane di qualche migliaio di pellegrini, il tessuto urbano di milioni di cittadini romani di oggi e di domani (oltre ad un considerevole numero di reliquiae martyrum).

Ma soprattutto La Regina ha avuto, condivisibile o meno, un progetto d'insieme sull'archeologia di Roma, perseguendolo pur tra mille difficoltà, a volte prevalenti, come nel caso di quel progetto Fori ideato sul volgere degli anni '80 col quale si dimostrava davvero una concezione sistemica nei confronti del patrimonio archeologico, inserito per la prima volta compiutamente quale elemento portante di una nuova idea di città.

Ma la storia avanza ed opinioni e situazioni ritenute dianzi valide e consolidate, divengono obsolete: l'archeologia capitolina è tornata recentemente ad essere un catalogo di mirabili scoperte, quando non è noleggiata dal sarto di turno come quinta di lusso per sguaiati carnasciali (le Valentiniadi di recentissima memoria); si susseguono sempre più frequentemente gli scoop, le rivelazioni autocelebrative e i disvelamenti mediatici (tempio di Quirino, lupercale, casa di Augusto) la cui inconsistenza scientifica è già stata stigmatizzata da studiosi come Filippo Coarelli, Adriano La Regina, Fausto Zevi la cui conoscenza della topografia romana risulta accreditata non dalle veline degli uffici stampa, ma dal riconoscimento della comunità scientifica internazionale.

E' l'archeologia dell'evento, immediatamente spendibile, reale o presunto (a volte artatamente costruito), così che dopo la scoperta della grotta di Romolo e la riscoperta della casa di Augusto ci toccherà forse giubilare per il rinvenimento della Domus Aurea o della statua di Marco Aurelio. Si tratta di una concezione del tutto asistemica del patrimonio archeologico, inteso, come in un passato culturalmente archiviato, quale collezione di monumenti di pregio, abbandonati peraltro, immediatamente dopo lo spegnimento dei riflettori, alle inefficienze di una gestione balbettante sul piano organizzativo, così come è accaduto nei giorni scorsi alla casa di Augusto e ad altri monumenti del Palatino rivelatisi di difficilissimo accesso per i visitatori.

E' un'archeologia che preferisce affidare in larga misura la fase, pur delicatissima, della fruizione e valorizzazione del patrimonio collettivo alle iniziative mercantili del privato – che in ambito romano sinora non ha mai brillato per ampiezza di visione imprenditoriale - limitandosi ad un piccolo cabotaggio di iniziative dal corto respiro e preferendo soluzioni meno problematiche e più tradizionali. Alludiamo anche alla recentissima regolamentazione dell'accesso ai fori, di nuovo “normalizzati”, dopo molti anni in cui erano divenuti libero luogo di loisir e passeggio e quindi ritrasformati, da spazio per i cittadini, nel solito recinto per turisti.

Del resto, tale soluzione ben si sposa con la sistemazione, sull'altro lato dello stradone fascista, dei Fori Imperiali che, pur con qualche correttivo, ancora si presentano nell'immagine di ideazione littoria con la loro sequenza di “povere reliquie disastrate” e “denti cariati” così come icasticamente li definì Cederna.

Al contrario, proprio Antonio Cederna (Presidente della sezione Italia Nostra di Roma...) ci aveva insegnato che l'archeologia, in una città come Roma, può e deve divenire lo strumento di una nuova concezione urbana, di un modo nuovo e migliore di vivere la città, consapevoli della sua storia.

Questa concezione non passatista, né musealizzante, illustrata compiutamente nel progetto Fori, e ribadita in quarant'anni di battaglie per la tutela integrale dell'Appia Antica, prevedeva la drastica diminuzione – e nella zona centrale l'abolizione – del traffico automobilistico ed era quindi connaturata alla costruzione di un sistema di trasporti pubblici efficiente, a partire dalla metropolitana.

Su opere come queste, la cui attuabilità anche in situazioni ad altissimo rischio archeologico è dimostrata, ad esempio, dai casi di Napoli e di Atene, si gioca non solo la sopravvivenza di testimonianze archeologiche seppur importanti (ma per molte delle quali, sia detto per inciso, non avremmo comunque mai avuto conoscenza e documentazione senza questi scavi) e quindi l'arricchimento del nostro patrimonio, ma anche la sopravvivenza della nostra idea di città da un lato. E dall'altro forse addirittura la sopravvivenza dell'archeologia stessa non solo come disciplina accademica, ma per quanto riguarda la sua capacità di acquisire consenso sociale, superando i limiti di una visione angusta che condanna ancora troppo spesso i resti archeologici recuperati all'interno del tessuto urbano ad esposizioni da giardino zoologico, incongrue ed inutili anche per la loro salvaguardia materiale.

Agli archeologi di oggi la sfida che si presenta è quindi ben più importante e culturalmente complessa rispetto a quella legata ai problemi conoscitivi innescati dal rinvenimento del singolo oggetto o monumento o sito, e consiste nella necessità ormai inderogabile di trasformare l'archeologia d'emergenza (ormai l'unica archeologia di scavo oggi attuabile) e preventiva in genere, da una sfibrante trattativa nei confronti delle esigenze della “modernità”, spesso condotta in condizioni di inferiorità e sotto la scure del ricatto politico-sociale di qualunque parte, in una battaglia culturale per un destino diverso delle nostre città e dei nostri territori, cercando e costruendo alleanze prima di tutto in chi, in queste città e in questi territori ci vive quotidianamente.

Qualche buon esempio cui ispirarsi, soprattutto in ambito europeo, già esiste, sia sul versante operativo che su quello giuridico. Mentre invece proprio nell'ambito dell'archeologia preventiva, purtroppo, la recentissima versione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, reitera una lunga omertà legislativa, con questo ( ma non solo) incrinando quel carattere sistemico che è tanto più necessario per opporsi con efficacia alle operazioni di dissipazione del nostro patrimonio culturale e paesaggistico.

Roma, proprio per l'evidenza e l'importanza del patrimonio archeologico dovrebbe divenire un esempio virtuoso al quale ispirare una politica culturale nazionale più aggiornata, efficace sotto il profilo della tutela e solidamente ancorata al consenso civile: le premesse non sono delle migliori, ma oggi è Pasqua, Pasqua di resurrezione.

Bologna, 23 marzo 2008

Da diversi anni Paolo Berdini costituisce un punto di riferimento per chi voglia conoscere la vera storia delle recenti vicende urbanistiche romane. Prima di lui, anni addietro, un altro urbanista, Italo Insolera, ci consegnò un testo diventato famoso della storia urbanistica romana del dopoguerra. Quel libro (Roma Moderna, Laterza) si fermava alle soglie degli anni Settanta quando ancora Roma veniva definita capitale ladrona o capitale infetta; nel frattempo, è diventata una città «moderna». Anzi, la capitale è stata recentemente raccontata come la locomotiva di uno sviluppo che trascina il paese verso le magnifiche sorti e progressive, dalla Sicilia alla Lombardia.

È sul senso di questo «successo» che Berdini concentra la sua attenzione mettendone in evidenza luci ed ombre attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti. Ne esce una totale decostruzione di quel modello di sviluppo su cui Walter Veltroni ha organizzato la sua campagna elettorale (finita come sappiamo): il cosiddetto «Modello Roma».

La città divoratrice

La densità automobilistica ha raggiunto nella capitale il valore di 750 auto per mille abitanti (bambini inclusi), l'inquinamento atmosferico da carburante ha superato ampiamente i limiti di soglia. Nel frattempo si continuano a costruire parcheggi nel centro storico (vedi l'esempio del Pincio), e intere periferie abusive sulle proprietà dei soliti costruttori (le cosiddette centralità), si erode il patrimonio di beni pubblici sostituiti da centri commerciali e multisale. Perché accade tutto questo? Paolo Berdini (La città in vendita. Centri storici e mercato senza regole, Donzelli, pp. 190, euro 25) mette sotto accusa il modello di sviluppo liberista; di fatto città e paesaggi sono stati ridotti ad esclusivo fattore economico, trasformati in merce al pari di altre merci. Avviene per le grandi città quanto analogamente si afferma nell'economia: il trionfo della crescita illimitata, l'impero del Pil, la competizione selvaggia a danno della solidarietà sociale.

Le periferie crescono aggiungendo pezzi a pezzi alla metropoli, come una gigantesca macchina che erode suolo fertile, sradica gli abitanti dai luoghi, indebolisce il controllo sociale, frantuma le regole della convivenza e apre i territori alle infiltrazioni mafiose e ai comitati d'affari dei soliti costruttori. I centri storici subiscono le invasioni barbariche dei turisti sempre più numerosi. Berdini attribuisce questo degrado alla perdita di complessità delle funzioni che rendevano vitali le nostre città; la semplificazione indotta dall'economia (e addirittura auspicata nella politica) si traduce in una omogeneizzazione delle città.

Eppure Roma sembra essere una città sempre in festa: notti bianche, festival del cinema, concerti, parate, ma in questo modo si maschera e si occulta il disagio sociale diffuso nelle periferie, si manipolano desideri e bisogni autentici di socialità. Il 30 settembre del 2006, racconta nel libro Berdini, Napoli festeggia la sua Notte bianca: un grande successo, ma dopo appena 7 giorni esplode la questione rifiuti. Roma festeggia due intere notti bianche nel 2006: due milioni di partecipanti ognuno dei quali spende ben 34 euro. Si fanno i conti: un successo! ma poi i giorni seguenti il traffico è di nuovo in condizioni di stress, l'emissione dei gas-serra pure. Il problema delle amministrazioni è «fare cassa»; forse per destinare i fondi alla costruzione di alloggi destinati ai senza casa? No, ovviamente, ma in compenso uno studio della Gabetti afferma che nel centro storico di Roma i prezzi di vendita delle case possono raggiungere i 25.000 euro a metro quadrato. Per acquistare comunque una casa anche in periferia un impiegato dovrebbe investire lo stipendio di 132 mensilità, che fanno 11 anni di lavoro.

Gli strumenti urbanistici con i quali venivano regolate e governate le nostre città moderne sono impotenti di fronte all'invasione del capitale internazionale, con buona pace del pensiero riformista veltroniano. La nuova invenzione per governare la città si chiama accordo di programma. Si svolge senza più alcuna discussione pubblica, tra i proprietari dei terreni, qualche rappresentante politico, qualche tecnico e qualche faccendiere in barba ai cittadini che quel territorio lo abitano. E se è stata Milano a sperimentare questa devastante tecnica neoliberista negli anni Novanta, Roma l'ha messa al centro della sua politica urbanistica insieme alle feste e alle notti bianche.

Cemento da pianificare

Nel 2007 vengono aperti due grandissimi megastore, nei pressi di Lunghezza (Porta di Roma est) e Bufalotta (Porta di Roma nord): i due colossi commerciali sono tra i più grandi d'Europa. Sempre gli stessi i gruppi economici: Panorama, Auchan o Lidl. All'elenco si aggiungono il nuovo complesso Fiera di Roma e l'allucinante quartiere-centro commerciale Leonardo lungo l'autostrada per l'aeroporto. Una città letteralmente trasformata in centri commerciali, un immenso ingorgo quotidiano: ogni giorno settecentomila abitanti si spostano per andare a lavorare a Roma attraversando l'infinita periferia romana di aggregati senza centri, piene di edifici affollati. C'è poi la vicenda del Piano Regolatore Generale che ha caratterizzato sia la Giunta Rutelli, sia quella Veltroni. Afferma giustamente Berdini: «Si potrebbe obiettare che Roma ha comunque scelto la strada della pianificazione». Ma a vedere le cose con un occhio critico non è così. Il cosiddetto pianificar facendo della prima giunta Rutelli si è dimostrato niente di più che una acritica raccolta di tutti i progetti approvati nel corso dei dodici anni che sono serviti per la redazione del Piano. Progetti spesso stravolti a seguito della concertazione con la proprietà fondiaria o per effetto di una serie sterminata di varianti. Una seconda questione riguarda il dimensionamento del Piano. Mentre sessantamila famiglie sono costrette ad allontanarsi da Roma perché non possono pagare gli affitti, esso prevede di costruire una quantità enorme di abitazioni. I carichi urbanistici vengono moltiplicati con il tragico ricorso alla cosiddetta compensazione urbanistica. I diritti edificatori, infatti, non devono essere toccati così che (come a Tormarancia) la cubatura stabilita (e osteggiata dal municipio) viene «trasferita» altrove e aumentata di due volte e mezzo.

Orgia da consumo

Sembra a me che la sinistra deve fare culturalmente i conti con quel concetto apparentemente positivo che si chiama modernità. Giacomo Marramao sostiene che uno dei drammi dell'epoca che viviamo è la frattura tra la dimensione materiale e quella simbolica. Come ci rappresentiamo oggi? Chi siamo e cosa vogliamo essere? Ci rappresentiamo con gli outlet, con i centri commerciali, con l'orgia del consumo, con la caccia al diverso, con la blindatura degli spazi pubblici, insomma con le passioni tristi del presente; oppure vogliamo rappresentarci con la solidarietà, con l'appartenenza alla natura, con il ristabilimento del limite e pensare alle città, come il luogo in cui si dovrebbe realizzare l'universalismo della differenza?

Sua maestà il piccone

Filippo Ceccarelli

Ah, la tentazione ricorrente del piccone! Metaforico, quando stava per crollare la Prima Repubblica, quello impugnato dall´allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Ben reale, una quindicina di anni dopo, quello evocato dal novello sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che per un paio di giorni, appena eletto, ha lasciato credere di voler rimuovere la grande teca o la scatolona di travertino, se si preferisce, entro cui l'architetto newyorchese Meier ha racchiuso l'Ara Pacis. «Intervento invasivo da rimuovere»: questa la formula.

Poi è anche vero che Alemanno ci ha ripensato, relegando il proposito nell'elenco, invero senza fine, delle «non priorità». Eppure quel riflesso distruttivo è bastato ad accendere l'immaginario. È ricomparso il fatidico strumento, manico di legno, ferro compatto, robuste braccia a vibrare i colpi, rumore sordo e tutto intorno nuvole di polvere e calcinacci. Era un po' che non accadeva.

Nel merito, la prospettiva demolitoria sarebbe da considerarsi anche a livello di ipotesi del tutto ansiogena, l'ultimo atto di una «disgraziata saga», come a suo tempo l'ha inquadrata Arbasino, «un pasticcio di patate bollenti» in cui da tempo l'architettura e il potere si confrontano con risultati pessimi per entrambi.

Si pensi che appena tre anni e mezzo impiegarono gli antichi romani a scolpire quei marmi in onore dell´imperatore Ottaviano Augusto; mentre più di dieci anni ci sono voluti, dopo due millenni, per smantellare la vecchia teca-acquario del Morpurgo, frettolosamente allestita nel 1938, e costruire l'odierna e controversa vetrinona.

Un decennio segnato da sventure e litigi, il traffico rallentatissimo sul lungotevere, lo sciopero della fame di Sgarbi, il rogo solenne di un plastico, e disfide, capricci, vendette anche trasversali fra «archistar», messa in pista di commissioni consultive e correttive, pronunciamenti plurimi, da Italia Nostra alla Corte dei Conti, avvertimenti delle sovrintendenze e comizi di An con tanto di attivisti mascherati da centurioni; senza contare le fantastiche visite al cantiere dello stesso Meier, distratto, sudato e giulivo come in un film di Fellini, «Very nice, very nice».

Ecco insomma in quale contesto si colloca l'eventuale ri-picconamento del manufatto - che Iddio lo risparmi alla capitale e alla sua già provata cittadinanza. E magari l'enigmatica collocazione della teca in una non meglio precisata periferia. Eppure, come ti sbagli, a ogni cambio di equilibri politici lo spirito devastatore e il culto del piccone e della palla d'acciaio tornano a colorare la vita pubblica. Così come è sicuro - l'una cosa tira l'altra - che il nuovo potere prima o poi cercherà anch'esso di celebrarsi a suon di monumentali celebrazioni, come del resto succede in tutto il mondo. Vedi i risoluti progetti urbanistici del neo eletto sindaco di Londra, Boris Johnson; come pure la vicenda dei grattacieli milanesi di CityLife, le tre torri sghembe e pendule di Libeskind a proposito delle quali il presidente Berlusconi, contrarissimo come Celentano, si è concesso un'ardita valutazione fallico-urbanistica, com'è ovvio a maggior gloria del suo potere, anche sessuale.

Ma a Roma tutto diventa più complicato e al tempo stesso addirittura illuminante. Così conviene notare un che d'imperioso nel modo in cui Alemanno ha posto la questione di «liberare» il centro storico della capitale da tutti gli altri «sfregi» immaginati, pianificati o già procurati dalle amministrazioni di sinistra. Con il che si andrebbe dalla rimozione dei tubi Innocenti sul Colosseo al rifiuto di procedere con il maxi-parcheggio del Pincio, dall'idea di lasciare i sanpietrini di via Nazionale al riadattamento dell'originale statua di Marco Aurelio sul Campidoglio, a parte gli interventi di più specifica e detonante ispirazione sgarbiana tipo «bombardare» gli ascensori del Vittoriano o richiedere all'Etiopia la stele di Axum. Scherzava l'altro giorno l'architetto Fuksas: «Chissà che Alemanno non decida di ripristinare anche la Spina di Borgo, sciaguratamente distrutta nel ventennio», per far posto a via della Conciliazione sgombrando la vista di piazza San Pietro.

Ma è uno scherzo, questo di Fuksas, più che paradossale, nel senso che solo a Roma, forse, il piccone della destra potrebbe abbattersi proprio là dove a suo tempo si era levato quello del regime fascista. A riprova di come qui e solo qui il potere sia obbligato, condannato o forse abbia la più spontanea, vitale e inesorabile compulsione di tornare sul luogo del delitto.

E non si irriti né si dispiaccia Alemanno, ma è sempre e ancora a lui che si torna: alla Buonanima. C'è una quantità di filmati e fotografie che illustrano Mussolini, in borghese come in divisa da generale della Milizia, che con quell'utensile in mano assesta dei colpi pazzeschi. Per strada, sui terrazzi, da solo o contornato di gerarchi, comunque davanti a obiettivi e cineprese il duce buttava giù muri alle pendici del Campidoglio, tra le casupole di Borgo, attorno all'odierna via dei Fori Imperiali, di qua e di là del Tevere, inaugurando quegli sventramenti che modificarono a fondo l'assetto della capitale - e anche offrirono potenti e malinconici paesaggi alla mirabile serie di Demolizioni, appunto, eseguite praticamente dal vivo da Mario Mafai.

Si deve a Mussolini, che del giornalista di vaglia aveva tutto l'estro rapido e creativo, il successo non solo semantico della formula picconatoria. Teorizzata in Senato il 18 marzo del 1932, alla presentazione del Piano regolatore di Roma: «Un conto, o signori, sono i monumenti, un conto sono i ruderi, un conto è il pittoresco o il cosiddetto colore locale. Quest'ultimo, il pittoresco sudicio è affidato - e qui il duce assestò la zampata semantica: - a sua maestà il piccone». Tutto era destinato sotto la sua poderosa spinta a crollare, «e deve crollare - secondo il programma mussoliniano - in nome della decenza, dell´igiene e, se volete, anche della bellezza della capitale».

E si aprì l'era del «piccone risanatore». Per Mussolini attrezzo-simbolo di un attivismo frenetico che Roma e la sua architettura passata e futura - lo spiega molto bene Emilio Gentile nel suo recente Fascismo di pietra (Laterza) - finiva per considerare come arsenale di miti, deposito di destini imperiali, ma anche bersaglio di risentimenti che il duce nutriva fin dalla giovinezza nei confronti della città eterna.

Il modo in cui la polverizzazione di interi quartieri veniva allora presentata colpisce per i toni che a prescindere dalla limpida prosa e dal ritmo che vi imprime Ugo Ojetti in Cose viste, un pochino francamente ricordano l'accentuata personalizzazione di certe odierne cronache. E dunque: «È in atto la volontà di Benito Mussolini. Archeologi, architetti, soprastanti, manovali lavorano, si può dire, per lui, aspettano la visita sua, il consenso suo, quel sorriso che comincia in un lampo degli occhi, e talvolta si ferma lì. Tanto che sera per sera, ora per ora, egli è informato d'ogni ritrovamento e d'ogni nuovo problema; che anzi dalla sua finestra di Palazzo Venezia s'affaccia spesso a osservare le squadre che lavorano al Foro Traiano e se gli sembra che siano più rade e più lente, dopo un attimo un suo messo piomba lì a svegliare i dormienti».

Ora, limitando al minimo i paragoni: è possibile che il duce detestasse una certa Roma, molle e pantofolaia, assai più di quanto Alemanno e i suoi ce l'abbiano con le terrazze, le mostre, i loft, il red carpet di Veltroni o le feste di compleanno di Bettini. Ma certo colpisce come, fra tanti luoghi di questa città d'infinita storia, il nuovo sindaco sia andato ad evocare il piccone proprio là dove il fascismo s'era ben esercitato per impiantare la sua effimera mitologia.

Potere e magia delle coincidenze. Dietro l'Ara Pacis, tra cipressi polverosi, circondato da ingombranti e marmorei palazzoni di stile razionalista, insieme a una nutrita colonia di gatti riposa il Mausoleo di Augusto, già Auditorium dell'Urbe. Mussolini era assai superstizioso, e quindi non si diceva, ma il progetto era di fare di quel monumento circolare l'ultima sua dimora, la tomba più grandiosa e anche megalomane che si potesse immaginare.

Poi si sa com'è andata a finire - anche se a Roma non finisce nulla. Alle spalle della teca di Meier continua ad aggirarsi il fantasma quasi gemello di Cola di Rienzo, il cui cadavere venne bruciato proprio da quelle parti.

Sono le glorie e le magagne, le suggestioni, le tigne e i ribaltamenti della città eterna. Pare superfluo ricordare, a questo punto, che non c'è piccone che possa resisterle.

La lunga marcia dell'archistar dal committente-re al consenso

Franco La Cecla

Cosa distingue una buona architettura da una cattiva, un contributo prezioso allo spazio pubblico di una città da un intruso con pretese monumentali? È difficile dirlo in generale. Si cita il caso della Tour Eiffel, aborrita alla sua costruzione dai parigini, ma poi divenuta simbolo collettivo, un po' quello che è successo con il Centre Pompidou molti anni dopo. Chi cita questi casi lo fa per difendere l'arbitrarietà dell'architettura, l´essere in fin dei conti solo una questione di conflitto tra il genio dell´artista e la poca lungimiranza delle masse. I due casi però raccontano il contrario, e cioè che soltanto quelle opere che i cittadini riescono ad assimilare nel proprio mondo conscio e inconscio, a cui riescono ad attribuire un forte significato condiviso, hanno fortuna. L'idea che il genio architettonico debba sempre essere in conflitto con il sentire comune è una idea recente e piuttosto balzana.

Risente della crisi generale dell'arte e dell'architettura che a più riprese ha segnato gli ultimi cento e più anni. Prima di allora gli artisti e gli architetti sapevano bene di avere un controllo ben preciso da parte dei committenti, fossero essi regnanti, dittatori, principi o ricchi capitalisti americani. Nel periodo tra le due guerre gli architetti e gli artisti si sono sentiti impegnati come avanguardie della società, al servizio del cambiamento e della modernizzazione. Come tali spesso erano più al servizio di ideologie che al servizio dei cittadini. Quando le ideologie sono finite, negli ultimi decenni del Novecento, gli architetti hanno seguito gli artisti nel distacco dalla realtà sociale, nell'idea di essere non più avanguardia, ma semplicemente genio sregolato, e allo stesso tempo trend-seekers, cioè non professionisti al servizio della società, ma élite mediatica, produttori di quella cosa di cui oggi è fatto il grande mercato della moda e delle tendenze.

Il problema è che le opere degli architetti non rimangono chiuse nelle gallerie e nei musei, ma diventano luoghi, parte del contesto che crea il paesaggio quotidiano dei cittadini. E i cittadini giudicano, condannano o (a volte) accettano le architetture che vengono loro imposte da solerti amministratori in cerca di glamour mediatico. Le archistar, per quanto continuino a fare finta di essere artisti ingiudicabili (mai dire loro che al massimo sono stilisti di moda, ma questi sono più umili, più attenti allo streetstyle), devono accettare che è il pubblico che usa, fa e consuma una città ad essere il primo giudice.

Gli amministratori, i politici spesso sono complici di questo atteggiamento. Allora, se un sindaco vuole smontare una architettura lo faccia, ma stia attento che a Roma ci sono molti altri monumenti che la gente ancora non sopporta. Vorrà egli smontare anche la macchina da scrivere nazionale, alias l'Altare della Patria? E è davvero affar suo o non sarebbe il caso che almeno lui che è un eletto dal popolo, ascolti i suoi cittadini?

Vezio De Lucia, lei che è un po' la memoria storica dell'urbanistica a Roma, cosa pensa delle accuse mosse nella puntata di domenica scorsa di Report dal titolo «I Re di Roma» - il programma di Milena Gabanelli di Rai3 - all'amministrazione capitolina sulla gestione delle periferie?

Mi sembra che la cosa più importante sia aver rivelato il doppio binario che ha seguito l'urbanistica romana: da una parte si lavorava alla formazione del nuovo piano regolatore e dall'altra invece si continuava ad operare in deroga alle prescrizioni del vecchio Prg. In sostanza si è predicato bene e razzolato male, nel senso che il comune di Roma, che ha preso le distanze dal metodo adottato a Milano di trattare direttamente con i costruttori, ci ha messo un tempo spropositato - 15 anni - per concludere l'iter di approvazione del nuovo Prg e quando si è arrivati alla fine, quasi tutto era già stato fatto. C'è poi un secondo punto molto importante messo in rilievo nel lavoro di Report: l'assunzione da parte dell'amministrazione capitolina del principio secondo il quale ogni nuova edificabilità prevista nel vecchio Prg, il famigerato piano del '62, equivalesse a un diritto edificatore acquisito da parte dei proprietari. Non è vero, un nuovo piano può cancellare qualunque previsione precedente senza che ciò comporti alcun indennizzo, perché non c'è nessun diritto acquisito.

Da cui le cosiddette «compensazioni» che molto hanno favorito i costruttori, o no?

Sì, per esempio nel quartiere di Tor Marancia era prevista la costruzione di un milione e 800 mila metri cubi di edifici. Poteva essere semplicemente cancellata nel nuovo piano e invece, presumendo l'esistenza di un diritto edificatorio, si è dovuto compensare il proprietario di Tor Marancia per aver trasferito altrove l'edificabilità di quell'area. E poiché l'area destinata alla compensazione viene considerata meno pregiata di Tor Marancia, allora per compensare in qualche modo anche il proprietario della nuova area si è dovuta anche aumentare la cubatura degli edifici previsti. Alla fine in totale si sono autorizzati 5 milioni e 200 mila metri cubi.

L'assessore all'urbanistica di Veltroni, Roberto Morassut ha replicato agli autori di Report affermando ciò che da sempre sostengono, ossia che il nuovo Prg non solo ha dimezzato la cubatura rispetto al vecchio piano, ma ha anche esteso i vincoli storico-archeologici e di verde. Morassut sostiene che sono stati vincolati a verde due terzi del territorio romano, 88 mila ettari su 129 mila, che è l'area su cui si estende Roma. È vero?

I dati non tornano: la città consolidata, secondo fonti comunali di alcuni d'anni fa, è di 46 mila ettari. A questi vanno aggiunti i 15 mila ettari previsti nel nuovo piano e in tutto fanno 61 mila ettari, da detrarre ai 129 mila. Rimangono quindi solo 68 mila ettari di verde e spazi aperti. Ma nel «sistema verde», di cui fa parte anche l'agro romano vero e proprio, vigono però anche regole molto permissive che consentono per esempio gli scavi o le discariche. Insomma il problema è che nella superficie verde romana sono permesse anche attività che la erodono, la condizionano, la riducono.

E il patrimonio storico-archeologico invece è sufficientemente tutelato secondo lei? Prendiamo l'Appia Antica, il più grande parco archeologico del mondo, cosa avviene da quelle parti? Si parla di 8 mila domande di condoni edilizi su una superficie fortemente vincolata.

Sì, credo che sia un numero esatto. Tempo fa calcolai che nel parco dell'Appia Antica sono stati realizzati almeno un milione di metri cubi abusivi.

Ai tempi di Rutelli sindaco, i fratelli Toti non avevano ancora messo le mani sulla città. È stato durante la giunta Veltroni che sono diventati tra i costruttori più potenti della capitale. Di Alemanno dicono invece che sia più amico dei piccoli costruttori. Come è cambiato il panorama dell'imprenditoria edile a Roma?

Non sono un esperto di rapporti tra politica e costruttori, ma vorrei fare un ragionamento più generale. A Roma come in moltissime altre città italiane, a Milano o Firenze, ormai l'urbanistica è fortemente condizionata dai costruttori. Da questo punto di vista c'è stata una regressione nella politica italiana: basta tornare al centrosinistra dei primi anni '60, quando i socialisti per esempio volevano liberare le città dallo strapotere dei costruttori per restituirle al potere pubblico. Lo fecero con una serie di leggi e per un po' di lustri tagliarono le unghie ai costruttori. Invece negli ultimi 15 anni gradatamente le trasformazioni delle città sono di nuovo determinate perlopiù dalla forza crescente dei costruttori.

In questo siamo in linea con il resto d'Europa?

No, all'estero i costruttori non hanno questo peso esorbitante. A Londra, per esempio, nel decennio Blair la città è cresciuta di un milione di abitanti ma non è stato sottratto nemmeno un metro quadro alla greenbelt, lo spazio verde attorno alla città. L'amministrazione ha ristrutturato e riconvertito gli spazi già usati o le aree dismesse, intensificando magari, ma senza espandere ulteriormente la città. Questa è la politica perseguita in quasi tutta l'Europa più evoluta, mentre in Italia non se ne parla neanche e la saldatura nello stesso soggetto tra proprietario fondiario e costruttore è un'anomalia patologica. Per dare inizio alla riqualificazione della città bisognerebbe innanzi tutto fermare il consumo del suolo, bloccarne l'espansione.

A Parigi o a Madrid, come ha ben spiegato Report, la costruzione di un nuovo quartiere comincia dalle strade e dai servizi, mentre gli alloggi sono perlomeno di tre tipi: residenziali, popolari e intermedi, ci sono cioè appartamenti in affitto anche per la classe media.

È solo una questione di buona o cattiva amministrazione o dietro c'è proprio un'altra idea di città, una diversa concezione della società che si intende costruire?

Non c'è bisogno di andare sempre all'estero, basta guardare a come sono state pensate le città dell'Emilia Romagna, quelli che erano esempi di buona amministrazione, dove nascevano prima le urbanizzazioni o gli asili, e poi si facevano le case. Le periferie di Modena o gli asili nido di Reggio Emilia erano studiati in tutto il mondo. È sì un problema anche amministrativo, quindi, ma non solo: riguarda la concezione stessa dell'urbanistica. Il Prg di Roma è fondato su una ventina di cosiddette centralità disseminate a corona attorno al centro storico che disegnano automaticamente una figura centripeta della città, rafforzano ancora di più l'idea del centro. È ovvio che non possono esistere funzioni qualificanti decentrabili in misura tale da poter riempire le venti centralità e potranno al massimo contenere qualche centro commerciale e qualche servizio di serie C ma non avranno certamente nessuna forza per poter diminuire il peso abnorme che il centro esercita sull'assetto urbanistico di Roma.

Non è stato così in passato.

Prendiamo il piano regolatore del '62, di cui io sono stato sempre molto critico: un'idea di città però ce l'aveva. Prevedeva per esempio lo Sdo, il sistema direzionale orientale, il piano di dislocazione della città moderna nella parte est della città, allora periferica, dove concentrare funzioni pregiatissime come i ministeri o la grande direzionalità pubblica. Un vero e proprio centro alternativo a quello storico che in questo modo poteva effettivamente essere alleviato dal traffico e dall'inquinamento. Un'altra idea epocale che avrebbe cambiato la faccia di Roma era il progetto Fori voluto da Luigi Petroselli che prevedeva di completare gli scavi dei Fori Imperiali e chiudere al traffico l'intera zona.

Ma in una Roma che soffre nella sua periferia di incomunicabilità, di frammentazione del tessuto sociale, quale soluzione offre il nuovo Prg, quale anima immagina della città?

Nessuna. Venti microscopiche centralità costituite di case e poco più, non sono un'idea di città, non sono niente. Non si può certo pensare che disseminando sul territorio di cintura venti microcittà si riesca ad affrontare i problemi della sterminata periferia romana o si riesca a ritrovare una connessione, una ricucitura, ad avviare una ricerca di identità intorno a questi luoghi.

Cosa si aspetta da Alemanno e quale suggerimento gli darebbe?

Da Alemanno non saprei proprio cosa aspettarmi. Credo però che per Roma bisognerebbe immediatamente tracciare una linea rossa sui confini attuali della città, delimitare per così dire le colonne d'Ercole. E tutto ciò che occorre per far fronte alla carenza di alloggi e quant'altro deve essere fatto all'interno di questa linea rossa sfruttando le risorse finanziarie pubbliche e private per riqualificare le periferie, cominciando dalle parti più sofferenti. Demolire e ricostruire: sono operazioni molto più complicate che costruire nell'agro romano e che necessitano di molta più energia creativa, ma che sono possibili.

Urbanistica romana, dopo la bufera è l’ora degli schieramenti. Ma è proprio vero che le centralità, i nuovi quartieri-città che si stanno alzando nelle periferie, sono state per lo più disegnate su ettari d’oro dei grandi costruttori? «Si potrebbe rispondere di sì» risponde Italo Insolera, il padre della storia dell’urbanistica romana. «Perché è quello che si vede. Ma non mi soffermerei a parlare solo di questo. Il problema è la struttura del piano regolatore. E a questo proposito è uscito un libro interessante dell’economista Franco Archibugi, che ora insegna in Inghilterra e che sostiene che in una metropoli moderna le centralità possono essere una, al massimo due. Lo Sdo, il famoso sistema direzionale orientale, era una vera alternativa al centro. Mentre otto o più centralità sono una balla. Non esistono in nessuna città del mondo».

E la mancanza di servizi o per lo meno il fatto che nascano prima le case e poi le infrastrutture? «Non è vero» continua Insolera «che si tratti di un vizio, per così dire, romano di sempre. Perfino l’Ina Casa, nel periodo più duro della ricostruzione, ovvero dopo la fine della guerra, si preoccupava di fornire in modo pronto i servizi dei quartieri che costruiva. Noi, allora giovani architetti, progettavamo insieme case e servizi con i finanziamenti del Piano Fanfani. Magari subito subito non c’erano, ma dopo un mese, i nuovi abitanti avevano tutto a disposizione. Non solo, c’era qualità architettonica, che ora, è opinione comune, nelle case dei nuovi quartieri non si vede. Gregotti si è impegnato per il piano di Acilia Madonnetta, ma, a parte lui, avete mai visto le abitazioni di qualcuno di questi quartieri periferici finire sulle riviste di architettura?».

Un altro urbanista di fama, Leonardo Benevolo, parla dal suo studio vicino Brescia. «Finora ho soltanto sentito critiche giornalistiche. Lo studio di un Piano è un’altra cosa. Ma quello di Roma è una canovaccio che sottolinea i temi da sviluppare, un’idea interessante, dopo il prg del ‘62 che ha scatenato l’abusivismo. Forse si è abusato di accordi di programma estranei al Piano stesso. Ma la questione centrale è un’altra. L’ente pubblico non si può limitare a dare autorizzazioni a costruire, altrimenti perde il controllo del territorio. Deve scendere in campo, come viene fatto in tutta Europa, con società miste con i privati, deve comprare le aree, urbanizzarle, scegliere i progetti e poi rivenderle. È un circolo virtuoso, che darebbe all’amministrazione il compito di disegnare veramente, da un punto di vista urbanistico e architettonico, la nuova metropoli».

La puntata di Report sull’urbanistica romana ha «scoperchiato» il vaso. Ma le critiche si sono abbattute sulla amministrazione Rutelli-Veltroni non proprio a ragione secondo Paolo Avarello, presidente dell’Istituto nazionale di Urbanistica, perché tutto ciò che è stato trasmesso da Report - spiega Avarello - non è il nuovo ma l’eredità del vecchio piano regolatore che risale al ’65 ma si allunga fino ai nostri giorni. Ora, invece, le amministrazioni Rutelli e Veltroni lasciano in eredità ad Alemanno con il nuovo piano regole che dovrebbero migliorare la qualità urbana in una città massacrata da decenni di abusivismo. Alemanno saprà farle rispettare? Una domanda che preoccupa il presidente dell’Inu.

Parliamo prima del passato recente. Che tipo di rapporto hanno impostato le amministrazioni Rutelli e Veltroni con i costruttori?

«Intanto le due amministrazioni non sono state la stessa cosa e non si sono trovate ad affrontare esattamente le stesse questioni. In particolare, la seconda amministrazione Rutelli ha avuto il grosso problema di liquidare il pregresso: chiudere i conti con il vecchio piano, ridurne le previsioni edificatorie. E ha scelto di farlo patteggiando con i privati, che dal piano del ’65 si erano visti riconosciuti una serie di diritti edificatori».

Non si poteva semplicemente dire: qui non si costruisce più?

«No, perché una volta assegnata l’edificabilità l’amministrazione, con le leggi vigenti in Italia, non ha molti margini per tornare indietro: i privati acquisiscono un diritto e se l’amministrazione prova a toccarlo, fanno ricorso e nel giro di 8 anni – tanto durano le cause – di solito vincono loro. Per di più l’ultima finanziaria Berlusconi ha ribadito che l’Ici si paga anche sulla sola previsione edificatoria del prg. Quindi se non vuoi più che il privato costruisca devi anche restituirgli l’Ici pagata. Comunque per liquidare i vecchi diritti edificatori le vie erano sostanzialmente due: patteggiare con i privati oppure espropriarne le aree. Ma l’amministrazione non aveva soldi per farlo.

Quindi è venuta a patti con i privati?

«Sì, non patti segreti, ma accordi in base ai quali l’edificato previsto nel vecchio prg è stato spostato altrove: non dove si era costruito troppo ed era meglio lasciare spazio a un parco, non nelle aree centrali ma in quelle periferiche, che valgono di meno, quindi aumentano le cubature. Si chiama compensazione e si pratica ovunque. Roma però ha dovuto anche fare i conti con una legge urbanistica regionale rigida per cui il piano ha dovuto stabilire non solo dove, ma anche quanto, come costruire. Mentre in Toscana, per esempio, quanto e come lo si vede in un secondo momento, proprio per evitare che si stabiliscano dei diritti acquisiti rigidi».

Perché il Lazio ha scelto un’altra via?

«La Regione aveva un assessore del Prc e i suoi consulenti, molto di sinistra, sostenevano che tutto si doveva espropriare e costruire a spese del pubblico».

E invece?

«Nella pratica il pubblico non ha i soldi. Una condizione diffusa oltre i confini italiani: anche altrove il pubblico non avendo soldi patteggia con il privato».

Forse altrove si patteggia in modo più vantaggioso?

«Sì, ma non è che l’amministrazione di Roma sia tra le ultime d’Europa. Su alcune cose ha fatto meglio, su altre ha “sbracato”. Il punto è che patteggiare si faceva anche prima, ma sottobanco e la quota sottratta ai costruttori andava in tasca ai decisori politici o tecnici e non per finanziare opere pubbliche. L’amministrazione Rutelli ha impostato l’urbanistica in modo che su ogni singolo progetto si decide cosa farà il privato per sé ma anche quale contributo in termini di aree verdi e opere pubbliche. Gli oneri concessori previsti per legge sono veramente una frazione minima: l’amministrazione si è fatta dare qualcosa di più dai privati in verde e in infrastrutture».

Ma il Comune non ha aree sue?

«Ne ha, ma non nei posti giusti, quindi se le deve far dare dai privati».

Vuol dire che ciò che è stato costruito in questi anni, frutto di questo patteggiamento, era un male necessario?

«Sono i quartieri previsti dal vecchio piano, un male inevitabile più che necessario, viste le leggi e le condizioni economiche».

Ma non si poteva dire qualche no in più?

«Forse sì, ma tenga conto di cosa significa l’edilizia a Roma».

Cosa significa?

«La prima attività non terziaria».

Risultato?

«Alcuni interventi sono infelici, altri meno, alcuni sono di buon livello. Ma quasi nulla di quello che ora fa gridare allo schifo viene dal nuovo piano, compresa la Bufalotta, che era in avanzata esecuzione quando è stato approvato il prg. Fare “papponi” in cui si tende a confondere il prima e il dopo e le responsabilità è ingiusto».

Ma Veltroni e Rutelli hanno davvero voltato pagina?

«Basta confrontare il peggiore dei quartieri realizzati in questi anni con via della Magliana o con le concentrazioni di abusivismo condonato».

E però le infrastrutture continuano ad inseguire ciò che i costruttori hanno già realizzato.

«Purtroppo è più facile fare le case che le infrastrutture. Però, per le nuove edificazioni è stato ribadito in sede di adozione del piano che senza metropolitana non si costruisce. Una regola che i costruttori non hanno mandato giù: speriamo bene.

Teme per il futuro?

«So che Alemanno ha detto che bisognerà rivedere alcune cose del piano. E so che su questo punto le pressioni sono molto forti».

L’idea centrale del piano è costruire in periferia nuove centralità. Funziona?

«La periferia romana è particolare, molto slabbrata con molti buchi: alcuni sono parchi altri no. Una periferia fatta solo di case non è una buona cosa. L’idea iniziale di densificare portando anche servizi e metropolitane, pattuita anche qui con gli operatori economici, era ottima. Però sconta molti ritardi. Storace per anni ha bloccato per motivi politici i grandi progetti di riqualificazione contrattati con interventi privati e poi si è perso tempo anche per completare i vecchi piani di edilizia economica che hanno prodotto quartieri brutti e nemmeno tanto economici. Nel frattempo è cambiato il mercato: quando l’iter è iniziato tutti volevano fare centri direzionali, centri commerciali, alberghi. Oggi i centri commerciali abbondano, vendere gli uffici è difficile, l’unica cosa che tira ancora è la casa».

Quindi anche l’idea delle centralità rischia di naufragare?

«So che Alemanno ha accennato che ci vuole qualche cambiamento al prg. E la pressione dei costruttori è la solita: fare solo e soltanto palazzine».

Postilla

Incredibile. Continuano a mentire sui cosiddetti “diritti edificatori” che non esistono. Continuano a dire che, se un comune vuole fare una variante al piano regolatore che elimina, motivatamente, l’edificabilità concessa ad alcune aree, deve indennizzare i proprietari. E chi lo afferma è il presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica!!! (veramente, sapevamo che da qualche anno era un altro). Ci tocca ripetere per l’ennesima volta che il piano regolatore non attribuisce alcun “diritto edificatorio”, e che invece rimane totalmente in piedi il diritto di variante del Comune, purchè motivato. La dimostrazione della balla dei “diritti edificatori" venne fornita alcuni anni fa e dimostrata per tabulas (vedi in questo sito: Forse che il diritto impone di compensare i vincoli sul territorio?) e confermata da autorevoli giuristi (vedi la lettera a Italia nostra del prof. Vincenzo Cerulli Irelli).

Se i governanti di Roma hanno preferito accontentare la proprietà immobiliare anziché modificare il PRG eliminando l’eccesso di previsioni del vecchio PRG, concepito e approvato nella lontana “età dell’espansione”, ciò dipende da una precisa scelta politica, culturale, sociale: quella di cercare e ottenere sempre l’alleanza, il sostegno e l’appoggio degli interessi della proprietà immobiliare volta alla speculazione sul plusvalore dei suoli. La stessa scelta, del resto, che era state compiuta e ribadita dalle giunte dominate dalla destra democristiana, nei decenni precedenti alle giunte di Argan, Petroselli e Vetere.

Roma, bufera sull’urbanistica

Paolo Boccacci

«Questa puntata di Report è un cattivo esempio di servizio pubblico informativo. Non me lo sarei aspettato. Sono costretto a passare alle vie legali.».

Finirà in tribunale lo speciale della trasmissione Report dedicato all’urbanistica romana, un martellante j’accuse di un’ora sui nuovi quartieri nati nella periferia della Capitale negli ultimi quindici anni sotto le giunte di centrosinistra. A querelare il programma condotto da Milena Gabanelli è l’ex assessore all’Urbanistica della giunta Veltroni e ora deputato del Pd Roberto Morassut, che attacca: «C’è un’incredibile massa di falsità e di approssimazioni che vuole gettare un’ombra su 15 anni di politica urbanistica capitolina, su un’amministrazione che ha approvato per la prima volta dopo 100 anni il piano regolatore generale con tre voti di consiglio, 7000 osservazioni e migliaia di incontri con cittadini, comitati di quartiere, associazioni imprenditoriali, associazioni ambientaliste e organizzazioni professionali».

I capi d’accusa della trasmissione sono numerosi e pesanti, sostenuti da interviste ad abitanti dei nuovi quartieri, ad ambientalisti, urbanisti "critici" come Paolo Berdini e Vezio De Lucia, e all’archistar Massimiliano Fuksas, messe in contraddittorio indiretto con un "botta e risposta" con lo stesso Morassut.

La prima accusa è quella di aver progettato le nuove centralità, ovvero i nuovi quartieri, su terreni di proprietà dei grandi costruttori, da Francesco Gaetano Caltagirone ai Toti, dai Parnasi agli Scarpellini. Ma non è tutto. Si parla anche di case già costruite e di servizi che mancano. A Ponte di Nona, il quartiere di Caltagirone, gli abitanti affermano che il trenino passa ogni 40 minuti. A Bufalotta, edificata da Caltagirone, dai Toti e da altri costruttori, invece non ci sarebbe ombra di quel "parco delle Sabine" pubblicizzato dai cartelloni con le offerte delle case in vendita.

E ancora. Durante tutto l’arco del programma si riafferma il concetto che ogni operazione rappresenterebbe un enorme regalo fatto ai costruttori e una cementificazione anche di aree pregiate del territorio. Vediamo a volo d’uccello. La Nuova Fiera di Roma? Un regalo ai Toti. La nuova sede della Luiss nel complesso dell’Assunzione? Altro cadeaux. La Centralità della Romanina? Un grande affare per il costruttore Scarpellini, che avrebbe offerto 50 milioni per costruire la nuova metropolitana in cambio di un aumento di cubatura, poi negato, che gliene avrebbe fatti guadagnare 250. Avanti. Ad Acilia niente campus universitari promessi. Poco lontano i palazzi abusivi di Antonio Pulcini, soprannominati "Le terrazze del presidente" condonate, mentre si aspetta ancora il raddoppio di via Acilia. Ancora: Grotta Perfetta quartiere dormitorio, Tor Pagnotta anche. A Vitinia le costruzioni metterebbero in pericolo le antiche torri. A Ponte di Nona gli abitanti passano in macchina venti giorni all’anno per il traffico. Tor Vergata non ha un metrò. E sulla via Appia Antica si condonano gli abusi edilizi. Infine anche la Città dei piccoli nell’ex Fiera di Roma della Colombo sarebbe un colossale affare per gli imprenditori che vi costruirebbero case, uffici e negozi, mentre Bonifaci ha avuto il cambio di destinazione d’uso per far nascere delle case a ridosso della Flaminia. Ma Report va anche a Parigi e a Madrid per scoprire che nella Capitale francese si costruisce solo su suoli acquistati da una società mista con la presenza del capitale pubblico al 51% e in quella spagnola il Comune costruisce e affitta case a 350 euro al mese.

«Il quadro di Roma? Assolutamente veritiero» afferma Vezio De Lucia «con tanti regali ai costruttori. L’errore più grande nell’aver avviato quella procedura che al tempo dell’amministrazione Rutelli fu chiamata "pianificar facendo" che significava facciamo il piano, e ci sono voluti 15 anni, e nel frattempo si assumono decisioni in deroga contrattate con i costruttori, anche con l’accordo della sinistra radicale».

Critico l’architetto Paolo Desideri. «È spregevole ridurre la lettura di 15 anni della storia urbanistica di Roma delle giunte di sinistra al fatto che la sinistra avrebbe imparato a fare affari. Non è vero. La sinistra ha imparato a fare regole. Le giunte Rutelli e Veltroni hanno il merito di avere varato il nuovo piano regolatore, le regole di questo mercato liberista che è sempre stata la Roma dei palazzinari, esattamente il contrario di quello che si è visto in televisione».

«Nell’urbanistica romana non c´è niente di positivo» afferma l’urbanista Paolo Berdini «Il problema è la guida della città che deve essere nelle mani dell’amministrazione pubblica e non della proprietà fondiaria. Ho contato oltre 50 accordi di programma in variante sia al piano del ‘62 che a quello nuovo. La somma di tanti pezzi scollegati non fa una città».

«Sono un estimatore della Gabanelli» ribatte l’ex presidente dell’Inu Paolo Avarello «ma questo servizio mi ha deluso, perché si punta a fare spettacolo con una confusione di informazione e molto qualunquismo. Era tutta una melassa tendente al negativo senza approfondimenti veri sul negativo e senza citare il positivo che c’è».

"Abbiamo demolito 250 costruzioni abusive"

Carlo Alberto Bucci

Dieci anni con le ingiunzioni di abbattimento in mano e le ruspe alle spalle. Con centinaia di demolizioni abusive messe a segno. E con due volte l’auto da ricomprare perché, nel 1998 e nel 2000, l’utilitaria di famiglia venne data alle fiamme. Lettere minatorie, pedinamenti, cani feroci alle calcagna. È la vita, sotto tiro e sotto scorta, di Massimo Miglio, 58 anni, dal 1998 alla guida dell’Ufficio centrale antiabusivismo del Comune di Roma.

Anche il suo ufficio è stato citato da Report. Perché?

«Hanno detto che abbiamo regalato 700mila metri cubi al costruttore Pulcini. Un banale errore. Il nostro ufficio non è competente al rilascio di concessioni. Ma si occupa, esclusivamente, della repressione dell’abusivismo».

Dieci anni di lavoro, quante demolizioni?

«Circa 250, a Roma e provincia, per un totale di mezzo milione di metri cubi di volumetrie abbattute».

Un bel polverone.

«Non sta a me dirlo. Certo, non mi risulta che in Italia esista una città che più di Roma abbia represso l’abusivismo edilizio».

Nonostante i condoni dell’85, del 1994 e del 2003?

«I condoni edilizi sono stati nefasti, certo. Ma più nefasto è il prendere tempo. È invece necessario intervenire con immediatezza, fare presto. Abbattere cioè quando l’edificio è ancora solo uno scheletro di cemento. E questo nell’interesse anche della persona che ha fatto l’abuso, che eviterà così nuove, inutili spese».

Dal centro storico alla periferia, dai parchi alle antenne di Monte Mario: quali sono state le "Punta Perotti" di Roma?

«I nostri ecomostri sono, erano, i due complessi da 25 appartamenti abbattuti in zona Boccea. Ma anche le 60 abitazioni, costruite sui resti di una fattoria in via della Giustiniana, nel Parco di Veio, zona protetta e vincolata, demolite l’anno scorso».

Stesso rigore sull’Appia Antica?

«Certo, ricordo nel 2005 che intervenimmo di notte per tirare giù le costruzioni abusive di fronte a Cecilia Metella scoperte il giorno prima. E al momento non ci sono nuovi casi di abusi recenti né demolizioni in programma. La zona è ben controllata».

Nel 2004 vi presero a sassate quando interveniste al Celio.

«Veramente fui inseguito da un uomo che, armato di bastone, mi urlava: "Ti ammazzo!" C’è stata da poco l’ultima udienza per il processo. Ma ciò che conta è che siamo intervenuti abbattendo edifici nel verde, che poi è diventato parco pubblico. Una grande soddisfazione».

Che strumenti le servirebbero per migliorare la lotta al mattone selvaggio?

«Ad esempio, che il Tribunale amministrativo regionale, ogni volta che sospende l’esecuzione di un provvedimento di demolizione, contestualmente sospendesse la prosecuzione dell’attività edilizia».

Perché?

«Altrimenti diventa un vincolo per l’amministrazione comunale. E una sorta di liberatoria per l’autore dell’abuso edilizio».

Morassut: "Hanno deformato la realtà Le regole sono certe"

Paolo Boccacci

Morassut, ha annunciato una querela a Report, parlando di falsità raccontate sull’urbanistica romana.

«Certo. Un esempio? Si è detto che in una memoria di giunta presentata da me il 22 febbraio del 2008 per la centralità di Acilia Madonnetta, vi sia stato scritto che il campus universitario di Roma Tre sia saltato e che non vi sia nessuna previsione di trasporti pubblici. Niente di più falso».

L’accusa numero uno: le centralità nascono seguendo gli interessi e le proprietà dei suoli dei grandi costruttori.

«È una visione paleolitica e tendenziosa. Le proprietà delle aree fabbricabili sono necessariamente e quasi sempre private. Poi nelle centralità abbiamo dimezzato i metri cubi previsti nel ‘62. E nelle quantità approvate è prevista la cessione al Comune della metà per i servizi. I redattori di Report avrebbero potuto leggere le norme tecniche del piano, raccontare un’altra storia e imparare anche qualcosa. Per non dire che stiamo realizzando la metrò C, che sarà la linea metropolitana più lunga d´Europa».

Altra accusa: da Bufalotta a Ponte di Nona mancano i servizi.

«Tanto per cominciare tutte le varianti di Bufalotta di cui parla Report sono virtuali, non sono mai state approvate. Bufalotta e Ponte di Nona poi sono previsioni del vecchio prg, quello del ‘62. Sono due esempi dell’eredità gravissima che abbiamo ricevuto dagli anni ‘60-‘80. Lo sforzo di questi anni è stato quello di reperire le risorse per le infrastrutture, ad esempio, per Ponte di Nona, con le complanari sull’A24.

Tor Pagnotta: mancano i collegamenti.

«Il comprensorio del prg del ‘62 aveva una previsione di 5,5 milioni di metri cubi: li abbiamo ridotti ad uno e cento imponendo al proprietario delle aree di contribuire alla realizzazione del trasporto pubblico, che sta per andare in appalto, la Eur-Tor De Cenci-Tor Pagnotta, un tram su gomma».

Ma è ancora da fare.

«Certo, ma avere imposto il finanziamento è una delle motivazioni che ha condotto importanti quotidiani legati a poteri economici nella capitale ad avere sul piano regolatore di Roma negli ultimi mesi e anni un comportamento estremamente conflittuale».

"Le terrazze del presidente" di Pulcini non erano abusive?

«Si è trattato di condoni rilasciati dopo una lunga istruttoria e tenendo conto di ciò che stabiliva la legge fatta da Berlusconi».

Si è parlato di agro romano devastato dal cemento.

«Il nuovo piano regolatore ha dimezzato le dimensioni del vecchio prg, da 120 a 65 milioni di metri cubi, di cui la metà non residenziali, ha esteso i vincoli storico-archeologici da un’area di 1700 ettari a una di 7000 ettari e ha vincolato a verde due terzi del territorio romano, 88 mila ettari su 129 mila. Rivendico con orgoglio una stagione urbanistica straordinaria. In 15 anni sulla moralità della nostra amministrazione e delle persone che l’hanno guidata non è passata un’ombra. Non sarà una cattiva trasmissione televisiva a incrinare questa immagine»

A Parigi si costruisce solo su aree di società miste, con capitali a maggioranza pubblici.

«Parigi è la capitale della Francia amata dalla Francia e ha un’immensa disponibilità di risorse. Non è la stessa situazione di Roma. Qui abbiamo avviato un percorso simile per la riqualificazione di Ostia insieme al Demanio dello Stato».

Rampelli: "Il problema è la totale assenza di servizi e case popolari"

Ha visto Report sul Piano regolatore di Roma?

«Sì, molto interessante. Bentornato il giornalismo d’inchiesta. Però perché così tardi? Queste scelte urbanistiche che hanno messo in sofferenza la città erano state delineate fin dalla prima giunta Rutelli». Fabio Rampelli, deputato di An, architetto (tesi sui centri storici) autore del libro che inneggia al parco di Tormarancia, è uno dei nomi che ricorre come prossimo assessore all’Urbanistica.

In mezzo, però, i maxi-condoni del governo di centrodestra. Facile gridare alla cementificazione.

«Ma il Campidoglio aveva il dovere del controllo e della repressione degli abusi edilizi e invece ha consentito a circa 70 mila persone di costruirsi una casa abusiva. A quel punto la scelta era mettere in mezzo a una strada quelle famiglie o trovare soluzioni alternative. E comunque il primo condono generalizzato fu quello delle borgate abusive fatto da Petroselli, sul quale si sono consolidate le fortune della sinistra».

Nella trasmissione si parla anche del maxi-condono che ha favorito il costruttore Pulcini, con zoommata sui suoi finanziamenti, tutti dichiarati, a partiti come An e Lega.

«Non ho visto quella parte, ma comunque sarei molto più preoccupato da finanziamenti che vengono in nero che non quelli registrati».

Torniamo al parco di Tormarancia per il quale si è tanto battuto. Come sa, la sua istituzione ha quasi raddoppiato i diritti di cubatura dei costruttori che ora hanno cantieri in molte altre zone, una fra tante la Cassia. Dove però voi protestate contro il cemento...

«Noi abbiamo sempre chiesto soluzioni diverse rispetto alle compensazioni. Mai attuate. E comunque parliamo della tutela di un parco archeologico unico al mondo di fronte alla quale la previsione di costruire 2 milioni di metri cubi, una città come Pomezia, faceva rabbrividire».

Troppe case costruite, è la tesi di Report. Però tutte già vendute. E tra gli scontenti c’è chi ammette che il valore, in due anni, è raddoppiato. Voi fermerete i cantieri?

«La vera tragedia dell’urbanistica di questi anni non è tanto nell’aver costruito case ma l’assenza di edilizia sociale e di infrastrutture per migliorare la qualità della vita dei romani. A maggior ragione visti i 70 milioni di mc in più previsti nel Prg»

E allora?

«Noi facciamo una proposta innovativa, la "sostituzione": significa demolire le aree degradate delle periferie per dotarle di servizi, piazze, strade e poterle poi densificare. A quali quartieri penso? Non li dico, si creerebbero allarmi ingiustificati. Ci vorrà grande consenso anche tra cittadini e municipi».

Torrino, Infernetto: tanti comitati di quelle aree si sono schierati con voi e spesso sono pieni di abusivismo edilizio.

«Noi useremo il pugno di ferro contro ogni illegalità. Vogliamo una città delle regole anche nel campo dell’urbanistica. Per arrivarci però bisogna offrire strumenti facili e veloci per realizzare ciò che si è in diritto di fare. La iper-burocrazia può indurre a una inaccettabile logica del far da sé».

Anche la sua giunta dovrà fare i conti con le pressioni di costruttori proprietari o che hanno interessi nei giornali. Da Caltagirone a Toti a Bonifaci. Come li terrete a bada?

«Siamo stati chiamati dai romani a tutelare gli interessi di tutti, troveremo una soluzione che sappia coniugare le esigenze degli imprenditori con quelle della Capitale d’Italia».

Postilla

La trasmissione Report ha avuto il grande merito di sollevare il coperchio delle pesanti ipocrisie che ricoprivano il “modello Roma” e di indicare ad una vasta platea quale è quella televisiva che il re è nudo, allargando la discussione finora ristretta a pochi spazi privilegiati, come eddyburg.

Da sempre critici sugli ultimi lustri dell’urbanistica capitolina, registriamo quindi con grande interesse questo riaccendersi di attenzione mediatica che ha visto, per il momento, soprattutto le reazioni stizzite di chi si è sentito messo sotto accusa. Primo fra tutti l’assessore Morassut che cerca un recupero dopo le desolanti affermazioni sulla capitale come una “giungla in cui si combatte a colpi di machete” pronunciate in trasmissione, con una serie di smentite (da verificare) che però non incrinano il disperante quadro d’insieme sulla gestione urbanistica della Capitale che emergeva nel servizio televisivo. Quadro costruito con ritmo incalzante sia attraverso le parole degli intervistati, sia con l’evidenza delle immagini, testimoni inesorabili di uno squallore edilizio che credevamo archiviato ai film denuncia anni ‘60.

O ancora Massimo Miglio, a capo dell’Ufficio antiabusivismo del Comune, che restituisce un’immagine della situazione dell’Appia improntata ad un ottimismo da eroe della ruspa contraddetto quotidianamente dalle cronache che ritrovate su eddyburg.

Ma già s’annuncia una nuova gestione e nuovi protagonisti; alcune affermazioni dell’esponente del centro destra Rampelli sono senz’altro condivisibili: la condanna delle compensazioni come strumento ordinario di pianificazione, il richiamo alla “città delle regole” e l’accenno a quella “sostituzione” che pare prefigurare la ricerca di soluzioni di riqualificazione e la rinuncia a nuovo consumo di suolo. Meno ci piacciono le semplificazioni distorsive sui “condoni” di Petroselli (quella era davvero edilizia di necessità!) e l’affermazione finale secondo la quale occorre “coniugare le esigenze degli imprenditori con quelle della Capitale d’Italia”, con la quale si ribadisce che le richieste di pochi, valgono tanto (se non di più) dei bisogni di tutti, intesi come l’insieme non solo dei cittadini romani, ma di tutti coloro che vivono Roma.

E’, quest’ultima, un’aspirazione cui siamo purtroppo abituati da tempo e che scorre sotto traccia in maniera bipartisan come poche altre. Eddyburg, con l’aiuto di quanti vorranno allargare la discussione e portare il loro contributo ad una vicenda di capitale importanza, rimarrà ad osservare, ad analizzare, a criticare: in maniera bipartisan. (m.p.g.)

Vedi l'inchiesta di Report (Raitre, domenica) sui 70 milioni di metri cubi di cemento che circonderanno la capitale, e capisci perché il centrosinistra ha perso le elezioni. Il caso Roma come ottimo osservatorio per capire una delle ragioni, forse la principale, della sconfitta elettorale del tandem Veltroni-Rutelli.

Quella foresta di 1700 palazzoni che sta nascendo in una delle zone paesaggistiche più belle del paese, l'agro romano (o quel che ne resta), è raccontata da immagini, numeri, interviste curate da Paolo Mondani, autore del lungo tour intorno alla città. Stiamo parlando degli effetti del nuovo piano regolatore, votato a febbraio dalla giunta Veltroni, già in incubazione durante la gestione Rutelli. Progressivamente e inesorabilmente cambiato a colpi di "accordi di programma" per favorire gli strabilianti profitti dei veri re di Roma: i costruttori.

Un esempio che li riassume tutti. Periferia nord est, zona Bufalotta. Qui regnano i fratelli Toti e Francesco Gaetano Caltagirone (anche proprietario del principale quotidiano della città: Il Messaggero). La zona è scelta come sede di una "centralità", termine tecnico per definire le città satellite, con ospedali, ministeri e abitazioni a basso costo. I costruttori però si accorgono che non riescono a vendere quel milione di metri cubi destinato a uffici, e allora chiedono al Comune una variante di destinazione. Detto e fatto. Spariscono le opere pubbliche e spuntano 5000 appartamenti in più. In cambio il Comune incassa dal costruttore una elargizione di 80 milioni per prolungare di quattro chilometri la metropolitana (che però di milioni di euro ne costa 600).

Tutte le zone di nuova edificazione sono collocate sui terreni già di proprietà dei costruttori. In pratica sono i vecchi palazzinari a stabilire dove si deve sviluppare la città. Non solo. Questi 70 milioni di metri cubi hanno prezzi poco conformi alle tasche di chi dovrebbe comprarli: meno di 70 metri quadrati costano 320 mila euro, in zone vendute come isole di benessere nel verde, in realtà agglomerati dormitorio, senza servizi, senza altra alternativa che l'auto privata per raggiungere il centro storico.

Tutto come nelle peggiori tradizioni (condoni edilizi compresi). Il contrario di quello che succede nelle municipalità di Parigi o Madrid, dove è il Comune a decidere la mappa delle aree da edificare, a stabilire i prezzi (popolari), a dettare criteri urbanistici all'avanguardia con infrastrutture così sviluppate da rendere inutile l'uso dell'automobile per gli abitanti. Un'altra idea di bene pubblico.

«Approvare un piano regolatore che dopo 100 anni ha dato alla capitale regole per lo sviluppo del territorio e ha contribuito al rilancio dell’economia è un risultato storico e non è stata una passeggiata tra i fiori di campo», rivendica Roberto Morassut, neodeputato del Pd ed ex assessore all’urbanistica capitolina. Come 3 milioni di persone domenica ha visto l’inchiesta di Report sull’urbanistica negli anni di Rutelli e Veltroni.

Secondo Report, l’amministrazione avrebbe abdicato al suo ruolo. Un’accusa pesante.

«Paradossale: se avessimo voluto abdicare avremmo scelto la strada degli accordi con i singoli operatori come ha fatto a Milano il centrodestra e invece approvando il piano abbiamo dettato regole chiare per tutti senza orientare il mercato a favore dell’uno o dell’altro. Report fa una incredibile trasfigurazione: ricostruzioni faziose, numeri sbagliati, approssimazioni incredibili da parte di chi è chiamato a svolgere un servizio pubblico. Ci tornerò su per le vie legali. In 15 anni sulla moralità di questa amministrazione non è passata un’ombra. E sono state sotto gli occhi di tutti le pressioni operate anche da certi organi di stampa legati ad interessi edilizi: noi le abbiamo affrontate anche a costo di arrivare allo scontro, coinvolgendo in questo processo i mondi associativi e imprenditoriali, le associazioni ambientaliste e i comitati di quartiere.

E alla fine chi ha vinto?

«Non c’è vittoria o sconfitta, l’importante è aver definito regole forti e trasparenti a un mercato dove i poteri economici esistono ma vanno governati e non demonizzati. A Ballarò Alemanno mi ha definito l’assessore dei veti e ora Report parla di un “sacco di Roma”: c’è qualcosa che non torna».

Report ha indicato i vantaggi per i privati di questa stagione urbanistica: e quelli pubblici?

«Con il prg abbiamo garantito che due terzi del territorio romano saranno per sempre destinati a verde, suolo agricolo e parchi protetti, abbiamo dimezzato le previsioni del vecchio piano (da 120 milioni di mc a 65, la metà non residenziali), e poi abbiamo attivato una quantità di opere pubbliche a carico degli operatori privati (vedi oltre 100 asili nido), rilanciato l’architettura di qualità attraverso i concorsi e i progetti d’autore, incentivato l’uso di tecnologie bio-energetiche. Al di là di facili ricostruzioni rivendico con orgoglio una stagione di governo dell’urbanistica che lascerà il segno».

Il piano dice che si costruisce solo dove c’è trasporto su ferro, perché si è costruito anche altrove?

«La norma che abbiamo introdotto vale per i programmi previsti dal nuovo prg ed è stata una battaglia non facile, i programmi partiti nei decenni scorsi come Bufalotta e Ponte di Nona rispondono alle vecchie norme e scontano limiti che ci siamo preoccupati di colmare con un piano di opere pubbliche in corso di attuazione».

Bufalotta, periferia nord-est, è uno dei nodi toccati da Report.

«Bufalotta è un’eredità molto contraddittoria del passato: doveva essere l’area di sosta per i tir provenienti dalla Roma-Firenze, poi all’inizio degli anni 90 è diventata un quartiere misto di residenze e servizi. Per produrre risorse aggiuntive si è ipotizzato di modificare una parte del non residenziale. C’è stata una discussione vera, l’amministrazione ha registrato una resistenza del territorio e quella delibera è stata tolta dall’ordine dei lavori e non inserita nel prg, ma questo l’avventurosa narrativa di Report non l’ha raccontato».

Altra contraddizione: i prezzi delle case anche in periferia.

«C’è un fenomeno legato all’andamento del mercato immobiliare internazionale. Ma il prg obbliga gli operatori privati a destinare all’affitto concordato e solidale 1 alloggio su 6 delle nuove edificazioni: una norma importantissima, totalmente ignorata da Report. Il punto è che in Italia i Comuni sono nudi di fronte alla rendita privata, serve una nuova legge urbanistica che superi quella del ’42 difesa dagli urbanisti massimalisti e incolti ascoltati da Report e svuotata dalle corti d’appello: espropriare oggi significa comprare a costi di mercato pazzeschi le aree per l’edilizia popolare. Una nuova legge urbanistica dovrebbe regolare nazionalmente i contratti tra pubblico e privato come si fa in Francia o in Spagna. Questo Report l’ha raccontato».

E però Report dice che il prg valorizza proprio le aree private.

«L’idea centrale del piano è spostare in periferia pezzi di città con funzioni di pregio per rompere lo schema eccesso di funzioni nel centro storico e di residenze nella periferia. Ma è il pubblico che guida la trasformazione urbana, vedi i campus universitari di Pietralata e Tor Vergata, cantierizzazioni rivoluzionarie: basta andare a vedere e magari filmare. Se mai il punto è che i privati, che non sono stati in grado di presentare progetti con funzioni qualificanti, sono al palo. Ma, in assenza di progetti adeguati, nei loro confronti non è stata attivata nessuna procedura approvativa da parte dell’amministrazione»

Il testo originale e il file video sono disponibili nel sito di Report

MILENA GABANELLI IN STUDIO

Buonasera. Oggi parleremo di piano regolatore, ovvero ciò che decide la sorte di una città. La città in questione è patrimonio dell'umanità.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Roma. Quartiere Ponte di Nona costruito da Francesco Gaetano Caltagirone.

PAOLO MONDANI

Perché ci sono questi cartelli ovunque con scritto area di cantiere?

FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

perché questa è di fatto un'area di cantiere, queste sono palazzine che sono all'interno di un'area in costruzione. Sono abitate, sono palazzine comunque sprovviste di certificati di abitabilità. Tra l'altro i certificati di abitabilità potrebbero anche servire per ottenere uno sgravio Ici come prima casa, dato che qui sono tutte prime coppie giovani e quasi tutti, il 95%.hanno la prima casa a Ponte di Nona. Questa zona non è servita dall'autobus, nel momento in cui il comitato di quartiere fece la richiesta per avere gli autobus, l'Atac rispose che non può far attraversare i propri mezzi su un'area di cantiere.

CORRADO STEFANO GOTTI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Tutto questo è stato edificato e realizzato all'epoca.... concesso all'epoca dell'amministrazione Rutelli.

GIANNI ALESSANDRONI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

La ferrovia c'è soltanto che passa un trenino ogni 40 minuti, se tutto quanto va bene e all'ora di punta.

PAOLO MONDANI

Che ferrovia è?

GIANNI ALESSANDRONI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

La FR2. In alcune ore non ci son treni, per due ore non ci sono treni, hanno messo adesso qualche trenino nuovo ma passa soltanto nelle ore non di punta e gli altri son dei carri bestiame. Oltretutto non ci sono parcheggi nelle stazioni.

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

In Francia si realizza prima le strade, le infrastrutture viarie, tutto e poi l'architettura....Penso che sia uno specifica....

PAOLO MONDANI

E la macchina non serve?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Io ho una macchina, ma non la uso mai e mi sto chiedendo di venderla, perché quand'è che la uso? Quando vengo in Italia?

MILENA GABANELLI IN STUDIO

Beato lui. Nei prossimi 10 anni si prevede di costruire a Roma 70 milioni di metri cubi. Per dare un'idea: 1700 nuovi palazzi di 8 piani. E si prevede che 350.000 persone andranno ad abitare lì. La crescita è zero, ma sono cambiati gli stili di vita, tante persone sole, coppie non sposate, immigrati, studenti fuori sede, tutte persone che non sono in grado di pagare dei costi troppo elevati. Magari non si vende tutto, però intanto si costruisce, e in 70 milioni di metri cubi ci sta tanta roba. Può essere che si decida anche di seguire le tendenze europee, che sono quelle di spostare fuori dal centro tutte le funzioni politiche ed amministrative e quindi anche il traffico che comportano per lasciare spazio alla naturale vocazione di Roma che è quella culturale e turistica. Nelle chiese di Roma trovi Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, opere di valore inestimabile che non trovi nelle chiese di Boston o di Berlino. E infatti gli amministratori prevedevano questi spostamenti già con il piano regolatore del '65. Poi per 40 anni si è costruito di tutto, ma i ministeri con annessi e connessi sono sempre rimasti lì. A febbraio scorso è stato approvato l'ultimo piano regolatore. Cosa c'è dentro lo racconta Paolo Mondani

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Lo scorso febbraio, mentre i comitati di quartiere protestano contro i milioni di metri cubi di cemento che pioveranno sulla città, il Consiglio Comunale di Roma approva il nuovo piano regolatore.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Onorevoli colleghi, il nuovo piano regolatore, generale di Roma....

CONSIGLIERE COMUNALE

C'è una violazione della prassi accertata....

CONSIGLIERE COMUNALE

E in due giorni per una maggioranza, solo in questo caso unita e bolscevica, ci fanno votare nonostante la nostra opposizione....

CITTADINO

I soldi che vi ha dato lo Stato per le case popolari, li avete usati per costruire opere inutili!

DONNA OCCHIALI DA SOLE

Loro sul raccordo hanno tanto di cartelloni giganteschi, residenze nel parco, quindi.... e invece il parco delle Sabine che doveva iniziare contestualmente alla edilizia residenziale.... proprio se no sono, così , strafregati!

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Area della Bufalotta, estrema periferia al nord est di Roma. Tra le vie Salaria e Nomentana. Il Comune realizza qui una centralità, una piccola città che sulla carta promette tanto verde, case, uffici, centri commerciali. Ma per ora ci sono solo i centri commerciali e le case costruite dai fratelli Toti e da Francesco Gaetano Caltagirone.

PAOLO MONDANI

Quanto è grande il suo appartamento e quanto lo ha pagato?

DONNA 1

Sul catasto c'è scritto 69.

PAOLO MONDANI

69 metri quadri?

DONNA 1

Si ma 69 metri quadri non netti, dentro sarà un 50 metri quadri, 55 metri quadri, non di più!

PAOLO MONDANI

Complessivamente quanto costa?

DONNA 1

317! Mannaggia!

PAOLO MONDANI

317 mila?

DONNA 2

No aspetta 317 e 900.

DONNA 1

E poi non di lusso, perché a me sembra che siano case popolari, perché io ho visto le case popolari e le rifiniture sono fatte bene, dopo anni ho visto case popolari che ancora reggono. In questa la pavimentazione la scia a desiderare, la zoccolatura marcia.

PAOLO MONDANI

Quanto paga al mese di mutuo lei signora?

DONNA 1

1500 euro al mese, che non so se... che paga la figliola, perché l'appartamento è della figlia!

PAOLO MONDANI

Per quanto tempo?

DONNA 1

30 anni!

PAOLO MONDANI

Ma lei....si diverte lei!?

DONNA 1

Io rido perché non so la figlia che farà!!! E poi dicono che non se ne vanno via di casa, sono bamboccioni, ma come fanno questi figlioli a sposarsi, a uscire di casa, a comprare casa, a vivere!

DONNA 2

Il mio ragazzo, siamo cosi, è un bamboccione anche lui perché chiaramente non si può fare!

PAOLO MONDANI

Sta a casa con i genitori, vi amerete a distanza a vita, questa è la verità?

DONNA 2

Sempre, si. E non potremmo fare nemmeno figli, perché la casa che ho comprato non è che una stanza in più, eventualmente, per poter supportare una famiglia di tre persone.

DONNA OCCHIALI DA SOLE

Siamo stati allettati dal fatto che questa sia una nuova forma di città, la centralità urbana, piena di servizi, diciamo qualcosa di simile all'Eur o al centro di Roma, con la parte direzionale, con i servizi pubblici, i servizi privati, dove c'erano anche possibilità di lavoro perché ci sarebbero stati tanti uffici a disposizione, la metropolitana, l'imbocco con l'autostrada che è l'unica cosa che hanno fatto, ma semplicemente perché c'era Ikea, e il centro commerciale, perché altrimenti di noi se ne sarebbero strafregati.

PAOLO MONDANI

Che cosa sono le centralità?

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Le centralità sono aree di proprietà dei privati che son state....

PAOLO MONDANI

Sparpagliate nella città....

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

....Sparpagliate nella città, andiamo dal nord della città a est della città., al sud estremo della città.

PAOLO MONDANI

Sono queste piccole aree blu, diciamo cosi?

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Si, sono queste aree blu, che erano gli ex servizi generali della città che sono stati appunto privatizzati, sulla base di questa visione, tutta privatistica.

PAOLO MONDANI

Guarda caso le centralità, queste piccole città che dovete realizzare, stanno proprio là dove i proprietari hanno acquisito le aree, esempio, Bufalotta i Toti e i Caltagirone.Acilia Madonnetta passa da Telecom a Toti e Ligresti, Romanina a Scarpellini, Fiumicino a Magliana sempre dei Toti.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Si è messo in moto un mercato delle aree, individuato dal nuovo piano regolatore, che ha spesso modificato anche gli assetti proprietari.

PAOLO MONDANI

Il problema è che voi indicate li le previsioni di....

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Ma queste, ripeto, indicazioni, previsioni, sono stati precedenti a questi processi di compravendita, ma a me francamente come si muove il mercato interessa relativamente.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

E infatti il Comune decide di fare le nuove città, le famose centralità, proprio dove i grandi proprietari hanno comprato le aree. Solo un caso? Questo è il video promozionale della centralità Bufalotta dove proprietari e costruttori promettono case spaziose, verde e servizi. Il Comune dice: nella centralità vanno trasferiti dal centro alcuni servizi di qualità come ospedali e ministeri, e invece il comune nell'ottobre scorso, sulla Bufalotta cambia idea.

PIERGIORGIO ROSSO - INGEGNERE - ASSOCIAZIONE NUOVO MUNICIPIO IV

Il 10 di ottobre del 2007 la giunta del Comune di Roma ha approvato una delibera, che cambia la destinazione d'uso di una parte della centralità metropolitana Bufalotta. La centralità metropolitana Bufalotta prevede 2.750.000 metri cubi destinati in parte a servizi e in parte a residenze, la parte a servizi è di circa un milione di metri cubi ebbene questa porzione di un milione di metri cubi, secondo questa delibera, sarà trasformata da uffici a residenze. Questa richiesta è stata accolta dalla giunta sulla base di una analoga richiesta da parte dei costruttori, che avevano difficoltà a vendere uffici. Sono circa 5.000 appartamenti in più e circa 12.000 abitanti in più, su una popolazione già insediata di 200.000 nel municipio IV di Roma. Noi usiamo dire, siamo circa la quattordicesima città in Italia in termini di popolazione.

DONNA OCCHIALI DA SOLE

Ho paura che il mio acquisto, così, si trasformi in una grande bella bolla di sapone e "puff", e insieme alla centralità se ne vanno anche i miei investimenti.

PAOLO MONDANI

Il caso Bufalotta, dove il proprietario dell'area che è Toti chiede di modificare con un accordo di programma un milione di metri cubi destinati ad uffici in residenze. Questo secondo me contraddice un po' l'idea che facciate di queste centralità, di queste mini città tante piccole citt. composte da uffici, funzioni moderne.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Si è addivenuti ad un compromesso, all'idea di un compromesso in cui in cambio di una valorizzazione immobiliare vi fosse un notevole versamento di oneri all'amministrazione per realizzare le infrastrutture in trasporto pubblico.

PIERGIORGIO ROSSO - INGEGNERE - ASSOCIAZIONE NUOVO MUNICIPIO IV

E questo che ci scandalizza: che un operazione di valorizzazione di fondiaria venga spacciat.come rilevante interesse pubblico e quindi l'amministrazione l'appoggia e chiede in cambio 80 milioni di euro.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Il Comune scambia i trasporti con le case e i costruttori non fanno i servizi di qualità. La centralità Bufalotta diventerà un altro quartiere sul raccordo anulare. I costruttori versano in cambio 80 milioni di euro, con i quali il Comune prolungherà la metropolitana B1 fino a Bufalotta. Peccato che non ci sia ancora il progetto e che per i 4 nuovi chilometri di metrò occorreranno 600 milioni di euro. Ma per concludere il patto coi costruttori resta aperto un problema, quello delle regole. Il nuovo piano regolatore a Bufalotta non prevede tutte quelle case. Per cambiarlo non basta una delibera del Comune. Come fare? Con uno strumento rivoluzionario: l'accordo di programma.

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Attraverso l'uso dell'accordo di programma io posso conservare, variare, aumentare, cambiare destinazione ad alcune previsioni del vecchio piano del nuovo piano addirittura quindi in buona sostanza le regole sono saltate.

PAOLO MONDANI

E questo è andato a vantaggio soprattutto di chi in questi anni?

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Beh del gruppo Acqua Marcia direi, del gruppo Toti Lamaro, del gruppo Bonifaci che hanno ottenuto delle valorizzazioni immobiliari impressionanti o lo stesso gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Osserviamo la delibera della Giunta comunale del 9 ottobre 2007. Che riguarda l'accordo di programma in variante al piano regolatore per interventi nel settore urbano di Bufalotta. Scopriamo che c'è una seconda concessione, quella che permette un ampliamento dei volumi del complesso di Viale Romania n. 32 per il nuovo polo dell'università Luiss.

VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS

Quello che noi riteniam. assolutamente paradossale è che si va in deroga con accordo di programma al piano regolatore, vantando un interesse generale che in realtà è un interesse di un'università privata.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Ecco il complesso che era di proprietà delle suore dell'Assunzione, poi comprato dai fratelli Toti della Lamaro Costruzioni che lo hanno dato in affitto alla Luiss. La delibera non è ancora approvata dal consiglio comunale eppure i lavori sono iniziati. Come mai? Ce lo spiega questa comunicazione dei vigili urbani del secondo municipio. Leggiamo che la Lamaro ha presentato al municipio una Dia, dichiarazione di inizio attività, in cui dichiara l'esecuzione di opere di restauro conservativo. E invece i vigili urbani si accorgono di lavori abusivi di ristrutturazione. Insomma, il secondo municipio autorizza solo lavori di conservazione e nessun ampliamento, il Comune invece sì ma in una proposta di delibera non ancora approvata. Guarda caso, la Lamaro l'ampliamento lo ha già iniziato. Ma si può fare su un'area simile?

VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS

Questa è una zona assolutamente vincolata a tutela integrale, è una zona G1 Parco storico vincolato anche se privato, è un'area che ricade nella valle del Tevere 15/08 e quindi....

PAOLO MONDANI

Che vuol dire un piano paesistico?

VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS

Esattamente ed ha anche un vincolo paesaggistico specifico apposto con decreto ministeriale.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Le sorprese non finiscono qui. Leggiamo nella delibera che la Lamaro Appalti ha deciso di stanziare 8 milioni di euro di contributo straordinario volontario a favore del Comune di Roma visto che non riuscirà a garantire gli standard di verde e parcheggi fissati per legge. Ci guadagna il Comune in questo scambio?

VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS

Beh io direi proprio di no visto che quel di più che gli concede il Comune in termini edificatori renderà 150 milioni di euro alla Lamaro appalti a fronte degli 8 milioni che loro daranno qualora loro non si atterrano agli standard urbanistici.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Il Comune si accontenta di poco. Altri no. Ecco il contratto con il quale la società Lamaro dei fratelli Toti dà mandato all'avvocato Marco Simeon di convincere il Vaticano e le suore dell'Assunzione a vendere il complesso di Viale Romania. Legato all'Opus Dei, Simeon, è stato responsabile relazioni istituzionali di Capitalia. Oggi è a Mediobanca. Ma sempre sotto l'ala protettrice di Cesare Geronzi. I Fratelli Toti per la consulenza versano a Simeon un milione e 300 mila euro.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Francamente i cognomi Toti, questo, quell'altro interessa poco, torno al concetto. L'amministrazione da' delle norme, da delle regole, da degli indirizzi poi il mercato si muove. Indipendentemente. Io difendo il progetto di creare in quel luogo un campus universitario della Luiss, perché Roma è la capitale d'Italia, la Luiss è una grande università, benché privata, che forma una parte importante della classe dirigente e deve avere una sede degna.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Sulla Roma-Fiumicino c'è un'altra grande area di proprietà dei fratelli Toti che essendo anche costruttori hanno potuto edificare i capannoni della nuova Fiera di Roma. Il piano regolatore non prevedeva affatto la nuova fiera eppure su questi 300 ettari i Toti ottengono di poter realizzare tre milioni di metri cubi, di cui la fiera è solo una parte. Ma la storia viene da lontano.

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Questa zona era destinata dal piano regolatore del 1965 ad auto-porto, cioè qui arrivavano le merci, cambiavano vettori, arrivavano i tir e poi cambiavano le merci con i piccoli vettori verso la città di Roma. Da allora il destino di quest'area è diventato travolgente nel senso che, a cavallo delle due giunte, di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, sempre attraverso lo strumento dell'accordo di programma, gruppo Lamaro propone al comune di fare qui la Fiera di Roma e il Comune di Roma fa una variante attraverso un accordo di programma e questa zona da auto-porto diventa Fiera di Roma, anche qui c'è una plusvalenza che lascio immaginare.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Siamo sulla via Anagnina, quadrante sud est di Roma. Quartieri degli anni '60 nati con l'abusivismo e quartieri legali fatti solo di case. La viabilità è collassata dall'arrivo del centro commerciale dell'Ikea. Proprio qui, sull'unica area verde rimasta libera, di proprietà dell'Immobilfin di Sergio Scarpellini, il comune vuole costruire una centralità. E con lo strumento dell'accordo di programma, in deroga alle previsioni del piano regolatore, le costruzioni previste crescono a dismisura.

ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X

Il piano regolatore del 2003, la proposta originaria prevedeva un'edificazione di 750 mila metri cubi, qui, che poi in fase di deduzione, contro deduzioni, contro deduzioni, insomma, alla fine il nuovo piano regolatore ha fissato la quota a 1 milione e 130 mila metri cubi e c'è stato già uno spostamento consistente in avanti.

PAOLO MONDANI

E Scarpellini cosa intende fare qua?

ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X

Adesso c'è il proprietario che propone per dare, dice lui, un contributo di 50 milioni al prolungamento della metropolitana.

PAOLO MONDANI

50 milioni di euro?

ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X

50 milioni di euro, meno del 20% del costo dell'opera totale, in cambio di quest.piccolo contributo lui chiede un incremento ulteriore di 670 mila metri cubi che complessivamente porterebbe l'edificazione della centralità a 1 milione e 800 mila metri cubi.

PAOLO MONDANI

Lei la Romanina quando la comprò?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

La Romanina l'avevo comprata....qual è il concetto?

PAOLO MONDANI

In che anno voglio dire?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Nel '90.

PAOLO MONDANI

E quanto la pagò?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

La pagai 160 miliardi.

PAOLO MONDANI

Oggi quanto vale quella quell'area?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Ma che le devo dire....

PAOLO MONDANI

Lei è un intermediario immobiliare, uno dei più famosi a Roma?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Si, si ma io....

PAOLO MONDANI

Se non lo sa lei, chi lo sa?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Sì ma io lo so quanto può valere.

PAOLO MONDANI

E allora me lo dica!

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Diciamo che valgono 5 o 6 volte in più.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

Quei terreni comprati nel '90 oggi valgono 5 o 6 volte in più anche perché il piano regolatore gli da l'ok per costruire 1 milione 100 mila metri cubi. Il signor Scarpellini però vorrebbe edificarne 700.000 in più. Non sarebbe possibile, se non attraverso l'accordo di programma, che è uno strumento amministrativo che permette al pubblico di fare una variante al piano regolatore. Ma mica la puoi fare perché è nell'interesse del costruttore! Si può fare solo quando c'è un interesse pubblico. In questo caso l'interesse pubblico consiste in denaro che il signor Scarpellini darà al Comune. Quanto lo vediamo fra qualche minuto dopo un po' di pubblicità.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

Stavamo parlando del signor Scarpellini, un imprenditore molto abile, può darsi che qualcuno ricordi quando qualche anno fa comprò dalla Telecom il complesso Marini, dove ci stanno gli uffici dei parlamentari. Bene, lui era riuscito a stipulare un contratto d'affitto con lo Stato per 18 anni, ancora prima di diventarne il proprietario. Ad ogni modo, è stato autorizzato dal Comune a costruire nella periferia romana 1 milione 100 mila metri cubi. Lui vorrebbe arrivare a 1 milione e 8. L'ostacolo è superabile solo con una variante al piano regolatore. Per dire, il progettista del signor Scarpellini è stato consulente per i problemi urbanistici della Regione e direttore del piano regolatore di Roma fino al 2002. Capita, i professionisti oggi lavorano per un ente e domani per un imprenditore. Chiusa parentesi. Ma qual è la contropartita che offrirà al Comune in cambio della variante e quanto ci guadagnerà il signor Scarpellini dall' operazione?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Noi imprenditori è come si diventa quasi come dire giocatori. Sai quanta gente mi dice ma chi te lo fa fare a te che fai una vita da povero!

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Al povero Scarpellini costruire a Romanina frutterà 420 milioni di euro di guadagno netto. Se il Comune gli consentirà di realizzare 670 mila metri cubi in più il netto salirà di altri 250 milioni. In cambio di questa fortuna Scarpellini promette solo 50 milioni di euro al Comune per realizzare il prolungamento della metropolitana da Anagnina a Romanina che costerà, dicono in tecnici, 350 milioni e che se realizzata farà lievitare ancora il valore dell'area.

ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X

Siamo preoccupati concretamente che quella che qui è stata definita come centralità che doveva portare delle funzioni che erano riqualificanti rispetto a una periferia che è molto degradata, diventa invece un nuovo contenitore di case e centri commerciali.

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Bisogna che in questo paese cominciate a pensarla positivamente non sempre negativamente. La dimostrazione di fatto è che io ho cominciato la gavett. e oggi eccomi qua.

PAOLO MONDANI

E quanti appartamenti pensate di fare più o meno?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Quanti ne verranno? Tanti un paio di mila. Anche anche.

PAOLO MONDANI

2000?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

2000 anche di più.

PAOLO MONDANI

2500?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

2500, 3000. Anche di più.

PAOLO MONDANI

3000?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Secondo gli appartamenti come sono piccoli, grandi.

PAOLO MONDANI

Se non lo sa lei dott. Scarpellini!

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Ancora al dettaglio non lo abbiamo studiato.

ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X

Noi qui praticamente arriviamo alle pendici dei castelli romani, ormai tutta la vecchia campagna romana in questo settore, è stata completamente, o verrà completamente coperta dal cemento.

PAOLO MONDANI

A Romanina, Scarpellini dice che occorre passare da circa 1 milione a 1 milione e cento metri cubi a 1 milione e 8. Anche li, che senso ha?

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Non ho nessuna pregiudiziale, naturalmente però essendoci stato un voto del Consiglio Comunale, che in materia urbanistica è centrale, ritengo che quel voto e quel dimensionamento vada rispettato e si debba comunque operare, per dare comunque la metropolitana a Romanina mantenendo il dimensionamento stabilito.

PAOLO MONDANI

L'idea di passare dalla previsione di piano attuale alla vostra massima, quella del milione e 8 ha trovato un qualche consenso?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Ma buonsenso no, c'è diciamo della maggioranza, perché questo effettivamente il progetto....

PAOLO MONDANI

Sono d'accordo insomma, questa è la cosa?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Non credo che sia....perché noi facciamo una cosa credo utile per la città, adesso si parla perché lei mi sta intervistando.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Scarpellini è convinto che con l'accordo di programma il Comune gli darà il via libera, ma l'assessore Morassut dice che a Romanina si rispetterà il piano regolatore e che non si faranno 1 milione 800 mila metri cubi. Chi ha ragione? Lo chiediamo a Giovanni Mazza, il signore che vediamo in piedi discutere con un assessore durante l'approvazione del piano regolatore. Giovanni Mazza, ex consigliere comunale del partito comunista italiano oggi è uno dei principali consulenti di costruttori come Pulcini, Bonifici, Caltagirone, Ligresti e naturalmente Scarpellini.

PAOLO MONDANI

Il nuovo piano regolatore di Roma, fa delle previsioni di cubature da costruire, ma tutti sanno che verranno smentite dai futuri accordi di programma, allora questo piano regolatore, non ci dice la verità. Sì o no?

GIOVANNI MAZZA - CONSULENTE COSTRUTTORI

Non si può ridurre a sì o no, il piano regolatore dice una mezza verità, diciamo cosi, diciam.prevalentemente dice la verità, poi in alcune parti questa verità è una mezza bugia che va corretta.

PAOLO MONDANI

Leggo che lei alla Lega Nord ha dato 75 mila euro di contributi, ai DS 68 mila, finanziamento al partito?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Si, finanziamento al partito.

PAOLO MONDANI

Tutto regolare?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Si tutto regolare, con fatture se no non posso fare questo.

PAOLO MONDANI

Ad altri partiti ha dato qualche cosa?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Si tutto regolare, tutto regolare.

PAOLO MONDANI

Anche ad altri partiti voglio dire?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Si ma più che altro sono....

PAOLO MONDANI

Contributi elettorali?

SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE

Sì, tutti i contributi elettorali che ho fatto.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Centralità Acilia Madonnetta. Siamo a due passi dal mare. In un'area archeologica che come dicono a Roma, basta spostare la terra e salta fuori qualcosa. Il progetto realizzato dall'architetto Vittorio Gregotti prevedeva tanti servizi di qualità. Prevedeva, appunto.

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Innanzi tutto le centralità per definizione devono stare vicino al ferro, per cui....

PAOLO MONDANI

Cioè vicino alla ferrovia?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Vicino alla ferrovia, la cosiddetta cura del ferro, chiamata da Veltroni, cioè vicino alla ferrovia, per cui si sarebbe dovuta realizzare una stazione, che avrebbe servito questa centralità, e poi anche tre campus universitari. Questi tre campus universitari avrebbero dovuto essere finanziati dall'Inail che purtroppo con la finanziaria dell'anno scorso questo finanziamento in realtà non verrà mai.

PAOLO MONDANI

Quindi cancellati i campus?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Cancellati per esempio già i campus universitari.

PAOLO MONDANI

La stazione ferroviaria però?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

La stazione ferroviaria teoricamente si dovrebbe costruire prima, ma in realtà questa cosa con molta probabilità non si farà.

ADRIANA FORNARO - COMITATO DI QUARTIER MADONNETTA

Si sono rifatti per quanto riguarda la viabilità a delle piantine di zona che risalgono agli anni 60 quindi non hanno tenuto conto del costruito recente e hanno supposto di poter creare delle strade di collegamento che non sono più realizzabili perché ci sono delle case condonate, per cui o abbattono le case condonate o non creeranno le infrastrutture per quanto riguarda la viabilità.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

In una recente memoria presentata alla giunta comunale prima delle elezioni, l'assessore Morassut scrive che il progetto di Acilia Madonnetta è saltato e va interamente rivisto con la proprietà: Telecom, Marzotto, Pirelli Re. Rimangono quindi tre sole certezze: si faranno case per 10 mila persone, l'università non ha i soldi per spostarsi, la stazione ferroviaria è sospesa.

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Inizialmente siamo partiti con una cubatura di un milione e 800 mila metri cubi. Su richiesta degli abitanti si è cercato di abbassare questo quorum e i cittadini avevano chiesto che fossero circa 800 mila metri cubi. Alla fine l'assessore Morassut all'urbanistica e D'Alessandro ai lavori pubblici comunicano con grande giubilo ai giornali che si è venuti incontro ai cittadini e che questa centralità non peserà più per un milione e 8 ma per un milione e 4. Quindi in realtà....

PAOLO MONDANI

Soddisfatta dei meno 400 mila lei?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Caspita è stato un affare per noi!

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

A pochi passi dalla futura centralità, spuntano i palazzoni di Via Di Acilia. Da tempo sono in vendita e vanno a ruba. Sono le Terrazze del Presidente, un complesso edilizio vicinissimo alla tenuta del Presidente della Repubblica a Castel Porziano. Siamo nel 1990, ai costruttori Antonio Pulcini e Salvatore Ligresti arriva un primo miracolo: la regione Lazio concede di realizzare questi palazzi su un terreno destinato a servizi pubblici. La concessione viene però cancellata dal Tar e dal Consiglio di Stato e questi edifici vengono dichiarati ufficialmente abusivi. Ma nel '94 arriva il secondo miracolo.

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Sotto il governo Berlusconi c'è diciamo il condono edilizio che prevedeva che si potesse condonare diciamo ogni domanda fino a un massimo di 750 metri cubi.

PAOLO MONDANI

Un pò strano perché qui quanti saranno i metri cubi?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Qua sono 283 mila quindi sono moltissimi.

PAOLO MONDANI

Era impossibile condonare?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Era impossibile condonare, però viene in aiuto di Pulcini un emendamento del Centro Destra che consente, anche a coloro a cui è stato annullato con sentenza del Tar, appunto la concezione edilizia, di poter sanare l'opera.

PAOLO MONDANI

Insomma un emendamento "ad hoc" per le case di via di Acilia?

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Un emendamento "ad hoc" esattamente!

PAOLO MONDANI

Chi deve ringraziare di quella diciamo cosi...?

ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE

Ma io credo che, non lo so, la politica italiana. Che devo dire??

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

A questo punto, usando la legge sul condono edilizio, Antonio Pulcini chiede al Comune di Roma la concessione in sanatoria. Rimane però aperto il problema della destinazione d'uso dell'area. Il piano regolatore non prevedeva case in questo luogo, quindi Pulcini non avrebbe potuto ottenere il condono. Eppure riesce ad aprire con il Comune una lunga trattativa.

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Nel 2003 finalmente però l'ufficio anti abusivismo del Comune di Roma, sotto la giunta Veltroni, regala una splendida concessione edilizia in sanatoria.

PAOLO MONDANI

Quanti appartamenti realizzate li?

ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE

Circa 1300.

PAOLO MONDANI

Quanta gente in tutto?

ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE

4000, 4500 persone.

UOMO

Ci ritroviamo dei palazzi che sono venduti a dei prezzi esorbitanti, sicuramente per la tasca di pochissimi e sono appartamenti non extra lusso, ma molto, ma molto di più. Addirittura è previsto anche un laghetto privato all'interno del cortile.

PAOLO MONDANI

Quanto costa a metro quadro di media comprare lì da lei?

ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE

Mediamente in questo momento costano sulle 4000/4500.

PAOLO MONDANI

4000/4500?

ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE

Sì è un buon prodotto, di elevata qualità, questo però lo può andare a visitare se dovesse avere bisogno di comprare una casa. Si può accomodare nei nostri uffici.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA

Si trattava di un complesso immobiliare abbandonato diciamo da anni che attraverso una procedura di condono edilizio, lungamente varata dagli uffici, sono stati chiesti oneri aggiuntivi per realizzare quelle necessarie opere di viabilità e di collegamento, tra cui l'ampliamento di Via di Acilia, il sottopasso sotto la via Cristoforo Colombo per le interconnessioni tra Via di Acilia e la Cristoforo e Colombo e una serie di altri servizi

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Quindi il comune fa uno scambio con il costruttore. Ti dò la concessione in sanatoria e tu mi fai le strade.

PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII

Col piccolo particolare che quello che il Comune consente loro lo fanno subito e presto. Le opere pubbliche no, per cui ad oggi, ancora oggi stiamo aspettando il raddoppio di via di Acilia. Eppure le case sono costruite.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

La pubblica amministrazione incapace di ridurre la spesa, per far quadrare i conti, ha tagliato i trasferimenti ai comuni e i comuni, per sopravvivere, hanno cominciato ad elargire licenze edilizie e monetizzato le aree verdi, cioè chiedono a chi costruisce contanti, in cambio d.standard edilizi, ovvero tutto quello che fa la differenza fra un quartiere normale e un quartiere dormitorio. Poi col contante ci costruisco una linea della metropolitana che però all'ente pubblico viene a costare 7 volte tanto, e magari non si fa nei tempi previsti. Intanto però con l'aumento dell'immigrazione, confinata in case dimesse con poche funzioni di qualità, e poche possibilità di integrazione si potrebbe correre il rischio di vedere qui quello che è successo qualche anno fa in un comune a nord di Parigi. A Clichy Sous Bois, dove un paio di anni fa è esplosa la rivolta: 9000 auto incendiate. 3000 persone arrestate, il governo ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza, ad oggi non ancora sospeso. A un passo, Parigi, dove in campo urbanistico il Comune ha l'ultima parola su tutto.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Parigi è dodici volte più piccola del comune di Roma. Gli abitanti sono invece circa gli stessi. A Roma ci sono due linee metropolitane, a Parigi 14, più tre treni regionali che arrivano fino in centro. Quelle torri sulle sfondo sono gli uffici della Defence costruita su aree pubbliche, così come su aree pubbliche è la zona direzionale di Paris Rive Gauche. Andiamo a visitare il quartiere periferico di Bercy, paragonabile a una nuova centralità romana.

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Dove c'è sia un gran parco di 12 ettari che due attrezzature maggiori, il Ministero delle Finanze e il Palazzo dello Sport e una grande zona di abitazioni, di commercio e di uffici. Si vede lungo il giardino tutta una zona di abitazioni, il cinema di Francia e dall'altra parte le 4 torri delle biblioteche di Francia. I commerci sono i commerci atipici, i commerci molto ricercati, non è il commercio di....

PAOLO MONDANI

Non avete portato il centro commerciale insomma?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

No qua no, ma non ci sono i centri commerciali a Parigi. Questo è vietato.

PAOLO MONDANI

E perché?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

perché i centri commerciali uccidono il piccolo commercio. Abbiamo tre tipi di alloggi qui, il privato, il sociale e la l'intermedier, sono gli appartamenti che sono in affitto per la classe media. Dunque abbiamo tutta la superficie sociale. Questi alloggi mi sa dire quali sono gli alloggi sociali e privati, si vede la differenza di architettura, ma non di qualità.

PAOLO MONDANI

Quante case avete realizzato qui, quanti alloggi sono?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

I nuovi alloggi 2500.

PAOLO MONDANI

E in rapporto pubblico e privato quanti pubblici e quanti...?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Due terzi pubblici e un terzo privato. Il prezzo dell'affitto degli alloggi pubblici è uguale per tutta Parigi. Però il prezzo degli affitti o dell'acquisto delle zone libero, insomma private quello è il prezzo del mercato. La metro ha cambiato totalmente la zona, questa zona che era una zona di "fondo" città, con la metro è diventata una zona di "inizio" città. Prima da questo punto per arrivare al centro di Parigi, alla Madeleine occorreva più di un ora, un'ora e mezza, adesso 10 minuti e si è alla Madeleine.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

E a pochi passi, la zona degli uffici, degli alberghi e dei cinema. Va ancora detto che a Parigi il 50 per cento degli alloggi che si realizzano sono pubblici, l'altra metà sono privati ma è il Comune che fa il progetto. Resta solo da chiarire se le nuove città, come Bercy, vengono costruite su terreni pubblici o come accade a Roma su aree private.

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Ci sono anche dei pezzi direi di proprietari privati, piccoli pezzi, ma direi che le gran zone di intervento pubblico si fanno su dei territori che appartengono a un gran proprietario pubblico.

PAOLO MONDANI

A Roma è possibile espropriare un terreno ma il Comune lo deve pagare a prezzo di mercato e di solito non ha i soldi per farlo. A Parigi come si comporta il Comune?

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Quello che realizza l'operazione è una società a capitale misto gestita dal Comune, scelta dal comune, la Semapa, la Semaest, la Semavip, ce ne sono parecchie a Parigi dunque queste società a capitale misto finalmente hanno un capitale di soldi, un 51% di capitale appartiene al Comune di Parigi, dunque il Comune ha il controllo. Dunque chi compra i terreni non è il Comune, è la società a capitale misto.

PAOLO MONDANI

Quindi l'operazione la fa una società controllata al 51% dal pubblico. E il privato, con il suo 49%, permette al Comune di comprare le aree necessarie.

PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI

Compra i terreni, li viabilizza, costruisce le attrezzature, scuole, giardini, questo e quello, lottizza, vende i lotti e con i soldi, riprende i soldi che ha dato. Dunque è un gioco di equilibrio finanziario.

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

Roma in particolare è un caso unico in Europa. Nell'Europa nel nord, dalla Francia alla Germania alla Gran bretagna è comunque l'amministrazione pubblica che disegna l'assetto delle città, poi ovviamente volta per volta nei vari comparti di trasformazione della città contratta con il privato le forme di realizzazione, ma localizzazione delle funzioni che vanno nelle città è in mano al pubblico.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Affacciate sulle aree verdi di Tor Marancia ci sono le case Caltagirone di Grotta Perfetta. A Roma è ormai il privato che costruisce alloggi a basso prezzo, lui decide dove farli, sempre sulle sue aree, e decide qual è l'architettura. Le case di Caltagirone sono inconfondibili, sempre uguali a se stesse, parallelepipedi bianchi come blocchi di cemento.

PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA

La qualità urbana è quella che si vede, insomma, un grande terrazzo aperto sopra i box dei garage, invece di fare del verde e negozi che non apriranno mai perché ormai la logica dei centri commerciali farà si che questi resteranno per sempre dei grandi quartieri dormitorio avulsi dalla città.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Francesco Gaetano Caltagirone sta realizzando un milione di metri cubi a Tor Pagnotta, un'antica tenuta della famiglia Torlonia in mezzo all'agro romano a sud di Roma, tra le vie Ardeatina e Laurentina. Nel 1259 i Cavalieri Templari si erano installati qui, e intorno alla torre medioevale si trovano reperti archeologici di epoca romana un po' ovunque. Ora un milione di metri cubi di appartamenti. Il via libera viene dato dalle giunte di centro sinistra.

UOMO 1

I nuovi edifici sorgeranno proprio tra i due casali, questi due casali antichi, qua verrà il nucleo duro della lottizzazione. Palazzi alti sette otto piani che copriranno quest'ultimo scorcio di campagna romana, di agro romano.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Francesco Gaetano Caltagirone, il più importante tra i costruttori romani, editore de.Messaggero, suocero di Pierferdinando Casini e da poco nominato Cavaliere del lavoro dal Presidente Napolitano, non costruisce solo palazzi. Nel 1991 partecipa alla realizzazione della linea ferroviaria Roma-Napoli dell'Alta velocità. Costo iniziale, 1,9 miliardi di euro. Verrà terminata tra il 2008 e il 2009 perché i tempi di consegna sono triplicati e il prezzo iniziale pure: i tecnici parlano di 6,7 miliardi di euro. Tra l'altro, un'opera affidata a trattativa privata benché le normative europee prevedano solo la gara pubblica. Nel 2006, la società Vianini di Caltagirone una gara la vince, quella per la linea C della metropolitana di Roma, insieme al Gruppo Astaldi e alle cooperative rosse della CCC di Bologna. Costo, 2,18 miliardi di euro per 27 km di linea. Data di consegna: il 2015. Il Comune avrebbe potuto fare un appalto normale e invece ha usato la legge obiettivo del governo Berlusconi e con i privati ha stipulato un contratto a contraente generale. Che cosa vuol dire?

IVAN CICCONI - INGEGNERE - ESPERTO APPALTI PUBBLICI

Il contraente generale è un concessionario, quindi con tutti i poteri del concessionario, e quindi svolge la funzione di committente. Fa il progetto esecutivo, affida il lavoro a terzi a trattativa privata liberamente come prevede la legge obiettivo e svolge anche l'attività di direzione dei lavori, cioè controlla se stesso. La legge obiettivo dice che è un concessionario, quindi con questi poteri, con l'esclusione della gestione dell'opera. Quindi non rischia assolutamente nulla nella gestione, viene pagato al cento per cento dal committente ma non ha nessun interesse a finire presto e bene i lavori perché non ha nessun incentivo o responsabilità di recuperare attraverso la gestione. E i 2,18 miliardi di euro andrà bene se raddoppieranno semplicemente e non triplicheranno e quadruplicheranno come sta avvenendo con l'alta velocità.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Vitinia è un quartiere sulla Via del Mare costruito nel 1939 da Mussolini. L'esperienza dovrebbe insegnare che nuovi quartieri in mezzo al nulla costano troppo in termini di servizi e diventano dei dormitori. Eppure, dalla metà degli anni '90 sorge il villaggio Caltagirone, 800 mila metri cubi per 8 mila abitanti, nel bel mezzo della Valle di Malafede.

ANGELO BONELLI - EX PRESIDENTE MUNICIPIO XIII

Questa era un'area che nel 1987 l'allora ministro dell'ambiente volle insieme a tante aree del litorale romano proteggere con un decreto che aveva il nome Zone d'importanza naturalistica del litorale romano.

PAOLO MONDANI

Il ministro Pavan?

ANGELO BONELLI - EX PRESIDENTE MUNICIPIO XIII

L'allora ministro dell'ambiente Pavan esatto. Accadde però che nel 1994 il ministro dell'ambiente, l'allora ministro dell'ambiente Matteoli modificò il perimetro delle zone d'importanza naturalistica del litorale romano, istituendo la riserva del litorale romano ma non inserendo più queste aree dove noi oggi ci troviamo perché vi fu una valutazione diciamo urbanistica che le aree erano compromesse. Dal nostro punto di vista in quel periodo non c'era nulla di compromesso anzi c'era qualcosa da tutelare e da conservare.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Successivamente, durante la prima Giunta Rutelli si è a lungo discusso se cancellare la previsione di questo nuovo quartiere, alla fine ciò che resta sono le vie con i nomi di cantanti e attori. A fine anni '80 quattro costruttori, Caltagirone, Marronaro, Bonifaci e Santarelli comprano le aree libere di Ponte di Nona. Dieci anni dopo cominciano a costruire il più grande quartiere satellite intorno a Roma, 12 mila appartamenti su 167 ettari strappati all'agro romano per 40 mila nuovi abitanti. L'edilizia di Caltagirone, tutta uguale a se stessa, trionfa.

FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Un appartamento di 65 metri quadri adesso si aggira attorno ai 220 mila, 230 mila euro. Poi c'è da pagare il condominio, bollette....

PAOLO MONDANI

Ci sono appartamenti piu' grandi?

FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Ci sono appartamenti più grandi di 85, 90 metri quadri che costano intorno ai 290, 320 mila euro, quindi diciamo non sono prezzi da periferia abbandonata tra virgolette come questa.

PAOLO MONDANI

Ma qui a quanti chilometri sete dal centro di Roma?

FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Dal centro di Roma distiamo all'incirca in linea d'aria una ventina di chilometri. Distiamo circa cinque chilometri dal raccordo anulare.

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Questa è la peculiarità di questo quartiere, praticamente siamo di fronte ad un interruttore il quale basta che chiunque vada lo spenga e tutte le luci e tutti i lampioni del quartiere si spengono contemporaneamente. E questo mette molto a rischio la sicurezza e tutte le persone che vivono nelle case.

PAOLO MONDANI

Ma com'è possibile?

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Com'è possibile, questo è nato praticamente all'inizio quando c'erano ancora i cantieri in corso ed è rimasto così come all'epoca.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Qui niente è rimasto come all'epoca. Ci hanno costruito sopra il più grande centro commerciale d'Europa.

CORRADO STEFANO GOTTI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Una convenzione urbanistica con il Comune di Roma ha concesso la possibilità di costruire circa un milione e trecento mila metri cubi di costruzione. Ma il quartiere difetta dei più elementari servizi pubblici.

UOMO 2

Ho preso un cento metri quadri, li ho pagati 220 mila euro ma adesso credo che ne valga quasi 400.

PAOLO MONDANI

Tutto sommato Caltagirone serve perché sennò lei con 220 mila euro in città cosa avrebbe trovato?

UOMO 2

Avrei trovato un 70 metri quadri, ma adesso diciamo che l'innamoramento comincia a scemare perché quello che avevano detto che sarebbe stato realizzato non si è visto.

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Spendo due o tre ore della mia giornata, invece di passarle con la mie famiglia le passo in macchina.

PAOLO MONDANI

Avete fatto i conti di quanto tempo all'anno passate in automobile?

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Si. Per me personalmente circa 500 ore all'anno solamente per recarmi al lavoro ogni anno.

PAOLO MONDANI

Che fanno in termine di giorni?

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

In termine di giorni fanno circa 20 giorni di 365 giorni.

PAOLO MONDANI

Cioè lei passa venti giorni all'anno in automobile?

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Esatto, io sono attrezzato, porto il computer, il cellulare....

PAOLO MONDANI

Solamente per andare da casa al centro e tornare.

MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA

Esatto e cerco anche di lavorare per strada, visto che tanto sono bloccato nel traffico.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

L'edilizia popolare non si costruisce più: zero a Roma e l'1 % a livello italiano. Il pubblico potrebbe espropriare le aree, ma deve pagare a prezzi di mercato e non ce la fa. E così il privato si è sostituito al pubblico, e le case a basso costo le costruisce dove ha i terreni di sua proprietà. E le costruisce come gli pare. La gente allettata compra e poi si ritrova con meno di quel che gli era stato promesso. Per dire, la grande università di Tor Vergata non ha una fermata del metrò. Gli studenti che devono andar lì, tirano su la macchina perché gli autobus sono quel che sono. Il Comune potrebbe riqualificare le aree dismesse, fatiscenti, che stanno dentro al raccordo e che sono tante, sono già provviste degli edifici scolastici e dei collegamenti, quindi non bisognerebbe fare grandi investimenti. Chissà com'è, è troppo complicato. Abbiamo visto che a Parigi l'edilizia convenzionata è un punto fermo del Comune, che è anche imprenditore e decide lui che cosa è nell'interesse pubblico. Come fanno in Spagna dove stanno cementificando il cementificabile.lo andiamo a vedere.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Periferia di Madrid. Zona di Vallecas, siamo a sette chilometri dal centro. Il Comune sta costruendo più di mille alloggi. Le strade sono state realizzate per sopportare il grande flusso di traffico dei futuri abitanti. A Madrid come a Parigi, il Comune può espropriare l'area e comprarla a prezzo di mercato ma si ripagherà con la vendita degli alloggi di sua proprietà. Insomma, il Comune qui si comporta come un imprenditore.

MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID

Quando pianifichiamo un nuovo quartiere la prima cosa da sapere è che il 50% delle case che costruiremo sono pubbliche e il 50% private. Nel piano regolatore del 1997 prevediamo 300 mila nuovi alloggi a Madrid e abbiamo predisposto piani a medio termine. L'attuale piano prevede di costruire 35 mila alloggi in cinque anni. Ne sono trascorsi quattr.e ne abbiamo terminati già 32 mila. Il 30% di questi alloggi è dato in affitto, mentre gli altri vanno a famiglie che hanno problemi economici nell'acquisto di un alloggio, per esempio un appartamento di 50 metri quadri compreso il garage lo vendiamo a 126 mila euro, mentre sul mercato libero costerebbe il triplo.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Le case pubbliche vanno dai 40 ai 90 metri quadri. E costano tra i 100 e i 300 mila euro. Ma questi prezzi non vanno a discapito della qualità. I migliori architetti del mondo e i migliori in Spagna stanno progettando case pubbliche a Madrid. E qui a Vallecas si sono sbizzarriti con i colori e le tipologie edilizie. Tra l'altro, gli alloggi in vendita possono essere dati in affitto.

MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID

L'alloggio pubblico di 50 metri quadri di cui parlavo prima, che vendiamo compreso il garage a 126 mila euro, se lo diamo in affitto costa 326 euro al mese.

PAOLO MONDANI

E' possibile per un giovane solo o per una coppia non sposata accedere alle case pubbliche? E' possibile farlo?

MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID

E' logico, la politica del comune di Madrid è una politica universale, è per tutti e in particolare per i giovani, il giovane single può acquistare o affittare un alloggio pubblico e possono accedere tutti i tipi di famiglia, la coppia sposata, le coppie non sposate e le coppie gay.

PAOLO MONDANI

Come si fa ad accedere alla lista di coloro che vogliono comprare o affittare una casa pubblica? Bisogna avere per esempio un limite di reddito?

MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID

Esiste un registro di coloro che vogliono una casa pubblica e l'accesso è legato al reddito. Per le case in affitto possono accedere tutti i redditi. Naturalmente ai più alti diamo le case private sfitte che nel centro storico riusciamo a mettere sul mercato tramite la nostra agenzia municipale dell'affitto. Per poter comprare un alloggio pubblico invece, si deve avere un reddito che va dai 1300 ai 1400 euro mensili.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

L'amministrazione comunale di Madrid è governata dal centro destra ma sulla politica degli alloggi pubblici non c'è quasi differenza con il governo socialista di Zapatero che ha fatto della casa ai giovani uno dei primi obiettivi del suo programma.

LUIS DONCEL - GIORNALISTA EL PAIS

Dal 1 gennaio 2008 Zapatero ha deciso di dare 210 euro al mese di contributo per l'affitto a tutti i giovani sotto i 30 anni che guadagnano meno di 22 mila euro l'anno. Il governo stima che saranno 350 mila i giovani che potranno usufruire di questo contributo. Nel 2007 in Spagna sono stati costruiti 90 mila alloggi popolari e Zapatero ha promesso di realizzarne nei prossimi 10 anni 1 milione e mezzo, 150 mila all'anno.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

A Parigi e Madrid la mano pubblica governa il territorio. Se a Roma non lo fa, lo fanno altri: costruttori e abusivi. Nella capitale l'abusivismo non lo ha fermato mai nessuno, basti pensare che durante i 15 anni di giunte Rutelli e Veltroni, tra il 1993 e il 2008, il nuovo territorio compromesso dagli abusi è di 1000 ettari, pari a più della metà del centro storico della capitale.

VEZIO DE LUCIA - URBANISTA

Nel periodo 1994- 2003 sono le date dei due ultimi condoni, tutti e due dei governi Berlusconi, a Roma sono stati censiti dagli uffici 85 mila domande di condono in 9 anni, in 9 anni in cui i sindaci sono stati Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Quasi nessuno si è chiesto com'è possibile. Io posso anche comprendere che nelle 85 mila domande ci siano anche cose irrilevanti, cose modeste, però ci sono anche cose grandi, ci sono anche cose in posti molto delicati, nell'Appia antica.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Appia antica. Il parco che si estende per 3500 ettari dal centro fino ai castelli romani. Mausolei, sepolcri e acquedotti dell'età repubblicana e imperiale, le principali catacombe della storia cristiana e gli otto chilometri della via Appia, la regina Viarum la chiamavano i romani. E' il più grande parco archeologico del mondo. Dal 1965, con un decreto, lo Stato italiano protegge questa area eppure da allora sono stati costruiti abusivamente almeno 1 milione e duecentomila metri cubi di cemento. E nonostante nuovi vincoli, dopo ben tre condoni edilizi l'abusivismo va avanti e gli uffici comunali accettano le domande di condono.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

La parte più bella del Mausoleo di Cecilia Metella e delle mura del Castello dei Caetani è impedita alla vista del pubblico perché è proprietà privata. Vede perfettamente il Mausoleo con le mura e le torri, la parte terminale del Circo di Massenzio è stato acquistato ed ha avuto la sua trasformazione in zona residenziale, questa è la situazione all'88 e questa la situazione nel '94, quindi quello che era un piccolissimo manufatto poi è stato ulteriormente ampliato.

PAOLO MONDANI

Cioè è diventata una bella casa di campagna.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Diciamo di campagna e poi è stato aggiunto, vede, un bella veranda che visto che siamo a ridosso delle mura forse tanto bene non sta.

PAOLO MONDANI

Hanno chiesto il condono edilizio?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Sì. Hanno chiesto il condono edilizio.... per lo più l'ottengono perché il Comune, l'ufficio preposto ai condoni del comune di Roma ha rilasciato tutta una serie di condoni senza effettuare alcuna verifica sul valore delle aree, sui vincoli esistenti.

PAOLO MONDANI

Lei sa che nel 2004 c'è una legge che dice che si potevano sanare abusi anche all'interno delle aree con un qualche vincolo paesistico?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Sì, purtroppo sì.

PAOLO MONDANI

Ma lei ritiene che qui ci sia un vincolo superiore a quello paesistico, per esempio?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Quello paesistico è quello più vecchio del '53, poi vi è il vincolo quello più importante a mio avviso che è quello del piano regolatore del '65, poi vi è il vincolo del parco regionale dall'88 in poi, e poi vi sono tutta una serie di vincoli specifici di movimenti e di ampi settori, vincoli specifici archeologici che riguardano a volte anche settori, aree di centinaia di ettari.

PAOLO MONDANI

Quindi lei dice nessuna legge, nessun condono, nessuna leggina può consentire un abuso qui, figuriamoci addirittura il condono di un abuso.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Assolutamente.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA

Se, diciamo, questi cicli decennali '84, '85, '94, 2003, cioè ogni nove anni esce un condono edilizio. Questo andazzo...

PAOLO MONDANI

Parliamo di aree con vincoli particolari.

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA

Sì, aree con vincoli particolari che tuttavia diciamo quando tira aria di condono non è che si va tanto per il sottile.

PAOLO MONDANI

Voi potevate vigilare sul territorio o no?

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA

Sì ma questa è lotta diciamo ....noi dobbiamo immaginare che siamo dentro..

PAOLO MONDANI

A parte i piccoli abusi..

ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA

Siamo dentro una giungla, una foresta tropicale dove la vegetazione si sviluppa diciamo in maniera e dove si combatte a colpi di macete.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Tra questi due monumenti recentemente restaurati da noi che poi continuano all'interno con mosaici e altre parti, dai fotogrammetrici, dalle fotografie aeree, dai catastali a nostra disposizione, la villa che è all'interno è completamente abusiva.

PAOLO MONDANI

E chi sono i proprietari visto che si tratta di gente così importante da quel che capisco?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Dino editore.

LIVIA GIAMMICHELE - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA ROMA

Appia Country club porta ad un complesso sportivo completamente abusivo. Campi da tennis, calcetto, casina sociale, piscina.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Questo è ceramiche Appia Nuova anche questo completamente illecito sia nei manufatti realizzati che in tutta l'attività che viene svolta in modo pazzesco, eccessivo.

PAOLO MONDANI

Troviamo un'azienda agricola, questa che si chiama Cavicchi.

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Sì più che azienda agricola, una rivendita di prodotti agricoli direi.

PAOLO MONDANI

E poi questo ristorante Pappa e ciccia.

Anche qui c'è il vincolo archeologico?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

Sì. Vi sono tutti i vincoli. I soliti vincoli di tutta l'Appia. è stato denunciato da noi a tutti.

PAOLO MONDANI

E nessuno viene qui ad abbatterlo?

RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA

No.

LIVIA GIAMMICHELE - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA ROMA

Grosso modo 8mila condoni che riguardano l'interno del parco, l'Appia. 8mila.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

Stiamo parlando della città che possiede il più importante patrimonio culturale dell'umanità. L'ex assessore all'urbanistica Morassut ora deputato dice " il pubblico non ce la fa a vigilare perché siamo dentro ad una giungla dove si combatte a colpi di macete". Roma ha 2 milioni e mezzo di abitanti, e sono almeno 400 tra fra tecnici ingegneri e personale amministrativo che lavorano agli assessorati all'urbanistica di provincia, comune e regione. Torniamo fra breve.

MILENA GABANELLI IN STUDIO

E' tornata la febbre edilizia in tutto il paese, dicono che bisogna investire nel mattone e si è ripreso a costruire. In Inghilterra il 70% dei nuovi edifici deve sorgere su aree già edificate o dismesse. Il sindaco di Londra punta di arrivare addirittura al 100%. In Germania invece dal '98, cioè ben dieci anni fa, una legge che fissa il consumo di suolo in 11.000 ettari l'anno. L'Italia edifica 8 volte tanto. L'Italia, che possiede l'80% del patrimonio artistico, architettonico e culturale dell'intero pianeta, quello che nessun cinese, indiano o vietnamita ci può copiare e vendere ad un prezzo più competitivo. Bene, Roma inaugura le centralità, cioè tante nuove aree dove il Comune autorizza la costruzione di nuovi insediamenti.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Con il nuovo piano regolatore il Comune di Roma prevede di costruire nei prossimi dieci anni 70 milioni di metri cubi di cemento su un territorio di 15 mila ettari. Una nuova città più grande di Napoli. Eppure, tolti gli extracomunitari, la crescita demografica a Roma è pari allo zero. Lo sviluppo più spinto è previsto verso il mare, sulla via Cristoforo Colombo. Il primo progetto riguarda la ex fiera di Roma. Il Comune affiderà a una cordata di costruttori la realizzazione di 288 mila metri cubi di cemento, su un'area che ne conteneva 120 mila. Non solo, l'Ente fiera, che mette insieme il comune e la Regione Lazio, venderà l'area ai costruttori. Caso più unico che raro in Europa: il comune vende un'area di pregio ai privati a 500 metri dal centro storico. Dulcis in fundo, sarà necessario un accordo di programma, altra deroga alle regole, perché il piano regolatore non prevede un nuovo quartiere qui. Il progetto si chiama Città dei piccoli, perché conterrà un asilo nido e uno spazio per i giochi dei bambini. In realtà...

FRANCESCA BARELLI - ARCHITETTO COMITATO EX FIERA DI ROMA

L'intervento prevede destinazioni d'uso prevalentemente residenziali, superfici direzionali di piccolo taglio, superfici commerciali ed eventualmente strutture ricettive, come a dire di tutto un po', però è sottolineato l'intervento sarà prevalentemente residenziale.

UOMO

La gente non ha case, è disperata e si costruiscono case da 500mila euro l'una insomma. Questa è la realtà.

PAOLO MONDANI

Quali sono i costruttori che vogliono realizzare qua?

FRANCESCA BARELLI - ARCHITETTO COMITATO EX FIERA DI ROMA

Nomi noti. Leggiamo il nome di Francesco Gaetano Caltagirone, Viainini Lavori, Paola Santarelli, Salvatore Ligresti e Pierluigi Toti.

PIETRO SAMPERI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. LA SAPIENZA

Il Comune si è dato una norma vincolante nel piano regolatore che ogni operazione di trasformazione urbanistica deve essere sottoposta al parere e a eventuali proposte alternative da parte dei cittadini attraverso i municipi. Questa procedura o non viene realizzata o se viene realizzata è un bluff.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Il parere dei cittadini non risulta all'amministrazione comunale e allora i comitati di quartiere dell'Eur, con l'ingegner Giorgio Biuso, già direttore dell'Ente Eur dal 1954 al 1992, vanno a parlare con gli assessori e chiedono: visti tutti i mega-progetti previsti nella zona, come faremo a spostarci dato che strade e trasporti sono insufficienti?

GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR

Quando ci siamo sentiti rispondere dalle amministrazioni che non si poteva fermare tutto questo perché era un incremento per lo sviluppo della città, però non c'erano i soldi per fare tutti questi servizi.

PAOLO MONDANI

Non ci sono i soldi per fare la cura del ferro, per fare le metropolitane.

GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR

Per fare la cura del ferro, per fare i sottopassi, per allargare le strade.

PAOLO MONDANI

Ci sono per fare i palazzi ma non per la viabilità.

GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR

I cittadini allora hanno fatto dei progetti. Ci sono state dal 2000 riunioni con la Terza università, professori Quilici e Picconato, con la Sapienza, professor Monardo e abbiamo studiato un modello che proiettato negli anni futuri c'ha dato dei risultati raccapriccianti. Tra cinque anni, se le cose continuano con questo andazzo, Roma sarà paralizzata.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

I progetti dell'EUR hanno un nome e un cognome: il mega centro commerciale più residenze e uffici denominato Eur Castellaccio per 800 mila metri cubi, è del costruttore Parnasi; l'area dell'ex Velodromo che diventerà la Città del benessere con piscine e negozi è di Aquadrome, società mista tra Eur Spa, partecipata dal Comune di Roma e dallo stato, e Condotte Immobiliare, del gruppo Ferfina; i 400 appartamenti di lusso realizzati al posto dei tre palazzi del ministero delle Finanze sono dei costruttori Toti, Ligresti e Marchini; i 150 mila metri cubi di piazza dei Navigatori, dove si stanno edificando tre palazzi per uffici e negozi, sono della famiglia Bellavista Caltagirone, cugini di Francesco Gaetano, e infine il Centro Congressi per 11 mila addetti progettato da Massimiliano Fuksas, realizzato dalla società Condotte e di proprietà di Eur Spa. All'architetto Fuksas abbiamo chiesto perché ha rifiutato di progettare le famose centralità.

MASSIMILIANO FUKSAS - ARCHITETTO

Quando qualcuno mi viene a chiedere una lottizzazione o questi progetti delle centralità, così, molte volte io rispondo con una frase abbastanza sprezzante forse, dico: io non ho fatto queste cose quando ero giovane ed ero povero in canna perché dovrei farlo oggi. Quello che manca e' di risolvere di studiare come far vivere il maggior numero possibile con una qualità di vita altissima e con un consumo energetico limitato. Ecco, gli architetti non si sono occupati di questo, i costruttori non se ne sono occupati per niente. Che a Roma e in Italia non ci sia stata un'evoluzione anche degli imprenditori o dei cosiddetti "palazzinari" è evidente. Quello che si costruisce è molto simile a quello che si costruiva negli anni Settanta.

PAOLO MONDANI FUORI CAMPO

Gentili telespettatori,

Vi comunichiamo che Report andrà in onda Domenica 4 Maggio alle 21.30 su RAI TRE.

La puntata si intitola ''I RE DI ROMA'' di Paolo Mondani.

Lo scorso febbraio, il consiglio comunale di Roma ha approvato il nuovo piano regolatore. Le previsioni parlano di nuovi edifici per 70 milioni di metri cubi di cemento su un territorio di 11-15 mila ettari.

Una nuova città, più grande di Napoli, che verrà costruita nelle campagne di Roma. Tutto questo nonostante la crescita demografica nella capitale sia vicino allo zero, esclusi i circa 200 mila nuovi residenti tra gli extracomunitari. Nel piano regolatore e' stata prevista, dall'amministrazione comunale, la realizzazione di tante piccole città, denominate Centralità, tutto intorno all'attuale zona urbanizzata. Queste micro città verranno costruite su aree private che sono in possesso dei grandi costruttori: Toti, Scarpellini, Ligresti, Caltagirone, Santarelli, che chiedono già oggi di aumentare le cospicue previsioni cubatorie previste dal piano regolatore appena approvato. Lo strumento attraverso cui queste richieste possono realizzarsi è il cosiddetto ''Accordo di Programma''.

Basta che un costruttore o un proprietario di un'area chieda all'Amministrazione di andare in deroga al piano regolatore, che questa procedura sostituisce alla decisione pubblica un tavolo di trattativa tra le parti. E' grazie a questa tecnica che molte regole urbanistiche possono saltare.

L'inchiesta mostra come funzionano invece le cose in altre due capitali europee: Parigi e Madrid.

A Parigi e' stata costruita Bercy: una mini-città cresciuta in questi anni attorno al centro storico, paragonabile ad una delle ''Centralità''' che si vogliono costruire a Roma. Qui però il comune di Parigi, pur coinvolgendo la proprietà privata e i costruttori, mantiene il suo ruolo di perno della decisione urbanistica, in termini di localizzazione delle funzioni e di progettazione.

A Madrid si mostra, in parallelo con Roma, come viene affrontato il tema della costruzione dell'edilizia popolare e pubblica. L'amministrazione spagnola si muove da autentico imprenditore tenendo però sempre in altissima considerazione le esigenze dei giovani che cercano casa. A Roma e nel resto d'Italia la costruzione delle case pubbliche è ormai ridotta quasi allo zero e la realizzazione delle case a basso costo è stata interamente delegata ai grandi costruttori privati.

Sono previste le repliche di questa puntata su Raisat Extra canale 120 piattaforma Sky nei seguenti giorni:

lunedì 05/05 alle 10.00 e alle 21.00

mercoledì 07/05 alle 23.15

venerdì 09/05 alle 04.00

Sul sito www.report.rai.it potete trovare la trascrizione integrale dei testi ed i video di tutte le inchieste di Report.

Nel quartiere della Magliana - periferia sud di Roma tristemente nota per essere stata uno degli esempi più mostruosi della speculazione edilizia degli anni '70 nonché per l'omonima banda malavitosa che ha ispirato libri e film - alcuni intramontabili affaristi hanno messo gli occhi su una scuola abbandonata da tempo. Vorrebbero realizzarvi nientemeno che una funivia per collegare il quartiere con l'Eur, dall'altra parte del Tevere. Manco fossimo al Sasso del Pordoi. La grancassa dei giornali di informazione, che più che informare amplificano veline fabbricate altrove, ha costruito l'evento: siamo di fronte, assicurano, al grande futuro di Roma.

Dietro il progetto c'è invece una ignobile speculazione: la scuola possiede l'unico vero spazio verde del quartiere e lì si vorrebbe realizzare un immenso parcheggio per i residenti. La periferia ha fame di parcheggi e servizi? Ecco pronta la ricetta: saccheggiamo le proprietà pubbliche per costruire box auto. Mille posti auto per 60 mila euro ciascuno fanno la gigantesca cifra di 60 milioni di euro. Il promotore del progetto è Sviluppo Italia, uno dei figli prediletti del precedente governo Berlusconi, veicolo di spregiudicate operazioni. E' stato il comune di Roma ad avergli affidato la responsabilità del progetto.

Il caso della Magliana è il paradigma del futuro della città nei prossimi cinque anni di amministrazione. Il nuovo sindaco dovrà scegliere se continuare nella spregiudicata politica affaristica fin qui consentita e tollerata o invertire una buona volta il corso degli eventi. In questi anni si è costruito ai ritmi degli anni '60 e '70, quando la città cresceva di 50 mila abitanti ogni anno. Oggi la popolazione non cresce e l'enorme quantità di cemento serve soltanto ai grandi investitori internazionali. Gli ultimi dieci anni hanno consentito il più gigantesco sacco urbanistico di Roma, 80 milioni di metri cubi di cemento che hanno creato una periferia sempre più lontana. E sempre più povera di relazioni. In ossequio al «mercato», infatti, nel giro di sette ani sono stati inaugurati 28 giganteschi centri commerciali disseminati lontano dai quartieri. Il piccolo tessuto commerciale periferico sta scomparendo perché non regge la concorrenza. La città diviene sempre più deserta.

Ma ancora oggi per salvare le periferie si parla soltanto dell'intervento delle archistar, i grandi architetti internazionali che con la loro maestria dovrebbero riqualificare la città anonima. Non è la loro bravura a essere in discussione. Il problema è che aggiungendo senza alcuna idea unificante ulteriori pezzi ad una città congestionata, non si fa altro che peggiorare la già grave situazione. Le città non cambiano con l'eclettismo. Le belle architetture aiutano certamente la qualità urbana, ma se manca proprio la città non servono a nulla. Le città sono beni pubblici per eccellenza e per cambiarle occorrono idee lungimiranti, non pezzi casuali e incoerenti.

Il caso della Magliana è paradigmatico anche per un altro fondamentale motivo. Per scongiurare l'ignobile speculazione la scuola è stata occupata da un gruppo di giovani: oggi ci abitano decine di famiglie di immigrati che non potrebbero permettersi altro che un sordido scantinato o una baracca lungofiume. Poco distante, in una piccola e splendida bottega, si costruiscono insieme ai bambini del quartiere biciclette con materiale di scarto. Intelligenze collettive che cercano un futuro possibile.

Non è minimalismo senza prospettive. Al contrario, Roma ha bisogno proprio di una grande idea pubblica unificante e tante piccole attenzioni alle sue informi periferie. Siamo purtroppo ancora all'interno della cultura opposta: nessuna idea e tante gigantesche valanghe di cemento. Firmati o no da archistar stanno soffocando la città, ed è ora di voltare pagina.

La città colpita al cuore

I centri storici delle città si svuotano, perdono residenti. Svaniscono attività che hanno sempre ospitato - gli artigiani, i negozi di alimentari, le farmacie, gli asili nido. E sbarcano uffici, banche e soprattutto turisti, il cui sciamare domina il paesaggio urbano di Firenze e di Siena, di Venezia e di Roma, di Pienza e di San Gimignano. Dilagano alberghi e bed & breakfast, pizzerie a taglio, tavolini all’aperto e gelaterie, che alterano luci e colori, ma avviano anche un degrado fisico che potrebbe sfigurare la stessa risorsa sulla quale il turismo prospera, essendo i centri storici il fulcro di quel museo all’aperto che l’Italia può vantare.

Il fenomeno è di lunga durata e si intreccia con il modo in cui sono cresciute le città. La città in vendita di Paolo Berdini (Donzelli, pagg. 187, euro 25), urbanista, professore a Roma Tor Vergata, racconta le vicende di questo abbandono, riferendosi in particolare alla capitale, la cui emorragia di residenti Berdini segue dal 1951 a oggi, cercandone le cause e discutendo le politiche attuate per contrastarla o registrando quanto questo esodo, come tante trasformazioni urbane, sia governato prevalentemente dal mercato. Un centro storico vuoto di residenti, segnala Berdini, si riduce a un prezioso involucro senza vita, affogato dalle auto che scaricano chi raggiunge uffici e studi professionali, assediato dai pullman di turisti, dai furgoni che riforniscono un commercio sempre più a misura del turismo stesso. Il centro storico è diventato il cuore malato di un organismo affaticato, la città nel suo complesso.

I numeri danno noia, ma rendono l’idea. E molti numeri indica Vittorio Emiliani nell’introduzione al libro. A Urbino, capolavoro dell’urbanistica rinascimentale, gli abitanti del centro storico sono calati, da sessant’anni in qua, dell’86 per cento. Nel quartiere del Duomo risiedevano 350 persone. Ora sono 16. Al loro posto si è insediata una popolazione di studenti universitari, che fino a un certo limite fa benissimo a una città antica, oltre quel limite rischia di soffocarla. A Venezia erano 164 mila i residenti, ora sono meno di 60 mila (qui non ci sono macchine, ma 12 milioni di turisti ogni anno). A Firenze la superficie di centro storico destinata ad abitazione era il 30 per cento del totale nel 1987, ora si è ridotta al 10.

Ma torniamo a Roma. Nel 1951 risiedevano entro la cinta delle Mura Aureliane 370 mila persone. Oggi sono meno di 100 mila. Sempre nel 1951 Roma era edificata su 6 mila ettari e ospitava 1 milione 600 mila abitanti. Ora gli abitanti sono 2 milioni e mezzo, il 60 per cento in più, ma la città si spalma su 45 mila ettari, sette volte la superficie di allora, e, se verranno realizzate le previsioni del nuovo Piano regolatore, fra pochi anni occuperà 60 mila ettari. La domanda di mobilità in un organismo che prende questa forma aumenta vistosamente. Se ci sono molte metropolitane il danno è contenuto. Altrimenti il problema è drammatico. E la spia è in un altro numero: nella capitale circolano 89 auto ogni 100 abitanti, con conseguenze spaventose sull’inquinamento atmosferico, una cifra di molto superiore a quella media italiana (72 ogni 100), doppia rispetto a Madrid (46).

Nel dopoguerra, racconta Berdini, il centro di Roma era sovraffollato, molte persone abitavano ai piani terra o in seminterrati. Era salutare un diradamento. Poi, fra il 1951 e il 1971, si sono impetuosamente dilatati il settore terziario e quello politico-amministrativo. E l’esodo di residenti si è impennato. Nell’area fra piazza del Popolo, via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, i residenti calano del 65 per cento (da 100 mila diventano 37 mila). Nella zona di piazza Fiume va via il 59 per cento degli abitanti (da 15 mila a 6 mila). Dall’Esquilino il 50 per cento (da 62 mila a 31 mila).

La città della politica e della burocrazia occupa ogni spazio. I prezzi schizzano in alto e dal centro storico vengono scacciati i residenti economicamente più deboli. Nei primi anni Sessanta il problema viene posto con urgenza. Nasce l’idea di spostare fuori dal centro storico molte attività incompatibili con i tracciati barocchi, con i reticoli di strade che risalgono al primo Rinascimento. Si immagina che Roma, come altre capitali, possa avere il suo centro direzionale e che la città contemporanea cresca affiancandosi a quella antica, non deturpandola (il progetto, però, resterà lettera morta).

Contemporaneamente in tutta Italia si sviluppano le competenze. A Gubbio, nel 1960, si mette a punto un decalogo per tutelare i centri storici nella loro interezza - con le strade, gli allineamenti dei palazzi, i materiali costruttivi - e di non concentrarsi sugli edifici monumentali. Gli effetti di queste innovazioni si fanno sentire in molte città, si specializzano i saperi e, secondo Leonardo Benevolo, queste conoscenze sono fra i vanti che l’architettura italiana può esibire sulla scena internazionale. L’integrità fisica dei centri storici italiani può dirsi relativamente al riparo dalle picconate che li avevano sventrati durante il fascismo e negli anni Cinquanta. Ma per continuare a vivere non basta che restino in piedi le mura.

A Roma l’esodo prosegue anche dopo il 1971, sebbene più lentamente. Secondo i dati di Berdini, sono investiti altri quartieri - Borgo, Campo Marzio, Monti, Castro Pretorio. «Ormai solo a Testaccio, Aventino e San Saba il calo della popolazione è inferiore al 60 per cento. Altrove ci si attesta sopra il 70». Nell’estate del 2006, stando alle rilevazioni di una società immobiliare, un appartamento di lusso nel centro storico vale 25 mila euro al metro quadro. Nonostante alcuni tentativi (il restauro di Tor di Nona, per esempio), la rotta non è stata invertita. Riportare residenti nei centri storici, scrive Berdini, ricostituirebbe quella complessità fatta di ceti diversi che li rende vitali. Ma un’operazione di questo genere si scontra con la preponderanza delle leggi di mercato.

«Città e paesaggio sono ridotti a fattore economico», annota Berdini. «È vero che sono anche questo: è stata l’industria a consentire lo sviluppo delle città moderne. Ma esse hanno saputo coniugare la produzione con altre funzioni, che non avevano utilizzazione economica». Oggi, invece, «le prerogative collettive che il liberalismo classico aveva attribuito alla sfera pubblica sono trasferite al comparto privato». In altri paesi europei «vige un sistema di regole che programma gli interventi». In Italia «queste regole sono state in gran parte cancellate, e con esse la stessa urbanistica». Gli appartamenti di un centro storico sono riservati a pochi, il commercio è orientato a soddisfare i turisti, si progettano parcheggi, si vendono ospedali, stazioni ferroviarie, conventi e altri edifici monumentali per farne hotel (nel solo centro antico di Roma, esclusi i bed & breakfast che lavorano in nero, si contano 43 mila posti letto alberghieri, poco meno di metà di tutti i residenti). Il fenomeno pare inarrestabile e, sebbene fisicamente intatti, i nuclei antichi delle città rischiano di perdere l’anima.

Benevolo: "Che cosa fare per salvarli"

Per Leonardo Benevolo, storico dell’architettura, uno dei padri dell’urbanistica in Italia, l’espressione "centri storici" non è convincente. Non rende bene «la natura originaria di città complete e autonome». È una definizione contraddittoria che sfigura il loro equilibrio. Nella città che è continuamente soggetta a trasformazione, e che deve assumere una forma policentrica, aggiunge Benevolo, la "città antica" è uno dei suoi centri e va protetta da tutte «le attività micidiali per la sua conservazione».

Quali sono i principali pericoli?

«La rete di strade deve essere protetta dalle macchine. Questo è un punto delicatissimo. Ma altri se ne possono indicare».

L’eccessiva pressione turistica?

«Direi di sì. Il turismo si può organizzare, indirizzandolo sulle città antiche, ma anche sui paesaggi. In un sistema così concepito il turismo è una risorsa da non sprecare. Ma non può diventare un’attività preponderante: è come se in un appartamento la camera più bella fosse quella per gli ospiti».

Si deve mantenere una proporzione fra abitanti e turisti.

«Tranne Roma, le città di cui parliamo sono abitate in media da alcune decine di migliaia di persone. Se sono frequentate da masse imponenti di visitatori rischiano di soccombere».

Qualcuno indica anche il pericolo che potrebbe derivare dai troppi studenti universitari.

«In qualche caso questo pericolo è evidente. Urbino è al limite della sopravvivenza. L’università è troppo grande e la città troppo piccola. Non si sa più se la città ha gli strumenti necessari al suo funzionamento. O se i suoi servizi sono commisurati all’università».

Ma le università sono in sé stesse un rischio per i centri storici?

«Assolutamente no. Possono essere una fonte di ricchezza. A Oxford o a Cambridge il rapporto fra università e organismo urbano funziona bene».

Il piano regolatore di Roma è stato approvato in via definitiva lo scorso martedì. Questo fatto produrrà almeno un grande risultato: non essere più tempestati di messaggi prefabbricati e trionfalistici che tutti i quotidiani e molti osservatori della materia hanno continuato a diffondere senza alcun approfondimento critico. Una volta archiviata l’approvazione del piano inizierà quel lento processo di approfondimento, di studi sistematici e di oggettiva osservazione della realtà urbana che farà finalmente giustizia di questa impressionante manipolazione di massa.

Porto il mio contributo a costruire questo indispensabile quadro critico. Iniziamo dalle bugie. Ci viene detto continuamente che “ il piano tutela 88 mila ettari di territorio di Roma, due terzi dei 129 mila ettari complessivi”. Bello, no? Ma non è vero. E’ lo stesso comune di Roma ad aver certificato che già nel 2004, e cioè prima che il nuovo piano producesse i suoi effetti, il cemento e l’asfalto coprivano 46 mila ettari. Dunque già prima che il piano fosse attuato, la tutela riguardava meno dei due terzi del territorio. Il piano poi prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di cemento. Una stima prudente dice che verranno consumati almeno 15 mila ettari di agro. La metà del territorio di Roma sarà dunque coperto di cemento e si continua senza pudore a dire che i due terzi sono tutelati.

Ancora. Per giustificare il diluvio di cemento (70 milioni a fronte di una città con popolazione stabile, a parte gli immigrati, da 20 anni) si dice che il vecchio piano prevedeva bel 120 milioni di metri cubi e che pertanto ne sono stati tagliati 50. Due menzogne in una. Intanto non è vero che il piano del 1965 avesse un residuo così astronomico. Il calcolo è stato effettuato sommando tutte le cubature lì previste, quelle private e quelle pubbliche. Aree immense come i 600 ettari dell’Università di Tor Vergata, la città militare della Cecchignola, o l’area della ricerca alla Casaccia avevano un indice molto alto (2 metri cubi al metro quadrato) sono state infilate in un immenso frullatore che tutto omogeneizza. In un piano “pubblicistico” come quello del 1965 erano previsti ben 9.000 ettari di servizi pubblici: 180 milioni di metri cubi. Et voilà i 120 milioni di residuo: scuole e ospedali sono considerati come le abitazioni private! La seconda bugia è che sia stato il nuovo piano a tagliare le cubature. Intanto non sono stati tagliati 50 milioni di metri cubi per le cose che dicevamo prima. Ma, ciò che più conta, il merito è della migliore urbanistica e dell’ambientalismo degli anni ’90. Cederna, De Lucia, Italia Nostra e tanti altri.

Anzi dalla metà degli anni ’90, i tagli veri strappati negli anni precedenti furono trasformati in “ diritti edificatori”. E qui iniziano le critiche all’impianto teorico del piano. Di fronte alla lucida politica di cancellazione delle previsioni edificatorie costruita negli anni ’80 e concretizzatasi nella “ Variante di salvaguardia” del 1991, con il “ Piano delle certezze” del 1997 si affermò che non si poteva tagliare nessuna previsione urbanistica. Nacquero i diritti edificatori che dovevano essere obbligatoriamente “ compensati”. Vincenzo Cerulli Irelli e Edoardo Salzano demolirono alla radice questa insensata teoria. Nel gennaio 2003, Italia Nostra presentò pubblicamente il loro parere pro veritate che dimostrava una cosa fondamentale: la legislazione in materia urbanistica consentiva, su basi di rigorose motivazioni, la cancellazione delle previsioni dei piani urbanistici.

Con lo sciagurato istituto della compensazione non solo è stata resa sistematica l’urbanistica contrattata, ma si è inaugurato un devastante meccanismo incrementale della crescita urbana. Le compensazioni avvengono infatti tra privati su aree private. Così chi ospita volumetrie originariamente destinate in altri luoghi esige il proprio tornaconto che si traduce almeno in un raddoppio delle volumetrie previste. Il caso del comprensorio di Tormarancia è esemplare. Erano previsti 1 milione e ottocentomila metri cubi: alla fine delle compensazioni sono diventati 5,2 milioni! Le improvvide invenzioni romane si sono propagate come un’epidemia in tutta Italia e ogni comune ha inaugurato la stagione delle compensazioni e i diritti acquisiti. Ne è nato lo scempio del bel Paese.

Il terzo pilastro teorico dell’urbanistica romana, il più aberrante. E’ la prevalenza delle previsioni urbanistiche sulla tutela paesistica, e cioè il capovolgimento della gerarchia legislativa italiana. Finora erano i piani di tutela ambientale che condizionavano i piani regolatori comunali: il paesaggio, lo ricordo ai responsabili dell’urbanistica romana, è un principio contenuto nella carta costituzionale. Lo scorso anno il comune di Roma ha imposto alla Regione Lazio di cambiare il piano paesistico per accogliere oltre 80 osservazioni finalizzate alla cancellazione di vincoli paesistici, così da consentire la realizzazione delle previsioni del piano. Anche qui è facile comprendere la gravità del precedente sul dibattito nazionale.

Occupiamoci ora dei contenuti di merito del nuovo piano. Gli strumenti urbanistici traggono linfa dalla sistematica delle analisi, e cioè dallo sforzo di comprensione delle dinamiche in atto. Sforzo modesto o inesistente nel caso del piano romano. Sarebbe bastato analizzare il fenomeno demografico per comprendere che dal 1991 a oggi (è la provincia di Roma a certificarlo) da Roma se ne sono andati via circa 300.000 abitanti per andare ad abitare nei comuni della corona metropolitana. A Roma città, poi, cresce solo la parte esterna al grande raccordo anulare. Tutto l’anello interno sta perdendo popolazione, mentre i luoghi di lavoro sono rimasti nello stesso ristretto spazio del centro storico, dei quartieri della prima periferia e all’Eur. Ottocentomila cittadini (è sempre la Provincia a certificare le quantità) si spostano dai comuni metropolitani per andare a lavorare nel centro della città. A Roma non esiste alcun fenomeno che non sia leggibile e risolvibile alla scala metropolitana. Ma il nuovo piano regolatore al riguardo non dice nulla e pensare di risolvere il futuro della città nel suo ristretto ambito è stato un errore gravissimo.

Dicevo prima che Roma si sta vuotando di residenti. Sono stati rimpiazzati da un imponente fenomeno immigratorio. Vivono a Roma oltre 400 mila stranieri. Una città delle dimensioni di Bologna. Si sarebbe potuto sfruttare questo fenomeno esogeno per costruire prospettive urbane di straordinaria valenza: come fornire alloggi a queste persone, quali servizi dedicare loro, quali centri di aggregazione culturale e religiosa fornirgli. Il piano regolatore non dice nulla. Questo esercito di uomini e donne è stato abbandonato alle logiche del “mercato”, costringendoli a finanziare un imponente fenomeno di affitti sommersi. Si è rinunciato a conoscere e programmare e oggi per la domanda di stranieri e studenti non si trova un posto letto a meno di 400 euro al mese. Una stanza vale oltre 600 euro.

E veniamo all’idea di piano. Affermava l’attuale assessore all’urbanistica Roberto Morassut che “ Il nuovo piano cerca di predisporre le basi per quella città policentrica che è stata un po’ il cuore della campagna elettorale del sindaco Veltroni. L’idea portante è togliere il dominio della rendita immobiliare, stabilendo che all’interno di ogni centralità debba insediarsi un mix funzionale, così che vi sia una parte residenziale, una parte per uffici, un’altra per i servizi e le funzioni moderne”. La prima occasione solenne è di pochi anni fa. Un gruppo di imprenditori-proprietari delle aree di Bufalotta sottoscrive un solenne contratto con il comune di Roma in cui si impegna a realizzare una delle mitiche centralità. Tre milioni di metri cubi equamente suddivisi in tre parti: commerciale, residenziale e terziaria. Nei due anni trascorsi sono stati realizzati i primi due segmenti del nuovo quartiere. Era arrivata l’ora della qualità. Ma il “mercato” non tira e allora i proprietari chiedono al comune di trasformare le previsioni di uffici in case.

E’ evidente che i patti sottoscritti non possono essere mutati a piacere. Le regole non si cambiano durante la partita. In particolare nel caso specifico di Bufalotta. Accettare di barattare uffici con residenze avrebbe avuto il significato di demolire la principale idea di piano, e cioè la diffusione in periferia delle centralità. Eppure nel novembre 2007 la giunta comunale di Roma ha deciso di accettare quella proposta indecente. E così facendo ha gettato a mare l’intero piano regolatore!

L’altra idea portante è quella del sistema ambientale. Abbiamo creato la più grande cintura verde del mondo, ci dicono. Davvero? Guardiamo gli atti. Le previsioni di piano sono state disegnate in scala di dettaglio, mentre il sistema ambientale è delineato con un dettaglio minore. La regola dell’urbanistica afferma che tra le due previsioni prevale quella più precisa: ciò significa che il grande disegno ambientale è una chiacchiera al vento. Vincerà il cemento. Lo avevano capito tutti ma molti hanno fatto finta di non capire. Si sono salvati (forse) la coscienza, ma hanno ingannato la città.

La gestione urbanistica, infine. La radicalità delle critiche che ho esposto è stata –se possibile- aggravata da una gestione quotidiana fallimentare. La pianificazione è stata disarticolata in tanti segmenti tra loro scoordinati. L’assessorato all’urbanistica per la redazione del piano. Quello alle opere pubbliche che sovrintendeva ai piani esecutivi. Ad una società esterna di amici, Risorse per Roma, è stato affidata la regia del futuro della città, sottraendolo alla normale dialettica democratica. All’assessorato alle grandi opere è stato infine affidata la fabbrica delle deroghe.

Attraverso l’uso dell’accordo di programma si variato continuamente lo stesso piano regolatore che si stava approvando. Con accordo di programma si è cambiato per decine di volte il piano adottato nel 2003. Con accordo di programma si vuole addirittura cambiare il piano che è stato approvato martedì scorso. Il giorno dopo il consiglio comunale sarà infatti costretto ad approvare una (o più) deroghe per soddisfare gli appetiti del mercato. Del resto è con tanti accordi di programma che si è permesso di costruire in soli sette anni 28 (ventotto) giganteschi centri commerciali. Due di essi sono stati addirittura definiti come i più grandi d’Europa, giganti con un’offerta di 6-7.000 posti auto. Il traffico romano è quotidianamente nel caos per soddisfare gli interessi di dieci società di distribuzione commerciale.

L’urbanistica romana è questa. Il piano è approvato, e quando si comincerà a diradare la cortina fumogena delle bugie fin qui diffuse da astuti manipolatori, resterà l’amara verità di questi anni: il più grande sacco urbanistico della storia della città eterna.

P.s. Alle tante menzogne che sono state accreditate in questi anni, Giuseppe Campos Venuti non poteva mancare di aggiungere un’ultima vergogna. Afferma in una intervista all’Unità che anche Antonio Cederna aveva tessuto le lodi del piano. Una spudorata bugia: è noto a tutti che i primi elaborati del nuovo piano regolatore sono stati resi pubblici dopo il piano delle Certezze, nel 1998. Antonio ci aveva lasciato da due anni.

Prima di quella data, è vero, c’erano stati alcuni documenti di indirizzo che Cederna salutò con piacere. Dalla cura del ferro alla politica di tutela dell’agro romano. Ma gli anni successivi hanno dimostrato che quegli indirizzi erano pura finzione. Della cura del ferro da tempo abbandonata basta chiedere a Walter Tocci che la ideò insieme a Italo Insolera. Per quanto riguarda l’agro romano è facile vedere che è sommerso quotidianamente da una dilagante “repellente crosta di cemento e asfalto”.

E’ davvero sintomo di “cattiva coscienza” strumentalizzare la memoria di un galantuomo che ha speso la sua vita per difendere Roma dagli assalti degli energumeni del cemento. Ed è spudorato, per essere gentili, che tali argomenti falsi vengano utilizzati proprio dal principale responsabile del piano del sacco urbanistico di Roma.

Il piano regolatore di Roma è stato approvato in via definitiva martedì scorso. Negli stessi giorni è stata avanzata la candidatura a sindaco di Francesco Rutelli. Potrebbe dunque essere proprio colui che ha ispirato l'intera urbanistica romana a dover gestire il nuovo piano. O meglio, la parte non ancora attuata: è noto infatti che attraverso il disinvolto uso dell'accordo di programma il piano è già stato attuato al 50% delle sue previsioni pur essendo approvato da soli quattro giorni. E' il cosiddetto «modello romano».

Modello che in urbanistica si basa su un impianto teorico inaccettabile. Con il Piano delle certezze del 1997 si affermò che non si poteva tagliare nessuna previsione urbanistica. Nacquero i «diritti edificatori» che dovevano essere obbligatoriamente «compensati». Con questi due sciagurati istituti si è inaugurato un devastante meccanismo incrementale della crescita urbana. Il caso del comprensorio di Tormarancia è esemplare. Erano previsti 1 milione e ottocentomila metri cubi: alla fine delle compensazioni sono diventati 5,2 milioni!

Che farà dunque il Rutelli redivivo? Continuerà lungo la china rovinosa che ha portato al più violento sacco urbanistico mai subito dalla città o aprirà un percorso critico che ribalti la concezione liberista dell'urbanistica romana? Molta parte di questa scelta dipende dalla capacità politica della sinistra. E' urgente ricominciare a ragionare sul futuro della città. Dal 1991 ad oggi circa 300.000 abitanti sono andati a vivere fuori dalla cintura metropolitana di Roma mentre i luoghi di lavoro si concentrano nel centro storico, nei quartieri della prima periferia e all'Eur. Ogni giorno 800 mila persone sono costrette a un estenuante pendolarismo. Inoltre, al posto di chi è andato via vivono a Roma oltre 400 mila stranieri, in balia del «mercato» e costretti a finanziare un imponente fenomeno di affitti sommersi: non si trova un posto letto a meno di 400 euro al mese. Una stanza vale oltre 600 euro. E intanto le case popolari non si costruiscono più. Tutto ciò è accettabile dalla sinistra?

Passiamo alle «perle» del piano regolatore. Il piano, ci viene detto, «tutela 88 mila ettari di territorio di Roma, due terzi dei 129 mila ettari complessivi». Bello, no? Ma non è vero. E' lo stesso comune di Roma ad aver certificato che già nel 2004 il cemento e l'asfalto coprivano 46 mila ettari. Dunque già prima che il piano fosse approvato la tutela riguardava meno dei due terzi del territorio. Il piano poi prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di cemento. Una stima prudente dice che verranno consumati almeno 15mila ettari di agro. La metà del territorio di Roma sarà dunque coperta di cemento e si continua senza pudore a dire che i due terzi sono tutelati. Ancora. Per giustificare il diluvio di cemento (70 milioni di metri cubi per una città che non cresce da vent'anni) si dice che il vecchio piano prevedeva ben 120 milioni di metri cubi e che pertanto ne sono stati tagliati 50. Non è vero. Il calcolo è stato effettuato sommando tutte le cubature lì previste, quelle private e quelle pubbliche. In un piano «pubblicistico» come quello del 1965 erano previsti ben 9.000 ettari di servizi pubblici: 180 milioni di metri cubi. Et voilà i 120 milioni di residuo: scuole e ospedali sono stati considerati come abitazioni private!

Ci viene ancora detto che con le «centralità» si porterà finalmente nelle periferie la qualità che manca. La prima vera occasione è di pochi anni fa. I proprietari delle aree di Bufalotta sottoscrivono un contratto con il comune di Roma in cui si impegnano a realizzare una delle mitiche centralità. Tre milioni di metri cubi equamente suddivisi in commerciale, residenziale e terziario. Nei due anni trascorsi sono stati realizzati i primi due segmenti del nuovo quartiere. Era arrivata l'ora degli uffici e della qualità. Ma il «mercato» non tira e i proprietari chiedono al comune di trasformare le previsioni di uffici in abitazioni. Le regole non si cambiano durante la partita. Eppure nel novembre 2007 la giunta comunale di Roma ha deciso di accettare quella proposta indecente. E così facendo ha gettato a mare l'intero impianto del piano regolatore! Alle tante menzogne che sono state accreditate in questi anni, anche l'autore del piano, Giuseppe Campos Venuti, ha aggiunto un'ultima vergogna affermando (all'Unità) che anche Antonio Cederna aveva tessuto le lodi del piano. Ma i primi elaborati del nuovo piano sono stati resi pubblici nel 1998. Cederna ci aveva lasciato da due anni. Uno spudorato falso, dunque, per strumentalizzare la memoria di un galantuomo che ha speso la vita a difendere Roma dagli assalti della speculazione.

Se la sinistra arcobaleno pensa di stringere un patto elettorale con Rutelli, sarà bene chiarire che occorre una radicale inversione di marcia: la fine del sacco urbanistico di Roma.

"Cosa succede in città". Così si intitola il convegno che si terrà sabato mattina a Roma, all'ex Mattatoio, nella Città dell'Altra Economia (Largo Dino Frisullo). Ne parlo con Adriano Labbucci, Presidente del Consiglio della Provincia di Roma. «Il convegno di sabato - mi dice - al quale, oltre agli esperti , sono state invitate tutte le associazioni ambientaliste , e i comitati dei cittadini che hanno a cuore il destino della città, é organizzato dal Movimento Sinistra Arcobaleno, ma non ha obiettivi elettoralistici. Nasce infatti da una lunga riflessione sul malessere della città. Perché la febbre edilizia che sta divorando Roma produce un modello urbano dissennato». Ed elenca: si continuano a costruire quartieri residenziali, ma non per chi ha bisogno di una casa e non può permettersela, si moltiplicano i centri commerciali, anche questi lungo il Raccordo, (28 negli ultimi dieci anni), e si mettono quindi le basi per un disastroso aumento del traffico automobilistico. Labbucci cita un altro dato inquietante:«Con questo ritmo ci mangeremo in pochi anni, lo ha affermato la Soprintendenza Archeologica, altri 15.000 ettari di Agro Romano. In Italia consumiamo 244.000 ettari di territorio "vergine" ogni anno. In Inghilterra solo il 30% delle nuove costruzioni può installarsi su un terreno mai edificato. In Germania il consumo annuale del suolo è limitato a 10.000 ettari all'anno».

Ma perché l'Italia, e Roma in particolare, va in controtendenza rispetto ai maggiori Paesi dell'UE? Secondo Labbucci, l'abuso di territorio che, sottolinea, non riguarda soltanto Roma, è stato incentivato da una legge voluta nel 2001 dal governo Berlusconi e mai abrogata: la norma consente ai Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazione non soltanto per gli investimenti ma anche per le spese correnti.« i Comuni si rifanno dei tagli dello Stato promuovendo l'edilizia».

«È lo stesso ragionamento- dico- che stamattina alla conferenza-stampa di Italia Nostra e del Comitato "Salviamo il Pincio-VivaValadier", faceva l'ingegnere Antonio Tamburrino, a proposito del parcheggio del Pincio…». «A cui anche io sono contrario…» .«Infatti. Tamburrino afferma che il parcheggio è un ottimo affare dal punto di vista finanziario, perché, calcolando un investimento di 10/15.000 euro a posto auto, l'Atac, che è una s.p.a partecipata del Campidoglio,e l'impresa Cerasi, che ha avuto l'appalto, si spartiranno una torta di 100/200 milioni di Euro»

«Ammettiamo - ragiona Labbucci - che gli introiti che toccheranno all'Atac consentano un arricchimento del parco autobus del servizio pubblico, di assumere altri autisti ..Ma quanti chilometri all'ora fanno i bus nel centro storico, se ci sono altre 700 automobili private che vanno e vengono dal parcheggio sotterraneo del Pincio? Senza contare la distruzione della scenografia urbana del verde e di Piazza del Popolo disegnata da Valadier »

Qui il documento preparatorio del convegno

Con tutto il rispetto per la sua lunga storia, devo dire che le considerazioni che Campos Venuti affida a l'Unità sul piano regolatore di Roma, sono propaganda di scarsa qualità e di cattivo gusto". Lo afferma in una nota il senatore Salvatore Bonadonna, Sinistra Arcobaleno, commentando le dichiarazioni di Campos Venuti pubblicate oggi da l’Unità. Parlare di 40 milioni di metri cubi cancellati quando si approva un piano che ne contiene 70 milioni è come raccontare una barzelletta. Ed è evidente che da molto tempo non gira per la città e quindi parla di una circolazione su ferro e di una vivibilità delle periferie che sta nel suo immaginario. Dire che le varianti sono inevitabili per le rigidità imposte dai massimalisti è semplicemente falso perchè– precisa Bonadonna - queste derivano da successive compravendite delle aree e accordi intercorsi tra i proprietari delle aree e l'amministrazione capitolina che pure aveva deliberato i precedenti piani; così come è falso che la legge urbanistica regionale imponeva un piano rigido, immutabile, su più di mille chilometri quadrati. Mi auguro che queste non siano sue parole altrimenti oltre a mettere in discussione l’onestà intellettuale, sarei costretto a chiamare in causa la sua competenza professionale perchè un professore sa che una legge è cosa diversa da un piano. Campos Venuti si vanta di aver affermato il concetto riformista di un piano che non costringe ad espropriare e, per non perdere l'abitudine, rivolge un attacco gratuito e infondato alla Legge urbanistica regionale che porta il mio nome, e fu approvata dalla giunta Badaloni. Afferma il falso quando dice "Noi volevamo sospendere quei diritti edificatori in attesa da 45 anni" come se la legge lo impedisse. In realtà ha fatto il contrario: ha riconosciuto diritti edificatori inesistenti e li ha ricompensati in maniera sorprendentemente eccessiva con le compensazioni e la perequazione. Può essere soddisfatto il riformista Campos Venuti perchè il suo piano passa grazie al "patto riformista" che ha visto il Comune di Veltroni e la Regione di Storace cancellare parti importanti della Legge sulla tutela ambientale, grazie allo svuotamento della legge urbanistica regionale che ha riportato la Regione Lazio tra quelle più arretrate nel governo del territorio e grazie alla cortese eliminazione di 977 vincoli o tutele su altrettante aree dell'agro romano. Se poi ci mettiamo che su 70 milioni di metri cubi, di cui una parte consistente realizzata in deroga, vediamo che mancano le case popolari e circa 30 mila famiglie sono in condizioni di emergenza abitativa, Campos Venuti può essere gratificato nel suo spirito riformista e minimal-progressista.

Prg di Roma: il tempo delle regole

di Vittorio Emiliani – l’Unità, 12 febbraio 2008

Un pomeriggio stavo guardando la telecronaca del Giro d’Italia. L’elicottero, seguendo la carovana, andava inquadrando un territorio verdeggiante, quasi pettinato, molto ben gestito, fra cittadine, villaggi e aperta campagna. Non feci però in tempo a compiacermi che ci fosse un’Italia così ben tenuta. Capii infatti che il Giro era sconfinato in Austria dove l’urbanistica è una cosa seria sin dai tempi dell’Imperial Regio Governo.

Da noi i piani regolatori generali sono stati caricati, in passato, di attese straordinarie che la realtà dell’attuazione ha poi finito quasi sempre per deludere, facendo posto ad un sempre più palese disordine territoriale, all’imbruttimento di uno dei più bei paesaggi del mondo, accelerato dai disastrosi condoni berlusconiani, edilizio e ambientale. Sovente si è sbagliato ad assegnare ai “PRG” (piani regolatori generali) la valenza di “motore” essenziale, quasi, dello stesso sviluppo socio-economico, anziché (e sarebbe già molto) di regolazione urbanistica e paesaggistica dei processi di trasformazione. Roma moderna, ad esempio, è nata come una capitale senza industrie (in teoria), senza quella “soverchie agglomerazioni di operai”, senza “i grandi impeti popolari” che, secondo il vero regista della Terza Roma, il piemontese Quintino Sella, avrebbero turbato la serenità dei lavori parlamentari. Nella realtà Roma ha poi sempre avuto una sua industria, non pesante certo, e ce l’ha soprattutto oggi, con sviluppi, fra l’altro, più dinamici dello stesso Nord, avendo saltato la prima rivoluzione industriale. Come dire che il mercato e le imprese vanno poi per conto loro. Entro le regole dei piani, nei Paesi civili e preveggenti. Molto al di fuori in Italia dove o si crivellano i PRG di deroghe e di varianti subito dopo averli approvati, oppure li si travolge con un abusivismo diffuso, in specie residenziale, in attesa del prossimo condono.

Roma è al suo quinto Piano Regolatore Generale a partire dal 1870, e, dai tempi di Ernesto Nathan (1907-1912), questo sarebbe il primo a venire approvato nell’Aula Giulio Cesare. Quello fascista del 1931 fu ovviamente vistato dal Governatore di Roma, essendo stata soppressa all’epoca ogni forma di democrazia rappresentativa, mentre un commissario firmò quello del 1962 che pure aveva suscitato attese, dibattiti e tensioni memorabili. Un caso classico di piano intensamente discusso dai tecnici, fondato su di una idea forte - e cioè l’asse attrezzato, il Sistema Direzionale Orientale (SDO) destinato a decongestionare un centro storico sin troppo gravato di funzioni, l’opposizione all’idea mussoliniana di espansione verso Ostia e verso il mare - e però contraddetto nella attuazione, sia dall’indecisionismo (e peggio) politico-amministrativo, sia da un tumultuoso procedere delle spinte illegali e abusive. Per cui la capitale ha continuato a crescere a macchia d’olio come una metropoli senza ossa, o con strutture portanti risalenti (siamo sempre lì) alla Giunta di Ernesto Nathan del primo Novecento. Grandissimo sindaco osteggiato e non riconfermato però, per non molti voti, nel secondo mandato proprio sulle questioni urbanistiche, fondiarie, edilizie. Guarda caso.

Il Piano Regolatore Generale di Roma giunto ora alla stretta finale è partito tredici anni or sono, né la sua ossatura è granché mutata. Semmai è migliorata in un punto strategico: quel diritto di compensazione destinato altrimenti a scardinare ogni seria pianificazione, a seconda dell’opzione dei singoli detentori di aree (e di vecchi diritti edificatori). Che le opposizioni protestino sostenendo che il dibattito viene in questi pochi giorni strozzato nell’aula consigliare rientra nel normale gioco politico (il muro contro muro all’italiana), tanto più in vista di un election-day che avrà, il 13 aprile, Roma fra i suoi massimi simboli mediatici. Ma che lo facciano altri, convince poco. Nonostante che la nuova legge comunale con la elezione diretta dei sindaci abbia sottratto molti, troppi poteri alle assemblee elettive barattandola con la stabilità, questo PRG è stato dibattuto ampiamente.

Personalmente credo che questo Piano Regolatore debba essere approvato e lo debba essere nell’aula consigliare senza ritardi né rinvii. Sarebbe grave delegare l’incombenza, ancora una volta, quarantasei anni dopo, a un commissario. Le linee di fondo e le cifre di cui si sostanzia il PRG elaborato dalle amministrazioni Rutelli e Veltroni sono note: la tutela prevista per la città storica (un tempo entro le Mura Aureliane) che viene estesa alla città di Nathan, alla città del Novecento, cioè da 1.500 a7.000 ettari; una salvaguardia per il verde attrezzato e il verde agricolo che investe 87.700 dei 129.000 ettari di superficie comunale; un sistema della mobilità che punta prevalentemente sul ferro, sulla rotaia, in superficie e in sotterranea, chiudendo finalmente l’anello ferroviario e integrando il sistema in 72 punti di scambio metropolitano; un modello urbano policentrico che sposta nelle periferie anche funzioni di pregio (e non soltanto il disagio sociale), e altro ancora sul quale non mi dilungo essendoci già una cronaca dettagliata in corso.

Un PRG vero, discusso a lungo, strutturato. Anche in questo Roma compie scelte lontane da quelle di Milano dove la pianificazione urbanistica, e con essa la tutela dell’interesse generale, è stata annegata e sostituita dal rapporto negoziale diretto fra l’ente pubblico di governo e i privati, o meglio i più forti detentori di aree immobiliari.

Un modello che si vuole far diventare generale in una Lombardia dove ora si minaccia di intaccare con cemento & asfalto gli stessi parchi regionali. Un PRG vero, dunque, che ha bisogno però di un metodo rigoroso di attuazione, convalidato com’è anche dai piani paesaggistici regionali (nei quali, in passato il Lazio era stata retroguardia, o quasi) e con la prospettiva di un più vasto quadro metropolitano visto che migliaia di giovani coppie, di famiglie di ceti deboli, di immigrati hanno lasciato Roma e si sono insediate oltre la prima cintura metropolitana, accrescendo così il già considerevole, insostenibile consumo di suolo nella regione e i movimenti pendolari a medio raggio. I quali hanno assolutamente bisogno di un sistema su ferro qui invece notevolmente gracile, da sempre, e quasi pre-moderno. Sistema su ferro che esige investimenti di mole rilevantissima, col quale tuttavia appare incoerente il “laissez faire” usato verso la proliferazione degli ipermercati, dei centri commerciali, delle città del consumo. Le quali, invece, impongono l’uso dell’auto privata, anche nei giorni del week-end. E che erodono enormi quantità di suolo.

Allora, assieme ad un sì al voto sul PRG, sento di dover dire, con altrettanta chiarezza, la mia opinione contraria alle deroghe, in generale, e a quelle contestualmente previste per grandi aree e non meno grandi cubature alla Bufalotta e alla Magliana. Perché esse contraddicono immediatamente un metodo di governo del territorio, perché ne divengono anzi il grimaldello. Non a caso il quotidiano in mano al più grande costruttore e immobiliarista romano ha attaccato con durezza quelle stesse deroghe, non tanto per amore (come accadeva anni fa) della buona urbanistica quanto, credo, perché riguardano altri potentati romani del mattone e del cemento. Il gioco è chiaro, la corsa a spuntare tutti di più prima che il PRG diventi legge è più che palese. Pertanto non mi pare che sia utile all’interesse generale inoltrarsi su queste strade: troppi piani regolatori abbiamo visto rimanere allo stato di belle carte colorate, di buone e magari generose intenzioni. Il consumo di suolo a Roma è già altissimo.

La popolazione del Comune non aumenta in modo marcato e ha semmai bisogno di edilizia economica, di affitti abbordabili, meglio se in stabili recuperati e risanati. Mentre la febbre edilizia di questi anni ha prodotto case molto mediocri e a prezzi di speculazione. Voltare pagina si può e si deve. Le regole sono regole. E sarebbe bello se Walter Veltroni, nel suo pur sintetico programma di governo, inserisse le norme contro il consumo di suolo libero o agricolo già varate da Tony Blair nel Regno Unito (il 70 per cento delle nuove costruzioni deve insistere su aree già edificate o dismesse) oppure quelle volute da Angela Merkel, quale ministro dell’Ambiente della Germania, negli anni 90. In Paesi che consumavano suolo a ritmi già molto più bassi dell’Italia dove, ormai, in certe regioni non c’è più campagna fra centro abitato e centro abitato, fra case, fabbriche e capannoni, con una terrificante colata unica di asfalto e cemento. Nell’ex Giardino d’Europa.

Prg, un lavoro fatto con tutta la città

di Mariagrazia Gerina - l’Unità, ed. Roma, 12 febbraio 2008

«Scriviamo questa pagina, è l'ultimo atto della grande trasformazione urbana avviata in questi anni», invoca Roberto Morassut, che, accompagnato da un applauso irrituale, consegna all'aula, dopo rinvii e polemiche, il piano regolatore generale per la ratifica finale. Attesa per questo pomeriggio, nonostante l’ostruzionismo e i rinvii. È l’ultimo traguardo che Veltroni - «sindaco del cambiamento urbanistico» lo omaggia Morassut - e la sua maggioranza vogliono tagliare prima dell’addio del sindaco al Campidoglio, previsto per domani.

«È l'unica riforma strutturale varata in questi anni nel paese», rivendica l'assessore che dal 2001 ha seguito la vicenda urbanistica di Roma. «Una materia ostile che invece è stata al centro del dibattito cittadino», scandisce ancora Morassut, che ricorda le tappe del prg e polemizza con chi proprio ora che si tratta di ratificare decisioni già discusse vorrebbe veder fallire la «missione» a un passo del traguardo: «Forse hanno nostalgia per i tempi in cui bastava riunire pochi poteri per decidere ciò che ricadeva sulla vita di tutti i cittadini».

A chi si aspettava una relazione celebrativa e basta, Morassut ha servito un discorso pieno di affondi e spunti critici per il futuro. Al Messaggero che ha attaccato insieme alle varianti già in cantiere (che il consiglio potrebbe ancora approvare nell’ultima coda di consiliatura) anche l’idea cardine di portare funzioni pregiate nella periferia, riserva una replica impicita: «Secondo strane riflessioni, dietro agli uffici si nasconderebbero future varianti. Non consento questa cultura del sospetto: la nostra è una grande scommessa, ma forse qualcuno vuole in periferia solo abitazioni», rilancia Morassut, che ripercorre a volo d’uccello i cantieri già aperti. A Tor Vergata la Città dello Sport di Calatrava, ai Mercati Generali la Città dei giovani di Koolhas. E poi l’università Pietralata, il campus ad Acilia, ecc. «Dove l’iniziativa è in mano al pubblico funziona, ma i privati sono al palo: si decidano a costruire, facciano marketing internazionale, stiano al patto di portare grandi funzioni in periferia». Il piano - ricorda Morassut - è quella «sfida di unire tutela e sviluppo, aprendo le porte all’accoglienza». Ed è la riforma che fa i conti con la principale leva dell’economia romana, l’edilizia: «Motore della crescita economica, ma con le sue contraddizioni», lavoro nero, sicurezza, necessità di consolidare l’impresa. Un mondo a cui l’amministrazione Veltroni con il prg ricorda che «l’economia non vive di solo cemento, ma anche di grandi opportunità turistiche». E quindi, «gli 88mila ettari di verde sono una grande leva di sviluppo».

Altra sfida, la cura del ferro, ovvero la metro C ma anche le ferrovie urbane: «in questo le Ferrovie dello Stato sono state un partner lento», dice Morassut. E poi, l’emergenza abitativa. «Una norma concordata con i costruttori riserva all’affitto concordato o solidale il 15% dell’edilizia». Ma non basta: «Nel piano ci sono 20mila alloggi da realizzare entro il 2011, 10mila per chi è iscritto nelle graduatorie, gli altri per il ceto medio non più in grado di accedere al mercato». A lungo termine, non bastano nemmeno quelli: «Occorrono riforme nazionali per consentire ai Comuni di reperire aree a basso costo», spiega Morassut, che prospetta una nuova stagione di edilizia popolare, basata non sull’esproprio ma su un moderno patto con i privati.

Queste le sfide contenute nel prg. Tutto sta ora a vedere se la città saprà raccoglierle. I costruttori, per primi. E il parlamento, poi, dove si dovrà costruire quell’«alleanza tra Stato e la sua Capitale», abbandonando «gli imbarazzi culturali di chi fin qui ha considerato Roma una capitale-non capitale e considerando che ogni soldo speso per Roma aiuta la pubblica amministrazione a funzionare meglio».

«La cosa più importante che ho realizzato»

intervista a Giuseppe Campos Venuti di Jolanda Bufalini

l’Unità, ed. Roma, 12 febbraio 2008

Giuseppe Campos Venuti, Bubi per tutti, 82 anni, ex partigiano, non ha perso, in quasi cinquant’anni, l’accento romanesco degli intellettuali della capitale, quello che era tipico di Maurizio Ferrara, di Alberto Moravia, di Antonello Trombadori. È bolognese di adozione, da quando, nel 1960, Mario Alicata lo spedì per il PCI nella città rossa. E dove fu assessore all’urbanistica per due consigliature, con Dozza: «Si facevano solo case, nelle periferie». «Ma ai figli degli operai glie volete da’ le scuole e i giardini per giocare?».

Erano i primi semi, in quei tempi eroici, dell’urbanistica ispirata alle grandi esperienze socialdemocratiche del Nord Europa che, scendendo per li rami, è arrivata fino al piano regolatore generale di Roma giunto alla sua tappa finale nell’Aula Giulio Cesare. Solo in parte, però, perché, alla fine, Campos ritirò la firma, nel marzo 2003. E però ora dice «È la cosa più importante che ho fatto. Mi piace vederlo approvare». E sul sindaco Walter Veltroni aggiunge «è un capo politico dotato di realismo e ha portato a casa il Piano».

La cosa più importante, perché?

«Perché ha delle strategie innovative strepitose. Intanto quella delle centralità: quei quartieri con più di 100mila abitanti che non sono più i dormitori della città ministeriale ma quelli in cui si è insediato il terziario produttivo. Roma è una incredibile eccezione nella stagnazione indotta da quindici anni di Berlusconi, con un prodotto interno lordo in controtendenza del 6,7 per cento contro l’1,4 nella media nazionale. Quei quartieri sono le città nella città: umane e produttive che devono avere il loro centro.

E poi è stata abbandonata quella concezione «vecchia come il cucco del trasporto su gomma. Né Berlino, né Parigi, nessuna grande città è cresciuta così. La cura del ferro a Roma ha già portato all’utilizzo delle ferrovie extra-urbane. Ora si

può andare in treno da Termini all’aeroporto di Fiumicino. Chi abita in centro non se ne accorge, ma sono migliaia le persone che viaggiano e arrivano a Roma su quei vagoni che Rutelli ha voluto bianco-celesti».

E poi c’è l’ambientalismo

«Questo Prg piaceva a Antonio Cederna. Ora non si fregino del suo nome gli amici della rendita fondiaria, Cederna scriveva su Repubblica nel 1995, “siamo finalmente ad una svolta” rispetto agli sfasci di un secolo. E si riferiva alla cura del ferro, ai 40 milioni di metri cubi cancellati, il che significa 18mila ettari destinati a verde pubblico e agricolo, senza contare i parchi».

Si sente odore di polemica a sinistra

«Sfido che Veltroni ora va da solo. Ci fu impedito allora, dal massimalismo-conservatore di Bonadonna (allora assessore regionale all’urbanistica, ndr) di applicare il concetto riformista di un piano di programmazione, che non costringe ad espropriare. E invece la legge regionale ci imponeva un piano rigido, immutabile, su più di mille chilometri quadrati. Noi volevamo sospendere quei diritti edificatori in attesa da 45 anni. In cambio ci sarebbero state scadenze esecutive a breve termine. Niente: 5 milioni e 700mila euro per il vecchio esproprio. In periferia gli imprenditori danno volentieri le aree gratis per verde e servizi, perché valorizzano il loro costruito. Ma quei soldi per la città consolidata non ci sono. E se ci fossero, sarebbe meglio utilizzarli per le metropolitane».

In consiglio comunale c’è ostruzionismo, per ragioni politiche ma anche a causa delle varianti, attaccate dal Messaggero

«Non mi sorprende l’ostruzionismo dei fascisti (per me tali restano). Quanto alle varianti, sono inevitabili con le rigidità di cui dicevo».

Nel 2003 lei ritirò la firma

«In quella notte del voto in consiglio ebbi una telefonata con Veltroni che mi disse “che fai, rovini la festa?” ma poi aggiunse “ti do subito il reincarico per lavorare alle contro-deduzioni”. Io ho continuato a lavorare con Roberto Morassut, a cui mi lega affetto nato quando, prima di essere assessore all’urbanistica, era segretario della federazione romana dei Ds. E Morassut ha difeso strenuamente i principi del piano, ha grandi meriti in questa operazione. Ha un nome di origini friulane ma Roma gli deve molto».

Una febbre edilizia sta divorando Roma producendo un modello urbano dissennato e devastante.

Il meccanismo e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: si costruiscono residenze e grandi centri commerciali a ritmo forsennato lungo il Raccordo consumando quel che resta dell’Agro Romano; a questi insediamenti si può accedere solo con l’auto privata, provocando così per l’oggi e ancor più per il domani un aumento del traffico; con un ultimo paradosso, aumentano le case e aumenta l’emergenza abitativa per il semplice fatto che si costruisce non per chi ha bisogno (giovani coppie, anziani, migranti) ma perché qualcuno ha la forza di imporlo alle proprie condizioni.

Un bene pubblico, il paesaggio, viene così lasciato alla mercè degli interessi speculativi privati. Con questo ritmo e seguendo la previsione del Piano Regolatore ci mangeremo, come ha affermato la Sovrintendenza Archeologica di Roma, 15.000 ettari di Agro Romano. Una follia. Tutto il contrario di quanto sta facendo l’Europa: in Germania dal ’98 si è limitato il consumo di suolo a 10.000 ettari l’anno, in Italia ne consumiamo 244.000 l’anno; in Inghilterra si è deciso che solo il 30% delle nuove edificazioni può sorgere in aree libere e il 70% in aree già costruite, e il Sindaco di Londra Ken Livingstone ha deciso di concentrare il 100% delle nuove costruzioni nelle aree già edificate non toccando la campagna londinese. A tutto ciò si aggiunga che nell’ultimo anno sono stati approvati in deroga al Piano Regolatore oltre 30 progetti privati: con una mano si scrivono le regole con l’altra si cancellano.

E’ positivo che negli ultimi anni importanti architetti siano impegnati nella nostra città, ma come diceva Antonio Cederna la buona architettura non sana la cattiva urbanistica.

Se passiamo dal consumo del suolo alla mobilità il discorso non cambia.

Roma è prigioniera delle auto: 89 auto ogni 100 abitanti, compresi i bambini e minorenni. Solo il 18% usa il mezzo pubblico, a Parigi il 67%, a Madrid 66%, a Londra 55%.

Una buona politica è quella capace di invertire questa tendenza: promuovere e incentivare il mezzo pubblico (soprattutto su ferro) e limitare l’uso del mezzo privato. Al contrario l’attuale espansione edilizia, disseminata a macchia d’olio lungo la campagna, provocherà un uso ancora più massiccio dell’auto privata moltiplicando traffico, congestionamento, inquinamento, (siamo la capitale europea dello smog insieme ad Atene).

Basti pensare che in 10 anni a Roma sono stati aperti 28 grandi centri commerciali, quasi tutti a ridosso del GRA, con parcheggi per migliaia di posti auto. E che ogni anno se ne aprono in media altri quattro. Non esiste una situazione analoga in nessun’altra capitale europea. Il risultato è che non essendoci infrastrutture adeguate il traffico è perennemente paralizzato e il Comune dovrà intervenire con soldi pubblici e consumare altro suolo agricolo. Un tipico esempio di ricchezza privata e povertà pubblica.

La stessa subalternità all’auto porta ad altre scelte devastanti: nei centri storici delle capitali europee da decenni non si realizzano più parcheggi perché è dimostrato che attraggono auto, a Roma si è dato il via libera tra l’altro ad un parcheggio di oltre 700 auto sotto il Pincio, uno scempio di uno dei luoghi più belli e conosciuti al mondo, nonostante a poche centinaia di metri vi sia il Parcheggio del Galoppatoio. Tutelare il centro storico è interesse pubblico, far costruire un parcheggio sotto il Pincio no.

Ogni mese leggiamo i dati sull’aumento del turismo nella nostra città, con il puntuale seguito di dichiarazioni entusiaste. Ma in assenza di un governo dei fenomeni l’altra faccia della medaglia è lo stravolgimento, come mai era avvenuto, del centro storico di Roma: prosegue l’espulsione degli abitanti; Stato e Comune stanno dilapidando il proprio patrimonio edilizio storico; dilagano alberghi e bed and breakfast e la città politica e i ministeri hanno via via allargato la loro presenza contrariamente a quanto da anni si era ipotizzato; solo nel 2007 sono stati aperti oltre 40 tra pub, ristoranti, bar; le vie, le piazze, le strade sono state privatizzate e invase da tavoli, sedie, fioriere e quant’altro. Passeggiare tra i famosi vicoli di Roma è oggi diventato impossibile. Il centro si è trasformato in un luogo di transito per turisti, adibito al consumo mordi e fuggi senza più alcuna identità. Un esito inglorioso per un luogo unico al mondo per le sue bellezze artistiche, archeologiche, monumentali.

Infine, da anni si parla di “emergenza casa”. Dopo la felice stagione che portò all’approvazione della Delibera 110 del 2005, si sta tornando indietro. Invece di puntare, come prevede la Delibera, alla partecipazione ancora una volta ci si muove in una logica di contrattazione: ultimo il protocollo d’intesa sottoscritto dal Comune con Acer e Lega delle Cooperative per la realizzazione di alloggi con la pratica consolidata e devastante della deroga al Piano Regolatore cancellando le aree destinate a verde e servizi.

Scompare ancora una volta il governo pubblico delle politiche abitative e di parte della locazione privata; così come una politica di utilizzo del patrimonio sfitto o non occupato che a Roma è enorme, si stima in oltre 200.000 abitazioni, lasciando al loro destino non meno di 700.000 cittadini a cui non si offrono né risposte né prospettive.

Questo modello non riguarda più solo Roma ma coinvolge il territorio provinciale. Infatti queste “emergenze”, dal consumo del suolo a quella abitativa e della mobilità, dallo smaltimento dei rifiuti alla produzione di energie vengono sempre più scaricate al di fuori della città per evitare di mettere in discussione un modello sempre più insostenibile. Il contrario di quanto serve: una programmazione di area metropolitana in grado di superare squilibri e disfunzioni e mettere in relazione progetti e risorse.

PERCHE’?

Da questa rapida panoramica la domanda è semplice: perché? Perché si procede in questa direzione dello sviluppo urbano che non solo non risolve i problemi della città ma li aggrava, moltiplicandone i fattori negativi?

C’è innanzitutto un motivo di carattere generale che non riguarda solo Roma. L’abuso di territorio infatti coinvolge l’intero paese a causa di una norma, voluta nel 2001 dall’allora governo Berlusconi, che permette ai Comuni di utilizzare gli introiti degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente e non più solo per investimenti. Così i Comuni, a cui vengono tagliati i finanziamenti dallo Stato, hanno trovato nell’edilizia un modo per fare cassa e rastrellare soldi. Il tutto a spese del paesaggio, dell’ambiente, della qualità della vita. Il centrosinistra non ha modificato questa norma sciagurata.

C’è poi il peso enorme che a Roma ha sempre avuto la rendita fondiaria, i “palazzinari”. Nel passato le forze della sinistra seppero opporsi e ottenere anche risultati significativi in nome di un’altra idea di città. Oggi non è più così, negli ultimi anni anche la politica e la cultura di sinistra hanno finito in larga misura per aderire al pensiero dominante che la proprietà immobiliare debba essere protagonista delle scelte urbanistiche. E’ anche per questo che oggi in chi governa ciò che più colpisce è l’assenza di un’idea di città, mancando la quale diventa poi inevitabile accodarsi alle richieste e ai desiderata di chi ha potere e soldi per proporre soluzioni. Una politica debole, con scarsa autonomia culturale, in crisi di radicamento e rappresentanza cerca nel potere forte del mattone e della rendita risorse e sostegno. Al pubblico non resta che fare o da passacarte oppure cercare ruolo e spazio contrattando e garantendo determinati interessi in funzione gregaria e subalterna.

D’altronde non è un mistero che a Roma opera da tempo un cartello di costruttori che agiscono di fatto in condizioni di monopolio in un rapporto diretto con l’amministrazione pubblica; che questi costruttori sono anche proprietari di banche, assicurazioni e giornali; e al tempo stesso siedono in fondazioni, enti, istituzioni comunali. Un circuito pervasivo in cui si confonde interesse pubblico e interesse privato; una commistione che di sicuro non fa bene alla trasparenza e all’autorevolezza e credibilità della politica.

A questo dato strutturale si aggiunge poi la scarsa considerazione cha da noi c’è sempre stata per il paesaggio, per i beni pubblici. Secondo la ben nota teoria e pratica che se una cosa è pubblica non è di nessuno e quindi ognuno può fare come gli pare.

Da qui il deperimento e sempre più l’assenza di coinvolgimento dei cittadini nelle scelte. Mentre in tante città europee (Stoccolma, Monaco di Baviera) prima di prendere decisioni l’amministrazione comunale è tenuta ad un processo democratico in cui vagliare con gli abitanti i progetti di trasformazione urbana, qui da noi nulla di tutto questo, se va bene si promuovono incontri in cui viene illustrato ciò che si è già deciso. Non ci si può lamentare poi delle contestazioni o delle proteste se manca una pratica di partecipazione su scelte che riguardano la vita dei cittadini.

La Corte dei Conti nel 2006 ha scritto “la scarsità di informazioni corrette ed esaustive alle comunità locali, che garantisce sulla imparzialità, autorevolezza e incisività delle scelte effettuate, ha accentuato la conflittualità generale…..solo nella condivisione e nel processo partecipativo di tutti i soggetti interessati possono derivare soluzioni stabili, efficienti, efficaci ed eque”. Serve più trasparenza e più capacità di ascolto, più democrazia partecipata se si vuole una città più consapevole e più capace di educare alla responsabilità.

CHE FARE

Per fare cose diverse bisogna pensare diversamente. C’è bisogno quindi di una coraggiosa riflessione critica anche a sinistra sul passato più recente riconoscendo errori, limiti, una perdita di autonomia culturale e politica. La sinistra del XXI secolo o è quella dei diritti fondamentali della persona, della democrazia partecipata, dei beni comuni o non è. Una sinistra capace di rimettere in discussione gli idoli della quantità e del denaro per affermare un’idea di ben - essere e di equilibrio con gli altri e con l’ambiente. Le scelte di cui Roma ha bisogno per realizzare un nuovo modello urbano che incorpori diritti e beni pubblici sono sotto gli occhi di tutti. Ne indichiamo sette in grado di rappresentare un volano per un’idea nuova di città.

1. Una moratoria immediata di tutte le deroghe al Piano Regolatore. Sostituire al consumo dissennato di territorio che aggrava i mali di Roma il recupero e la riqualificazione urbana: caserme, aree ferroviarie e dell’ATAC, demani di aziende pubbliche, impianti tecnologici obsoleti e immobili uso ufficio abbandonati, aree vuote ex SDO. E’ in questa direzione che bisogna muoversi con l’obiettivo di riportare le residenze nelle zone semicentrali, riqualificare i vuoti interni alla città. I privati guadagneranno di meno ma sarà la città a guadagnarci di più. A questo serve il potere pubblico.

2. Una legge regionale che, come la legge ponte del 1967 che salvò i centri storici dall’abbandono e dalla speculazione, perimetri le aree agricole e quelle ancora non urbanizzate intorno alla città così da bloccare cambi di destinazione d’uso. In questo modo gli stessi costruttori saranno indirizzati e incentivati ad impegnarsi verso la riqualificazione delle periferie e della città invece che in nuove lottizzazioni nell’agro romano. Serve solo la volontà politica e la cultura di ritenere il paesaggio un bene pubblico da salvaguardare e tutelare per le generazioni future.

3. Dare finalmente avvio al progetto Fori di Antonio Cederna e Luigi Petroselli. La più importante e innovativa idea urbanistica di Roma capace di unire storia e modernità, di riformare la città mettendo al centro la qualità, di risaldare il centro con la periferia e l’hinterland. Iniziando con la chiusura al traffico di Via dei Fori Imperiali perché come diceva il Sindaco di Roma Argan i monumenti e le macchine sono incompatibili.

4. Riduzione del traffico privato su gomma, rafforzando e modernizzando la rete su ferro; itinerari protetti per autobus e tram raddoppiando la lunghezza attuale; dare impulso, come avviene in tante capitali europee, ai taxi collettivi, car sharing, linee a chiamata; istituire una cabina di regia tra Comune, Provincia e Regione per affrontare in una visione d’insieme di area metropolitana la mobilità. Realizzazione in ogni quartiere di isole pedonali.

5. Una Conferenza Cittadina sul tema della Casa con l’obiettivo di un “Patto di solidarietà” che definisca un piano di interventi e una legge comunale sull’utilizzo sociale del patrimonio residenziale sfitto, abbandonato o sottoutilizzato, anche attraverso la leva fiscale per incentivare la proprietà, da riconvertire ad ERP, ad alloggi a canone concordato solidale, all’housing sociale. Nell’immediato va affrontata la questione degli sfratti e degli sgomberi delle occupazioni e va attivata l’Agenzia Comunale per l’affitto con uffici decentrati nei Municipi.

6. Ridare dignità e bellezza al centro storico abbandonando la pratica della cartolarizzazione e la privatizzazione del patrimonio edilizio pubblico; sospendendo il rilascio di nuove licenze per la ristorazione; limitando sensibilmente l’occupazione di suolo pubblico da parte degli esercizi commerciali; riducendo drasticamente il traffico privato automobilistico.

7. Serve, come in Toscana, una legge regionale sulla partecipazione che preveda istituti e forme di democrazia partecipata, estenda i diritti delle persone che vivono sul territorio così da tutelare identità territoriali, beni storico-culturali, l’ambiente e il paesaggio.

Non ci rassegniamo ad un modello urbano sempre più americano in cui la città si spappola nella campagna e la macchina è la padrona incontrastata, ad una città vetrina per il turismo in cui la speculazione immobiliare impone le sue regole e troppi sono costretti ad abbandonarla.

Roma non merita questo futuro.

Ci battiamo per una città capace di promuovere e garantire i diritti delle persone, i beni comuni, la partecipazione e di salvaguardare la sua straordinaria bellezza per trasmetterla alle generazioni future, perché la bellezza è un fattore di coesione sociale.

Diritti e bellezza hanno bisogno della politica, di un governo della cosa pubblica in pubblico.

Per questo serve la sinistra. Una sinistra unita.

Movimento romano per la Sinistra Arcobaleno

Il comune di Roma vorrebbe far costruire nelle aree dell'ex Fiera di Roma di via Cristoforo Colombo 300 mila metri cubi di cemento. L'area è di appena sette ettari e si raggiungerebbero densità inaccettabili, degne delle peggiori speculazioni degli anni '60, Magliana o viale Marconi. Eppure questa speculazione è stata chiamata «la città dei bambini». Ma i bambini romani sognano i parchi, mica il cemento. Ancora. Tutti i quotidiani hanno riportato ieri che «87.000 ettari, e cioè due terzi del territorio comunale è vincolato per sempre a verde». Un'altra gigantesca bugia. Quando sarà stato attuato tutto il nuovo piano regolatore, la metà dell'immensa estensione del comune di Roma sarà stata divorata dal cemento. La meravigliosa campagna romana sopravvive già oggi solo in pochi lacerti circondati da una volgare periferia.

Se c'è bisogno di propagare bugie, è perché non si vuole ancora prendere atto del fallimento dell'urbanistica romana. Lunedì verrà approvato il nuovo piano regolatore, si fisseranno cioè le regole delle trasformazioni della città che devono valere per tutti. Il giorno dopo, come se nulla fosse, sarà approvato un altro pacchetto di deroghe. Dal 2003 - anno in cui il nuovo piano fu adottato dal consiglio comunale - sono stati approvati almeno trenta grandi progetti in variante.

Una delle nuove deroghe, in particolare, rappresenta il de profundis delle promesse contenute nel nuovo piano regolatore. Nel comprensorio della Bufalotta - a nord di Roma - doveva essere realizzata una delle centralità urbane, la spina dorsale della nuova città. Attività pregiate, uffici e terziario in periferia, così era scritto. Martedì si imporrà al consiglio comunale, nonostante il voto contrario del municipio competente, di cambiare le regole: al posto degli uffici nuove case. E se cadono le centralità cade conseguentemente tutto il piano regolatore. Non resterà altro che periferia che si aggiunge a periferia.

Come nel caso di Tor di Quinto. Lì il nuovo piano regolatore prevedeva attività produttive. Con un accordo di programma si è permesso di costruire uno scandaloso complesso di case a pochi metri dalla via Flaminia. E pensare che a poche centinaia di metri da questa nuova speculazione, nel mese di novembre fu barbaramente assassinata una giovane donna, Giovanna Reggiani, che percorreva una strada senza illuminazione pubblica. Ma invece di migliorare la città esistente si è scelto deliberatamente di continuare un'espansione senza fine. Roma è una città senza regole, dove ha trionfato la proprietà fondiaria e la peggior speculazione immobiliare.

Sempre con il grimaldello dell'accordo di programma, in soli 7 anni sono stati realizzati in periferia 28 grandi centri commerciali e ipermercati. Mettono a disposizione della città oltre centomila posti auto che alimentano ulteriormente un traffico già caotico. Causeranno la chiusura definitiva di centinaia di vecchie botteghe artigianali e di negozi, perché non in grado di sostenere la concorrenza della grande distribuzione internazionale.

E' questa, purtroppo, l'urbanistica romana. Ripeto che, al di là del merito da cui dissento radicalmente, è comunque un bene che il nuovo piano regolatore venga approvato. Ma se non verrà chiusa per sempre la stagione dell'arbitrio sarà stato un atto inutile. E' dunque doveroso che il consiglio comunale, prima del voto sul Prg approvi un solenne documento che dichiari chiusa per sempre la stagione delle deroghe. Solo così avremmo forse ancora una piccola possibilità di recuperare una città che sta subendo il più violento sacco urbanistico della sua storia.

Qui un'ampia documentazione sul nuovo PRG di Roma

In principio c’era la «Città dello Sport», progettata dall’architetto Santiago Calatrava su un’area dell’università di Tor Vergata e da costruire in gran fretta, con i soldi (250 milioni di euro) della legge per Roma capitale, in tempo per i Mondiali del Nuoto: 18 luglio-2 agosto 2009. I lavori marciano, ma, comunque vada, la creatura acquatica per quella data potrà essere pronta solo in parte - ormai questo è assodato - e il grande evento ha già da tempo cominciato a migrare (anche) altrove.IL VECCHIO Foro Italico, che sarà rimesso a nuovo con i soldi del Coni ospiterà il grosso delle gare. Il Piano delle opere prevede la ristrutturazione e la copertura dello Stadio Centrale del Tennis. Ma non è solo lì che si concentra l’attenzione degli organiz-

zatori. La presidenza del Consiglio nell’ottobre del 2005 ha dichiarato i Mondiali del Nuoto «Grande evento» e con questo ha creato una corsia preferenziale per la realizzazione tutto ciò che servirà ad ospitarlo. Piscine, impianti, foresterie. Una macchina piuttosto potente, che la presidenza del Consiglio ha messo in mano a Giovannino Malagò, presidente del Comitato organizzatore, abituato a trattare con la Ferrari, al presidente della Federazione italiana nuoto, Paolo Barelli, già senatore di Fi, e al Commissario delegato Angelo Balducci. Con licenza di realizzare nella capitale (e a Frosinone, Tivoli, Anguillara, Monterotondo) una serie cospicua di nuove opere natatorie.

Oltre a Tor Vergata, altri lavori per realizzare 3 impianti con annesse strutture ricettive, finanziati in questo caso dalla Federazione italiana nuoto, dovrebbero cominciare entro la fine dell’anno: così è stato stabilito alcuni giorni fa, durante l’ultima riunione tecnica. A Valico San Paolo, il progetto si fonde con quello del campus universitario di Roma Tre e prevede una piscina coperta, una scoperta da 50 metri e una foresteria con sala convegni. Un secondo polo, a Pietralata, secondo lo stesso schema impianti-campus universitario, in questo caso della Sapienza, comprende due piscine, una coperta e l’altra scoperta da 50 metri, palestre, foresteria, etc.. Infine a Ostia, dovrebbe sorgere un terzo polo. Anche in questo caso non sono mancati i problemi. Per i primi due impianti le gare d’appalto (con base d’asta rispettivamente di 12 e 11 milioni circa) sono state bandite all’inizio di agosto e il termine, spostato di 30 giorni per dare il tempo ai partecipanti di ricevere tutti i chiarimenti necessari, è scaduto il 24 ottobre. A breve (forse già oggi) si dovrebbero conoscere i nomi di queste e delle altre due gare bandite per i lavori di ristrutturazione del Foro Italico (base d’asta circa 23 milioni) e per la realizzazione del Museo dello Sport (20milioni). Per il polo di Ostia c’è stata qualche complicazione in più. L’impianto doveva sorgere vicino al PalaFijlkam: un’area definita con dovizia di particolari nella delibera del 25 luglio 2007, che dava il via anche alle procedure d’esproprio per la parte privata. Progetto preliminare affidato dalla Fin all’ingegner Renato Papagni. Un nome che conta ad Ostia e che - contesta un’interrogazione parlamentare del Verde Bulgarelli -, accentra già in sé parecchie funzioni: «presidente del Consorzio turistico Litorale romano, presidente di Assobalneari, membro della Commissione Impianti della Fin». I Verdi hanno alzato le barricate e l’impianto con l’annessa foresteria, 100 metri per quattro piani, destinata agli atleti non si farà più lì. Dove, quindi? La nuova area, non lontana da quella originaria e messa a disposizione dal Comune, è già stata individuata. Mercoledì l’assessore all’urbanistica Roberto Morassut porterà in giunta la delibera con la modifica che comunicherà poi al Commissario delegato, come prevede la procedura abbreviata autorizzata dalla Presidenza del Consiglio.

Ma c’è ancora un’altra partita, apparentemente più piccola, in realtà la più interessante dal punto di vista dei privati, a cui è stata data la possibilità di concorrere, presentando progetti per ampliare «strutture sportive esistenti funzionali alla celebrazione del “Grande Evento”», così recita la delibera 85 approvata in Consiglio comunale il 21 maggio 2007. Da allora sono state avanzate 28 proposte. Si va dallo storico «Circolo Tevere Remo» a «Cristo Re». Dall’azienda produttrice di latte «Agricola Salone» a «SS. Lazio Nuoto». In almeno due casi, i progetti presentati ricadono all’interno di un parco: una piscina che un Circolo sportivo vorrebbe realizzare all’interno del parco Decima Malafede con annessa foresteria e un altro impianto che una struttura alberghiera vorrebbe costruire all’interno della Valle dei Casali. Nel primo caso, il via libera è arrivato prima che si insediasse la nuova presidenza direttamente dal commissario del parco. Nel secondo caso, invece, la questione è stata analizzata dal Consiglio di Roma Natura, che ha approvato la deroga. Voto favorevole degli altri consiglieri, voto contrario di Mauro Veronesi. Scorrendo il verbale della riunione, le sue obiezioni si possono sintetizzare così: se nel nuovo prg sono previsti 700 ettari per impianti sportivi perché realizzare le piscine nelle aree protette? E poi perché devono «ricadere» sui parchi gli «errori di programmazione» compiuti sulla Città dello Sport? Infine, una preoccupazione anche di altri consiglieri riguarda l’uso pubblico della piscina: che in futuro non «debba servire all’albergo». Non tutti i progetti avranno seguito. E finora solo per 12 si è conclusa la conferenza dei servizi. Sempre mercoledì l’assessore all’urbanistica indicherà alla giunta un numero ristretto a 5-6 di impianti che si possono considerare idonei.

Storia a parte quella delle proposte presentate dal Circolo Canottieri Aniene, presieduto dallo stesso presidente del Comitato promotore dei Mondiali, Giovanni Malagò. Un primo progetto, per la costruzione di una piscina olimpionica a 50 metri dal Tevere, è trapelato e naufragato in seguito a feroci scontri nati all’interno del Circolo (con tanto di provvedimenti disciplinari e ricorsi vinti dai soci “dissidenti”) e a un esposto dettagliato presentato da Legambiente. Un nuovo progetto ha però soppianto il primo, trovando spazio – secondo quanto previsto dalla deliberazione di giunta del 18 luglio 2007 - vicino alla Moschea. L’area (ex “Palaparioli”, un po’ lontanuccia dal Circolo) ce la mette (in parte) il Comune. Mentre la «pubblica utilità» dell’opera - necessaria a procedere con i lavori - è stata certificata, a stretto giro, dal Commissario delegato del «Grande evento», Angelo Balducci. Perplessità, oltre che dai soci del Circolo poco propensi a mettere mano al portafogli, vengono dai residenti che - spiega il presidente del Comitato Parioli, l’ingegner Fraddosio - avrebbero voluto vedere «altrettanta sollecitudine per la realizzazione del parcheggio di scambio atteso da anni».

QUANDO LA PERIFERIA invade la campagna non è sempre segno di sviluppo. Né economico, nonostante l’inaugurazione di mega centri commerciali, né culturale, nonostante l’apertura di multisala, né abitativo, nonostante la costruzione di ampi complessi residenziali. La febbre edilizia degli ultimi anni ha «mangiato» il territorio, ma non sembra avere attenuato l’emergenza casa. E centri commerciali e multisala non hanno migliorato poi la qualità della vita nelle periferie. Queste alcune delle riflessioni condotte ieri nel convegno «Paesaggio italiano aggredito, che fare?», organizzato dal Consiglio Provinciale di Roma e dal Comitato per la Bellezza a Palazzo Valentini. Urbanisti, professori universitari, esperti e amministratori locali hanno confrontato i loro studi e le loro esperienze partendo dal «caso Roma». Il modo in cui la città si è sviluppata la renderebbe idonea a rappresentare tutta la schizofrenia della politica urbanistica italiana. A cominciare dalla contraddizione più stridente: i mattoni consumano i terreni fuori la cinta cittadina, ma la domanda di alloggi da parte di giovani coppie, anziani, immigrati, rimane invariata. «È il tipico caso in cui la legge della domanda e dell’offerta non vale - spiega Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza -, gli edifici costruiti erano e sono destinati quasi unicamente al mercato, per lo più alla speculazione. Crescono gli stock di seconde e terze case, mentre l’edilizia popolare è ferma». E poi ci sono i mega centri commerciali a disegnare la morfologia delle nuove periferie. Una «urbanistica dell’offerta» che, secondo Paolo Berdini, urbanista, nel resto d’Europa è stata abbandonata da decenni. «Fino a 10 anni fa a Roma esistevano solo due centri all’ingrosso della catena Metro, ora sono 28 solo quelli di superficie superiore ad un ettaro. Queste estate sono stati inaugurati 3 mega centri commerciali, di ognuno è stato detto che era il più grande d’Europa». «Ci si è mai chiesti come mai Parigi, che ha 6 volte gli abitanti di Roma, non ambisce a questo primato?», continua Berdini, «perché non portano ricchezza ma, al contrario, per ognuno che se ne apre chiudono 70 negozi tradizionali nel resto della città e spesso questi rappresentano le uniche attività non residenziali nelle periferie, gli unici presidi sociali». Per di più multisala e “cattedrali dello shopping” dissipati per il territorio senza una preventiva «verifica dell’accessibilità del luogo, contribuiscono alla congestione del traffico, rendendo necessarie altre strade che distruggono altra campagna». E così, secondo i dati forniti durante il convegno, dal 1990 al 2005 nel Lazio sono stati consumati circa 226mila ettari di superficie prima libera, il 19% di tutta la regione. Per l’ex sovrintendente Adriano La Regina bisognerebbe riutilizzare la vecchia legge Ponte del ’60 (sulla quale già puntava il sindaco Luigi Petroselli all’inizio degli anni 80) che vincola anche i suoli agricoli, cosicché «i privati siano invogliati ad investire recuperando, riqualificando, gli spazi in centro ed in periferia». Inoltre, secondo Adriano Labbucci, presidente del Consiglio provinciale, «bisogna mettere in rete i comitati che nascono localmente a difesa del patrimonio artistico e paesaggistico per fare massa critica ed evitare il massacro del territorio». L’hinterland di Roma è ormai a un punto di non ritorno? «La città - risponde Berdini - è terreno di conquista di grandi fondi immobiliari internazionali, anche questa è globalizzazione. Ma intanto Roma muore di traffico».

Quando vengono pubblicati sul Bollettino ufficiale regionale, i piani urbanistici diventano, come noto, legge. Il ruolo della regione Lazio nel valutare il piano regolatore di Roma è dunque molto importante. Al di la’ del merito delle scelte del piano -su cui si possono avere le più diverse opinioni- si tratta di ricondurre quello strumento urbanistico al rispetto delle regole. E, appunto, non ci possono essere opinioni o interpretazioni: deve essere rispettata la legislazione vigente.

La regione Lazio dovrà dunque risolvere tre grandi questioni. Il primo è quello maggiormente impegnativo dal punto di vista giuridico. Il piano di Roma si fonda su due concetti che non esistono nel corpus legislativo nazionale: i diritti edificatori e la compensazione urbanistica. Si sostiene che esistono diritti edificatori che discendono da precedenti atti di pianificazione e, conseguentemente, essi devono essere trasferiti in qualsiasi altro luogo. Ad esempio, le previsioni edificatorie del piano del 1965 per il comprensorio di Tormarancia –1,8 milioni di metri cubi- cancellate da una sacrosanta battaglia ambientalista sono state “compensate” in altri luoghi per un totale di 5,2 milioni di metri cubi. Al di là dell’impressionante aumento consumo di suolo che questa invenzione produce (quasi il 300%!), resta il punto centrale: nella legislazione italiana non esistono diritti edificatori e compensazione. Le norme tecniche del piano di Roma sono piene di rinvii a questi due concetti fuori legge: la regione deve pertanto cancellarli. E’ suo dovere istituzionale.

Il secondo punto è relativo al fatto che i piani approvati devono fornire un quadro esattamente rispondente alla realtà. In tal senso, quale piano, approverà la regione Lazio: quello controdedotto nel 2003 o quello successivamente variato dalle decine e decine di “accordi di programma” sottoscritti che hanno variato il citato piano? Anche qui un solo esempio. Subito dopo il marzo 2003, data della controdeduzione comunale, viene concesso a Bonifici, proprietario del quotidiano Tempo e di una fabbrica dimessa a Tor di Quinto, di trasformare l’immobile in un quartiere di densità impressionante, tipo viale Marconi degli anni ’60. Come questo, esistono altre decine e decine di casi: la regione Lazio ha il dovere di renderli evidenti sui documenti che diventeranno legge. Altrimenti che legge sarebbe?

Anzi, credo sia venuto il momento di cancellare l’uso dell’accordo di programma quale strumento per decidere volta per volta le trasformazioni urbane. Nell’agosto 2007, abbiamo appreso che Pirelli real estate, Fingen e Maire si sono aggiudicati in un’asta pubblica promossa da Fintecna, l’ex Istituto geologico di Largo Santa Susanna nei dintorni di via Nazionale, 23.000 metri quadrati di suolo dell’area dello scalo ferroviario di San Lorenzo, l’ex Zecca dello Stato di piazza verdi ai Parioli, e 7 ettari di terreni a Valcannuta, nell’estrema periferia occidentale.

Questa vendita, utilizzando le leggi liberiste volute dal precedente governo di centro-destra, non è stata ancorata allo stato di diritto definito dagli strumenti urbanistici. Le regole sono state cancellate e si vende sulla base del principio della valorizzazione immobiliare. L’ex Istituto geologico sarà destinato ad attività commerciali. A San Lorenzo saranno edificati 50 mila metri cubi di residenze. A piazza Verdi si realizzerà un albergo con circa 200 posti letto e “non meno” di 250 appartamenti. A Valcannuta verranno infine realizzati 200 alloggi residenziali e strutture commerciali. Queste trasformazioni non sono previste dal nuovo piano regolatore, ma con l’accordo di programma si può variare. Se non si spezza questa prassi perversa, reintroducendo regole rigorose, si cancella l’urbanistica ed è allora del tutto inutile approvare il nuovo piano.

La regione Lazio ha il potere di ricondurre il futuro delle città nel rispetto della coerenza. E’ in gioco una vicenda di enorme rilevanza istituzionale, e cioè l’universalità delle regole che i comuni devono osservare nel governo del territorio. Non esiste infatti solo Roma: se non verrà cancellato l’istituto della compensazione e se non verrà stroncata la logica della contrattazione economica che di volta in volta decide i destini delle città, tutti gli altri comuni del Lazio pretenderanno di utilizzare gli stessi metodi e gli stessi strumenti ammessi per Roma. Sarebbe la fine del governo pubblico del territorio e spero che ciò venga evitato.

Anche se, per concludere, una preoccupazione non può essere taciuta. Poche settimane fa la Regione ha infatti approvato molti emendamenti al piano paesistico regionale per tener conto delle scelte effettuate dal comune di Roma in sede di stesura del nuovo piano regolatore. Nonostante l’esistenza di vincoli ambientali, sono infatti state previste edificazioni. Accettando di cambiare il proprio piano paesistico, la regione Lazio ha commesso un gravissimo errore: per la prima volta in Italia si è capovolta la prassi legislativa fondata sulla supremazia della salvaguardia ambientale sulle scelte di sviluppo del territorio. Speriamo che oggi trovi la forza per recuperare all’errore e per riportare il piano regolatore di Roma nel rigoroso rispetto delle regole.

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